Il liquidatore di società di capitali

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 15 gennaio 2020, n. 521.

La massima estrapolata:

Il liquidatore di società di capitali ha il dovere di procedere a un’ordinata liquidazione del patrimonio sociale, pagando i debiti secondo il principio della “par condicio creditorum”, pur nel rispetto dei diritti di precedenza dei creditori aventi una causa di prelazione. Egli ha, in particolare, l’obbligo di accertare la composizione dei debiti sociali e di riparare eventuali errori od omissioni commessi dagli amministratori cessati dalla carica nel rappresentare la situazione contabile e patrimoniale della società, riconoscendo debiti eventualmente non appostati nei bilanci e graduando l’insieme dei debiti sociali, dopo averli verificati, in base ai privilegi legali che li assistono, il pagamento dei quali deve avvenire prima di quello dei crediti non garantiti da cause di prelazione. Ne consegue che il danno da risarcire al creditore che sia stato soddisfatto in percentuale inferiore a quella di altri creditori di pari grado equivale all’importo che egli avrebbe avuto diritto di ricevere ove il liquidatore avesse correttamente applicato il principio della “par condicio creditorum”.

Ordinanza 15 gennaio 2020, n. 521

Data udienza 9 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 3457-2018 proposto da:
FONDAZIONE ENASARCO, in persona del Presidente e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7368/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

RILEVATO

che:
1. Con ricorso notificato il 23/25 gennaio 2018, la Fondazione Enasarco ricorre per la cassazione della sentenza n. 7368/2017, pronunciata dalla Corte d’appello di Roma, pubblicata il 23 novembre 2017, notificata 24 novembre 2017 via PEC, concernente un’azione di responsabilita’ ex articolo 2495 c.c., comma 2 promossa dalla ricorrente Enasarco, in veste di creditore privilegiato, nei confronti (OMISSIS), in qualita’ di liquidatore della societa’ (OMISSIS) s.r.l., messa in liquidazione per perdite il (OMISSIS) e cancellata dal registro delle imprese il (OMISSIS).
2. L’azione era stata avviata da Enasarco per l’accertamento della responsabilita’ del liquidatore della societa’ per la mancata riscossione di contributi previdenziali, maturati e non versati dalla societa’, e precisamente per avere egli cancellato la societa’ dopo la chiusura della fase di liquidazione, previo pagamento di alcuni debiti sociali, senza tener conto del suo credito di Euro 30.083,97, assistito da privilegio generale e non appostato nel bilancio finale di liquidazione; in particolare il creditore riteneva il liquidatore responsabile per non avere attivato la procedura di fallimento in proprio L. Fall., ex articolo 6 e 14 (nella versione vigente ante 2006), atteso che la societa’, all’epoca della liquidazione, gia’ giaceva in grave stato di insolvenza, oltre che di perdita totale del capitale sociale. Affermava infatti la mala gestio del liquidatore nel gestire tale fase, posto che la dichiarazione di fallimento avrebbe consentito, invece, un riparto dell’attivo nel rispetto della par condicio creditorum. Il danno, subito per colpevole condotta del liquidatore, di cui il creditore pretermesso chiedeva il risarcimento, era pertanto corrispondente all’importo che avrebbe potuto ricavare, in ragione della prelazione cui aveva diritto, nel riparto del residuo attivo, utilizzato invece dal liquidatore per effettuare pagamenti di altri debiti sociali.
3. Il Tribunale adito affermava la responsabilita’ del liquidatore nei confronti del creditore per il fatto che la societa’, risultata gravemente insolvente gia’ all’apertura della fase di liquidazione, avrebbe dovuto essere sottoposta a una procedura fallimentare, e non di liquidazione, su iniziativa del liquidatore, sull’assunto che la presentazione dell’istanza, non necessitando di un’autorizzazione dell’assemblea, costituisce obbligo giuridico del liquidatore, la cui inosservanza all’epoca era sanzionata penalmente qualora dalla sua violazione ne fosse derivato un aggravamento del dissesto; rilevava che era pacifico che il liquidatore fosse a conoscenza del debito verso Enasarco, avendo sottoscritto il verbale di ispezione notificato alla societa’, non rilevando che il credito di Enasarco non risultasse formalmente appostato nel bilancio finale di liquidazione. Condannava quindi il liquidatore al relativo risarcimento, pari all’ammontare del credito pretermesso.
