Il presupposto per l’ammonimento ai sensi dell’art. 8 del D.L. n. 11 del 2009

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 25 giugno 2020, n. 4077.

La massima estrapolata:

Il presupposto per l’ammonimento ai sensi dell’art. 8 del D.L. n. 11 del 2009, sono le medesime condotte che integrano la fattispecie di reato introdotta dall’art. 7 dello stesso decreto legge (art. 612 bis c.p.), ovvero, fino a che non sia proposta querela per il reato, le “condotte reiterate, minacce o molestie” atte a cagionare un “perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero tali da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva” ovvero “da costringere ad alterare le proprie abitudini di vita.

Sentenza 25 giugno 2020, n. 4077

Data udienza 4 giugno 2020

Tag – parola chiave: Detenzione di armi – Provvedimento di ammonimento – Presupposti – Art. 8 del D.L. n. 11 del 2009 – Applicazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 757 del 2019, proposto dal Sig.-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Na. Co. e Gu. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Gu. Pa. in (omissis), via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Questura di Mantova, in persona del Questore pro tempore, Ufficio Territoriale del Governo Cremona, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
-OMISSIS-non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, della Questura Mantova e dell’Ufficio Territoriale del Governo Cremona;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica, svolta in videoconferenza ai sensi dell’art. 84 del D.L. n. 18/2020 il giorno 4 giugno 2020, il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.-Come già esposto con sentenza parziale n. -OMISSIS-, il ricorrente ha impugnato, con ricorso r.g.-OMISSIS-al TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia, il verbale di ammonimento orale “a tenere una condotta conforme alla Legge e a non insistere in condotte costituenti a qualsiasi titolo atti persecutori”, ex artt. 7 e 8 del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con L. 38/2009, adottato dalla Questura di Mantova il 10.8.2015, nonché il provvedimento prot. -OMISSIS-, emesso dal Prefetto della Provincia di Cremona in data -OMISSIS-, avente ad oggetto il divieto di detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente e l’ordine di cessione entro il termine di 150 giorni.
I provvedimenti impugnati facevano seguito all’istanza rivolta dalla ex convivente del ricorrente alla Questura di Brescia, in -OMISSIS-, e alla denuncia in sede penale, di vari atti persecutori e di molestia del ricorrente nei suoi confronti, successivi alla separazione, descritti come interferenze nella sua vita privata, finalizzate a limitare la sua libertà personale e ad ostacolare e destabilizzare il rapporto con la figlia minore.
1.1.- Con motivi aggiunti, il ricorrente impugnava anche il provvedimento del Questore di Mantova -OMISSIS-, con cui veniva rigettata l’istanza di annullamento in autotutela del provvedimento di ammonimento, presentata a seguito dell’ordinanza del 21 dicembre 2016, con cui il GIP di Mantova aveva disposto l’archiviazione della denuncia-querela per il reato ex art. 612-bis c.p., per la mancanza di sufficienti elementi di prova nei confronti del ricorrente.
2.- Con la sentenza in epigrafe, il TAR rigettava il ricorso, compensando le spese di giudizio tra le parti.
Il TAR ha ritenuto legittimi i provvedimenti impugnati, ivi compreso il divieto di detenzione di armi adottato dal Prefetto, con riguardo alla ampia serie di atti molesti denunciati dalla ex convivente, che rientrerebbero nella previsione dell’art. 8 del D.L. 11/2009, e tenuto conto anche di fatti successivi ai provvedimenti impugnati, oggetto di relazione da parte della Questura depositata in giudizio -OMISSIS-
3.- Con l’appello in esame, il ricorrente lamenta l’ingiustizia ed erroneità della sentenza, di cui chiede la riforma.
4.-Si sono costituite le Amministrazioni intimate che insistono sulla infondatezza dell’appello di cui chiedono il rigetto.
