Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 settembre 2022| n. 27944.
Il mero deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo
Il mero deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo non è idoneo a spiegare efficacia interruttiva della prescrizione, potendo riconoscersi tale effetto alla sola notificazione del ricorso medesimo e del pedissequo decreto, quale espressione della volontà dell’istante, manifestata al debitore, di interrompere la situazione di inerzia che conduce all’estinzione del diritto.
Ordinanza|23 settembre 2022| n. 27944
Data udienza 28 giugno 2022. Il mero deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo
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Tag/parola chiave: Decreto ingiuntivo – Procedimento monitorio – Deposito del ricorso monitorio nella cancelleria del giudice adito – Antecedenza rispetto alla sua notifica unitamente al decreto ingiuntivo – Atto non idoneo a produrre l’effetto interruttivo della prescrizione del diritto azionato in giudizio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28587/2021 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 5722/2021 depositata il 2 aprile 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 giugno 2022 dal Consigliere Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ricorre, con tre mezzi, nei confronti di (OMISSIS) (che non svolge difese), per la cassazione della sentenza in epigrafe con la quale il Tribunale di Roma ha confermato la decisione di primo grado che, in accoglimento dell’opposizione proposta dall’odierno intimato, aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di importo preteso a titolo di provvigione per attivita’ di mediazione, ritenendo prescritto il relativo credito.
Premesso che il Giudice di pace aveva ritenuto maturata la prescrizione ex articolo 2950 c.c., considerando il periodo di tempo trascorso tra l’atto di messa in mora del 4 ottobre 2013 e la iscrizione del decreto ingiuntivo avvenuta in data 23 marzo 2015, il Tribunale ha respinto la tesi sostenuta a fondamento del gravame, secondo cui avrebbe dovuto considerarsi atto interruttivo idoneo il deposito del ricorso, avvenuto in data 14 aprile 2014, osservando che “oltre al fatto che non e’ provata la circostanza del deposito prima del 23 marzo 2015, secondo la opinione prevalente in giurisprudenza, la prescrizione e’ interrotta solo dalla notifica del decreto ingiuntivo e non dal mero deposito del ricorso, ex articolo 2943 c.c., come correttamente segnalato dall’appellato (Cass. 13081/04)”.
2. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che e’ stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il mero deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Mette conto preliminarmente rilevare che, a decorrere dal 31/03/2021, ha avuto attivazione presso la Corte di cassazione, settore civile, il servizio di deposito telematico degli atti e dei documenti da parte dei difensori delle parti (giusta provvedimento del Direttore Generale della D.G.S.I.A. in data 27 gennaio 2021, adottato nel contesto della legislazione emergenziale, ai sensi del Decreto Legge n. 34 del 19 maggio 2020, articolo 221, comma 5, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonche’ di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, convertito dalla L. n. 77 del 17 luglio 2020).
Cio’ significa che per i difensori che – come nella specie – si avvalgano di tale modalita’ di deposito (ancora meramente facoltativa) non e’ necessario il deposito di copia analogica del ricorso e della relata di notifica telematica, asseverata conforme all’originale informatico ai sensi del L. n. 53 del 21 gennaio 1994, articolo 9, commi 1-bis e 1-ter (deposito e asseverazione richiesti, secondo il principio affermato da Cass. Sez. U. n. 22438 del 2018, proprio sul presupposto della mancata attivazione del processo telematico per il giudizio di cassazione e della conseguente necessita’ del deposito del ricorso in cancelleria esclusivamente in modalita’ analogica).
Nell’attuale descritto contesto normativo tali adempimenti devono, infatti, considerarsi ancora necessari nel solo caso in cui il difensore non si avvalga del deposito telematico degli atti, reso ora possibile ma non ancora obbligatorio bensi’ solo facoltativo.
Il ricorso in esame e’ stato notificato a mezzo p.e.c. e depositato in modalita’ telematica successivamente alla predetta data.
Esso, dunque, si sottrae alla sanzione di improcedibilita’ cui, se fosse stato invece depositato in copia analogica, sarebbe andato incontro, in mancanza di asseverazione di conformita’, essendo l’intimato rimasto tale (v. Cass. Sez. U. n. 22438 del 2018, cit.).
2. Il primo motivo di ricorso e’ rubricato: “sulla ammissibilita’ del ricorso ex articolo 360-bis c.p.c.”; vengono con esso richiamati, “in ordine alla dichiarazione di ammissibilita’ del ricorso”, gli orientamenti giurisprudenziali sul tema: a) dei requisiti necessari perche’ ad un atto possa attribuirsi efficacia interruttiva della prescrizione; b) della incompatibilita’ dell’eccezione di prescrizione presuntiva con le difese con cui si neghi l’esistenza del credito oggetto della domanda, ovvero si eccepisca che il credito non sia sorto.
