Il permesso di costruire in deroga

Consiglio di Stato, Sentenza|14 giugno 2021| n. 4591.

Il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (rubricato “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici”) è un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio e rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale.

Sentenza|14 giugno 2021| n. 4591 Il permesso di costruire in deroga

Data udienza 15 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Permesso di costruire – Variante – Permesso in deroga – Natura – Art. 14 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – Applicazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6757 del 2017, proposto dal Fallimento n. 32/2018 della società Te. Pe. S.p.a, in persona del curatore fallimentare pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Ta., domiciliato come da PEC da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato An. Le Ro. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Di. De Ca., domiciliato come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
del signor Gi. Ma., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 3 aprile 2017 n. 1777, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e i documenti prodotti;
Esaminate le memorie e gli ulteriori documenti depositati dalle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 15 ottobre 2020 il Cons. Stefano Toschei e udito l’avvocato Francesco Tamburrino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello, inizialmente proposto dalla società Te. Pe. S.p.a. e, dopo il fallimento di quest’ultima, dal Fallimento n. 32/2018 della società Te. Pe. S.p.a., che ha proseguito il giudizio, la predetta società ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 3 aprile 2017 n. 1777, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. n. 571/2012) proposto ai fini dell’annullamento (con ricorso originario) della nota del Capo Ripartizione urbanistica del Comune di (omissis) 25 novembre del 2011, con la quale venivano rappresentati i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza relativa all’assentimento di una variante in corso d’opera (e a sanatoria) di lavori realizzati per la costruzione di un complesso termale nonché (con ricorso recante motivi aggiunti) dell’annullamento dei successivi provvedimenti comunali, del 26 gennaio 2012 prot. n. 2059/53 e del 2 febbraio 2012 n. 4, con i quali, in seguito alle osservazioni trasmesse dalla società interessata, l’ente locale ribadiva il diniego di variante e comunicava nuovamente, precisandone il contenuto, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di variante in deroga e sanatoria della concessione n. 51/1998, oltre ad ingiungere la demolizione delle opere edilizie abusivamente realizzate.
2. – Riferisce il Fallimento n. 32/2018 della società Te. Pe. S.p.a. (d’ora in poi, per brevità, il Fallimento), ribadendo quanto già indicato dall’originaria appellante società Te. Pe. S.p.a. che:
– quest’ultima, sulla scorta di una convenzione stipulata col Comune di (omissis) in data 17 novembre 2004, stava realizzando un complesso termale, giusta delibera di Consiglio comunale n. 25 del 4 aprile 1998 e in forza di concessione edilizia n. 51/1998;
– con istanza presentata al comune in data 7 agosto 2007 (prot. n. 14418), la predetta società proponeva l’assentimento di una variante in corso d’opera in deroga rispetto al titolo a costruire e in sanatoria delle opere realizzate;
– alla istanza veniva dato dagli uffici comunali, dapprima, un parere favorevole sotto l’aspetto tecnico urbanistico e architettonico (dal dirigente della Ripartizione tecnico-urbanistica del comune con nota prot. n. 598 del 5 dicembre 2008), ma successivamente, con nota del Capo Ripartizione tecnica del Comune di (omissis) prot. n. 427 e 20832 del 25 novembre 2011 (che richiamava la nota prot. n. 190 E.P. del 23 giugno 2010), l’amministrazione comunicava che “permangono i motivi ostativi all’accoglimento” della detta istanza di sanatoria, “consistenti nel contrasto dell’intervento con le previsioni del vigente P.R.G.”;
– la nota veniva fatta oggetto di ricorso dinanzi al TAR per la Campania contestandosene la legittimità (con tre complessi motivi di censura) in quanto l’atto con il quale si comunicavano alla società interessata le ragioni che si opponevano all’accoglimento dell’istanza di variante era stato adottato dal Capo Ripartizione dell’ufficio comunale piuttosto che dal Consiglio comunale, organo esclusivamente competente ad esprimersi in tema di varianti, oltre al fatto che tale decisione di segno sfavorevole si poneva, contraddittoriamente, in aperto contrasto con il parere, questo invece decisamente favorevole, espresso dal dirigente dell’ufficio e ciò all’esito, peraltro, di un nuovo procedimento rispetto a quello concluso favorevolmente dal dirigente dell’ufficio e senza che di tale nuovo procedimento fosse stata avvisata la società con la necessaria comunicazione di avvio ai sensi dell’art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241;
