Il giudice può ammettere la prova testimoniale in deroga al limite fissato dall’art. 2721 c.c.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 settembre 2022| n. 26898.

Il giudice può ammettere la prova testimoniale in deroga al limite fissato dall’art. 2721 c.c.

Il giudice ben può ammettere la prova testimoniale, in deroga al limite fissato dall’art. 2721, comma 1, cod. civ. per il valore eccedente quello di euro 2,58, atteso che il comma 2, dell’evocata disposizione gli attribuisce un potere discrezionale il cui esercizio è ricollegato alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza, purché, però, venga fornita adeguata motivazione della scelta operata (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, in quanto la corte d’appello, nel confermare in sede di gravame il rigetto delle domande di risoluzione del contratto di cessione d’azienda proposte dal ricorrente per grave inadempimento dei cedenti, aveva omesso ogni motivazione in relazione alla deroga operata dal tribunale con riferimento al limite di valore fissato dal primo comma dell’art. 2721 cod. civ.). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, sentenza 3 aprile 1982, n. 2062; Cassazione, sezione civile III, sentenza 23 giugno 1964, n. 1634; Cassazione, sezione civile I, sentenza 8 agosto 1963, n. 2244).

Ordinanza|13 settembre 2022| n. 26898. Il giudice può ammettere la prova testimoniale in deroga al limite fissato dall’art. 2721 c.c.

Data udienza 4 maggio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Prova civile – Giudice – Facoltà di consentire la prova per testimoni oltre il limite di valore fissato dal primo comma dell’art. 2721 c.c. – Motivazione del relativo provvedimento di ammissione – Indicazione delle circostanze che nel caso concreto rendano possibile la deroga al divieto della prova stessa oltre tale limite

