Il giudizio di inaffidabilità all’uso delle armi

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 25 giugno 2020, n. 4088.

La massima estrapolata:

Il giudizio di inaffidabilità all’uso delle armi, sufficiente a giustificare il ritiro della licenza, presuppone solo l’esistenza di elementi che fondino la ragionevole previsione di un uso inappropriato, non anche l’accertamento della responsabilità penale nell’uso delle armi.

Sentenza 25 giugno 2020, n. 4088

Data udienza 21 maggio 2020

Tag – parola chiave: Detenzione di armi – Licenza – Revoca – Uso delle armi – Giudizio di inaffidabilità – Presupposti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7742 del 2019, proposto dal Sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ufficio Territoriale del Governo di Parma, in persona del Prefetto pro tempore, e Questura di Parma, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma Sezione Prima -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il provvedimento-OMISSIS-\-OMISSIS-\-OMISSIS-\-OMISSIS- -OMISSIS-notificato in -OMISSIS-, emesso dal Questore di Parma, di revoca di licenza di porto di fucile ad uso caccia -OMISSIS-, e il decreto -OMISSIS-notificato in -OMISSIS-, emesso dal Prefetto di Parma, di divieto detenzione armi e munizioni e revoca di licenza porto d’armi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Parma e della Questura di Parma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica, svolta in videoconferenza ai sensi dell’art. 84 del D.L. n. 18/2020 il giorno 21 maggio 2020, il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- In data 30.10.-OMISSIS-, durante un battuta di caccia, il ricorrente esplodeva un colpo d’arma da fuoco che accidentalmente colpiva a morte il figlio.
Nell’immediatezza dell’incidente i Carabinieri del Comando Stazione C.C. di Salsomaggiore Terme procedevano al sequestro delle armi e munizioni.
2. – Il Questore di Parma, con decreto del -OMISSIS–, notificato il 10 dicembre successivo, preso atto della comunicazione di reato, revocava al ricorrente la licenza di porto di fucile per uso caccia ritenendo essere venuti meno, in capo al titolare, i prescritti requisiti di affidabilità e garanzia di buon uso delle armi.
3. – Il Prefetto di Parma, sulla base dei fatti denunciati e di nota del Questore, adottava il provvedimento -OMISSIS– con cui vietava al ricorrente la detenzione di qualsiasi arma e munizione e revocava la licenza di porto d’armi per difesa personale -OMISSIS-, ordinando la cessione a terzi delle armi e munizioni entro il termine di 150 gg.
4. – Successivamente, con decreto del 29.5.2017, il GIP del Tribunale di Parma disponeva l’archiviazione del procedimento penale per il reato di cui all’art. 589 c.p. poiché il fatto non costituisce reato per l’assenza di profili di colpa a carico dell’indagato “o comunque di elementi probatori idonei a comprovare l’esistenza di detti profili, apparendo invero probabile che il tragico evento si sia verificato per una fatalità “.
5. – Con istanza dell’11.7.2018, il ricorrente chiedeva alla Questura di Parma il rilascio della licenza di porto di fucile per uso caccia.
Il Questore, con provvedimento n. –OMISSIS-, rigettava l’istanza con la motivazione della permanenza del provvedimento di divieto di detenzione di armi e munizioni di cui al decreto prefettizio del 5.1.-OMISSIS- e della incompatibilità del rilascio del titolo con la persistenza del detto divieto.
6. – Il ricorrente chiedeva, quindi, al Prefetto la revoca in autotutela del provvedimento -OMISSIS–, in virtù della intervenuta archiviazione del procedimento penale a suo carico e in difetto di un contrapposto interesse pubblico.
-OMISSIS-la Prefettura di Parma comunicava al ricorrente il rigetto dell’istanza di revoca in autotutela.
7.- Con autonomi ricorsi al TAR per l’Emilia Romagna, proposti nel 2017, il ricorrente impugnava i citati provvedimenti del Questore e del Prefetto deducendo l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241/1990 ed il difetto di motivazione e dei presupposti legittimanti la loro adozione.