5.- All’udienza pubblica del 7 novembre 2019, la causa è stata decisa con sentenza parziale -OMISSIS-con cui è stata disposta istruttoria con riguardo alle censure mosse avverso il diniego di annullamento in autotutela del provvedimento del Questore impugnato ed è stato rigettato l’appello nella parte concernente il provvedimento prefettizio del 5 agosto 2015, che vietava la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a qualsiasi titolo detenute e ne ordinava la cessione a terzi.
6.- L’Amministrazione ha adempiuto all’istruttoria depositando la relazione del 2 marzo 2020 a firma del Questore di Mantova.
7.- All’udienza pubblica di rinvio del 4 giugno 2020, svolta in videoconferenza ai sensi dell’art. 84 del D.L. n. 18/2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato.
2.- Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del D.L. 23 febbraio 2009 n. 11, l’errata valutazione degli elementi di fatto, il difetto di istruttoria, l’insufficienza e carenza di motivazione della sentenza impugnata.
2.1. – Il ricorrente denuncia, innanzitutto, l’infondatezza dei presupposti che hanno condotto all’adozione dell’ammonimento (sostanzialmente tre episodi: a) invio di molti sms; b) il testo inserito nei bonifici; c) un episodio di pedinamento attribuito al ricorrente e ritenuto lesivo) che sarebbero riconducibili alla situazione di “conflitto interpersonale” in alcuni casi e in altri, invece, sarebbero insussistenti.
Il ricorrente sostiene la totale assenza di natura persecutoria nelle condotte denunciate (affermata anche nella relazione tecnica di parte del 14 aprile 2016, depositata in sede penale) e la loro riconducibilità alla “conflittualità tipica delle coppie che si separano”, peraltro accentuatasi dopo la nascita, nel 2015, da altra relazione affettiva, della seconda figlia del ricorrente, come dimostrerebbe anche la reciprocità delle denunce e la motivazione dell’ordinanza penale di archiviazione.
Ad avviso dell’appellante, però, tali circostanze fattuali a suo favore sarebbero state ignorate dalla Questura, che motiva in modo apodittico le ragioni dell’ammonimento e senza riferimento specifico a quei fatti (sms e testo dei bonifici) che, invece, il TAR ha indicato quale presupposto dell’adozione del decreto di ammonimento.
Inoltre, infondati sarebbero i richiami agli episodi di “appostamento” che il TAR riconosce, erroneamente, come pacifici.
Il ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice, consistente nel riferimento infondato -OMISSIS-(smentito grazie al sistema di geolocalizzazione del suo cellulare), denunciato con una integrazione di querela presentata dalla ex convivente su segnalazione di un ispettore di Polizia che “ha fatto da contatto diretto” tra la predetta querelante e la Questura e che risulta avere “una conoscenza personale diretta” della stessa (una relazione “amicale” secondo il ricorrente) che avrebbe inciso illegittimamente sulla decisione di adottare il provvedimento di ammonimento impugnato.
Sarebbe irrilevante anche l’episodio -OMISSIS-(allorché è stato identificato un investigatore privato che su incarico del ricorrente seguiva la ex convivente) in quanto il ricorrente non manifestava intenzioni persecutorie, ma intendeva solo verificare i motivi che impedivano alla madre di accompagnare la figlia all’incontro settimanale prescritto dal Giudice dei Minori.
3.- Il TAR ha respinto le censure mosse avverso il decreto di ammonimento rilevando come “la fattispecie dell’art. 8 del D.L. n. 11/2009 è molto ampia, e non comprende solo azioni violente o minacce all’incolumità fisica della vittima. Sono da considerare persecutori anche atti che, pur essendo neutri sul piano delle relazioni sociali, possono provocare, per la loro intensità o frequenza, in combinazione con la sproporzione nei rapporti di forza tra l’autore e la vittima, un perdurante e grave stato di ansia o di paura, costringendo la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.
Gli stessi comportamenti ricadono nella fattispecie di reato ex art. 612-bis cp, ma è diverso, o può essere diverso, il criterio con cui ne viene valutata la rilevanza rispettivamente nel giudizio penale e in sede amministrativa.”.
Il TAR ha affermato che in sede amministrativa viene perseguita la finalità di prevenire il rischio che comportamenti simili, o più gravi, si ripetano in futuro.
