Il patto di quota lite

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|5 ottobre 2022| n. 28914.

Il patto di quota lite 

Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione dell’art. 2233 c.c. (operata dal d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla l. n. 248 del 2006) e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, della l. n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1261 c.c., è valido a meno che, valutato sotto un profilo causale nonché sotto il profilo dell’equità, alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, il rapporto tra il compenso pattuito e il risultato conseguito, stabilito dalle parti all’epoca della conclusione del contratto, risulti sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato.

Sentenza|5 ottobre 2022| n. 28914. Il patto di quota lite 

Data udienza 30 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Avvocato – Compensi – Compenso del legale – Rispetto del criterio di equità – Art. 2233 cc

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 7144/2019 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), difesi personalmente ex articolo 86 c.p.c.;
– controricorrenti –
e
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), difesi personalmente ex articolo 86 c.p.c.;
– ricorrenti incidentali –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di GELA, depositata il 28/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/06/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale;
uditi gli Avvocati (OMISSIS), G. RUSSO per delega di (OMISSIS), (OMISSIS), anche per delega di (OMISSIS).

Il patto di quota lite 

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in sei motivi avverso l’ordinanza n. 6357/2018 del Tribunale di Gela, pubblicata il 13 dicembre 2018.
Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso, proponendo altresi’ ricorso incidentale condizionato in unico motivo.
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno notificato controricorso per resistere al ricorso incidentale.
Il Tribunale di Gela, previa riunione dei giudizi, ha rigettato le opposizioni formulate da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso i due decreti ingiuntivi n. 678/2014 e n. 153/2014 emessi, rispettivamente, il primo su domanda dell’avvocato (OMISSIS) ed il secondo su domanda dell’avvocato (OMISSIS), entrambi per gli importi di Euro 76.841,39 nei confronti di (OMISSIS), di Euro 79.839,18 nei confronti di (OMISSIS) e di Euro 60.414,70 nei confronti di (OMISSIS), oltre spese generali, i.v.a., c.p.a. e interessi legali. Le pretese trovano fondamento in un “patto di quota lite” contenuto in scrittura privata del 12 gennaio 2009 e correlato all’attivita’ professionale svolta dai due codifensori avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) in un giudizio civile per il risarcimento dei danni da morte di un congiunto degli assistiti, definito dal Tribunale di Caltanissetta con sentenza n. 391/2013. Il Tribunale ha superato le eccezioni pregiudiziali attinenti alla tardivita’ delle proposte opposizioni, spiegate mediante notificazione di citazione, stante il mutamento del rito ordinato perche’ si procedesse nelle forme stabilite dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, e tenendo conto di quanto disposto dallo stesso Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 4, comma 5, in ordine agli effetti della domanda. Sono state altresi’ ritenute nulle dal Tribunale le notificazioni dei decreti ingiuntivi eseguite il 16 aprile 2014 nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) mediante consegna dell’atto a mani della madre (OMISSIS), come quella successivamente effettuata mediante invio di raccomandata, rimanendo comunque le nullita’ sanate dalla costituzione delle opponenti. L’ordinanza impugnata ha poi valutato tardiva l’eccezione di incompetenza per territorio in favore del foro del consumatore, in quanto sollevata dalle opponenti soltanto nelle note autorizzate del 19 settembre 2017, e non gia’ con l’atto di opposizione. E’ stata inoltre valutata l’iniquita’ del patto contenuto nella scrittura privata inter partes del 12 gennaio 2009, con il quale il compenso professionale veniva determinato in misura pari per ciascuno dei legali al 15% della somma incassata dai clienti nella causa risarcitoria, importi ritenuti dal Tribunale manifestamente sproporzionati rispetto alla tariffa individuata dal Decreto Ministeriale n. 140 del 2012. I valori tariffari massimi, nella stima prospettata dal Tribunale, avrebbero portato alla liquidazione di un compenso pari ad Euro 37.260,00, mentre in applicazione del convenuto patto di quota di lite il totale complessivo dei compensi in favore dei due difensori ammontava ad Euro 434.190,54, a fronte del risarcimento di Euro 1.419.400 liquidato nella sentenza del Tribunale di Caltanissetta. Non di meno, il Tribunale di Gela ha ritenuto che la violazione dell’articolo 2233 c.c., e articolo 45 cod. deont. forense non conducesse alla nullita’ del patto, ma ad una riconduzione ad equita’, che non era stata richiesta dalle opponenti. Parimenti da escludere, secondo l’ordinanza impugnata, erano la nullita’ Decreto Legislativo n. 205 del 2006, ex articolo 36, come la nullita’ ex articolo 1261 c.c., o l’annullamento per errore. Infondate, infine, sono state reputate dai giudici delle opposizioni le deduzioni circa la illegittimita’ della liquidazione delle spese generali al 1 5 % operata ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, della decorrenza degli interessi legali e della detrazione dell’indimostrato acconto versato.
