il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 aprile 2023| n. 9507.

Il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche

Nel vigente ordinamento processuale, mancando una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo, come in caso di dichiarazioni scritte provenienti da terzi, che, pur raccolte fuori dal processo, non comportano la violazione del principio di cui all’art. 101 c.p.c., atteso che il contraddittorio si instaura con la loro produzione in giudizio. (Nella specie, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza della corte di appello che, escludendo il valore di prova legale della dichiarazione giurata di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 98 del 1994 nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’indennizzo per la perdita di beni in Somalia, aveva omesso di valutare tale dichiarazione, quale prova atipica, nel contesto dell’intero materiale istruttorio acquisito agli atti del giudizio).

Ordinanza|6 aprile 2023| n. 9507. Il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche

Data udienza 7 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Indennizzo per i beni perduti all’estero ex legge 26.1.1980, n. 16 – Natura indennitaria – Rivalutazione monetaria – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2817/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), domiciliati ex lege in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2310/2017 depositata il 7.4.2017;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 7.3.2023 dal Consigliere Dott. Umberto Luigi Cesare Giuseppe Scotti.

Il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 29.4.2008 (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito MEF), chiedendo l’accertamento dell’indennizzo loro spettante per la perdita di beni in Somalia per il complessivo importo di Euro 1.565.730,00, composti da un’azienda, dall’avviamento e dai frutti pendenti, e la condanna del Ministero convenuto al pagamento della somma ancora dovuta, detratti gli importi versati, pari a Euro 1.340.325,89, oltre gli interessi richiesti con decorrenze alternativamente proposte.
Il Tribunale di Roma con sentenza del 31.7.2012 ha condannato il Ministero al pagamento della somma di Euro 585.048,91 con gli interessi dal 26.1.1994 sull’importo di Euro 487.540,76 e dal 25.6.1998 sull’importo di Euro 97.508,15, gravando il Ministero delle spese di causa e di consulenza tecnica d’ufficio.
2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello il MEF, a cui hanno resistito gli appellati.
La Corte di appello di Roma con sentenza del 7.4.2017 ha accolto il gravame e ha ridotto l’importo dovuto agli attori a Euro 118.219,61, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, compensando per i due terzi le spese del giudizio e ponendo a carico del MEF il residuo terzo delle spese attoree per entrambi i gradi.
3. La Corte di appello ha disatteso la valutazione peritale; ha ritenuto che l’onere della prova competesse agli attori e che in sede contenziosa la valutazione dei beni dovesse basarsi su prove oggettive e non su mere dichiarazioni; ha infine fatto decorrere gli interessi sul minor importo attribuito dalla data della domanda giudiziale in difetto di anteriore messa in mora.
4. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 26.1.2018 hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) ed (OMISSIS), svolgendo tre motivi.
Con atto notificato il 28.2.2018 ha proposto controricorso il MEF, chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
I ricorrenti hanno presentato memoria illustrativa.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 342 e 163 c.p.c., e sostengono che l’appello del MEF sarebbe stato “improcedibile” (rectius: inammissibile) perche’ caratterizzato da una domanda di annullamento della sentenza di primo grado senza allegazione di alcun profilo di diritto pertinente ai fatti dedotti.
6. Secondo i ricorrenti l’appello del Ministero era del tutto generico e denunciava un difetto di motivazione del tutto insussistente nella sentenza di primo grado.
Il motivo e’ inammissibile per mancanza di specificita’ e autosufficienza.
7. L’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Suprema Corte ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilita’ del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi e i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, cosi’ da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (Sez. 6 – 1, n. 23834 del 25.9.2019, Sez. L, n. 20924 del 5.8.2019, Sez. 5, n. 10272 del 26.4.2017, Sez. 1, n. 2771 del 2.2.2017).
Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilita’, per difetto di specificita’, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non puo’ limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificita’ (Sez. 5, n. 22880 del 29.9.2017; Sez. L, n. 11738 del 8.6.2016; Sez. L, n. 23420 del 10.11.2011; Sez. 1, n. 20405 del 20.9.2006; Sez. U., n. 28332 del 5.11.2019; Sez. U., n. 156 del 9.1.2020).
Vale, ovviamente, anche il reciproco e quindi la parte che sostenga dinanzi alla Corte di Cassazione l’inammissibilita’ del motivo di appello avversario, che non e’ stata sanzionata dal giudice del merito, ha l’onere di trascrivere, o almeno sintetizzare adeguatamente, tanto il contenuto del provvedimento di primo grado impugnato, quanto il contenuto del motivo di appello proposto avverso tale provvedimento, per mettere cosi’ in condizione la Corte di Cassazione di rivalutare la correttezza della decisione in rito assunta dal giudice di appello. In tali casi spetta al giudice di legittimita’ accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicita’ dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Sez. 5, n. 27368 del 1.12.2020).