Con ulteriore ricorso n. -OMISSIS- pendente dinanzi allo stesso TAR, il ricorrente impugnava anche il diniego di licenza di fucile per uso caccia.
8.- Con la sentenza in epigrafe, il TAR, riuniti i ricorsi n. -OMISSIS-, li rigettava.
Sul piano procedimentale, il primo giudice ha ritenuto non sussistere la violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990, poiché per pacifica giurisprudenza, in materia di armi, i provvedimenti dell’Autorità, in quanto aventi natura cautelare e finalità preventiva, rivestono ex se carattere di urgenza e non sono assoggettati all’adempimento in questione e in ogni caso i fatti erano noti all’interessato.
Nel merito, il Tar ha ritenuto non sussistere il difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati, sia perché l’informativa di reato, cui per relationem fa riferimento la motivazione dei provvedimenti, era conoscibile nel corso del procedimento penale, sia perché, quanto alla portata dei fatti, l’archiviazione è intervenuta successivamente (decreto del GIP presso il Tribunale di Parma del 29 giugno 2017).
9.- Con l’appello in esame, il ricorrente lamenta l’ingiustizia ed erroneità della sentenza di cui chiede la riforma.
10. – Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate che insistono per il rigetto dell’appello.
11.- Alla pubblica udienza del 21 maggio 2020, svolta in videoconferenza ai sensi dell’art. 84 del D.L. n. 18/2020 il giorno 21 maggio 2020, la causa è stata decisa.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato.
2.- Il ricorrente denuncia l’erroneo rigetto del motivo con cui ha denunciato la violazione delle regole che consentono la partecipazione al procedimento amministrativo, salvo nei casi di urgenza, che non ricorrono però nella fattispecie, così come la necessità di tutela della pubblica incolumità, atteso che sin dalla data dell’incidente tutte le armi e munizioni e il libretto di porto d’armi per uso caccia furono sequestrati dai Carabinieri.
Ad avviso del ricorrente avrebbe potuto essere adottata la sospensione della licenza di porto di fucile ex art. 10, e 38, comma 3, T.U.L.P.S., mentre i provvedimenti impugnati hanno prodotto effetti irreversibili.
Inoltre, con la partecipazione ai procedimenti il ricorrente avrebbe potuto aver contezza dei fatti e fornire elementi a sua discolpa.
Con altro motivo il ricorrente denuncia l’errore del primo giudice nell’esame dei documenti e l’erronea interpretazione degli stessi, la contraddittorietà, erroneità e difetto di motivazione della sentenza appellata.
Il giudice avrebbe illegittimamente valutato l’affidabilità del soggetto, anzichè limitarsi a verificare se l’autorità amministrativa decidendo sulla base degli atti non sia incorsa in vizi di travisamento dei fatti, manifesta illogicità e simili.
E’ indubbio che erroneamente il giudice non ha ritenuto rilevante nel procedimento amministrativo i fatti accertati dalla magistratura penale e la richiesta di archiviazione formulata dal PM, il quale ha escluso l’uso improprio dell’arma, avendo il proiettile assunto una traiettoria del tutto imprevedibile a causa della collisione dell’ogiva con un albero.
I fatti sarebbero stati travisati dal TAR che avrebbe del tutto ignorato o valutato erroneamente la prova documentale (decreto di archiviazione della notizia di reato).
3.- Le Amministrazioni appellate eccepiscono l’applicabilità dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990, e richiamano gli effetti vincolanti del divieto prefettizio di detenzione di armi e munizioni, ancora vigente, sulla valutazione di competenza del Questore e la irrilevanza sulle valutazioni amministrative della conoscenza dell’archiviazione del procedimento penale, comunque intervenuta in momento successivo all’adozione dei provvedimenti.
4.- Il Collegio ritiene corrette le considerazioni svolte dal primo giudice, che non esorbitano dai limiti del potere giurisdizionale.
4.1..- Quanto al profilo della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, a prescindere dalla questione della sussistenza o meno dell’urgenza di provvedere a tutela della pubblica incolumità, essendo stati comunque sequestrati sia le munizioni che il porto d’armi, va ritenuto applicabile l’art. 21 octies, comma 2, della legge 241/1990.