– inoltre la motivazione del diniego espresso dal responsabile del servizio del Comune di (omissis), oltre a travisare l’oggetto della stessa istanza di variante in deroga e sanatoria, nel senso che ha autonomamente e ingiustificatamente riqualificato l’oggetto dell’istanza (da “variante in deroga e sanatoria”) a semplice “variante in sanatoria”, l’ha ritenuta erratamente non accoglibile per contrasto al P.R.G., non tenendo conto che la previsione recata dalla scheda n. 5 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di (omissis), che subordina gli interventi termali al P.U.E. di iniziativa comunale, individuata come ragione ostativa all’assentimento della variante, si riferisce ai soli nuovi impianti, escludendo espressamente dalla sua applicazione l’intervento oggetto dell’istanza, in quanto la costruzione del centro termale era già stata assentita ed era, addirittura, in corso di realizzazione. A ciò si aggiunga che, in ogni caso, la concessione in deroga è tale perché può essere rilasciata anche derogando alle norme che rinviino a redigendi piani il completamento della disciplina;
– successivamente alla proposizione del ricorso dinanzi al TAR per la Campania il Capo della Ripartizione tecnico-urbanistica del Comune di (omissis), con provvedimento prot. n. 2059/53 del 26 gennaio 2012, respingeva le osservazioni di dissenso al provvedimento prot. n. 427 del 25 novembre 2011, prodotte dalla società Te. Pe. e quindi, con ordinanza n. 4 del 2 febbraio 2012, il predetto organo comunale ingiungeva la demolizione delle opere fatte oggetto dell’istanza di variante in deroga e sanatoria e realizzate in difformità rispetto al progetto a suo tempo assentito;
– anche tali atti venivano fatti oggetto di impugnazione, con ricorso recante motivi aggiunti, dinanzi al TAR per la Campania. Nel nuovo atto di impugnazione la società Te. Pe. censurava detti provvedimenti deducendo motivi di illegittimità analoghi a quelli riferiti, in occasione della proposizione del ricorso originario, nei confronti degli atti ad essi presupposti e ribadiva che, al contrario di quanto sostenuto dal Comune di (omissis), la richiesta di variante non atteneva ad un nuovo impianto, per la realizzazione del quale avrebbe dovuto essere richiesta la previa approvazione del P.U.E., trattandosi invece, con tutta evidenza, di interventi edilizi effettuati nello stesso impianto autorizzato con la concessione edilizia n. 51/1998, ubicato nella stessa area, rispetto al quale erano stati esclusivamente redistribuiti volumi e funzioni connesse all’impianto medesimo;
– la società Pe. Te., inoltre, contestava la legittimità degli atti impugnati da ultimo non solo (ed ancora) con riferimento alla incompetenza del Capo della Ripartizione a decidere sulla istanza di variante in deroga e sanatoria, spettando la relativa competenza al Consiglio comunale, ma anche perché, al contrario di quanto è stato sostenuto dall’ufficio, non era addebitabile alla società la scadenza del termine per la ultimazione dei lavori (previsto all’art. 2 della convenzione urbanistica approvata il 19 marzo del 2004), rispetto al quale le opere oggetto dell’istanza di sanatoria sarebbero state realizzate, bensì all’ingiustificata inerzia mantenuta dal comune medesimo su detta istanza, avendo concluso il relativo procedimento, avviato (con la presentazione dell’istanza) il 7 agosto 2007, ben quattro anni dopo, malgrado l’istruttoria fosse stata a suo tempo conclusa positivamente dal dirigente dell’ufficio competente, il quale aveva rimesso contestualmente la procedura al competente Consiglio comunale per l’adozione del provvedimento conclusivo;
– l’ordinanza di demolizione n. 4 del 2012 è poi affetta da vizio di violazione degli artt. 7, 10 e 10-bis l. 241/1990, poiché alla società interessata non è stato tempestivamente comunicato l’avviso di avvio del procedimento, impedendole quindi la indispensabile partecipazione procedimentale prima dell’adozione di un provvedimento dagli effetti così gravi.
3. – Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto il ricorso proposto in quanto ha considerato congruamente motivati gli atti di diniego della istanza di variante in deroga e sanatoria e, quindi, dell’ingiunzione a demolire a fronte della esistenza di comprovati ostacoli tecnico-legali alla realizzazione delle opere che si intendevano sanare con la predetta istanza, valorizzando, in particolare, la circostanza costituita dalla mancata ultimazione dei lavori finalizzati alla realizzazione dell’impianto alla data del 31 dicembre del 2008, per come previsto dall’art. 2 della convenzione stipulata tra le parti nel 2004 e per effetto della quale il mancato rispetto di quel termine avrebbe comportato la revoca della concessione e l’attivazione delle iniziative finalizzate al ripristino dello stato dei luoghi.