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8. Nella specie i ricorrenti si sono sottratti a tale onere e non hanno adeguatamente riferito il tenore dell’atto di gravame, a loro dire sfuggito al doveroso stigma di inammissibilita’ non applicato dalla Corte di appello.
9. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in punto di riparto dell’onere probatorio, per aver la Corte di appello ritenuto onere di parte attrice dimostrare circostanze che erano state oggetto di eccezione ad opera della parte convenuta.
In particolare, mentre parte attrice aveva dato prova di quanto dedotto con documenti, dichiarazioni notarili di terzi e richiamo di fonti pubbliche, il MEF aveva invocato le risultanze di un formulario statistico del 1970 redatto da una societa’ affittuaria dell’azienda, non prodotto dal MEF e non acquisito agli atti del processo, e la Corte di appello aveva imputato la mancata produzione del contratto di affitto agli attori e non alla parte convenuta eccipiente, come avrebbe dovuto.
I ricorrenti denunciano altresi’ ex articolo 360 c.p.c., n. 3 la violazione dell’articolo 115 c.p.c., per aver assunto la Corte di appello come dati positivi elementi provenienti dal contestato formulario statistico del 1970.
I ricorrenti deducono infine ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 2700 c.c., e alle leggi L. n. 16 del 1980, L. n. 135 del 1985 e L. n. 98 del 1994, per non aver assegnato alcun valore alle dichiarazioni di quattro cittadini italiani indifferenti, senza valutarle e porle in confronto con l’insieme delle risultanze processuali.
10. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Sez. 2, 24.1.2020, n. 1634; Sez. lav., 19.8.2020, n. 17313; Sez. 6, 23.10.2018 n. 26769; Sez. 3, 29.5.2018, n. 13395; Sez. 2, 7.11.2017 n. 26366).
Inoltre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., puo’ essere dedotta come vizio di legittimita’ solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. (Sez. 3, 28.2.2017, n. 5009; Sez. 2, 14.3.2018, n. 6231).
11. La Corte di appello, a pagina 5, ha affermato che l’azienda in questione era stata concessa in affitto alla s.p.a. (OMISSIS), cosa che risultava dal formulario statistico compilato nel 1970, in cui questa societa’ aveva assunto di essere proprietaria di piantagioni e macchinari, e ha superato la contestazione al riguardo mossa dagli attori, addebitando loro la mancata produzione del contratto di affitto, la cui acquisizione, a suo parere, gravava su di loro.