Sebbene nella fattispecie siano evidenti le difficoltà relazionali derivanti dalla separazione e dall’affidamento congiunto della figlia, secondo il TAR, che ha esaminato criticamente i vari episodi e i comportamenti del ricorrente e della ex convivente, ciò “non cancella la possibilità di individuare anche in queste situazioni la fattispecie degli atti persecutori.”
4.- Il Collegio osserva, innanzitutto, che presupposto per l’ammonimento ai sensi dell’art. 8 del D.L. n. 11 del 2009, sono le medesime condotte che integrano la fattispecie di reato introdotta dall’art. 7 dello stesso decreto legge (art. 612 bis c.p.), ovvero, fino a che non sia proposta querela per il reato, le “condotte reiterate, minacce o molestie” atte a cagionare un “perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero tali da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva” ovvero “da costringere ad alterare le proprie abitudini di vita”.
L’ammonimento orale è una misura deputata a svolgere una funzione avanzata di prevenzione e di dissuasione dei comportamenti sanzionati penalmente dall’art. 612-bis c.p..
Ai fini della sua emissione, pertanto, non è richiesta la piena prova della responsabilità dell’ammonì to per le ipotesi di reato perseguite dal menzionato art. 612-bis c.p., ovvero di comportamenti di cui sia accertato il carattere persecutorio, ma è sufficiente il sospetto che vi sia una tale finalità o idoneità nelle condotte ripetute tenute dall’ammonì to.
Va peraltro rilevato, sotto un profilo generale, che il superamento di una soglia limite di rispetto della libertà e dignità altrui, avvertita come espressione di un “civile” disaccordo e confronto nelle relazioni conflittuali all’interno della famiglia e della coppia, secondo il comune sentire in un dato contesto storico-culturale, desta un tale allarme sociale che ha spinto il legislatore ad introdurre varie misure, sia repressive che preventive (e, per quanto qui rileva, anche la misura dell’ammonimento orale) per dissuadere da condotte che, se non fermate e prevenute, potrebbero potenzialmente sfociare in ben più gravi comportamenti violenti e ipotesi di reato ai danni della persona.
Pertanto, a sostegno del provvedimento dell’ammonimento orale è sufficiente un quadro istruttorio da cui emergano, anche solo su un piano indiziario, eventi che recano un vulnus alla riservatezza della vita di relazione o, in senso lato e in forma anche potenziale, all’integrità della persona.
Anche all’ammonimento, infatti, deve applicarsi quella logica dimostrativa a base indiziaria e di tipo probabilistico che informa l’intero diritto amministrativo della prevenzione.
Proprio per questo l’ammonimento della Questura è un provvedimento discrezionale chiamato ad effettuare una delicata valutazione delle condotte poste in essere dal “potenziale stalker” in funzione preventiva e dissuasiva (Consiglio di Stato Sez. III, 25 maggio 2015, n. 2599; 7 settembre 2015, n. 4127; 15 febbraio 2019, n. 1085).
Pertanto, il provvedimento di ammonimento presuppone non l’acquisizione della prova richiesta ai fini della condanna per il reato di stalking, di cui all’art. 612 bis c.p., ma la sussistenza di soli elementi indiziari dai quali sia possibile desumere, con un adeguato grado di attendibilità, un comportamento reiterato anomalo, minaccioso o semplicemente molesto, come tale avvertito dal destinatario della condotta, che sia atto a determinare uno stato di “ansia e paura” nella vittima.
Si ribadisce che la valutazione amministrativa, nella fattispecie, a differenza della valutazione e dell’accertamento rimessi al giudice penale, è diretta non a stabilire una responsabilità, ma a dissuadere da comportamenti reiterati molesti o persecutori, allo scopo di prevenire la commissione di reati nei confronti della persona, mediante un giudizio prognostico ex ante relativo alla sussistenza di un mero pericolo.
Pertanto, è ragionevole il particolare rigore valutativo tipico della finalità di prevenzione.
4.1.- Venendo al caso in esame, il ricorrente denuncia la carenza di motivazione e di istruttoria, nonchè l’insussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento.