Il ricorso e’ stato deciso procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, con richiesta di discussione orale formulata dai ricorrenti incidentali.
I ricorrenti ed i controricorrenti hanno presentato memorie.

Il patto di quota lite 

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve dapprima esaminarsi l’eccezione pregiudiziale sollevata nella istanza depositata il 16 ottobre 2020 (ed ancora reiterata nelle memorie presentate il 23 giugno 2022) dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), con riguardo alla improcedibilita’ del ricorso per effetto della tardivita’ del deposito operato il 9 marzo 2019, a fronte della notificazione eseguita a mezzo PEC in data 11 febbraio 2019. I controricorrenti rilevano come la notificazione a mezzo del servizio postale, parimenti avviata l’11 febbraio 2019, si sia perfezionata il 19 febbraio 2019, non potendo tale data comportare una nuova decorrenza del termine ex articolo 369 c.p.c..
L’eccezione di improcedibilita’ del ricorso risulta infondata.
La notifica a mezzo PEC del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico, da ritenersi perfezionata nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella casella del destinatario (notifica nella specie percio’ perfezionata l’11 febbraio 2019), comporta la decorrenza del termine di giorni venti stabilito, a pena di improcedibilita’, dall’articolo 369 c.p.c., comma 1, entro il quale il ricorrente (nel regime antecedente all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 34 del 2020, articolo 221, comma 5, convertito con modificazioni nella L. n. 77 del 2020) deve procedere al deposito in cancelleria di copia analogica del ricorso, munito di attestazione di conformita’ del difensore L. n. 53 del 1994, ex articolo 9, commi 1 bis e 1 ter. La mancanza di tale attestazione o l’attestazione priva di sottoscrizione autografa non comporta l’improcedibilita’ del ricorso, peraltro, ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformita’ della copia informale all’originale notificatogli Decreto Legislativo n. 82 del 2005, ex articolo 23, comma 2, (Cass. Sez. Unite, 24/09/2018, n. 22438). Non ha rilievo, nel caso in esame, ai fini della verifica del tempestivo deposito del ricorso per cassazione, ex articolo 369 c.p.c., la successiva data di ricezione da parte degli intimati del ricorso notificato a mezzo del servizio postale, in quanto il termine di venti giorni, previsto a pena di improcedibilita’ dall’articolo 369 c.p.c., comma 1, decorre comunque, nell’ipotesi di reiterazione della notifica alla stessa parte, dalla prima notificazione eseguita, se non viziata da nullita’, essendo le altre superflue (Cass. Sez. Unite, 19/03/2020, n. 7454; Cass. Sez. 2, 30/08/2017, n. 20543; Cass. Sez. 1, 02/02/2016, n. 1958).
Tuttavia, il ricorso, a fronte di notificazione ultimata I’11 febbraio 2019, risulta depositato a mezzo della posta, ai sensi dell’articolo 134 disp. att. c.p.c., sicche’ lo stesso deposito, in forza del comma 5 di tale norma, deve aversi per avvenuto alla data di spedizione del plico (1 marzo 2019), ed e’ percio’ tempestivo rispetto al termine di venti giorni stabilito dall’articolo 369 c.p.c., comma 1.
Sono altresi’ infondate le eccezioni pregiudiziali svolte nel controricorso con riguardo al requisito imposto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6), atteso che il ricorso per cassazione contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa, dalla quale risultano le posizioni processuali delle parti, nonche’ gli argomenti dei giudici dei singoli gradi. In ordine, poi, all’osservanza di quanto prescritto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), essa va accertata con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificando l’indicazione degli atti e dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. Unite, 05/07/2013, n. 16887). E’ comunque da affermare che sussiste una specifica indicazione della scrittura privata del 12 gennaio 2009, che e’ poi il documento sul quale il ricorso di fonda.
Nemmeno e’ rilevante la considerazione, svolta nelle memorie da ultimo depositate dai controricorrenti, circa il mancato disconoscimento delle sottoscrizioni o la mancata proposizione di querela di falso ad opera delle ricorrenti, in quanto le stesse non hanno inteso contestare ne’ la provenienza ne’ la genuinita’ della scrittura del 12 gennaio 2009, quanto dedurre la invalidita’ della pattuizione in essa contenuta.