D’altronde, sempre ad avviso del primo giudice, la formulazione della previsione del richiamato art. 2 della convenzione urbanistica non lascia spazio a dubbi interpretativi, dal momento che essa si esprime nel senso di fissare “definitivamente e perentoriamente il termine di ultimazione dei lavori” al 31 dicembre 2008, senza ulteriori aggiunte e prescrizioni, oltre a prevedere espressamente che la mancata ultimazione “comporterà l’attivazione delle procedure tese al ripristino dello stato dei luoghi”, con ciò “lasciando intendere inequivocabilmente di ritenere l’inosservanza di quel termine, oltre tutto già prorogato, un fatto giuridico con effetti estintivi, alla stregua di una vera e propria decadenza” (così, testualmente, a pag. 5 della sentenza qui oggetto di appello).
Tenuto conto che già nel provvedimento del 25 marzo 2004 n. 2447, con cui si era approvato lo schema di convenzione, oltre a prorogarsi la data di ultimazione dei lavori, si era dato atto che “sono stati riscontrati ritardi nella realizzazione delle opere (…) né risultano avviate le opere per la costruzione della strada, anch’essa prevista in convenzione (…) e che la stessa società ricorrente in data 25 febbraio 2004 aveva esposto le problematiche che ostacolavano la realizzazione dell’impianto”, poteva dirsi inequivocabilmente dimostrato che, quanto meno, una parte dei ritardi fosse addebitabile alla stessa società e non al comune.
Accanto al dirimente motivo legato alla scadenza temporale dell’efficacia del titolo abilitativo a costruire, sulle altre questioni sollevate dalla società ricorrente in primo grado (sia nel ricorso originario che nel ricorso recante motivi aggiunti), il TAR per la Campania, affermando l’infondatezza di tutti i motivi di impugnazione dedotti, osservava che:
– sebbene effettivamente l’art. 5 delle N.T.A. al P.R.G. escluda che per le opere già in corso di realizzazione non è necessario attendere, per il rilascio di titoli abilitativi a costruire, che il comune si doti di un P.U.A., nondimeno tale previsione va intesa per come riferita all’impianto nella sua originaria consistenza e non nella configurazione realizzativa che ha successivamente assunto al momento della presentazione dell’istanza di variante poi denegata, ciò in quanto l’impianto, per come previsto nel progetto originario, doveva considerarsi sensibilmente trasformato per effetto delle ulteriori costruzioni e tale da rappresentare un diverso complesso edilizio (oltre al fatto, significativamente decisivo, di non essere stato completato nei tempi previsti dalla convenzione del 2004);
– tale sensibile trasformazione dell’impianto rispetto al progetto originario è stata constatata nel corso del sopralluogo tecnico svolto sul sito dal personale tecnico comunale e all’esito del quale è stata redatta la nota, pure impugnata dalla società Te. Pe., con la quale si segnalavano ulteriori motivi che inducevano al rigetto dell’istanza di variante, tra i quali spicca la realizzazione di numerose nuove opere, oltre ad “un cambio di destinazione, incompatibile con la vocazione agricola del suolo, che sono di rilevante entità e significato e che non avrebbero comunque potuto essere assentite, in disparte l’incompatibilità col regime urbanistico, a maggior ragione in assenza di un valido titolo edilizio” (così, testualmente, a pag. 9 della sentenza qui oggetto di appello);
– sulle carenze di partecipazione procedimentale risulta dagli atti che la società era stata raggiunta da tutti gli atti anche endoprocedimentali e dunque era stata posta nella condizione di contraddire con l’amministrazione prima ancora dell’adozione degli atti definitivi poi impugnati.