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I ricorrenti sembrano sostenere che neppure la dichiarazione del 1970 della (OMISSIS) era stata prodotta in causa; ma non solo non lo dimostrano, in contrasto con la precisa affermazione della Corte territoriale, ma si auto-smentiscono, riportando a pagina 22 il testo della relazione peritale che menziona fra i documenti consultati dall’ausiliare dell’ufficio i “formulari relativi al censimento delle ditte italiane all’estero effettuate nel 1970”.
12. Tuttavia, a fronte della contestazione sollevata dai ricorrenti circa l’affitto in corso con la dichiarante (OMISSIS), la Corte di appello ha attribuito erroneamente l’onere della prova di produrre il contratto di affitto agli attori appellati e non al Ministero, che aveva formulato l’eccezione e intendeva avvalersi del documento. Cio’, al di la’ della difficile comprensibilita’ di come si possa produrre un contratto che si nega esistere.
In tal modo la Corte romana e’ incorsa nella violazione dell’articolo 2697 c.c..
13. In secondo luogo, la Corte di appello ha motivato la propria decisione esclusivamente recependo e citando letteralmente a pag. 5, ultimo capoverso, le osservazioni critiche del Ministero, ritenute pienamente condivisibili, e a tal riguardo ha affermato l’assenza di qualsiasi documentazione probatoria delle effettive consistenze aziendali “se non su dichiarazione di parte”.
In tal modo la Corte di appello e’ incorsa in evidente errore percettivo circa il contenuto della prova, comportante violazione dell’articolo 115 c.p.c., nel momento in cui ha qualificato come dichiarazioni di parte, prive percio’ di valore probatorio, le dichiarazioni giurate rese da vari testimoni dichiaratisi indifferenti e verbalizzate da un Notaio, con atto fidefaciente fino a querela di falso.
14. Mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare – non e’ mai sindacabile nel giudizio di legittimita’, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, e’ sindacabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’articolo 115 c.p.c., il quale vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realta’ mai offerte (Sez. 3, n. 7187 del 4.3.2022).
Recentemente (Sez. 3, 21.12.2022, n. 37382) questa Corte si e’ ulteriormente soffermata in modo approfondito sulle diverse fattispecie dell’errore revocatorio, del vizio motivazionale di omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti e dell’errore percettivo sul contenuto della prova.
E’ stato osservato che, diversamente dall’errore revocatorio di cui all’articolo 395 c.p.c., n. 4 (che consiste in una falsa percezione della realta’, o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto la cui verita’ sia incontestabilmente esclusa, ovvero l’inesistenza di un fatto la cui verita’ e’ positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa, se il fatto non costitui’ punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare) l’errore percettivo, che cada sul contenuto oggettivo della prova (e non sul fatto), assume autonoma rilevanza, rendendo censurabile, in sede di legittimita’, lo specifico caso dell’avvenuta utilizzazione, da parte dello stesso giudice, di prove che non esistono nel processo (ovvero che abbiano un contenuto oggettivamente ed inequivocabilmente diverso da quello loro attribuito), che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti (in cio’ distinguendosi dall’errore revocatorio) e che tuttavia sostengono illegittimamente la decisione assunta non gia’ in base a una motivazione viziata, bensi’ in violazione di un parametro di fonte legislativa.
In tema di scrutinio di legittimita’ del ragionamento probatorio adottato dal giudice di merito, deve pertanto distinguersi tra le fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (che consente l’impugnazione della sentenza nell’ipotesi di omissione di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti), quella di cui all’articolo 395, n. 4 (che ha riguardo a fatti costituenti un punto controverso su cui il giudice non si e’ espressamente pronunciato) e l’ipotesi di cui all’articolo 115, che ha ad oggetto le prove proposte dalle parti, oggetto di discussione (diversamente che nell’ipotesi di errore revocatorio) su cui il giudice si sia espressamente pronunciato. Una diversa interpretazione finirebbe, difatti, per consolidare un’inemendabile forma di patente illegittimita’ della decisione, in contrasto con il principio dell’effettivita’ della tutela, qualora essa si fondi sulla ricognizione obbiettiva del contenuto della prova che conduca ad una conclusione irrefutabilmente contraddetta, in modo tanto inequivoco quanto decisivo, dalla prova travisata, su cui le parti hanno avuto modo di discutere.
Se, di converso, l’errore percettivo e’ caduto su un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, esso puo’ essere fatto valere, negli stringenti limiti di cui al novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ogni qual volta esso consista nell’omesso esame di quel fatto (e non anche quando si traduca nella insufficienza o contraddittorieta’ della motivazione), sempre che non ricorra l’ipotesi della c.d. “doppia conforme” ai sensi dell’articolo 348-ter c.p.c., commi 4 e 5.
14. La valutazione del materiale probatorio – destinata a risolversi nella scelta di uno o piu’ tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova e’, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudice – e’ espressione della discrezionalita’ valutativa del giudice di merito ed e’ estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimita’ (con la conseguenza che non e’ denunciabile, dinanzi a quest’ultima, come vizio della decisione di merito, a seguito della definitiva riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5) restando totalmente interdetta alle parti la possibilita’ di discutere, in sede di legittimita’, del modo attraverso il quale il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali di carattere probatorio.