Risultano, infine, estranee alla funzione ed al contenuto propri delle memorie ex articolo 378 c.p.c., che sono volte esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione ovvero a confutare le tesi avversarie, le allegazioni presenti nella prima parte della memoria presentata in data 20 giugno 2022 dai ricorrenti principali in ordine agli sviluppi di un processo penale tuttora pendente ed avente ad oggetto vicende collegate alla causa civile qui in esame.
1. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 158, 275 e 276 c.p.c., in quanto l’ordinanza impugnata risulta adottata nella camera di consiglio del 28 novembre 2018, mentre dalla visura dello “storico” del fascicolo il collegio risulta designato in data 11 dicembre 2018. Cio’ deporrebbe per una violazione del principio di immutabilita’ del giudice collegiale.
1.1. Il primo motivo di ricorso principale e’ del tutto infondato.
1.2. Dal combinato disposto degli articoli 132 e 276 c.p.c. e’ agevole ricavare il principio secondo cui la paternita’ della decisione deve essere attribuita esclusivamente al giudice o al collegio che ha elaborato la decisione stessa, occorrendo che nell’epigrafe della sentenza-documento venga riportato il nominativo del giudice o dei giudici che abbiano assunto la decisione. E’ poi necessario che i membri del collegio nominativamente indicati nell’intestazione della sentenza coincidano con i nomi di coloro che hanno assistito all’udienza di discussione (ovvero di coloro che sono comunque individuabili sulla base del decreto del capo dell’ufficio giudiziario redatto ai sensi degli articoli 113 e 114 disp. att. c.p.c., o dei criteri prefissati nella tabella di organizzazione) ed hanno trattenuto la causa in decisione, stante il principio dell’identita’ dell’organo presente all’udienza di discussione con quello deliberante, principio certamente operante anche per l’udienza di discussione delle controversie regolate dall’articolo 14 del Decreto Legislativo n. 1 settembre 2011, n. 150 (arg. da Cass. Sez. 2, 03/05/2022, n. 13856; Cass. Sez. 2, 23/03/2006, n. 6564; Cass. Sez. 1, 13/09/2006, n. 19662). Nella specie, il collegio indicato nell’ordinanza del Tribunale di Gela del 13 dicembre 2018 e’ Presidente Ciancio, Giudici Vincenti e Sgroi; dall’esame del verbale l’udienza del 19 settembre 2018 risulta svolta davanti al giudice relatore Sgroi; non e’ oggetto di impugnazione la questione della costituzione collegiale del tribunale al momento della discussione della causa.
La nullita’ della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione puo’ quindi essere dichiarata solo quando vi sia la prova della diversita’ tra il collegio deliberante e quello che abbia, invece, assistito alla discussione della causa. Il verbale dell’udienza di discussione ingenera, percio’, la presunzione della deliberazione della decisione da parte degli stessi giudici che hanno partecipato all’udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dall’articolo 276 c.p.c., tra i compiti del presidente del collegio vi e’ quello di controllare che i giudici presenti nella camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione (Cass. Sez. 3, 06/07/2010, n. 15879), restando la composizione del collegio altrimenti comunque individuabile alla stregua delle regole dettate dagli articoli 113 e 114 disp. att. c.p.c., (arg. da Cass. Sez. 1, 02/10/2019, n. 24585). Il primo motivo del ricorso principale si fonda, invece, su due elementi di per se’ irrilevanti: la data (28 novembre 2018) della decisione in camera di consiglio indicata nell’ordinanza impugnata e la data (11 dicembre 2018) del provvedimento di designazione del collegio tratto dalla visura dello “storico” del fascicolo. Ora, la data della deliberazione della sentenza in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 276 c.p.c., come la data del decreto che designa presidente e componenti del collegio, attengono ad atti interni, le cui incongruenze possono dar luogo soltanto ad irregolarita’ formali e non determinano alcun vizio della decisione sotto il profilo della immodificabilita’ del collegio giudicante rispetto a quello che ha assistito alla discussione (arg. da Cass. Sez. L, 10/08/2006, n. 18156; Cass. Sez. 2, 07/06/1962, n. 1393).
2. Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2233 c.c., comma 2, e/o degli articoli 43 e 45 cod. deont. forense in relazione agli articoli 1325, 1339, 1374, 1418 e 1419 c.c., sostenendosi la nullita’ (anche solo parziale) del patto di quota lite del 12 gennaio 2009 per contrasto col principio di imprescindibile correlazione tra prestazione e corrispettivo e col paradigma di necessaria adeguatezza del compenso desumibile dall’articolo 2233 c.c..
