Il lavoratore studente ha diritto ai permessi straordinari e retribuiti per motivi di studio

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 18 settembre 2020, n. 19610.

La massima estrapolata:

Il lavoratore studente ha diritto ai permessi straordinari e retribuiti per motivi di studio limitatamente al solo periodo di frequenza nell’ambito degli anni di durata legale del corso di studi e non, invece, qualora sia “fuori corso”. È legittima un’interpretazione della norma legale e/o contrattuale che ponga dei limiti al diritto allo studio, che non può comprimere eccessivamente il diritto del datore di lavoro alla prestazione.

Sentenza 18 settembre 2020, n. 19610

Data udienza 21 gennaio 20202

Tag/parola chiave: Lavoro – Lavoratore/studente fuori corso – Diritto a godere di permessi straordinari – Risarcimento – Diniego

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 4139-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
A.C.E.R. AZIENDA CASA EMILIA ROMAGNA PROVINCIA RAVENNA, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1381/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 26/11/2014 R.G.N. 1213/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA CIRIELLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), per delega verbale all’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS), per delega verbale Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1381/2014 depositata il 26.11.2014, in conferma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Ravenna, ha respinto la domanda del lavoratore volta al riconoscimento del diritto a godere di permessi straordinari e retribuiti per motivi di studio, anche oltre la durata prevista del relativo corso di studi;
2. La Corte di merito, invero, concordando con il giudice di primo grado, ha escluso che la previsione di cui all’articolo 28 del CCNL Federcasa 2002-2005 riconoscesse permessi studio retribuiti anche ai lavoratori studenti cd. “fuori corso”, e ha ritenuto che la concessione dei permessi fosse limitata al solo periodo di frequenza nell’ambito degli anni di durata legale del corso di studi.
3. Secondo i giudici territoriali l’articolo 28 del CCNL in esame si riferisce solo agli iscritti al corso legale di studi universitari, poiche’ opera riferimenti all’ultimo e al penultimo anno di corso, che non avrebbero concreto significato se non con riguardo a una fisiologica durata del corso di studi.
4. Tale interpretazione, ad avviso della Corte di appello, non solo e’ conforme alla lettera della norma, ma risulta anche la piu’ razionale, non potendo il legislatore aver riconosciuto al lavoratore il diritto a permessi retribuiti per seguire le lezioni senza limiti, cioe’ al di fuori della durata legale del corso e a prescindere dal superamento o meno degli esami sostenuti per i corsi seguiti; deve essere anche escluso, secondo la Corte di appello di Bologna, il carattere discriminatorio della interpretazione fornita, poiche’ non rientra l’essere studente fuori corso oppure studente lavoratore tra i fattori di discriminazione oggetto di protezione normativa.
3. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), affidato a un unico motivo ed illustrato da memoria, cui ha resistito con controricorso, illustrato da memorie, la A.C.E.R. Azienda casa Emilia – Romagna della Provincia di Ravenna, eccependo, altresi’, preliminarmente, l’inammissibilita’ della notifica del ricorso per cassazione.
4. La causa, inizialmente fissata in camera di consiglio, e’ stata poi trattata in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. L’eccezione formulata dalla controricorrente, con la quale sono stati dedotti i vizi della notificazione del ricorso principale e della procura a margine, che sarebbero stati redatti in formato cartaceo non consentito, e poi scansionati in formato.pdf immagine, per poter essere notificati tramite posta elettronica certificata (PEC), e’ infondata.
5.1. L’articolo 19 bis del provvedimento ministeriale del 16 aprile 2014 (Specifiche tecniche previste dal Decreto Ministeriale giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, articolo 34, comma 1 recante regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione), non si applica infatti, in parte qua, al processo di cassazione, ove il deposito telematico del ricorso e del controricorso non e’ ancora consentito e l’atto, cosi’ come la procura, devono essere normalmente redatte in formato cartaceo (salva la loro scansione con attestazione ai fini della notifica telematica in proprio, ove la parte voglia avvalersi di tale modalita’, ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 3 bis e ss.).
Nel caso di specie, in particolare, risulta eseguita telematicamente la notifica con le modalita’ descritte, corredata della corretta attestazione di conformita’ della copia informatica notificata a quella analogica, secondo il testo in vigore ratione temporis dell’articolo 3 bis cit.
5. Con l’unico, articolato motivo di ricorso, il ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi, dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 28 del Contratto collettivo nazionale di lavoro Federcasa 2002-2005 ritenuto non applicabile ai lavoratori-studenti universitari “fuoricorso”; per violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e ss. e per violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c. in relazione al documento n. 6 prodotto in secondo grado.