4. – In sede di appello la società Te. Pe., poi dichiarata fallita, di talché il ricorso è stato riassunto dal Fallimento, sostiene la erroneità della sentenza di primo grado e formula i seguenti motivi di appello:
– nel ritenere dirimente, rispetto alla asserita illegittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado, la circostanza che la società ricorrente non avesse ultimato i lavori entro il termine decadenziale del 31 dicembre 2008, il giudice di primo grado non si è avvisto che, nella parte motiva dei provvedimenti di diniego impugnati, l’amministrazione non ha mai fatto cenno allo spirare di quel termine quale ragione essenziale e idonea ad ostacolare l’accoglimento dell’istanza di variante, imputandola piuttosto al ritenuto contrasto con le norme del P.R.G. che subordinavano la realizzazione dell’intervento costruttivo, di cui alla variante, all’adozione del P.U.E., su iniziativa comunale. Recando solo il provvedimento di demolizione un cenno alla scadenza del termine per la ultimazione dei lavori, si presenta evidente come il giudice di prime cure abbia rinvenuto una giustificazione legale al diniego di variante seguendo una prospettazione che nella realtà non è stata considerata dagli uffici comunali e che dunque non poteva essere utilizzata per confermare la legittimità dei provvedimenti di diniego impugnati;
– ha errato, inoltre, il Tribunale amministrativo regionale, a non avere valorizzato la censura con la quale la società ricorrente ebbe a segnalare che la revoca della concessione non avrebbe potuto essere automatica, in quanto, per la sua efficacia, sarebbe stato necessario svolgere una apposita procedura ed adottare, all’esito della stessa, un provvedimento conclusivo da parte dell’organo competente, da individuarsi nel Consiglio comunale, oltre alla ulteriore circostanza di non aver tenuto in adeguata considerazione la imputabilità del ritardo nel completamento dei lavori al comune, rimasto a lungo inerte in ordine alla definizione della richiesta di variante;
– il primo giudice non ha, poi, affatto scrutinato il motivo di ricorso con il quale la società aveva contestato l’evidente incompetenza del Capo Ripartizione ad adottare gli atti che hanno caratterizzato la scena contenziosa, laddove la competenza a decidere sulle istanze di variante spettava esclusivamente al Consiglio comunale, come peraltro aveva segnalato il precedente dirigente responsabile dell’ufficio istruttore in occasione dell’adozione del parere favorevole espresso sull’istanza di variante e del tutto disatteso nella contraddittoria, con quel parere, decisione di diniego di variante. A ciò si aggiunga che tale ultima decisione si pone quale atto conclusivo di un nuovo procedimento amministrativo il cui avvio mai è stato comunicato alla società interessata, con ciò violando l’art. 7 l. 241/1990;
– dalla scheda n. 5 delle N.T.A. al P.R.G. si rileva agevolmente che la necessità di adozione del P.U.E. da parte del comune è prevista solo per la realizzazione di nuovi impianti termali, di talché non poteva tale previsione essere utilizzata per denegare la richiesta di variante riferita ad un impianto già in corso di realizzazione;
– l’atto con il quale sono stati confermati i motivi ostativi al rilascio e quindi è stata definitivamente denegata la richiesta di variante non è stato preceduto dalla comunicazione del preavviso di diniego, con ciò violando l’art. 10-bis l. 241/1990;
– va ribadita, infine, la mancata notifica alla società notifica del Provvedimento n. 190/E.P. del 23 giugno 2010.
5. – Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) chiedendo che l’appello fosse respinto, attesa la infondatezza delle ragioni di erroneità della sentenza di primo grado espressi dalla società con l’atto di appello.
6. – Va sinteticamente ricordato, in punto di fatto, che:
– nel 1998 il Comune di (omissis) assentiva il progetto per la realizzazione di un complesso termale e rilasciava la concessione edilizia per la sua costruzione, n. 51/1998, in località (omissis), da avviarsi entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo e da completarsi entro il termine di sei anni dalla data di rilascio della concessione, stipulandosi nel contempo una convenzione urbanistica;
– nel 2001 il Consiglio comunale prorogava di un anno la data di ultimazione dei lavori;
– con deliberazione del Consiglio comunale n. 10 del 19 marzo 2004 veniva concessa (ulteriormente) la proroga del termine di conclusione dei lavori, su richiesta della società Te. Pe., fino al 31 dicembre 2008, disponendo anche la stipula di una nuova convenzione;
– nella convenzione che seguì la delibera consigliare che approvava la nuova proroga, stipulata in data 17 novembre 2004 (rep. 4597), oltre a ribadire il termine di cui sopra per la ultimazione delle opere e a qualificarlo come perentorio, veniva espressamente stabilita, quale eventuale conseguenza della scadenza infruttuosa del nuovo termine, la revoca della concessione e l’attivazione delle procedure volte al ripristino dello stato dei luoghi, fatta salva l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere realizzate (art. 2 della convenzione);
– il 7 agosto 2007 veniva presentata dalla società Te. Pe. una richiesta di variante in deroga e sanatoria della concessione n. 51/1998, prospettando una “integrale revisione in chiave architettonica ed urbanistica globale della progettazione originaria (…) sia pur nell’ottica di salvaguardare le opere già realizzate ed attualmente allo “stato grezzo” (…)” (così, testualmente, a pag. 4 della richiesta di variante);