Il terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) allega la falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex articolo 112 c.p.c., l’erronea interpretazione della domanda proposta, nonche’ ancora la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2233 c.c., comma 2, e/o degli articoli 43 e 45 cod. deont. forense, dovendosi intendere integrata la domanda di riduzione ad equita’ dalla pretesa articolata in via subordinata dalle opponenti di limitare i compensi professionali all’attivita’ effettivamente prestata dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) nei limiti dei parametri tariffari vigenti.
Il quarto motivo del ricorso principale lamenta la violazione e/o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex articolo 112 c.p.c., per la mancata pronuncia sulla domanda subordinata gia’ richiamata nella terza censura.
2.1. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) possono esaminarsi congiuntamente, per la loro intima connessione, e risultano fondati nei termini di seguito indicati.
2.2. L’impugnata ordinanza del Tribunale di Gela ha rigettato le opposizioni spiegate da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso due decreti ingiuntivi, emessi, rispettivamente, il primo su domanda dell’avvocato (OMISSIS) ed il secondo su domanda dell’avvocato (OMISSIS), entrambi per gli importi di Euro 76.841,39 nei confronti di (OMISSIS), di Euro 79.839,18 nei confronti di (OMISSIS) e di Euro 60.414,70 nei confronti di (OMISSIS), oltre spese generali, i.v.a., c.p.a. e interessi legali. Le pretese azionate in sede monitoria trovano fondamento in un “patto di quota lite” contenuto in scrittura privata del 12 gennaio 2009 (“mandato di assistenza, rappresentanza, consulenza e difesa, sostanziale e processuale, per la gestione stragiudiziale e giudiziale della vicenda risarcitoria”). In particolare, la pattuizione era correlata all’attivita’ professionale svolta dai due codifensori avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) nell’ambito di un giudizio civile per il risarcimento dei danni da morte di un congiunto degli assistiti, intrapreso con distinti atti di citazione, poi riuniti, notificati nel febbraio e nel luglio del 2009, e definito dal Tribunale di Caltanissetta con sentenza del 6 maggio 2013. La scrittura prevedeva che “i compensi e/o onorari dovuti ai predetti avvocati in relazione alle prestazioni professionali oggetto del presente mandato, in caso di esito positivo della richiesta risarcito-ria, sono determinati per ciascun avvocato nella misura pari al 15%, ovvero complessivamente al 30%, della somma che verra’ concretamente incassata dalla controparte, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali secondo Tariffa Forense. In ogni caso le parti prendono atto che detta pattuizione non comporta per gli avvocati alcuna promessa di raggiungimento del risultato ne’ trasforma l’obbligazione di mezzi del professionista in obbligazione di risultato”.
I compensi degli avvocati erano, dunque, determinati in tale convenzione unicamente per il caso di esito positivo della lite, prevedendo il solo pagamento, in sostituzione degli onorari, di una somma di denaro calcolata in percentuale sull’importo incassato dalle parti. La pattuizione, piu’ precisamente, facendo riferimento a percentuali della “somma che verra’ concretamente incassata dalla controparte”, individuava i compensi dei legali proprio in una parte del credito risarcitorio litigioso.
Il Tribunale di Gela ha ulteriormente premesso che “la validita’ della suddetta scrittura privata, stipulata il 12.1.2009, integrante un cd. patto di quota lite su cui si fondano entrambi i crediti opposti, va valutata applicando ratione temporis la disciplina introdotta dalla cd. riforma Bersani (Decreto Legge n. 223 del 2006, L. conv. n. 248 del 2006), abrogativa del previgente divieto del patto di quota lite”. L’ordinanza impugnata cosi’ prosegue: “fermo il rispetto della forma scritta richiesta ad substantiam dall’articolo 2233 c.c., comma 3, il patto di quota lite per cui e’ causa si pone in contrasto con i requisiti sostanziali di “proporzione e ragionevolezza nella pattuizione del compenso” desumibili dall’articolo 45 del codice deontologico forense, nella parte in cui vieta all’avvocato di “richiedere compensi manifestamente sproporzionati all’attivita’ svolta” (cfr. SS.UU. civ. n. 25012/2014, cit.)”. E’ stata allora affermata l’iniquita’ del patto contenuto nella scrittura privata inter partes del 12 gennaio 2009, con il quale il compenso professionale veniva determinato in misura pari per ciascuno dei legali al 15% della somma incassata dai clienti nella causa risarcitoria, importi ritenuti dal Tribunale manifestamente sproporzionati rispetto alla tariffa individuata dal Decreto Ministeriale n. 140 del 2012. I valori tariffari massimi, nella stima prospettata dal Tribunale, avrebbero portato alla liquidazione di un compenso pari ad Euro 37.260,00, con possibilita’ di aumento fino al doppio, mentre in applicazione del convenuto patto di quota di lite il totale complessivo dei compensi in favore dei due difensori ammontava ad Euro 434.190,54, a fronte del risarcimento di Euro 1.419.400 liquidato nella sentenza del Tribunale di Caltanissetta. Non di meno, il Tribunale di Gela ha ritenuto che la violazione dell’articolo 2233 c.c., e articolo 45 cod. deont. forense non conducesse alla nullita’ del patto, ma ad una riconduzione giudiziale ad equita’, che non era stata, pero’, richiesta dalle opponenti. Parimenti da escludere, secondo l’ordinanza impugnata, erano la nullita’ Decreto Legislativo n. 205 del 2006, ex articolo 36, come la nullita’ ex articolo 1261 c.c., o l’annullamento per errore.