4. La sentenza veniva impugnata dal liquidatore e la Corte d’ appello di Roma, per quanto qui di interesse, in riforma della sentenza rigettava la domanda di Enasarco rilevando che la fattispecie dovesse essere considerata esclusivamente entro la cornice dell’articolo 2495 c.c., assumendo che la responsabilita’ gravante sul liquidatore nei confronti dei creditori, di tipo extracontrattuale, richiede l’assolvimento degli oneri probatori da parte dell’attore che agisce nei confronti del liquidatore, e pertanto che 1) il creditore rimasto insoddisfatto, su cui grava l’onere di dimostrare la responsabilita’ del liquidatore per aver posto in essere un comportamento attivo od omissivo colposo dal quale sia derivato il mancato soddisfacimento del credito, nel caso specifico, pur avendo dimostrando l’esistenza del credito, non aveva dimostrato il relativo danno imputabile al lequidatore, posto che dal bilancio finale di liquidazione approvato dai soci risultava l’insussistenza di un attivo patrimoniale da distribuire; 2) dovesse parimenti escludersi una responsabilita’ del liquidatore nei confronti del creditore, dipendendo il mancato pagamento del debito sociale dalla mancanza di qualsiasi risorsa economica necessaria per procedere al suo soddisfacimento; 3) in ipotesi, l’omessa richiesta del fallimento in proprio della societa’ non avrebbe potuto integrare di per se’ un profilo di responsabilita’ del liquidatore, mancando la specifica dimostrazione che tale declaratoria avrebbe permesso di pervenire alla soddisfazione in tutto o in parte del credito.
5 D ricorso e’ affidato a due motivi, cui ha replicato il resistente con controricorso notificato nei termini. Enasarco ha prodotto memoria nei termini.

CONSIDERATO

che:
1. Con il 1 motivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 la societa’ ricorrente deduce che vi sia stata una violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, e comunque omesso esame di un fatto decisivo prospettato dalla parte attrice, e cio’ in relazione agli articoli 2495 e 2446 c.c., nonche’ alla L. Fall., articoli 6 e 14 nella versione anteriore alla riforma del 2006, e comunque una violazione di legge nell’atto di ripartizione dell’attivo senza tener conto della sussistenza del suo credito privilegiato, per quanto non indicato nel bilancio di liquidazione; con il 2 motivo deduce la nullita’ della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360 c.p.c., n. 5, rappresentato dall’aver omesso i giudici l’analisi puntuale del documento n. 7), in cui e’ racchiuso il verbale di assemblea per l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, ove risulterebbe descritto dal liquidatore il grave stato di insolvenza della societa’, e comunque che l’azzeramento dell’attivo patrimoniale residuo si sarebbe realizzato utilizzando il ricavo dell’attivita’ di liquidazione per diminuire, per quanto possibile, l’esposizione debitoria della societa’. Parte resistente, di contro, sottolinea come nel caso in esame nessuna somma sia stata ripartita tra i soci e che il liquidatore abbia correttamente proceduto alla cancellazione della societa’, posto che nel bilancio finale non vi era piu’ attivo patrimoniale di cui avrebbe potuto beneficiare il creditore, non avendo i soci provveduto a ripianare le perdite e non essendovi un obbligo del liquidatore, sol per questo, di avviare la societa’ verso una fase concorsuale, posto che non vi erano sintomi di aggravamento del dissesto. Inoltre, il resistente deduceva che il creditore avrebbe dovuto provare l’esistenza, nel bilancio di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare le proprie ragioni, posto che in sede di scioglimento non vi era stata alcuna ripartizione di attivo in favore ne’ dei soci, ne’ di terzi. Contestava, in via gradata, la certezza del credito affermata dalla Corte territoriale.
2. I motivi vanno analizzati congiuntamente per una evidente connessione logica tra la denunciata violazione di diritto e l’omessa motivazione, rilevante ex articolo 360 c.p.c., n. 5.