– il 31 ottobre 2008 la società Te. Pe. depositava una nota di sollecito al Comune di (omissis) perché fosse definita la procedura avviata con l’istanza di variante in deroga e sanatoria presentata nell’agosto 2007, reiterando la richiesta con nota del 21 novembre 2008, con allegazione dello schema della nuova convenzione urbanistica;
– con nota prot. 598 del 5 dicembre 2008 la Ripartizione tecnico-urbanistica del Comune di (omissis), nella persona dell’allora dirigente dell’ufficio, trasmetteva gli atti al Consiglio comunale per la conclusione del procedimento segnalando che l’istanza “sotto il profilo tecnico-urbanistico-architettonico è meritevole di approvazione”;
– con atto protocollato dal comune il 24 maggio 2010 la società Te. Pe., non essendo stato ancora completato il procedimento, sollecitava nuovamente l’assunzione della deliberazione da parte del Comune di (omissis);
– con la nota prot. n. 190 E.P. del 23 giugno 2010, indirizzata anche alla società Te. Pe., il responsabile della Ripartizione competente ad istruire il procedimento riferiva, testualmente, con riguardo alla istanza di variante in deroga e sanatoria presentata nel 2007, “che a seguito di istruttoria da parte dell’U.T.C. del 25/09/07, la stessa veniva più volte evidenziata all’Amministrazione Comunale affinché si esprimesse in ordine ad eventuale ulteriore deroga; tale richiesta veniva più volte sollecitata. Alla luce di reiterati incontri tenutisi presso questo Ente, anche in presenza dei rappresentanti della società in indirizzo, venivano esplicitate le diverse problematiche ostative alla conclusione del procedimento. In proposito, vista la scheda E5 della N.T.A. del P.R.G. vigente, la proposta progettuale in sanatoria, in oggetto, non trova accoglimento in quanto gli interventi sono subordinati al P.U.E. di iniziativa comunale. Nel contempo si comunica che è fissato per il giorno 06/07/2010 alle ore 09:30 sopralluogo di accertamento così come disposto dall’Autorità Giudiziaria con nota acclarata al protocollo del Comando di Polizia Municipale al n. 6222 del 25/05/10” (così nella nota prodotta in atti);
– in particolare la nota risulta essere stata notificata alla società in data 24 giugno 2010 dal messo comunale del Comune di (omissis) nelle mani del socio signor Gi. Mi. che l’ha ricevuta nella qualità di socio capace e incaricato, sottoscrivendo la relata di notifica che riportava il suo nome, la sua qualità e la consegna del plico;
– con nota del 28 ottobre 2011 la società sollecitava nuovamente la conclusione del procedimento, segnalando come a proprio avviso sussistessero tutti i presupposti giuridici per l’accoglimento dell’istanza presentata nel 2007;
– con una ulteriore nota del 17 novembre 2011 la società Te. Pe. comunicava agli uffici comunali che “le strutture di cui al permesso a costruire 51/98 sono state realizzate fino alla copertura”, reiterando quindi il rilascio delle “autorizzazioni urbanistiche richieste dalla Te. Pe. S.p.A. in deroga e sanatoria o in subordine di ordinare l’immediato abbattimento delle strutture edificate in difformità al permesso a costruire 51/98 e a completare le opere nello stesso previste”;
– con nota del 25 novembre 2011 (n. 427) il responsabile della Ripartizione ribadiva il permanere dei “motivi ostativi all’accoglimento già esplicitati nel provvedimento prot. n. 190 E.P. del 23/06/2010, consistenti nel contrasto dell’intervento con le previsioni del vigente PRG”, segnalando nel contempo alla società interessata che avrebbe potuto presentate “eventuali osservazioni e documenti (…) nei 10 giorni seguenti”;
– con nota pervenuta agli uffici il 6 dicembre 2011, la società dichiarava di non avere mai conosciuto la nota del 23 giugno 2010, ribadendo tale circostanza con nota ricevuta dal Comune di (omissis) in data 29 dicembre 2011, nella quale veniva contestata agli uffici una errata gestione del procedimento nonché l’assenza di qualsivoglia ostacolo giuridico all’accoglimento dell’istanza di variante in deroga e sanatoria, anticipando sostanzialmente i motivi di ricorso che costituiranno l’asse centrale del contenzioso che successivamente verrà avviato dinanzi al TAR per la Campania;
– con nota del 26 gennaio 2012 il responsabile della Ripartizione tecnico-urbanistica, ritenendo inconferenti le osservazioni redatte dalla società interessata e ricevute dall’ufficio e ribadendo gli ostacoli legali all’accoglimento dell’istanza di variante, vertendosi nella realtà in una operazione di realizzazione di un nuovo complesso, respingeva detta istanza, comunicando inoltre la “revoca” della concessione edilizia, a suo tempo rilasciata, per violazione dell’art. 2 della convenzione urbanistica che fissava il termine perentorio di conclusione dei lavori al 31 dicembre 2008, assegnando nel contempo a detto atto di diniego di istanza anche la funzione di comunicazione di avvio del procedimento per la ingiunzione di demolizione delle opere abusivamente realizzate;
– con provvedimento n. 4 del 2 febbraio 2012, il responsabile della Ripartizione ingiungeva, quindi, la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi;
– entrambi i suddetti atti, come quelli in precedenza adottati dal Comune di (omissis), erano fatti oggetto di impugnazione dinanzi al TAR per la Campania dalla società Te. Pe., che in sede civile procedeva anche a proporre querela di falso con riguardo alla notifica della nota prot. n. 190 E.P. del 23/06/2010.