2.3. Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce, in particolare, la nullita’ del patto di quota per cui e’ causa, stante la inderogabilita’ dell’articolo 2233 c.c., comma 2, (“(i)n ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”), in relazione agli articoli 43 e 45 del codice deontologico forense. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale sostengono, peraltro, che, pur volendosi escludere la nullita’ del patto di quota lite, la domanda di “riconduzione ad equita’”, che il Tribunale ha ritenuto non proposta, dovesse invece trarsi dalle conclusioni di parte opponente trascritte alle pagine 6 e 7 dell’ordinanza impugnata: “- in via meramente subordinata e senza recesso alcuno delle superiori domande, per mero tuziorismo, condannare le opponenti al pagamento delle somme giudizialmente liquidate nella sentenza n. 391/2013 resa nel giudizio R.G. n. 290/2010 avanti al Tribunale di Caltanissetta, ovvero alle diverse somme – maggiori o minori – che la S.V. Ill.ma riterra’ provate in corso di causa e, comunque, nei limiti dei parametri stabiliti dal Decreto Ministeriale n. n. 140 del 2012 detratto l’importo gia’ versato di Euro 10.000,00…”.
2.4. Sotto un profilo cronologico, la vicenda per cui e’ causa, avendo ad oggetto la validita’ un patto di quota lite stipulato il 12 gennaio 2009, si colloca dopo l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 223 del 2006, articolo 2, comma 1, lettera a), come modificato in sede di conversione dalla L. n. 248 del 2006 (il quale aveva disposto l’abrogazione delle disposizioni normative che, con riferimento alle attivita’ libero professionali e intellettuali, prevedessero “il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”), nonche’ dopo, quindi, la riformulazione dell’articolo 2233 c.c., comma 3, operata dal medesimo Decreto Legge n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006, (che aveva abrogato il testo previgente secondo cui “(g)li avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullita’ e dei danni”), e prima, invece, dell’entrata in vigore della L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 13, (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense). La L. n. 247 del 2012, articolo 13, invero, dapprima, al comma 3, stabilisce che “Dia pattuizione dei compensi e’ libera: e’ ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o piu’ affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attivita’, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”; di seguito, tuttavia, all’articolo 13, comma 4, cit. dispone: “(s)ono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”.
2.5. Nel lasso di tempo intercorso tra il Decreto Legge n. 223 del 2006, e la L. n. 247 del 2012, alcuni interpreti si orientarono per la validita’ dei patti di quota lite, alla luce anche della ratio dell’intervento riformatore del sistema tariffario voluto dal legislatore del 2006, mentre altri studiosi ne ravvisarono la permanente nullita’ ove comunque fosse applicabile il divieto di cessione dei crediti a favore di soggetti esercenti determinate attivita’ ex articolo 1261 c.c., (“diritti sui quali e’ sorta contestazione davanti all’autorita’ giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni”), allorche’, dunque, il compenso delle prestazioni dell’avvocato fosse pattuito mediante cessione del credito litigioso (per le differenze tra i due precetti, si vedano gia’, peraltro, Cass. Sez. 3, 16/07/2003, n. 11144; Cass. Sez. 3, 24/02/1984, n. 1319; Cass. Sez. 2, 27/02/1979, n. 1286; Cass. Sez. 1, 26/03/1953, n. 788); altrimenti, si osservava che la sostituzione dell’articolo 2233 c.c., comma 3, operata nel 2006 si era limitata ad individuare il requisito formale essenziale dei patti che stabiliscono i compensi professionali, restando immutati i criteri sostanziali dettati nei primi due commi dello stesso articolo, i quali comunque vietano un compenso convenzionale la cui misura violi il criterio di adeguatezza e proporzionalita’ rispetto all’opera prestata.
