Il giudice di appello ha il potere di pronunciare su di una domanda sia qualora il primo giudice abbia omesso di decidere su di essa sia ove venga in rilievo una pronuncia viziata

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10744.

La massima estrapolata:

Il giudice di appello, cumulandosi davanti al medesimo le fasi rescindente e rescissoria, ha il potere di pronunciare su di una domanda sia qualora il primo giudice abbia omesso di decidere su di essa sia ove venga in rilievo una pronuncia viziata perché adottata in un procedimento conclusosi con una sentenza l’annullamento della quale non comporti l’obbligo di rimessione al primo giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c.

Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10744

Data udienza 14 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13874/2016 R.G. proposto da:
(OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante dello (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
CITTA’ METROPOLITANA DI FIRENZE, in persona del Sindaco metropolitano pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 572 depositata l’11 febbraio 2016.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14 settembre 2018 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:
– il Giudice di pace di Firenze, con sentenza n. 5980 del 2015, decidendo sull’opposizione proposta da (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante dello (OMISSIS), avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Provincia di Firenze (ora Citta’ Metropolitana di Firenze) con la quale veniva loro comminata la sanzione di Euro 576,60, oltre alla sospensione di ogni attivita’ dello studio di consulenza per un mese con decorrenza dal 1 marzo 2014, per violazione della L. n. 264 del 1991, articolo 9, comma 3 e articolo 6, comma 1, la respingeva;
– sul gravame interposto dal medesimo (OMISSIS), il Tribunale di Firenze, nella resistenza dell’appellata, respingeva l’originario ricorso osservando che pur affetta da nullita’ la sentenza di primo grado per omessa lettura del dispositivo all’udienza di discussione, la causa andava decisa nel merito e dai fatti accertati emergeva la sussistenza della violazione contestata per non avere gli incolpati verificato l’identita’ del richiedente la radiazione dell’autovettura, diverso dalla proprietaria che era risultata essere (OMISSIS), per essere stata la documentazione necessaria presentata dal padre della medesima, attivita’ di controllo che, delegata dall’ACI, come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 358 del 2000, articolo 2, richiedeva il riscontro della corrispondenza tra richiedente (che aveva sottoscritto il modulo ACI) e proprietarie del veicolo, non applicabile nella specie il Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, articolo 38;
– per la cassazione del provvedimento del Tribunale di Firenze ricorre il (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante dello (OMISSIS), sulla base di cinque motivi;
– la Citta’ Metropolitana di Firenze resiste con controricorso.
Atteso che:
– il primo motivo di ricorso (con il quale e’ denunciata la violazione e la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, articoli 21, 38 e 47, nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 358 del 2000, articolo 7, per avere ritenuto sussistere l’illecito amministrativo nonostante il proscioglimento del (OMISSIS) sulla base del Decreto del Presidente della Repubblica n. 358 del 2000, articolo 7, da parte del GIP di Firenze; prosegue il ricorrente sulla non ragionevolezza della diversa disciplina ritenuta applicabile dal giudice di merito quanto alle annotazioni PRA) ed il secondo motivo (con il quale e’ denunciata la violazione e la falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, per le apodittiche affermazioni contenute nella sentenza impugnata circa la non applicabilita’ nella specie del Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, articolo 38), da trattare congiuntamente per la evidente connessione argomentativa, sono infondati.
Come gia’ affermato da questa Corte, in tema di sanzioni amministrative, la L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 9, comma 2 – a tenore del quale quando uno stesso fatto e’ punito da una disposizione penale e da una disposizione che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale – in tanto opera in quanto le norme sanzionanti un medesimo fatto si trovino fra loro in rapporto di specialita’, che deve essere escluso quando sia diversa l’obiettivita’ giuridica degli interessi protetti dalle due norme.
Orbene, premesso che nel caso in esame i ricorrenti hanno agito in qualita’ di delegato della pubblica amministrazione, non sussiste un rapporto di specialita’ tra le disposizioni penali a protezione del falso ideologico di cui al combinato disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 358 del 2000, articolo 7, con l’articolo 479 c.p. e le norme a protezione delle autocertificazioni delle situazioni di fatto o di diritto rilevanti ai fini delle annotazioni al PRA, giacche’ la P.A. non e’ svincolata da ogni controllo sulla veridicita’ della stessa autocertificazione, essendo tenuta a verificare – anche di propria iniziativa del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ex articolo 71 – la correttezza delle dichiarazioni, anche mediante riscontro diretto dei dati. Ne’ e’ ravvisabile, tra le anzidette norme, un rapporto di pregiudizialita’ tale da configurare l’accertamento dell’illecito amministrativo come antecedente logico necessario per l’esistenza del reato e cosi’ da determinare quella connessione obiettiva che, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 2, comporta lo spostamento delle competenze all’applicazione della sanzione dell’organo amministrativo al giudice penale (v. in proposito Cass. n. 28379 del 2011; Cass. n. 5047 del 2005);