7. – Ad avviso del Collegio la surriproposta elencazione dei fatti (tutti documentati puntualmente dalle parti in entrambi i gradi del contenzioso qui in esame e comunque confluiti nel fascicolo digitale del presente giudizio) rappresenta plasticamente l’andamento della lunga procedura che aveva quale obiettivo, da parte dell’odierna società appellata, la realizzazione in variante (in deroga e sanatoria rispetto alla concessione edilizia n. 51 del 1998) di un complesso termale, in località (omissis) nel Comune di (omissis), sostanzialmente diverso rispetto a quello originariamente previsto nel progetto assentito nel 1998 e che avrebbe dovuto essere realizzato, con quel dimensionamento e caratteristiche progettuali, entro il 2004 (per come chiaramente emergeva nella convenzione urbanistica stipulata tra le parti nel 1998, che prevedeva una realizzazione delle opere in tre step biennali).
Appare evidente che al momento della stipula della seconda convenzione urbanistica, in data 17 novembre 2004 (rep. 4597), occasionata dall’accoglimento di una richiesta di estensione dell’originario termine di ultimazione dei lavori, già prorogato (di un anno) nel 2001, la data nuovamente fissata (nella seconda convenzione) al 31 dicembre 2008 veniva espressamente considerata quale termine “perentorio”, prevedendo già la sanzione della decadenza (piuttosto che della impropriamente definita “revoca”) del titolo edilizio.
Su tale punto meritano di essere svolte alcune osservazioni:
– la società sostiene che il primo giudice ha erroneamente valorizzato la scadenza di tale ultimo termine quale fatto giuridico impeditivo all’accoglimento dell’istanza di variante presentata dalla società nel 2007, poi espressamente denegata solo all’inizio del 2012, in quanto le ragioni del mancato accoglimento della variante sono da imputarsi ad una errata considerazione delle previsioni contenute nelle N.T.A. del P.R.G., unico motivo del diniego. Il richiamo all’intervenuta “decadenza” della concessione n. 51 del 1998, è avvenuto soltanto nell’atto di ingiunzione a demolire;
– tale circostanza non risulta dai documenti presenti in giudizio, in quanto già nel provvedimento di diniego del 26 gennaio 2012, oltre all’ostacolo legale riferibile alla inaccoglibilità dell’istanza per assenza del P.U.A., espressamente il responsabile della Ripartizione tecnica-urbanistica aveva segnalato l’intervenuta “decadenza” dalla concessione del 1998, indicando le specifiche disposizioni, contenute nelle convenzioni stipulate negli anni, che erano state violate con la mancata ultimazione dei lavori entro il 31 dicembre 2008 e tale “doppia motivazione” è stata poi riprodotta nella ingiunzione di demolizione e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi n. 4 del 2012, elencando poi in tale ultimo atto le significative difformità rispetto al progetto approvato nel 1998 del nuovo progetto che accompagnava l’istanza di variante, che rendevano l’impianto significativamente diverso rispetto a quello a suo tempo previsto nella progettazione assentita;
– la “decadenza” della concessione edilizia n. 51 del 1998 costituisce un fatto giuridico provocato dalla mancata ultimazione dei lavori entro il 31 dicembre 2008, anche per l’evidente tenore “da ultima proroga concedibile” che è agevole rinvenire nelle espressioni contenute nella delibera consigliare n. 10 del 19 marzo 2004 e nella conseguente convenzione urbanistica (in particolare nell’art. 2) stipulata nel novembre 2004;
– avere la società, nell’agosto 2007 e quindi a distanza di poco più di un anno dalla data del 31 dicembre 2008, presentato una istanza di variante in deroga e sanatoria per realizzare un impianto significativamente diverso rispetto a quello assentito nel 1998 prospettando una “integrale revisione in chiave architettonica ed urbanistica globale della progettazione originaria (…) sia pur nell’ottica di salvaguardare le opere già realizzate ed attualmente allo “stato grezzo” (…)” (così, testualmente, a pag. 4 della richiesta di variante), senza che numerosissimi interventi costruttivi, previsti nel progetto originario e fatto oggetto di (doppia) proroga per la ultimazione dei lavori assentiti nel 1998, fossero stati neppure avviati, per come è semplice riscontrare dalla lettura delle schede progettuali allegate alla istanza di variante, denota una evidente impossibilità per la società oggi appellante (come Fallimento) di rispettare quel “termine essenziale” del 31 dicembre 2008, la scadenza del quale ha determinato le decadenza automatica dalla concessione n. 52 del 1998 senza che fosse necessario avviare alcun procedimento, neppure ricognitivo, volto ad adottare un provvedimento espresso circa gli effetti di quell’inadempimento imputabile alla società e dalla stessa, indirettamente, ammesso con la presentazione di una istanza di variante in un’epoca nella quale essa avrebbe dovuto già aver completato la maggior parte delle opere costruttive.