Viceversa, alla stessa parte deve ritenersi consentita, in applicazione delle norme di cui all’articolo 115 c.p.c. e articolo 360 c.p.c., n. 4, la facolta’ di denunciare la errata percezione (e la conseguente utilizzazione), da parte del giudice di merito, di prove inesistenti, ovvero di prove non solo riferite a fonti, che non sono mai state dedotte in giudizio dalle parti (un testimone mai addotto o escusso; un documento mai depositato agli atti), ma altresi’ a prove che, pur riferendosi a fatti/fonti appartenenti al processo (uno specifico documento ritualmente depositato, un testimone regolarmente escusso), si sostanziano nella elaborazione di contenuti informativi non riconducibili in alcun modo a dette fonti, neppure in via indiretta o mediata (ossia di informazioni probatorie delle quali risulta preclusa alcuna connessione logico-significativa con le fonti o i mezzi di prova cui il giudice ha viceversa inteso riferirle), sempre che tali contenuti informativi abbiano, specularmente interpretate, il carattere della decisivita’.
Il travisamento della prova, per essere censurabile in cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’articolo 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (demostrandum), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (demostratum), con conseguente, assoluta impossibilita’ logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocamente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversita’ della decisione sia espresso non gia’ in termini di mera probabilita’, ma di assoluta certezza.
15. Nella fattispecie la Corte territoriale e’ incorsa in equivoco nel far riferimento al principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di indennizzo dovuto per i beni perduti da cittadini e imprese italiane in territori gia’ soggetti alla sovranita’ italiana, la dichiarazione giurata di cui alla L. 29 gennaio 1994, n. 98, articolo 1, comma 3, a corredo della relativa domanda da parte di coloro che non possono produrre gli atti dimostrativi della proprieta’, gia’ sottoposta al vaglio di attendibilita’ dei competenti uffici in sede amministrativa, non ha valore di prova legale nell’ambito del giudizio civile, poiche’ non puo’ attribuirsi, in difetto di una diversa e specifica previsione, alcun valore probatorio, nel giudizio civile, alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’, senza che cio’ comporti alcun dubbio di legittimita’ costituzionale, in relazione agli articoli 3, 24 e 97 Cost., attesa la disomogeneita’ tra la posizione dell’istante in un procedimento amministrativo e quella della parte in un giudizio civile, non suscettibili, quindi, di comparazione (Sez. 1, n. 10791 del 16.5.2014).
La prova che le era stata sottoposta non era affatto soltanto la dichiarazione giurata della parte di cui alla L. 29 gennaio 1994, n. 98, articolo 1, comma 3, della quale la giurisprudenza ricordata esclude il valore di prova legale in sede giurisdizionale, ma una prova atipica, meritevole di essere valutata, e non ignorata in radice, costituita dalla dichiarazione di verita’ di certi fatti resa da alcuni testimoni indifferenti e verbalizzata da un notaio.
Nell’ordinamento processuale vigente, manca una norma di chiusura sulla tassativita’ tipologica dei mezzi di prova. Ne consegue che il giudice puo’ legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purche’ idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimita’, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo.
In particolare, gli scritti provenienti da terzi, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, non essendo stati raccolti nell’ambito del giudizio in contraddittorio delle parti, ne’ di prova piena, sono rimessi alla libera valutazione del giudice del merito, e possono, in concomitanza con altre circostanze desumibili dalla stessa natura della controversia, fornire utili elementi di convincimento, specie ove di essi sia stata provata (nella specie, mediante l’autentica della sottoscrizione apposta alle dichiarazioni in atti) la veridicita’ formale (Sez. 3, n. 12763 del 26.9.2000; Sez. L, n. 4666 del 27.3.2003).
Le dichiarazioni scritte provenienti da terzi, quali prove atipiche, possono essere idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che ne derivi la violazione del principio di cui all’articolo 101 c.p.c., atteso che, sebbene raccolte al di fuori del processo, il contraddittorio si instaura con la produzione in giudizio. (Sez. 1, n. 17392 del 1.9.2015; Sez. 2, n. 1593 del 20.1.2017).
16. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., per la disposta riforma della sentenza sul punto della decorrenza degli interessi in difetto di specifica richiesta nelle conclusioni dell’atto di appello.
I ricorrenti deducono altresi’ ex articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1219 e 1224 c.c., e alle leggi L. n. 16 del 1980, L. n. 135 del 1985 e L. n. 98 del 1994, in tema di decorrenza degli interessi.
Infine i ricorrenti, con sempre con il terzo motivo. lamentano ex articolo 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti relativamente alla sussistenza di un atto di messa in mora in data 2.6.1994, asseritamente idoneo a determinare la decorrenza degli interessi anteriormente alla proposizione della domanda giudiziale.
Il motivo resta assorbito per effetto dell’accoglimento del secondo motivo.
21. La Corte pertanto accoglie il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo e assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte;
accoglie il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo e assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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