3. Il secondo motivo e’ invece rubricato: “sull’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.
Il mero deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo
La sentenza viene con esso censurata sulla scorta dei seguenti rilievi:
– il decreto ingiuntivo e’ stato redatto in data 11 aprile 2014 e depositato presso gli uffici di iscrizione a ruolo decreti ingiuntivi del Giudice di pace di Roma in data 14 aprile 2014; allo stesso, quindi, venne assegnato un numero, c.d. “sezionale”, in attesa che la cancelleria provvedesse all’iscrizione a ruolo materiale del fascicolo, n. 781546/2014;
– tale numero individua l’ultima possibile azione di impulso del creditore al fine di far valere il proprio diritto, nonche’ il termine interruttivo della prescrizione annuale; nessun’altra attivita’ di impulso e’ prevista a carico della parte procedente dal momento del deposito del ricorso e della documentazione sottesa, fino al momento definitivo dell’emissione del decreto stesso; non si puo’ penalizzare il creditore per un’azione di impulso spettante all’ufficio, laddove la sua attivita’, eseguita correttamente e nei tempi di legge si e’ esaurita mediante il deposito cartaceo del ricorso con conseguente assegnazione di un numero identificativo.
4. Il terzo motivo e’ infine cosi’ rubricato: “sulla violazione e sulla falsa applicazione di norme di diritto”.
Rileva, con esso, il ricorrente che, nella comparsa di costituzione e risposta in appello, controparte aveva ammesso di non avere mai corrisposto alcuna somma di quelle dovute a titolo di provvigione, contestando addirittura l’esistenza di un rapporto obbligatorio.
Deduce che, pertanto, l’eccezione di prescrizione avrebbe dovuto essere rigettata in applicazione del principio secondo cui “il debitore che neghi l’esistenza del credito oggetto della domanda ovvero eccepisca che il credito non sia sorto ammette, implicitamente, che l’obbligazione non e’ stata estinta, sicche’ va disattesa, ex articolo 2959 c.c., l’eccezione di prescrizione presuntiva in quanto incompatibile” (v. Cass. civ. n. 2977/2016).
5. Il primo motivo e’ inammissibile.
Come detto esso non svolge alcuna critica alla sentenza impugnata ma, correlandosi agli altri due motivi, sostiene (in prevenzione di eventuali rilievi) l’ammissibilita’Mon riferimento a taluni principi che, pero’, per quanto appresso si dira’, sono inconferenti.
Non si tratta, dunque, di un motivo di ricorso, ma di una mera premessa argomentativa a supporto degli altri due motivi, gli unici a potersi considerare realmente tali.
6. Il secondo motivo va rigettato.
In disparte i profili di inammissibilita’ – discendenti dal fatto che nessuna conferente censura (tale certo non essendo l’apodittica asserzione contraria, anche inosservante dell’onere di cui all’articolo 366 n. 6 c.p.c.) e’ svolta nei confronti dell’autonoma ratio decidendi rappresentata dal rilievo della mancata prova del dedotto deposito del ricorso monitorio prima del 23 marzo 2015 – la tesi censoria ivi svolta e’, comunque, certamente infondata in iure.
L’articolo 2943 c.c., nel sancire espressamente che la prescrizione e’ interrotta dalla “notificazione” dell’atto introduttivo del giudizio, stabilisce una innegabile connessione tra effetto interruttivo e natura recettizia dell’atto, con la conseguenza che la mancata introduzione, nella sfera giuridica del destinatario, dell’atto non consentira’ in alcun modo a quest’ultimo di risultare funzionale alla produzione dell’effetto invocato (cfr. Cass. n. 15489 del 07/07/2006).
Il mero deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo
Il solo deposito del ricorso monitorio nella cancelleria del giudice di pace, prima e indipendentemente dalla sua notifica unitamente al decreto ingiuntivo, non puo’ pertanto considerarsi idoneo a produrre il dedotto effetto interruttivo.
Nessun rilievo puo’ assumere la circostanza che il tempo decorso dal (presunto) effettivo deposito del ricorso e la sua successiva iscrizione a ruolo sia addebitabile esclusivamente a inerzia e cattiva organizzazione dell’ufficio, dal momento che tale circostanza non impediva comunque al creditore ingiungente di notificare altro diverso atto interruttivo idoneo nelle more a interrompere la prescrizione.
7. E’ inconferente il precedente, evocato in memoria dal ricorrente, di Cass. 15/09/2021, n. 24891, che – in consapevole e motivato dissenso dall’opposto precedente di Cass. 12/09/2019, n. 22827, ha riconosciuto efficacia interruttiva del termine triennale di prescrizione dell’azione revocatoria (articolo 2903 c.c.) al mero deposito del ricorso ex articolo 702-bis c.p.c. e cio’ sul rilievo, per un verso, che nell’instaurazione del rapporto processuale (rilevante ai fini della individuazione del giudice previamente adito in caso di litispendenza: articolo 39, ult. comma, cod. pro’c. civ.), deve individuarsi l’espressione della volonta’ dell’attore di interrompere la condizione di inerzia che conduce all’estinzione del diritto per prescrizione, e, per altro verso, che il dato letterale secondo cui, ai fini dell’effetto interruttivo della prescrizione, rileva la “notificazione” dell’atto con cui si inizia il giudizio (articolo 2943 c.c.), deve essere inteso come corrispondente al binomio proposizione della domanda/pendenza del giudizio, avuto riguardo alla circostanza che, nell’impianto originario del codice di rito civile predominava il modello del processo ordinario instaurato con citazione, sicche’ la notificazione dell’atto con cui esso era introdotto costituiva la modalita’ “naturale” di proporre la domanda.