2.6. Va ancora aggiunto che nel medesimo intervallo temporale assunse rilievo altresi’ l’articolo 45 del codice deontologico forense nel testo modificato con la delibera C.N. F. del 18 gennaio 2007 (tramutatosi poi nel novellato articolo 29, comma 4), il quale consentiva all’avvocato di pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell’articolo 1261 c.c., ma sempre che gli stessi compensi fossero “proporzionati all’attivita’ svolta”.
La ragionevolezza di tale limite deontologico di proporzionalita’ all’attivita’ svolta della misura del compenso parametrato agli esiti del processo fu dubitata da alcuni commentatori, sulla base dell’aleatorieta’ del patto di quota lite, il cui sinallagma non consente di preservare una corrispettivita’ economica commutativa tra incarico professionale e sua retribuzione da valutare al momento della stipula dell’accordo e quindi semmai anche prima dell’inizio della causa.
2.7. Le Sezioni Unite di questa Corte, pronunciando in tema di impugnazione delle decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, hanno comunque ritenuto che la prescrizione dell’articolo 45 del codice deontologico (che faceva il paio con la previsione dell’articolo 43, punto II dello stesso codice) avesse inteso “prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui”, nel senso che “(I)a proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso” rimanessero “l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato, indipendentemente dalle modalita’ di determinazione del corrispettivo a lui spettante”. Di tal che, “(l)’aleatorieta’ dell’accordo quotalizio non esclude la possibilita’ di valutarne l’equita’: se, cioe’, la stima effettuata dalle parti era, all’epoca della conclusione dell’accordo che lega compenso e risultato, ragionevole o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessita’ della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell’assunzione del rischio” (cosi’ Cass. Sez. Unite, 25/11/2014, n. 25012; conforme Cass. Sez. Unite, 04/03/2021, n. 6002).
2.8. Nella interpretazione prescelta dalle Sezioni Unite, dunque, la proporzionalita’, deontologicamente imposta, del compenso pattuito dall’avvocato “quotista” attiene a valutazione non solo sul quantum, ma anche sulle modalita’ comportamentali dell’accordo concluso col cliente, sotto un profilo di “equita’” della stima effettuata dalle parti al momento della stipula, ovvero di complessivo equilibrio contrattuale, prospettiva che attiene alla causa del contratto e dischiude evidentemente la tutela di interessi generali (arg. da Cass. Sez. Unite, 12/12/2014, n. 26243). L’imposto controllo di ragionevolezza del patto di quota lite, teso a scongiurare l’iniquita’ dell’accordo concluso, non appare limitato al rispetto di doveri di comportamento ad opera dell’avvocato nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto, doveri la cui violazione potrebbe essere unicamente fonte di responsabilita’ risarcitoria; esso, piuttosto, guarda allo squilibrio significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti ed alla giustificazione dei reciproci spostamenti patrimoniali, e, dunque, alla verifica in concreto del requisito causale (la “ragion d’essere dell’operazione”, valutata nella sua individualita’) sotto il profilo della liceita’ e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti (si vedano indicativamente Cass. Sez. 3, 09/07/2020, n. 14595; Cass. Sez. 2, 29/05/2020, n. 10324; Cass. Sez. Unite, 24/09/2018, n. 22437). Il sindacato giudiziale sull’adeguatezza e sulla proporzionalita’ della misura del compenso rispetto all’opera prestata trova fondamento nell’articolo 2233 c.c., comma 2, (intendendosi lo stesso non come intervento soltanto suppletivo del giudice, ove manchi una valutazione pattizia dei contraenti) e nell’articolo 45 del codice deontologico. L’indagine e’ portata sulla causa concreta del contratto e sull’equilibrio sinallagmatico (non meramente economico) delle prestazioni, ovvero sullo scopo pratico del regolamento negoziale, ed ha come approdo eventuale la nullita’ del patto di quota lite, ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 2. Tale nullita’ non concerne l’intero contratto di patrocinio, ma soltanto la clausola relativa, ai sensi dell’articolo 1419 c.c., comma 2, (Cass. Sez. 2, 30/07/2018, n. 20069).