L’Amministrazione ha dimostrato che nessun ulteriore apporto istruttorio avrebbe comportato la partecipazione del ricorrente ad entrambi i procedimenti, essendo i fatti conosciuti dal Questore e dal Prefetto attraverso la denuncia di reato rimessa dai Carabinieri nell’immediatezza dell’accaduto e, peraltro, detta informativa dei Carabinieri era conoscibile dallo stesso interessato poichè richiamata nell’ambito del procedimento penale che lo interessava.
Sicchè, essendo noto al ricorrente il fatto contestato e assunto a presupposto dei provvedimenti amministrativi impugnati, nessuna effettiva compromissione della conoscenza delle circostanze è derivata dalla mancata comunicazione ex art. 7 l. 241/1990.
In ogni caso, la rilevanza penale del fatto non è condizionante per l’Autorità di P.S., avendo i provvedimenti in questione relativi alla detenzione e uso di armi e munizione finalità preventiva e di tutela della incolumità pubblica, non finalità punitiva di responsabilità penali accertate.
4.2.- Con riferimento al giudizio di affidabilità nell’uso delle armi che il giudice avrebbe volto in luogo dell’Amministrazione, si evidenzia, al contrario, che il giudizio sul rischio di abuso dell’arma è stato svolto dall’Amministrazione e il giudice si è limitato a verificarne la correttezza e legittimità sulla base dei presupposti.
Il giudizio di inaffidabilità all’uso delle armi, sufficiente a giustificare il ritiro della licenza, presuppone solo l’esistenza di elementi che fondino la ragionevole previsione di un uso inappropriato, non anche l’accertamento della responsabilità penale nell’uso delle armi (Cons. St., Sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814).
4.3.- Tale valutazione, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del TULPS, è ampiamente discrezionale e si fonda sull’autonomo esame dei fatti storici compiuto dall’Autorità amministrativa, che prescinde dalla ricerca degli elementi soggettivi costitutivi di fattispecie di reato.
Il giudizio a fondamento del provvedimento di divieto di porto e detenzione di armi non è un giudizio di pericolosità sociale, ma un giudizio prognostico, fondato sull’affidabilità del soggetto e sull’assenza di rischio di abusi.
Il divieto può dunque fondarsi anche su situazioni che non abbiano dato luogo a condanne penali o a misure di pubblica sicurezza (Consiglio di Stato sez. III, 13/01/2020, n. 266), e su situazioni non ascrivibili alla buona condotta del soggetto; non è necessario tantomeno un comprovato abuso nell’utilizzo delle armi (Consiglio di Stato, sez. III, 13/01/2020, n. 265).
4.4.- Nel caso di specie, l’assenza di profili di colpa nel comportamento del ricorrente che ha causato l’evento mortale (come ritenuto dal PM e dal GIP) non si pone in contraddizione con il giudizio prognostico sfavorevole formulato dal Prefetto e dal Questore circa la sicura affidabilità nell’uso e maneggio delle armi da parte del ricorrente, peraltro formulato in epoca antecedente l’archiviazione in sede penale.
Come ritenuto dal primo giudice, il ricorrente ha palesato una scarsa capacità di apprestare tutti gli accorgimenti necessari per prevenire ogni possibile rischio connesso ad un incauto uso dell’arma, profilo questo rielevante sul piano amministrativo a prescindere dalla rilevanza penale del fatto.
4.5.- La circostanza sopravvenuta dell’archiviazione non poteva, peraltro, rilevare nel processo ai fini della delibazione di legittimità dei provvedimenti impugnati, che deve essere valutata secondo la regola “tempus regit actum”.
5.- In conclusione, l’appello va rigettato.
6.- Le spese di giudizio, in ossequio al principio di soccombenza, sono poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, dichiara legittimi i provvedimenti impugnati.
Condanna il ricorrente alle spese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in euro 8.000,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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