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 29481/2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), domiciliato ex lege in Roma, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1433/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 4/05/2022 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) propose appello avverso la sentenza n. 17954/214 con cui il Tribunale di Roma aveva rigettato le domande di risoluzione del contratto di cessione di azienda, stipulato in data 23 luglio 20091 per grave inadempimento dei cedenti (OMISSIS) e (OMISSIS) e di condanna di questi ultimi alla restituzione di quanto percepito in occasione della vendita, oltre il risarcimento del danno per malafede nelle trattative.
Si costituirono gli appellati chiedendo, per quanto ancora rileva in questa sede, il rigetto dell’impugnazione.
La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1433/2019, rigetto’ il gravame e compenso’ tra le parti le spese di lite.
Avverso la sentenza della Corte di merito (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi e illustrato da memoria.
Hanno resistito con distinti controricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: “omesso esame di due fatti decisivi per il giudizio, ex articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 5), per avere la Corte di appello di Roma omesso di esaminare: (i) che il teste (OMISSIS) – legale dei (OMISSIS) nel giudizio locatizio – ha dichiarato di non ricordare se incontro’ l’odierno ricorrente (OMISSIS) prima o dopo la stipula del contratto di cessione d’azienda del 23.7/009 e, inoltre, di non ricordare cosa riferi’ allo stesso odierno ricorrente; (ii) che il teste (OMISSIS) commercialista degli stessi fratelli (OMISSIS) – ha dichiarato di essere stato lui ad informare (OMISSIS) dell’avvenuta risoluzione del contratto di locazione degli immobili relativi all’azienda acquistata e, inoltre, di aver fatto cio’ solo in un momento successivo alla stipula del contratto del 23.7.2009. Si tratta peraltro di fatti accertati, in sede penale, con sentenza n. 12472/2014 del Tribunale di Roma, Ottava Sezione Penale”.
Come sintetizzato dalla stessa parte ricorrente, con il motivo all’esame la detta parte ha “denunciato, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame, ad opera della Corte d’appello di Roma, di due fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.
In particolare, la Corte d’appello di Roma, pur richiesta, ha completamente omesso d’esaminare i due seguenti fatti decisivi.
(i) Primo fatto: il teste (OMISSIS) – legale dei (OMISSIS) nel giudizio locatizio – ha dichiarato di non ricordare se incontro’ l’odierno ricorrente (OMISSIS) prima o dopo la stipula del contratto di cessione d’azienda del 23.7.2009 e, soprattutto, di non ricordare cosa riferi’ allo stesso odierno ricorrente.
(ii) Secondo fatto: il teste (OMISSIS) – commercialista degli stessi fratelli (OMISSIS) – ha dichiarato di essere stato lui ad informare (OMISSIS) dell’avvenuta risoluzione del contratto di locazione degli immobili relativi all’azienda acquistata e, inoltre, di aver fatto cio’ solo in un momento successivo alla stipula del contratto del 23.7.2009.
Se la Corte d’appello di Roma avesse esaminato tali fatti, peraltro accertati in sede penale con sentenza n. 12472/2014 del Tribunale di Roma, sarebbe giunta all’inevitabile conclusione che, contrariamente a quanto asserito nella sentenza impugnata, all’attore ed odierno ricorrente (OMISSIS), prima della stipula del contratto di cessione d’azienda del 23.7.2009, non era mai stata fornita la specifica e decisiva informazione concernente la gia’ avvenuta risoluzione del contratto di locazione relativo all’immobile in cui aveva sede l’azienda acquistata”.
2. Il secondo motivo e’ cosi’ rubricato: “violazione e/o falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di risoluzione per mancanza di qualita’ promesse e/o essenziali (articolo 1497 c.c.), in tema di cessione d’azienda (articoli 2555 c.c. e segg.) e, inoltre, in tema di interpretazione dei contratti (articoli 1362 c.c. e segg.), ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la Corte d’appello di Roma erroneamente affermato che, nel caso di specie, non e’ configurabile un inadempimento contrattuale dei cedenti”.
2. Con tale mezzo, come sintetizzato dal ricorrente, questi ha “denunciato, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di risoluzione per mancanza di qualita’ promesse e essenziali (articolo 1497 c.c.), in tema di cessione d’azienda (articoli 2555 c.c. e segg.) e, inoltre, in tema di interpretazione dei contratti (articoli 1362 c.c. e segg.).
Invero, la Corte d’appello, rigettando la domanda di risoluzione del contratto di cessione d’azienda del 23.7.2009 proposta da (OMISSIS), ha affermato che “non e’ possibile configurare sul piano strettamente contrattuale un inadempimento del cedente, come richiesto dal (OMISSIS)”…
Tuttavia, tale decisione della Corte d’appello e’ palesemente erronea, giacche’, come insegnato dalla giurisprudenza di Codesta Ecc. ma Corte:
(i) se il cedente e’ inadempiente al contratto di locazione dell’immobile aziendale e a causa del predetto inadempimento si verifica “la perdita del titolo al possesso dell’immobile per il cessionario (vale a dire per (OMISSIS), n.d.r.)” (v. Cass. civ., n. 5845/2013…;
(ii) allora, in questo caso si configura senz’altro “un inadempimento contrattuale del cedente” rispetto al contratto di cessione d’azienda (Cass. civ., n. 5845/2013, cit.);