Secondo il ricorrente i propri comportamenti sarebbero riconducibili alla “situazione di conflitto interpersonale” tipici della prima fase della separazione e non avrebbero assunto un “livello persecutorio”, prerogativa indispensabile per esercitare il potere di ammonimento.
4.2.- Il Collegio ritiene, al contrario, che il provvedimento sia sinteticamente, ma sufficientemente, motivato e che, a fini di tutela della riservatezza delle persone coinvolte, correttamente non indichi nel dettaglio i presupposti di fatto.
Il provvedimento, in effetti, contiene il riferimento ai presupposti di fatto anche se genericamente indicati nelle “condotte moleste” ai danni della ex convivente tenute dall’ammonì to, che sono consistite “nell’interferire nella vita privata della predetta con l’intento di limitare la sua libertà personale, nonché ostacolare e destabilizzare il rapporto con la figlia minore”.
L’istruttoria è consistita nel raccogliere le denunce e il materiale documentale esibito dalla ex convivente, e nel verificare mediante sopralluoghi di agenti di polizia i denunciati appostamenti, senza che sia necessario citare nel provvedimento le fonti delle informazioni raccolte.
Quanto alla fondatezza dei presupposti (le tre circostanze determinanti che il TAR ha ritenuto legittimamente poste a fondamento del provvedimento: recriminazioni eccessive, facendo leva sulla maggiore forza economica e sulla posizione sociale, contenute in numerosi sms e nel testo inserito nei bonifici; appostamenti del ricorrente sotto l’abitazione della donna e pedinamenti da parte di investigatore privato), il Collegio rileva che la valutazione operata dalla Questura circa il carattere offensivo e molesto delle comunicazioni indirizzate dal ricorrente alla ex convivente e delle modalità espressive utilizzate, nonché circa l’apparente volontà di controllo sulle sue abitudini di vita, non appare macroscopicamente irragionevole e travisante, tenuto conto delle finalità preventive del provvedimento di ammonimento sopra illustrate.
Va sottolineato, infatti, che le numerose comunicazioni scritte (messaggi telefonici), nell’arco di nove mesi, contenenti affermazioni irrispettose ripetute, atte ad esprimere disprezzo e recriminazione, inserite anche in comunicazioni accessibili a terzi (quali i bonifici bancari), così come gli appostamenti denunciati nell’arco di un anno, ben possono essere valutati idonei a ingenerare il “perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero…un fondato timore per l’incolumità ‘” considerati dalla norma.
Né rileva la circostanza che il GIP abbia ritenuto “contraddittoria” la prova dell’effettiva verificazione dei presunti appostamenti nell’arco di diversi mesi, stante gli elementi probatori introdotti dalla difesa dell’indagato; e ancora che l’indagato abbia fornito una spiegazione alternativa alla sua presenza in prossimità dell’abitazione della querelante (per alcuni episodi) fornendo anche un alibi con riferimento ad uno degli episodi denunciati (quello relativo al presunto appostamento -OMISSIS-
Come si è detto (cfr. punto 4), diversa è la logica valutativa del provvedimento di prevenzione, cui è sufficiente il riscontro di una situazione di pericolo, rispetto a quella del giudice penale, e diverso conseguentemente il grado di certezza probatoria della volontà lesiva dei fatti denunciati che viene richiesto in sede amministrativa ai fini dell’adozione dell’ammonimento.
Infine, la forte conflittualità tra i due ex conviventi, cui potrebbe attribuirsi, ad avviso della consulenza di parte nel processo penale, il contenuto offensivo delle ripetute comunicazioni e dei comportamenti (che sarebbe normale in una prima fase di separazione), mal si giustifica a distanza di tempo (essendo la separazione tra i due ex conviventi risalente al 2011).
4.3. – Ulteriore censura col primo motivo di appello il ricorrente rivolge alla sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimo il diniego di annullamento in autotutela del Questore del 23 febbraio 2017, dopo che era intervenuto il decreto di archiviazione penale in data 21 dicembre 2016.