3. Al riguardo, si osserva innanzitutto che la responsabilita’ illimitata del liquidatore nei confronti dei “creditori sociali non soddisfatti”, prevista nell’articolo 2495 c.c., comma 2, una volta che la societa’ sia stata cancellata, prescinde dall’accertamento di un formale stato di insolvenza della societa’ da parte del liquidatore, obbligato in tal senso solo ove la mancata dichiarazione di fallimento produca una situazione di aggravamento del dissesto, rilevante ai fini penali, come correttamente ritenuto dalla Corte di merito, posto che la procedura fallimentare, all’epoca, si sarebbe potuta avviare allorche’ l’avesse richiesta un creditore o il Pubblico Ministero, ovvero anche il debitore in proprio (con onere, per quest’ultimo, di provare lo stato di insolvenza L. Fall., ex articolo 14, nella versione ante 2006), non costituendo propriamente un atto obbligatorio per gli amministratori o liquidatori della societa’, se non nei casi eccezionali sopra indicati, non adeguatamente dedotti dalla parte attrice. L’articolo 2495 c.c. in questione, nel comma 1, prevede che, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della societa’ dal registro delle imprese e, nel comma 2 sancisce che, ferma restando l’estinzione della societa’, dopo la cancellazione della societa’ i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza del riparto andato a loro favore, e nei confronti dei liquidatori senza limitazione, se il mancato pagamento e’ dipeso da loro colpa.
4. In questo ristretto ambito di responsabilita’ del liquidatore verso il creditore sociale rimasto insoddisfatto, occorre svolgere alcune riflessioni sull’ampiezza della responsabilita’ “illimitata” prevista per il liquidatore nei confronti dei creditori sociali, sussistente pur dopo la cancellazione della societa’. Non e’ un caso, infatti, che allorche’ la societa’ sia stata sciolta si preveda per i liquidatori una responsabilita’ sociale illimitata, parificata in tutto a quella degli amministratori, ora come allora (cfr. il vigente articolo 2489 c.c., comma 2, e la vecchia versione dell’articolo 2452 c.c. che richiamava l’articolo 2276 c.c.), in relazione alla natura dell’incarico rivestito, da valutarsi in rapporto al dovere del liquidatore di agire in modo conservativo, utile alla liquidazione, si’ da evitare la dispersione del patrimonio sociale, oramai destinato alla liquidazione, e dunque al pagamento dei debiti sociali e alla distribuzione dell’attivo, ove presente, a favore dei soci, come precisato nel articolo 2489 c.c., comma 1. Difatti i creditori, fino a che la societa’ non e’ stata cancellata, anche se in ipotesi quest’ultima versi in stato di scioglimento, fanno affidamento sul patrimonio della societa’, il quale costituisce la garanzia patrimoniale generica su cui possono rivalersi e di cui possono chiedere persino la reintegrazione ex. articolo 2394 c.c. sia agli amministratori che ai liquidatori. Ed invero, la responsabilita’ del liquidatore, una volta che ha provveduto a cancellare la societa’, permane direttamente nei confronti del singolo creditore rimasto eventualmente insoddisfatto, ove il mancato pagamento del credito sia derivato da sua colpa, in considerazione della violazione di obblighi inerenti alla natura dell’incarico che il liquidatore ricopre nella fase in cui la societa’ e’ sciolta e non puo’ piu’ dinamicamente operare nell’esercizio dell’impresa, con assunzione di rischi ed oneri assimilabili a quelli degli amministratori che agiscono in una situazione di scioglimento non dichiarato, ex articolo 2485 c.c., comma 1.