Pur prescindendo, in questa sede, dal rilievo che detto precedente esprime un orientamento che non puo’ dirsi consolidato, ne’ prevalente, nella giurisprudenza di questa Corte (nella quale piuttosto sembra ancora prevalere l’opposto principio secondo cui “in linea generale, quando una domanda giudiziale venga introdotta con la vocatio iudicis e non con la vocatio in ius, l’effetto interruttivo di cui all’articolo 2943 c.c. si produce al momento in cui l’atto introduttivo perviene nella conoscenza di fatto o legale della controparte”: v., in tal senso, da ultimo, Cass. 14/03/2022, n. 8096, che, in base ad esso, nega efficacia interruttiva al mero deposito dell’atto di intervento e richiama espressamente a conforto, tra gli altri precedenti, anche quello di Cass. n. 22827 del 2019), lo stesso risulta comunque non pertinente nel caso di specie per almeno due ragioni.
7.1. La prima sta nel fatto che – come rimarcato nella motivazione di detto arresto, anche attraverso il richiamo a Cass. Sez. U. 09/12/2015, n. 24822 – esso trae specifico argomento dal carattere necessario dell’esercizio dell’azione revocatoria (azione costitutiva necessaria), quale unico atto idoneo a interrompere il relativo termine prescrizionale: giustificazione evidentemente non predicabile in ogni altro caso – quale quello in esame, come detto -in cui l’interruzione puo’ farsi valere anche in via stragiudiziale.
7.2. La seconda ragione risiede nella differenza strutturale esistente tra ricorso per decreto ingiuntivo e ricorso per procedimento sommario: il primo introduce un subprocedimento tra due soggetti soltanto (il ricorrente e il giudice, il quale e’ chiamato solo a emettere, e non e’ detto che lo faccia, il decreto ingiuntivo, spettando all’ingiungente di successivamente notificarlo e anche in tale caso la notifica non introduce di per se’ alcun giudizio, questo nascendo solo in caso di opposizione); il secondo e’ invece strutturalmente e univocamente destinato all’instaurazione di un giudizio, che passa attraverso la necessaria fissazione di un’udienza da parte del giudice (e’ cioe’ gia’ esso stesso momento necessario di un procedimento “trilaterd’).
Il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, a differenza del ricorso ex articolo 702-ter c.p.c., non ha dunque la intrinseca necessaria vocazione ad instaurare un actus trium personarum, difettando in esso quel carattere cui il richiamato precedente fa per l’appunto leva per giungere all’affermazione che, con il mero deposito del ricorso, si realizza il “binomio proposizione della domanda/pendenza del giudizio” nel quale si individua la ratio di fondo della previsione di cui all’articolo 2943 c.c., per proporre di conseguenza la evolutiva interpretazione del riferimento espresso alla “notificazione” dell’atto.
Diretta e testuale conferma di cio’ si trae, del resto, dalla disposizione di cui all’articolo 643 c.p.c. secondo cui e’ con riferimento alla data di notificazione del ricorso e del decreto ingiuntivo che va stabilita la pendenza della lite.
Il mero deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo
Sara’ anzi utile rimarcare al riguardo che la giurisprudenza di questa Corte, nel trattare la diversa questione se momento determinativo della competenza sia quello del deposito del ricorso monitorio o della notifica del ricorso e del decreto – questione risolta nel primo senso – ha evidenziato che contrario argomento a favore della opposta soluzione non puo’ trarsi dall’articolo 643 c.p.c. dal momento che – si e’ detto – con tale norma il legislatore ha inteso solo “fare riferimento alla costituzione del contraddittorio ed agli effetti sostanziali e processuali (dall’interruzione della prescrizione alla prevenzione) nell’eventualita’ dell’opposizione, ma non ha inteso privare d’efficacia gli atti gia’ venuti in essere nella fase introduttiva” (Cass. n. 8118 del 27/07/1999; n. 10236 del 15/07/2002; v. anche Cass. Sez. U. 01/10/2007, n. 20596; Cass. n. 1334 del 30/01/2012). 8. Il terzo motivo e’ infondato.
In disparte, anche per esso, i profili di inammissibilita’ ravvisabili in considerazione della novita’ della questione posta, trattandosi di eccezione che non risulta proposta nel giudizio di merito, e’ dirimente il rilievo che quella prevista dall’articolo 2950 c.c. per il diritto alla provvigione del mediatore e’ una c.d. “prescrizione breve” e non una “prescrizione presuntiva”, prevista per le ben diverse ipotesi di cui all’articolo 2955 c.c..
Ad essa pertanto non e’ applicabile l’invocato principio fondato sulla previsione di cui all’articolo 2959 c.c..
9. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Non avendo l’intimato svolto difese nella presente sede, non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese.
10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R.n. 115 del 30 maggio 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dall’articolo 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dall’articolo 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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