8. – A quanto sopra, che già dimostra come non si presenta fondata la censura, formulata dalla società appellante (e fatta propria dal Fallimento), tesa a ritenere errata la valutazione operata dal giudice di prime cure di ritenere centrale, ai fini della dichiarata legittimità del diniego espresso dal Comune di (omissis) sull’istanza di variante e della successiva determinazione di ingiunzione di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, dell’intervenuta decadenza della concessione n. 51/1998 per il mancato rispetto del termine di ultimazione dei lavori fissato al 31 dicembre 2008 (in seguito alle due proroghe intervenute nel corso degli anni), tenuto conto delle numerose censure dedotte in sede di appello dalla società originaria appellante e che, per logica espositiva ben possono essere accorpate nello scrutinio operato dal Collegio, vanno aggiunte le ulteriori considerazioni che seguono.
In primo luogo non ha pregio la contestazione volta a ritenere illegittimi i due provvedimenti impugnati in primo grado con il ricorso per motivi aggiunti, perché adottati dal responsabile della Ripartizione tecnica-urbanistica, per incompetenza dell’organo che li ha adottati, dovendo ritenersi competente esclusivamente il Consiglio comunale.
Occorre infatti considerare, sulla scorta di quanto affermato dalla costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2018 n. 5277 e 26 luglio 2017 n. 3680), che:
a) il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (rubricato “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici”) è un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio e rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale;
b) in particolare, in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l’interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l’interesse costruttivo;
c) peraltro (per completezza va aggiunto che), come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui l’amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall’evidente travisamento dei fatti;
d) invero, la eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’art. 14, commi 1-bis, 2 e 3, d.P.R. 380/2001 per il rilascio dei permessi di costruire in deroga costituisce condizione minima necessaria, ma non sufficiente, per l’assentibilità dell’intervento, permanendo in capo all’amministrazione un’ampia discrezionalità circa l’an e il quomodo dell’eventuale assenso.
Nell’ambito del procedimento per l’adozione del permesso di costruire in deroga, deve pertanto essere distinta la competenza del Consiglio comunale, che è soggetto chiamato ad operare una comparazione tra l’interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l’interesse costruttivo e la competenza degli uffici tecnici, che devono invece istruire la pratica.
In conclusione (con riferimento anche al caso in esame), la valutazione della compatibilità con gli strumenti urbanistici, ai fini del rilascio del permesso in deroga, rientra nella competenza dell’ufficio tecnico, il quale, nell’esercizio della propria verifica in ordine alla fattibilità tecnica dell’opera, laddove riscontri nel corso (e soprattutto all’esito) dell’istruttoria tecnica, che precede la trasmissione della documentazione al Consiglio comunale per la valutazione tecnico-politica sull’assentibilità o meno della istanza di variante in deroga, che sussistano ostacoli tecnico-edilizi che escludono, già dal punto di vista edilizio, l’accoglibilità della richiesta, ben può l’ufficio (come è accaduto nel caso in esame) concludere la verifica di “prefattibilità ” con un diniego rivolto alla parte interessata, senza investire inutilmente il Consiglio comunale che, come si è sopra chiarito, nel complesso procedimento in questione assume competenze non sovrapponibili rispetto a quelle dell’ufficio tecnico in ordine alla “fattibilità ” tecnico-giuridica dell’operazione.