(ii(i)) pertanto, il cessionario, in ragione di tale ultimo inadempimento del cedente, puo’ richiedere ed ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento ex articolo 1497 c.c., giacche’ lo stesso cessionario “ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento” (v. articolo 1497 c.c.)”.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: “violazione e/o falsa applicazione delle norme (articoli 2721, 2722 e 2725 c.c.) e, inoltre, dei principi vigenti in tema di limiti all’ammissibilita’ della prova testimoniale dei contratti, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la Corte d’appello di Roma: (i) ammesso la prova per testi di un patto contrario rispetto a cio’ che era stato pattuito con il contratto scritto di cessione d’azienda del 23.72009; (ii) ammesso la prova per testi oltre il limite di valore previsto dall’articolo 2721 c.c., comma 1, omettendo di fornire una motivazione al riguardo; (iii) ammesso la prova per testi con riferimento a un contratto che, ai sensi dell’articolo 2556 c.c., doveva essere provato per iscritto”.
Con il motivo all’esame, come riferito dallo stesso ricorrente, (OMISSIS) ha “denunciato, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o la falsa applicazione, ad opera della Corte d’appello di Roma, delle norme (segnatamente, gli articoli 2721, 2722 e 2725 c.c.) e, inoltre, dei principi vigenti in tema di limiti all’ammissibilita’ della prova testimoniale dei contratti.
Invero, la Corte d’appello, in violazione del limite di cui all’articolo 2722 c.c., ha ammesso delle prove testimoniali dirette a dimostrare l’esistenza di un patto di contenuto diverso ed assolutamente contrastante rispetto a quello che in realta’, come risultante per tabulas, era stato formalizzato dalle parti con il contratto scritto di cessione d’azienda del 23.7.2009. In particolare, i Giudici di secondo grado, per mezzo della prova testimoniale dell’Avv. (OMISSIS), sono giunti all’erronea conclusione di ritenere provato che il patto concluso tra (OMISSIS) ed i fratelli (OMISSIS) concernesse il trasferimento di un’azienda avente sede in un immobile il cui contratto di locazione era gia’ risolto, al contrario di quanto e’ stato invece formalizzato col contratto scritto del 23.7.2009, contratto il quale prevede la cessione dell’azienda con un valido contratto di locazione dei relativi immobili.
Inoltre, la Corte d’appello ha violato il limite posto dall’articolo 2721 c.c., comma 1, limite che, come e’ noto, opera proprio nei casi come quello che ci occupa – in cui un contratto scritto venga dedotto in giudizio come fonte di obblighi reciprochi tra le parti. Peraltro, nonostante le censure puntualmente proposte dall’appellante (OMISSIS), la Corte d’appello non ha fornito la benche’ minima motivazione circa le ragioni (ad es., le qualita’ delle parti, la natura del contratto o ogni altra circostanza) che, nel caso di specie, avrebbero consentito una deroga al limite ex articolo 2721 c.c., comma 1.
Infine, la Corte d’appello ha anche violato il limite fissato dall’articolo 2725 c.c., norma quest’ultima secondo cui, per i contratti che per legge devono essere provati per iscritto, la prova per testi puo’ essere ammessa solo nello specifico caso indicato dall’articolo 2724 c.c., n. 3), vale a dire “quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova”, circostanza quest’ultima mai allegata, da alcuna parte nel corso del giudizio”.
4. E’ preliminare l’esame del terzo motivo con riferimento, in particolare, alle censure con lo stesso proposte in relazione alla dedotta omessa motivazione in ordine alle ragioni che, nel caso di specie, avrebbero consentito una deroga al limite di cui all’articolo 2721 c.c., comma 1.
4.1. Tale censura e’ fondata.
Effettivamente sussiste la lamentata omessa motivazione sulla questione evidenziata, nonostante fosse stato proposto specifico motivo di appello sul punto, motivo peraltro riportato nella stessa sentenza impugnata a p. 2.
Ed invero nessuna motivazione risulta espressa nella sentenza impugnata in relazione alla deroga operata dal Tribunale con riferimento al limite di valore fissato dell’articolo 2721 c.c., comma 1, questione espressamente sollevata con il primo motivo di appello (v. atto di appello a p. 6), evidenziandosi che la motivazione che si rinviene al secondo capoverso di p. 3 della sentenza impugnata si riferisce all’evidenza al divieto di cui all’articolo 2722 c.c..
Secondo la stessa previsione codicistica e l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimita’, infatti, il giudice ben puo’ ammettere la prova testimoniale, in deroga al limite fissato dal comma 1, per il valore eccedente quello di Euro 2,58, atteso che l’articolo 2721 c.c., comma 2, gli attribuisce un potere discrezionale il cui esercizio e’ ricollegato alla qualita’ delle parti, alla natura del contratto ed ad ogni altra circostanza, purche’, pero’, venga fornita adeguata motivazione della scelta operata (sul punto v. gia’ Cass. 8/08/1963, n. 2244 e Cass. 23/06/1964, n. 1634 e successive conformi), motivazione, nel caso all’esame, del tutto mancante, come gia’ rimarcato.
5. Ogni altra questione proposta con il terzo motivo e con gli ulteriori motivi di ricorso resta assorbita.
6. Conclusivamente va accolto per quanto di ragione e nei limiti sopra precisati il terzo motivo di ricorso, assorbite le ulteriori censure proposte. La sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta e la causa va rinviata alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’, evidenziandosi che le norme di ammissione delle prove hanno natura non soltanto processuale ma ibrida e, quindi, questa Corte non puo’ procedere ad una valutazione che e’ rimessa al giudice di merito.
7. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione e nei limiti precisati in motivazione il terzo motivo, assorbite le ulteriori censure proposte; cassa in relazione alla censura accolta la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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