5. L’approdo cui e’ pervenuto il legislatore nel conformare la responsabilita’ del liquidatore, dunque, e’ frutto di una linea comune di pensiero giurisprudenziale e dottrinale che nel corso degli anni si e’ sviluppata intorno al tema della responsabilita’ degli organi liquidatori nei confronti della societa’, dei creditori sociali e dei soci, sull’assunto che essi sono tenuti al precipuo obbligo di liquidare al meglio – in modo utile – l’attivo patrimoniale, per ripartirlo equamente tra i soci solo una volta effettuato il pagamento dei debiti sociali, secondo l’ordine legale di priorita’ dei corrispondenti crediti sancito nel piano di liquidazione. Tale orientamento, teso a garantire massima tutela ai creditori, e’ oggi rinvenibile nelle norme che disciplinano i criteri di svolgimento della liquidazione, e piu’ precisamente negli articoli 2487, 2489 e articolo 2491 c.c., comma 2, ove in quest’ultima disposizione si prevede espressamente che “i liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilita’ di somme idonee alla integrale soddisfazione del creditori sociali”. Andando piu’ a ritroso nel tempo, la giurisprudenza ha avuto occasione di sottolineare la priorita’ che assume l’interesse dei creditori, stakeholders della societa’, soprattutto nella fase in cui essi non possono piu’ fare affidamento nell’operativita’ dell’impresa e nella continuita’ aziendale, a vedere soddisfatti i propri crediti, tant’e’ che sin dal 1980 la Suprema Corte ha sancito la nullita’ della convenzione fra i soci di una societa’ per azioni, amministratori e detentori dell’intero pacchetto azionario, la quale sia rivolta a trasferire i beni sociali, in favore dei soci stessi o di terzi, senza il preventivo soddisfacimento dei creditori della societa’, per violazione delle norme imperative che tutelano la integrita’ del patrimonio della societa’ a garanzia dei creditori, e che ne consentono l’assegnazione ai soci solo nel caso e con la procedura dello scioglimento e messa in liquidazione dell’ente (cfr. Cass.Sez. 1, Sentenza n. 326 del 18/01/1988). Cosi’ i giudici di merito sono giunti financo a sostenere, anche nella vigenza delle norme abrogate dalla novella del 2003, che il diritto dei soci alla ripartizione dell’attivo sorge solo se, dopo il pagamento dei debiti, residui un saldo attivo da distribuire.
6. Non si puo’ sottacere, in proposito, che in relazione all’attuale normativa che espressamente tutela la posizione di creditori in tale delicata fase conseguente allo scioglimento della societa’, anche se in ipotesi non dichiarato, imponendo agli amministratori tenuti a gestire la societa’ scioltasi per qualsiasi causa, anche di diritto, “ai soli fini della conservazione dell’integrita’ e del valore del patrimonio sociale”, ex articolo 2486 c.c., comma 1, tra le Corti di merito si e’ diffusa l’opinione in base alla quale sul gestore del patrimonio da destinare alla liquidazione (i.e. il liquidatore nominato a tal fine ex articolo 2487 c.c.) gravi l’obbligo di rispettare il precetto della par condicio creditorum, sebbene detto obbligo non sia espressamente menzionato nelle norme di settore. Fra le pronunce piu’ attuali si riscontrano affermazioni di responsabilita’ del liquidatore che, in presenza di una situazione di sostanziale insolvenza della societa’, non abbia proceduto ad una gestione liquidatoria informata ai criteri dell’articolo 2741 c.c., e quindi al rispetto del principio della par condicio creditorum, consentendo la pretermissione di un credito assistito da privilegio ovvero anche pagamenti preferenziali di alcuni creditori a scapito di altri. E cosi’, da ultimo, si e’ giunti ad affermare che il liquidatore di una societa’ a responsabilita’ limitata e’ responsabile, ai sensi delle generali previsioni di cui all’articolo 2043 c.c. e articolo 2476 c.c., comma 6, per il danno patito dal creditore che, al termine della procedura di liquidazione, sia stato soddisfatto in una percentuale inferiore rispetto a quella di altri creditori di pari grado. Il risarcimento, in tale caso, viene considerato pari all’importo che il creditore avrebbe avuto diritto di ricevere laddove il liquidatore avesse correttamente rispettato il principio della par condicio creditorum, tenendo conto di eventuali cause di prelazione dei crediti.