6. Ha sostenuto, in particolare, come la lettura corretta del cit. articolo 28 dovrebbe indurre a ritenere che la disciplina del diritto allo studio ivi dettata sia applicabile anche ai dipendenti che siano studenti “fuori corso”, poiche’ il testo della norma, senza operare questa distinzione, specifica solamente che i permessi sono concessi per la frequenza di corsi finalizzati al conseguimento dei titoli di studio universitari, oltre che per la preparazione dei relativi esami. Tanto la frequenza ai corsi quanto la preparazione degli esami e la partecipazione agli stessi costituirebbero attivita’ didattica consentita dallo status di studente universitario a prescindere dall’essere “in corso” o “fuori corso”, poiche’ ritenere diversamente aggiungerebbe un limite ulteriore a quelli previsti dalla norma (che pone solamente il limite di misura massima fruibile di 150 ore annue per ciascun dipendente, il limite del 3% del totale delle unita’ in servizio, per anno solare, oltre che la possibilita’ per il lavoratore che venga respinto di fruire dei suddetti permessi solamente la seconda volta perche’ gli esami abbiano esito positivo).
I giudici territoriali, pertanto, oltre alla norma contrattuale, avrebbero violato le regole ermeneutiche di cui agli articoli 1362 c.c. e ss..
Avrebbe, infine, errato la corte nel non ammettere la produzione del documento attestante la frequenza, sia pure fuori corso, che avrebbe smentito quanto affermato dal giudice di primo grado, ossia che non vi puo’ essere attestazione ufficiale di frequenza per gli studenti fuori corso, cosi’ violando l’articolo 345 c.p.c.
7. Il motivo e’ infondato.
La norma contrattuale costituisce la specificazione del diritto riconosciuto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 10, comma 2, che prevede il diritto dei lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esami, di fruire di permessi giornalieri retribuiti.
Tale generale diritto costituisce oggetto di interpretazione ormai consolidata da parte di questa corte (v. la risalente Cass. 52/1985 che chiari’ come l’articolo 10, cit., deve essere inteso nel senso che quel diritto spetta a tutti i lavoratori che intendono dedicarsi allo studio per conseguire la possibilita’ di affrontare, senza remore di carattere economico, gli esami, per ottenere titoli riconosciuti dall’ordinamento giuridico statale, senza che la categoria dei soggetti legittimati possa essere limitata ai soli studenti iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole statali, pareggiate o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali).
La norma contrattale esaminata risulta certamente di carattere migliorativo rispetto alla previsione contenuta nello Statuto dei lavoratori, poiche’ attribuisce il diritto ad ottenere permessi anche per la frequenza di corsi, e non solo per sostenere gli esami.
E, tuttavia, sottopone tale diritto a numerosi limiti, quali il numero massimo di ore individuali per anno (150), il numero massimo di dipendenti che possano fruire dei permessi (3% del totale delle unita’ in servizio ogni anno, con arrotondamento all’unita’ superiore per eccesso), stabilendo altresi’ criteri di scelta tra gli studenti lavoratori ove il limite del 3% sia superato dalle richieste pervenute.
La Corte di appello di Bologna ha formulato una lettura coerente e logica della norma, basata non solo sulla sua esegesi letterale ma anche sulla sua ratio, che si sottrae alle critiche formulate e non appare in contrasto con le norme di legge invocate.
Oltre a valorizzare l’argomento letterale della norma contrattuale che, per individuare i beneficiari in caso di concorso di richieste che superino il limite annuale, individua l’anno di frequenza (ultimo, penultimo, etc., postulando necessariamente il riferimento agli studenti in corso regolare), la corte ha correttamente posto in rilievo che la norma dell’articolo 28 si riferisce alla “frequenza” di corsi di studio universitari, attivita’ chiaramente riservata ad un numero delimitato di anni, quelli coincidenti con il corso legale di studi e che la norma sarebbe stata formulata diversamente, ove lo svolgimento di attivita’ didattiche preordinate alla preparazione degli esami dovesse essere considerato fungibile alla frequentazione delle lezioni per gli anni in corso regolare.
L’interpretazione fornita, che riconduce la norma contrattuale, pur se migliorativa, a limiti ragionevoli, che sorreggano il diritto allo studio senza comprimere eccessivamente il diritto del datore di lavoro alla prestazione, risulta conforme alla giurisprudenza di questa corte che, in diverse occasioni, esaminando in generale la questione del diritto allo studio, ha introdotto temperamenti al suo esercizio nell’ambito del rapporto di lavoro (cfr. ad es. Cassazione civile sez. lav. – 22/04/2008, n. 10344, che prevede come “in applicazione dei criteri di ermeneutica precisati dagli articolo 1362 e 1363 c.c., la norma contrattuale, che prevede la possibilita’ per il lavoratore di usufruire di permessi studio, va interpretata nel senso che i permessi straordinari retribuiti possono essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati dalla clausola in orari coincidenti con quelli di servizio, non per le necessita’ connesse all’esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attivita’ complementari come, ad esempio, i colloqui con i docenti o il disbrigo di pratiche di segreteria)”.
Il ricorso deve essere in definitiva respinto.
Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dcella L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 3.500, 00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).

 

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