2.9. Invero, come spiegato da Cass. Sez. 3, 27/09/2018, n. 23186, “in linea generale, la violazione di norme deontologiche, se ha sempre un rilievo di tipo disciplinare, non da’ luogo di per se’ all’illiceita’ della prestazione o ad altre cause di nullita’ del contratto di mandato tra professionista e cliente. Diversa puo’ essere la gravita’ della violazione deontologica e diversa la rilevanza, sia sotto il profilo disciplinare che della validita’ o meno dell’attivita’ svolta, dell’esistenza di tale violazione. La commissione da parte del professionista di una violazione delle regole di deontologia professionale non comporta in ogni caso la nullita’ di tutta l’attivita’ svolta e la conseguente non remunerabilita’ delle relative prestazioni. Occorre verificare se, nel caso concreto, la violazione deontologica, oltre che rilevare sotto il profilo disciplinare, sia di gravita’ tale da integrare anche una causa di nullita’”.
La norma deontologica che fissa il criterio di proporzionalita’ dei compensi dell’avvocato, del resto, non rivela una portata limitata al rapporto corrente tra il professionista e l’ordine di appartenenza, e percio’ rientra tra le fonti secondarie di integrazione del contratto di patrocinio ex articolo 1374 c.c., si’ da contemperare gli opposti interessi delle parti e da imporre una verifica di adeguatezza delle clausole pattuite a garantire l’equilibrio economico dell’accordo.
2.10. Non costituisce un “precedente” nel senso auspicato nelle difese dei controricorrenti la richiamata Cass., Sez. 2, 04/02/2021, n. 2631, per mancanza di eadem ratio, dovendosi individuare la ragione giustificatrice di tale pronuncia e cogliere il nesso fra caso giudicato e norme applicate. In quella decisione, questa Corte riaffermo’ unicamente la validita’ della convenzione tra avvocato e cliente – nella specie accertata in fatto dai giudici del merito-, che stabilisca la misura degli onorari in misura superiore al massimo tariffario. Non venne esaminata, invece, la doglianza relativa alla sproporzione del patto di quota lite.
2.11. Il Collegio ritiene pertanto di non condividere quanto affermato nella motivazione della sentenza della Terza sezione civile 6 luglio 2018, n. 17726, secondo cui il patto di quota lite stipulato durante la vigenza del Decreto Legge n. 223 del 2006, articolo 2, comma 1, lettera a), conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, articolo 13, comma 4, puo’ ex se validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai massimi tariffari, non deponendo in senso contrario ne’ precetti riferibili ad un interesse generale, ne’ le violazioni del codice deontologico, ne’ le eventuali sproporzioni fra il compenso pattuito e la prestazione professionale resa, mai potendo tale sproporzione comportare “una non prevista nullita’ del patto, ma, al limite, una riconduzione ad equita’”.
Risulta, piuttosto, impervia da percorrere la strada di una siffatta “riconduzione ad equita’” del patto di quota lite, ipotizzata sul presupposto di una indiscussa validita’ dell’accordo e postulata anche dal Tribunale di Gela nell’ordinanza impugnata, giacche’ essa implica l’individuazione di un generale strumento giudiziale di reductio ad aequitatem che si presti al fine della modificazione delle condizioni di un regolamento contrattuale per sua natura aleatorio ed il cui squilibrio tra le prestazioni, peraltro, sarebbe frutto non di sopravvenienze, ma di un originaria abusiva sproporzione, verificabile gia’ al momento della stipula, tra il compenso dell’avvocato e l’attivita’ professionale svolta o da svolgere. D’altro canto, l’elaborazione di un potere giudiziale di riduzione ad equita’, seppur soggetto al principio della domanda (domanda che, nella specie, sarebbe peraltro singolarmente offerta non al soggetto la cui prestazione risulti eccessivamente onerosa, quanto al contraente svantaggiato, al fine di mantenere comunque il vincolo contrattuale e, tuttavia, paralizzare, sia pure in parte, la avversa pretesa di condanna al pagamento dei compensi professionali azionata in giudizio), deporrebbe per la configurabilita’ proprio di un interesse generale dell’ordinamento, volto a ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela.
2.12. Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione dell’articolo 2233 c.c., comma 3, operata dal Decreto Legge n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, articolo 13, comma 4, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’articolo 1261 c.c., e’ valido se, valutato sotto il profilo causale della liceita’ e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonche’ sotto il profilo dell’equita’ alla stregua della regola integrativa di cui all’articolo 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali.
2.13. Il Tribunale di Gela ha percio’ errato sia nel ritenere che il patto di quota lite stipulato inter partes il 12 gennaio 2009, pur contrastando con i requisiti sostanziali di “proporzione e ragionevolezza nella pattuizione del compenso” e rivelandosi iniquo, fosse, non di meno, valido e soltanto riconducibile ad equita’, sia nel ritenere che occorresse a tal fine una apposita domanda degli opponenti non proposta.