7 Sicche’ l’evoluzione giurisprudenziale sopra descritta dimostra come il principio della par condicio creditorum sia certamente un corretto parametro per considerare la sussistenza e l’entita’ di una lesione del credito avvenuta per opera del liquidatore nella fase di liquidazione del patrimonio della societa’, a prescindere dall’apertura di una procedura concorsuale, valendo esso come criterio generale per disciplinare la fase di pagamento dei debiti sociali nel corso della liquidazione. Tale principio, infatti, e’ ricavabile dalle norme generali che negli articoli 2740 e 2741 regolano il concorso dei creditori e le cause di prelazione, laddove si prescrive l’obbligo del debitore di effettuare i pagamenti rispettando “il diritto dei creditori ad essere egualmente soddisfatti, salvo le cause legittime di prelazione”.
8. Se, dunque, precipuo dovere del liquidatore e’ quello di procedere a un’ ordinata liquidazione del patrimonio sociale pagando i debiti sociali, per conto della societa’ debitrice, secondo il principio di par condicio creditorum, pur nel rispetto dei diritti di precedenza dei creditori aventi una causa di prelazione, al fine di evitare quindi la compressione dei diritti dei creditori che quel patrimonio e’, per definizione, destinato a garantire, e’ logico assumere che in capo al medesimo liquidatore gravi l’obbligo di accertare la composizione dei debiti sociali prima di procedere ai relativi pagamenti, riparando gli eventuali errori od omissioni commessi dagli amministratori cessati dalla carica nel rappresentare la situazione contabile e patrimoniale della societa’, riconoscendo debiti eventualmente non appostati nei bilanci. Pertanto, tra gli obblighi del liquidatore si annovera anche quello di accertare l’insieme dei debiti sociali e di graduarli nel rispetto dei privilegi legali che li assistono, il pagamento dei quali, per loro natura, dovra’ essere antergato rispetto a quello di crediti non assistiti da alcuna causa di prelazione.
9. Nel caso specifico, dunque, rileva certamente considerare che le norme di cui agli articoli 2753 e 2754 c.c., che istituiscono un privilegio generale sui beni mobili del datore di lavoro per i crediti per contributi, sono pacificamente riferibili ai crediti dell’Enasarco, secondo quanto statuito da una giurisprudenza che qui si intende confermare (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5818 del 14/06/1990; Sez. 1, Sentenza n. 11115 del 23/12/1994). Pertanto, nel valutare il danno lamentato da quest’ultimo ente, derivato dalla mancata considerazione del suo credito da parte del liquidatore, occorre riferirsi all’ordine preferenziale di pagamento che, in ipotesi, il credito privilegiato avrebbe dovuto ricevere nella fase in cui il liquidatore ha proceduto ad effettuare il pagamento dei debiti sociali, a discapito di altri gia’ esistenti ma pretermessi, evento in base al quale deve valutarsi il danno in concreto ricevuto dal creditore rimasto insoddisfatto. In proposito, invero, rileva che il creditore abbia dedotto che lo stesso liquidatore ha preso cognizione del suo credito, di natura privilegiata, nella fase di liquidazione e ha, cionondimeno, dichiarato di avere effettuato il pagamento di alcuni debiti sociali che hanno permesso di azzerare l’attivo nel corso della liquidazione (cfr. doc. 7 in atti prodotto), senza poter dar spazio alla fase della distribuzione dell’attivo tra i soci. Rileva anche che la Corte di merito, in relazione alla deduzione del creditore pretermesso, ha ritenuto sussistente detto credito all’epoca della disposta liquidazione, con valutazione in questa sede non sindacabile che supera ogni eccezione sollevata da parte del resistente in ordine alla mancata prova del credito.