Sul punto, il Collegio ha disposto istruttoria tendente ad accertare se il diniego di autotutela di cui al decreto del Questore “si fondi su atti istruttori, di cui si chiede la produzione, successivi al decreto di ammonimento, da cui siano emersi ulteriori comportamenti, condotte reiterate, minacce o molestie successive a quelle inizialmente considerate, che giustifichino una valutazione di permanenza dell’opportunità di mantenere in vita l’ammonimento a distanza di circa due anni;
– quali fatti e comportamenti riferiti al ricorrente siano stati valutati ostativi all’annullamento in autotutela, tenuto conto delle considerazioni svolte dal G.I.P. con l’ordinanza di archiviazione del procedimento penale r.g.n. -OMISSIS-, che ha escluso che i fatti descritti in querela rappresentino “molestie o minacce reiterate” sotto il profilo oggettivo, e tenuto conto delle considerazioni del Pubblico Ministero nella richiesta di archiviazione, in data 17 giugno 2016, accolta, circa “l’insussistenza di carattere unilateralmente molesto delle condotte” del ricorrente e il riferimento all’archiviazione dei vari procedimenti penali nati da analoghe denunce della ex convivente (procedimenti -OMISSIS-, tutti per il delitto di cui all’art. 388 c.p.).”
In esito all’istruttoria la Questura giustifica il diniego affermando che il 2 dicembre 2016 venivano verbalizzate nuove denunce a carico del ricorrente provenienti dalla ex convivente, per fatti accaduti nel 2016, successivi a quelli considerati nell’agosto del 2015 per l’adozione del provvedimento di ammonimento e successivi anche alla denuncia (-OMISSIS-) che ha dato luogo al procedimento penale archiviato.
La denunciante produceva mail e messaggi Whtsapp consistenti in “ingiurie e frequenti nonché arbitrarie variazioni degli orari e dei luoghi già concordati nei quali prelevare o riconsegnare la figlia”; variazioni di orari o impedimenti a tenere con se la bambina emergevano per lo più nelle occasioni in cui la madre comunicava preventivamente al ricorrente di avere impegni personali.
Si rilevava l’abituale atteggiamento irrisorio e di manifesto disprezzo da parte del ricorrente nei confronti della ex compagna, accusata soprattutto e frequentemente di rubare i soldi versati dallo stesso ricorrente per il mantenimento della figlia (si citano, ad es., il messaggio del 14.9.2016, “in cui l’uomo insisteva con l’invio di emotion riproducenti bacini e cuoricini e con il seguente messaggio ” non mi ami più ?”, e ancora il messaggio del 23.6.2016, con cui l’uomo reiterava espressioni offensive circa l’utilizzo del denaro deputato al mantenimento della figlia, che asseriva essere “rubato” alla figlia, e il messaggio del 14.11.2016, in cui il ricorrente rivolge alla ex compagna la qualifica di “persona malvagia e bugiarda”).
Il reiterato diniego di concordare le variazioni di orario con la madre per gli incontri con la figlia metteva la donna nella necessità di modificare i propri progetti e, a volte, la costringeva ad attese di ore e, comunque, al mancato rispetto degli accordi presi davanti al Giudice.
I verbali venivano inoltrati dalla Questura all’Autorità giudiziaria il 9.12.2016 con p.p. 663/16, quando però era già in corso l’adozione del provvedimento di archiviazione, sopraggiunto il 21 dicembre 2016.
4.4.- Con memoria depositata il 28 aprile 2020, il ricorrente contesta ulteriormente la circostanza che la Questura non abbia tenuto in minimo conto il provvedimento di archiviazione del GIP, intervenuto a seguito dell’esame delle proprie difese, da cui si può desumere l’illegittimità dell’ammonimento e, dunque, l’esistenza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela.
Il ricorrente deduce che il diniego di annullamento si fonda su fatti già dimostrati inesistenti o ai quali non può essere ricondotto il significato persecutorio che vi ha attribuito la Questura (segnatamente gli sms e le modalità espressive usate), come si evince dalla perizia di parte dell’aprile 2016 prodotta in sede penale e acquisita dal GIP di Mantova.