Gli opponenti avevano, invero, proposto domanda per ottenere una pronuncia dichiarativa o costitutiva della invalidita’ del contratto, nonche’ dichiarativa della natura indebita delle prestazioni invocate in esecuzione di quel contratto, richiedendo in via subordinata esplicitamente altresi’ la riduzione dei compensi comunque dovuti agli avvocati per la parte del contratto di patrocinio non colpito dalla invalidita’ (arg. da Cass. Sez. 2, 30/07/2018, n. 20069). L’individuazione del contenuto e della portata delle domande avanzate dagli opponenti, trascritte nelle pagine 6 e 7 dell’ordinanza impugnata, doveva percio’ essere operata avendo riguardo non soltanto alla prospettazione letterale, ma anche al contenuto sostanziale delle loro pretese, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dai medesimi opponenti.
2.14. In sede di rinvio occorrera’, pertanto, riesaminare la causa, valutando il contenuto effettivo delle pretese degli opponenti e sottoponendo il concreto assetto sinallagmatico del patto di quota lite stipulato il 12 gennaio 2009 alla indicata verifica di ragionevolezza correlata agli specifici interessi perseguiti dai contraenti.
3. Il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articoli 33, 34 e 36 (Codice del consumo).
Il sesto motivo del ricorso principale allega la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1429 c.c., e dell’articolo 132 c.p.c., ovvero la motivazione apparente e l’omesso esame di fatto decisivo, avendo il Tribunale di Gela negato l’annullamento per errore essenziale per il mancato disconoscimento delle sottoscrizioni della scrittura, senza valutare la sussistenza del vizio del consenso e della denunciata asimmetria informativa nei rapporti fra avvocato e clienti.
3.1. Il quinto ed il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) rimangono assorbiti dall’accoglimento del secondo, del terzo e del quarto motivo dello stesso ricorso principale.
4. L’unico motivo del ricorso incidentale condizionato proposto dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) ipotizza la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 4, commi 1, 4 e 5, assumendo l’avvenuto passaggio in giudicato degli intimati decreti ingiuntivi, stante la tardivita’ delle opposizioni proposte, in quanto si doveva aver riguardo alla data della iscrizione a ruolo delle citazioni erroneamente prescelte quali atti introduttivi.
4.1. Il motivo di ricorso incidentale e’ infondato.
I due giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi n. 152/2014 e n. 153/2014 notificati il 16 aprile 2014, recanti riduzione a 20 giorni del termine per proporre opposizione, sono stati introdotti con atti di citazione notificati il 6 maggio 2014 e sono stati poi oggetto ordinanze di mutamento del rito Decreto Legislativo n. 150 del 2011, ex articolo 4.
Come chiarito dalle sentenze delle Sezioni Unite civili di questa Corte n. 758 del 12 gennaio 2022 e n. 927 del 13 gennaio 2022, nei procedimenti disciplinati dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011 (nella specie, dall’articolo 14 per le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato), anche di opposizione a decreto ingiuntivo, da introdursi con ricorso ed invece erroneamente promossi’ con citazione (come qui avvenuto), il giudizio e’ correttamente instaurato ove quest’ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte, e tale sanatoria si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, Decreto Legislativo n. 150 cit., ex articolo 4.
Dunque, le opposizioni ex articolo 645 c.p.c. di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso le ingiunzioni ottenute dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti delle proprie clienti ai fini del pagamento degli onorari e delle spese dovute, ai sensi del combinato disposto della L. n. 794 del 1942, articolo 28, articolo 633 c.p.c., e Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, proposte, come nella specie, con atti di citazione, anziche’ con ricorsi ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c., e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, erano da reputare utilmente esperite, come ritenuto dal Tribunale di Gela, giacche’ le citazioni erano state comunque notificate entro il termine di cui all’articolo 641 c.p.c. (qui ridotto) decorrente dalla notificazione dei decreti ingiuntivi.
5. Conseguono l’accoglimento del secondo, del terzo e del quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il rigetto del primo motivo e l’assorbimento del quinto e del sesto motivo del medesimo ricorso, nonche’ il rigetto del ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS).
L’ordinanza impugnata va cassata, nei limiti delle censure accolte, con rinvio dalla causa al Tribunale di Gela, in diversa composizione, che decidera’ uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, – da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rigetta il primo motivo e dichiara assorbiti il quinto ed il sesto motivo del medesimo ricorso, rigetta il ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS), cassa l’ordinanza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa al Tribunale di Gela, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

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