10. In punto di onere della prova, occorre rammentare che l’inadempimento contrattuale di una societa’ di capitali nei confronti di un terzo (sia esso socio o creditore) non implica automaticamente la responsabilita’ risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente, generalmente descritta nell’articolo 2395 c.c., atteso che tale responsabilita’, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente, come si evince, fra l’altro, dall’utilizzazione, nel testo della norma, dell’avverbio “direttamente”, il quale esclude che l’inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilita’ diretta del socio o del creditore nei confronti di amministratori o liquidatori (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15822 del 12/06/2019). Il principio or ora esposto si allinea, pertanto, a una consolidata impostazione giurisprudenziale che ravvisa una responsabilita’ aquiliana del liquidatore (e, piu’ in generale, – dell’amministratore) anche nell’ipotesi considerata nell’articolo 2495 c.c., parificabile alla responsabilita’ verso i terzi o i soci degli amministratori ex articolo 2395 c.c., secondo una concezione classica che vede i creditori sociali come soggetti terzi rispetto alla societa’, con tutte le conseguenze in ordine all’onere probatorio riguardo alla prova della lesione del credito e al “debito di valore” che ne consegue (cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 24039 del 10/11/2006; Cass.Sez. 1, Sentenza n. 14558 del 30/05/2008). Conseguentemente, trattandosi del mancato pagamento di un debito sociale riferito a un’attivita’ compiuta dal liquidatore nell’esercizio delle sue funzioni, equiparabile a quella di un amministratore, anche in riferimento alla responsabilita’ delineata in termini specifici nell’articolo 2495 c.c., comma 2, grava sul creditore rimasto insoddisfatto l’onere di dedurre e allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si e’ svolta nel rispetto del principio della par condicio creditorum, tenuto conto della legittima causa di prelazione di cui beneficiava ex lege il suo credito.
11. Quanto alla prova della effettiva lesione del credito subita a causa della condotta di mala gestio addebitabile all’amministratore, occorre tuttavia operare un distinguo tra la responsabilita’ “limitata” dei soci e la responsabilita’ “illimitata” del liquidatore dopo la cancellazione della societa’, rispettivamente previste nell’articolo 2495 c.c. nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti.
12. Difatti, quando vi sia stata una ripartizione dell’attivo andata a favore dei soci e il creditore si determini ad agire nei loro confronti, e’ proprio il limite indicato al soddisfacimento del credito che impone precisi oneri probatori in capo al creditore. In questo caso, e’ attraverso la vicenda successoria regolata ex lege che il socio rimane obbligato nei confronti del creditore sociale, ed e’ pertanto quest’ultimo a dover provare che l’importo preteso sia di ammontare eguale o superiore a quello riscosso dal socio in sede di liquidazione, sulla base del relativo bilancio. E’ evidente, dunque, che in tale limitato caso la percezione della quota dell’attivo sociale assurga a elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio: sicche’, in base alla regola generale posta dall’articolo 2697 c.c., tale circostanza deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio (nel senso che grava sul creditore insoddisfatto l’onere della prova circa la distribuzione dell’attivo e circa la riscossione di una quota di esso da parte del socio: Cass. 23 novembre 2016, n. 23916; Cass. 16 maggio 2012, n. 7676; Cass. 10 ottobre 2005, n. 19732).
13. Ove, invece, come nel caso in esame, venga fatta valere la “responsabilita’ illimitata” del liquidatore nei confronti del creditore che assume essere stato pretermesso nella fase di pagamento dei debiti sociali, con trattamento preferenziale andato in favore di altri creditori, non rileva tanto la sussistenza o meno di un residuo attivo da ripartire tra i soci nel bilancio finale di liquidazione, ne’ tantomeno l’appostazione o meno nel bilancio finale di liquidazione del corrispondente debito sociale non pagato, quanto piuttosto l’indicazione, da parte del creditore che agisce in responsabilita’, del credito sociale non considerato e dello specifico danno subito in rapporto ad altri crediti andati soddisfatti, poiche’, tramite il richiamo alla colpa del liquidatore, occorre dedurre e allegare le specifiche condotte del liquidatore che si pongono in violazione degli obblighi connaturati all’incarico ricevuto. Conseguentemente ex latere creditoris, il creditore rimasto insoddisfatto dall’attivita’ liquidatoria, per far valere la responsabilita’ del liquidatore, dovra’ dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione e il conseguente danno determinato dall’inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorita’ rispetto ad altri andati soddisfatti; mentre, ex latere debitoris, in relazione al principio di vicinanza della prova e agli obblighi gravanti sul liquidatore, il liquidatore dovra’ provare l’adempimento dell’obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali (costituente la cd massa passiva) e l’adempimento dell’obbligo di pagare i debiti sociali nel rispetto della par condicio creditorum, secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all’epoca coesistenti.