Ed infatti nel caso di specie l’ufficio tecnico ha riscontrato che si ponevano ad ostacolo della trasmissione degli atti al Consiglio comunale i seguenti impedimenti tecnico giuridici:
– la scadenza del termine ultimo del 31 dicembre 1998 per la realizzazione dei lavori di cui alla concessione n. 51/1998, circostanza che già da sola, sotto il profilo giuridico esclude ogni valutazione della domanda anche sotto il profilo tecnico, provocando la decadenza del titolo edilizio alla realizzazione del complesso termale;
– l’innegabile consistenza, nelle opere nel frattempo realizzate e in quelle realizzande in ragione del progetto che accompagnava la istanza di variante in deroga e sanatoria, di un nuovo centro termale rispetto a quello originariamente previsto nel progetto assentito, che ne assegna la qualificazione giuridica di nuovo progetto, tenuto conto delle numerosissime modifiche realizzative effettuate e delle altrettanto numerose realizzazioni previste originariamente e mai realizzate;
– la evidente applicabilità, al caso di specie, della previsione oppositiva alla richiesta di variante recata dalle N.T.A. al P.R.G. del Comune di (omissis), avendo la richiesta di deroga (per come si è sopra specificato) una nuova costruzione, circostanza che imponeva la previa adozione del P.U.A. da parte dell’ente locale;
– la conseguente corretta impostazione giuridica della vicenda operata dall’ufficio tecnico comunale, tenuto conto di quanto sopra e della circostanza che oggetto dell’istanza presentata a (poco più di un anno, sui sei previsti) ridosso dello spirare del termine ultimo di efficacia della concessione edilizia n. 51/1998 era, nella realtà, la richiesta di autorizzazione a realizzare un nuovo impianto tecnicamente non riconducibile a quello inizialmente assentito, che costituiva soltanto l’occasione per la nuova proposta;
– l’ufficio tecnico, pertanto, non era affatto vincolato dalla precedente delibera del Consiglio comunale, espressosi nei limiti della valutazione della sussistenza dell’interesse pubblico dell’intervento;
– né la decisione oppositiva alla prosecuzione favorevole del procedimento di valutazione dell’istanza di variante espressa dall’ufficio tecnico comunale si pone in contraddizione con una asserita, iniziale, valutazione positiva di detta istanza, atteso che, come pare evidente dalla semplice lettura del parere più volte richiamato dalla odierna parte appellante, la valutazione era stata (a suo tempo) espressa senza alcun riferimento ad una previa indispensabile istruttoria tecnica ed in assenza di qualsivoglia puntuale motivazione.
9. – Neppure colgono nel segno le ulteriori censure dedotte anche nella sede di appello.
Quanto ai deficit procedimentali contestati, in disparte la espressa comunicazione di avvio del procedimento conclusosi con l’adozione dell’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, contenuta nel provvedimento di diniego dell’istanza di variante presentata nell’agosto 2007 dalla società Te. Pe., circostanza che esclude l’asserita violazione dell’art. 7 l. 241/1990, le altre censure riferite alla mancata partecipazione della società al procedimento avviato con la surricordata istanza, anche con riguardo ad una paventata assenza di preavviso di diniego, volto ad anticipare i motivi che avevano indotto gli uffici ad adottare la decisione sfavorevole del Comune di (omissis) prot. n. 2059/53 del 26 gennaio 2012, tale carenza non si registra, visto che proprio nel predetto provvedimento sono state espressamente respinte le osservazioni di dissenso prodotte dalla società Te. Pe..
Né può avere rilievo la contestata comunicazione della nota prot. n. 190 E.P. del 23 giugno 2010, con riferimento alla quale la società Te. Pe. ha proposto querela di falso, atteso che il contenuto della stessa è stato ribadito più volte nel corso del procedimento, anche in contraddittorio con la società, che comunque ha mostrato di essere sempre notiziata e consapevole degli ostacoli giuridici e tecnici che gli uffici comunali opponevano all’accoglimento dell’istanza di variante in deroga e sanatoria, di talché può ritenersi che mai la sua capacità di partecipazione procedimentale sia stata affievolita dal comportamento dell’ente locale.
Il Collegio da ultimo segnala, per completezza, come se è vero che il procedimento, avviato nel 2007, ha conosciuto la sua conclusione solo a gennaio 2012 e che tale tardiva conclusione è oggettivamente imputabile all’ente locale che avrebbe potuto e dovuto concludere il procedimento in tempi decisamente più brevi, è altrettanto vero che la società non risulta avere mai sollecitato l’adozione del provvedimento conclusivo, se non trasmettendo periodicamente missive di sollecitazione e mai proponendo la domanda giudiziale di silenzio-inadempimento, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., come avrebbe potuto e dovuto se fosse stata realmente interessata ad ottenere una tempestiva risposta all’ente inadempiente.
10. – Ritenuti quindi infondati i motivi dedotti in grado di appello, il relativo ricorso (n. R.g. 6757/2017) va respinto potendosi, per l’effetto, confermare la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 3 aprile 2017 n. 1777, con conseguente conferma della reiezione del ricorso di primo grado (n. R.g. 571/2012) proposto dalla società Te. Pe. S.p.a..
Le spese del grado d’appello possono compensarsi interamente tra le parti, sussistendo i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., in ragione del lungo tempo trascorso tra l’avvio e la conclusione del procedimento definito con il provvedimento di diniego impugnato in primo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 6757/2017, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 3 aprile 2017 n. 1777, con conseguente conferma della reiezione del ricorso proposto in primo grado (R.g. n. 571/2012).
Spese del grado di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 15 ottobre 2020, 28 gennaio 2021 e 15 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore

 

 

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