4.5.- Il Collegio osserva che il diniego di annullamento in autotutela è atto ampiamente discrezionale e insindacabile in sede giurisdizionale.
Un provvedimento amministrativo può, e non deve, essere annullato d’ufficio da parte dell’Amministrazione, anche su istanza di parte, nell’ipotesi in cui lo stesso si riveli affetto da illegittimità per violazione di legge, eccesso di potere o incompetenza.
Solo in tali casi, sussistendo fondate ragioni di interesse pubblico, è possibile che la Pubblica amministrazione, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari, eserciti “res melius perpensa” il proprio potere di autotutela, ripristinando la legalità violata. Pertanto, l’autotutela amministrativa mediante annullamento d’ufficio costituisce espressione di un potere di merito, incoercibile da parte del giudice amministrativo e insindacabile (Consiglio di Stato sez. V, 22/01/2014, n. 322).
La richiesta del privato, rivolta all’amministrazione di esercizio dell’autotutela ha, dunque, l’efficacia di una mera denuncia, con funzione sollecitatoria che non fa sorgere un obbligo di provvedere (ex pluribus, C.d.S., sez. VI, 15 maggio 2012, n. 2774; sez. IV, 16 settembre 2008, n. 4362; sez. V, 25/07/2014, n. 3964).
L’attività connessa all’esercizio dell’autotutela è espressione di ampia discrezionalità (C.d.S., sez V, 3.10.2012, n. 5199).
4.6.- Nel caso in esame, il Collegio ritiene che la discrezionalità esercitata in sede di autotutela sia immune da difetto dei presupposti, irragionevolezza e travisamento dei fatti.
Il diniego è giustificato dalla legittimità del provvedimento di ammonimento, nonostante l’intervenuta archiviazione in sede penale del procedimento instaurato a carico del ricorrente a seguito di integrazione di denuncia da parte della controinteressata, che -OMISSIS- denunciava all’A.G. reiterati comportamenti contrari all’ammonimento tenuti dal ricorrente successivamente all’agosto 2015.
L’archiviazione del procedimento penale non comportava il necessario venir meno della valutazione negativa già compiuta dalla Questura a fini preventivi, ancor prima che i comportamenti denunciati al Questore venissero ulteriormente ripetuti e sfociassero nella denuncia penale successiva di ulteriori condotte dello stesso tenore, -OMISSIS-.
Per le diverse finalità perseguite in sede amministrativa e in sede penale, già messe in evidenza, deve ritenersi legittimo l’ammonimento ed anche il diniego di annullamento in autotutela impugnato.
La Questura, inoltre, fa riferimento nella relazione depositata in adempimento all’istruttoria, ad ulteriori comportamenti denunciati dalla controinteressata -OMISSIS- che avrebbero consolidato ulteriormente il convincimento dell’opportunità sul piano dell’interesse pubblico di non rivedere l’atto di ammonimento già adottato, nonostante l’archiviazione intervenuta in sede penale (“oltre ai tre appostamenti sotto casa, già oggetto di segnalazione all’A.G., il ricorrente viene denunciato per aver “proseguito con la personalizzazione degli orari di visita e intrapreso nuovamente una costante attività di dileggio e denigrazione attraverso mail e messaggi di testo, contenenti oltre che frasi ingiuriose anche faccine di scherno, baci e provocazioni”).
La controinteressata produceva, contestualmente alla ulteriore denuncia, copiosa documentazione relativa a quanto denunciato, che la Questura ha depositato in giudizio.
4.7.- Osserva il Collegio, inoltre, che il diniego del 23 febbraio 2016 pur prendendo atto della intervenuta archiviazione del procedimento penale -per infondatezza della notizia di reato- instaurato a carico del ricorrente, motiva correttamente con riguardo alle differenze sostanziali, strutturali e funzionali, tra il procedimento di prevenzione e il procedimento penale, tali da sfociare in ambiti di totale autonomia.
5.- In conclusione, l’appello va respinto.
6.- Le spese di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della peculiarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, dichiara legittimi i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità .
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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