14. Alla luce di quanto sopra osservato, deve rilevarsi l’erroneita’ della interpretazione della norma di cui all’articolo 2394 c.c., comma 2, offerta dalla Corte di merito, in termini tali da imporre al creditore di provare un danno risarcibile in relazione ai dati esposti nel bilancio finale di liquidazione che dava conto dell’assenza di un residuo attivo da ripartire tra i soci; altrettanto errata deve considerarsi l’impostazione secondo cui il creditore, per far valere la violazione del principio di par condicio creditorum, gia’ attestata dal fatto che il liquidatore aveva esaurito l’attivo con il pagamento di alcuni debiti sociali, avrebbe dovuto invece provare in quali termini egli avrebbe potuto recuperare in tutto o in parte il suo credito in una eventuale procedura concorsuale, essendo una proiezione relativa a un evento non necessario ai fini della considerazione della violazione del principio di parita’ di trattamento tra i creditori, gia’ apparentemente integrata con i pagamenti di parte dei debiti sociali, effettuati dal liquidatore. Difatti, qualora il risultato di azzeramento dell’attivo ottenuto dal liquidatore, “a monte”, sia riconducibile a un utilizzo della massa attiva liquidata e utilizzata per il pagamento dei debiti della societa’, a scapito di altri debiti sociali non egualmente considerati, sussiste una responsabilita’ del liquidatore che abbia eventualmente provveduto ai pagamenti dei debiti sociali in violazione del principio della par condicio indicato nell’articolo 2741 c.c., pretermettendo un credito sociale gia’ all’epoca liquido ed esigibile. Ed e’ proprio questo il fatto di rilievo, oggetto di discussione, del tutto trascurato dalla Corte di merito, desumibile gia’ solo leggendo la relazione resa dal liquidatore all’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, ove si riferisce testualmente che l’assenza di attivo da ripartire tra i soci sia derivata “dalla liquidazione delle poste dell’attivo e dall’utilizzo delle somme residue per diminuire, per quanto possibile, l’esposizione debitoria” (v. doc. 7 allegato). Tale dato fattuale avrebbe dovuto essere confrontato con il dato, egualmente accertato dalla Corte, della sussistenza del credito vantato dal creditore, anche se non appostato nel bilancio finale di liquidazione.
15. In sintesi, in tale materia riguardante la responsabilita’ del liquidatore dopo la cancellazione della societa’ va dunque affermato il seguente principio di diritto:” in tema di responsabilita’ del liquidatore nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della societa’, ex articolo 2495 c.c. comma 2, il conseguimento, nel bilancio finale di liquidazione, di un azzeramento della massa attiva non in grado di soddisfare un credito non appostato nel bilancio finale di liquidazione, ma comunque provato quanto alla sua sussistenza gia’ nella fase di liquidazione, e’ fonte di responsabilita’ illimitata del liquidatore verso il creditore pretermesso, qualora sia allegato e dimostrato che la gestione operata dal liquidatore evidenzi l’esecuzione di pagamenti in spregio del principio della par conditio creditorum, nel rispetto delle cause legittime di prelazione ex articolo 2741 c.c., comma 2. Pertanto, ove il patrimonio si sia rivelato insufficiente per soddisfare alcuni creditori sociali, il liquidatore, per liberarsi dalla responsabilita’ su di lui gravante in riferimento al dovere di svolgere un’ ordinata gestione liquidatoria del patrimonio sociale destinato al pagamento dei debiti sociali, ha l’onere di allegare e dimostrare che l’intervenuto azzeramento della massa attiva tramite il pagamento dei debiti sociali non e’ riferibile a una condotta assunta in danno del diritto del singolo creditore di ricevere uguale trattamento rispetto ad altri creditori, salve le cause legittime di prelazione ex articolo 2741, c.c.”. Pertanto la Corte, in sede di rinvio, sara’ tenuta a scrutinare la condotta assunta dal liquidatore alla luce dei suddetti principi e nel rispetto degli oneri probatori che ne conseguono.
16. Conclusivamente, la Corte accoglie il ricorso in relazione ai due motivi, per quanto di ragione, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.

P.Q.M.

La Corte,
accoglie il ricorso in relazione al primo e secondo motivo; per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche perche’ provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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