– anche il terzo motivo di ricorso (con il quale e’ lamentato l’omesso esame circa ulteriori fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, in particolare, l’errata valutazione delle risultanze processuali in relazione alla legittimita’ del verbale n. (OMISSIS) del 02.09.2012, notificato a distanza di oltre un anno dalla presunta commissione della violazione, omettendo l’individuazione delle circostanze di tempo e di luogo relative alla commissione della contestata violazione, oltre ad omissione del luogo dell’accertamento; violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, articolo 14, per avere contestato a verbale la L. n. 264 del 1991, articolo 9, comma 3, mentre sarebbe stato attribuito un fatto diverso) e’ in parte inammissibile e in parte infondato.
Quanto alla prima censura di omesso esame di fatti decisivi, occorre osservare che nel caso di specie il giudice di primo grado aveva escluso la doglianza relativa alla carenza dei requisiti essenziali, fattuali e giuridici, posti a fondamento della contestazione ed aveva concluso per l’esistenza di una adeguata ricostruzione da parte dell’organo accertatore dell’illecito posto in essere dal (OMISSIS) ed aveva rigettato l’opposizione a sanzione amministrativa reputando provata la violazione addebitata all’incolpato.
La parte ricorrente ha riproposto in appello la questione della errata valutazione delle risultanze processuali in merito al verbale n. (OMISSIS), seppure in forma generica, cui il giudice del gravame ha ampiamente risposto osservando che il (OMISSIS) aveva “pacificamente ricevuto allo sportello, quale delegato ACI, la richiesta di radazione dell’auto della sig.ra (OMISSIS), presentata dal padre” corredata dalla fotocopia dei documenti di identita’ della figlia e questa costituiva la condotta gravemente abusiva a lui contestata e rispetto a siffatta motivazione la censura non si confronta.
La doglianza, poi, secondo la quale vi sarebbe stato mutamento della contestazione in itinere, si palesa infondata.
Posto, infatti, che nel ricorso per cassazione non si deduce che la formulazione delle incolpazioni sottoposte al (OMISSIS) contemplasse fatti materiali diversi da quelli di cui alla lettera di contestazione, ma solo che l’amministrazione pubblica aveva ravvisato un’ipotesi diversa da quella contestata a verbale ai sensi della L. n. 264 del 1991, articolo 9, comma 3 (v. pag 11, rigo 14, del ricorso), la motivazione del rigetto della suddetta doglianza risulta implicita nell’affermazione del Giudice unico secondo il quale, ai fini del soddisfacimento dell’onere di contestazione, sarebbe sufficiente l’indicazione dei fatti.
D’altro canto rileva il Collegio che, per un verso, la censura non attinge il giudizio di fatto secondo cui le circostanze fattuali erano pacifiche e tale giudizio – non sindacabile in sede di legittimita’, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr., sul punto, Cass. n. 9790 del 2011) – non e’ stato specificamente e motivatamente censurato nel mezzo di ricorso in esame. Per altro verso, la suddetta censura va giudicata priva di pregio alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, la quale ha chiarito che, in tema di sanzioni amministrative, il mutamento dei termini della contestazione non e’ causa di illegittimita’ del provvedimento sanzionatorio qualora riguardi soltanto la qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’accertamento, sulla base della quale l’ente irrogatore della sanzione ritenga di passare dalla contestazione di un illecito ad un altro, purche’ a fondamento dell’addebito rettificato non sia posto alcun fatto nuovo; in questa ipotesi, infatti, non si verifica alcuna violazione del diritto di difesa, mantenendo il trasgressore la possibilita’ di contestare l’addebito in relazione all’unico fatto materiale accertato nel rispetto delle garanzie del contraddittorio (cosi’ Cass. n. 6638 del 2007; in termini, Cass. Sez. Un. 20935 del 2009, laddove si richiamano i “principi, piu’ volte espressi da questa stessa corte di legittimita’, a mente dei quali il contraddittorio – e il diritto di difesa – nella fase amministrativa prodromica all’emanazione dell’ordinanza – ingiunzione resta incentrato sul fatto, individuato in tutte le circostanze concrete che valgano a caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento finale”);
– il quarto motivo di ricorso (con il quale viene dedotta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 264 del 1991, articolo 9, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo prevedendo il comma 2 l’emanazione della sola diffida, per cui sarebbe stata applicata una sanzione sfornita del necessario supporto normativo) e’ inammissibile in quanto, come esposto nella censura da parte dello stesso ricorrente, solo in sede di legittimita’ si e’ allegata la questione di diritto concernente la erronea applicazione della L. n. 264 del 1991, avendo peraltro con il quarto motivo di appello eccepito la inesistenza di normativa nazionale per le sanzioni de quibus.
Alla luce di tale precisazione, il motivo deve essere disatteso, atteso che la sentenza impugnata ha deciso la questione conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un. 1949 del 1996), a mente della quale l’opposizione ad ingiunzione amministrativa integra una domanda diretta all’accertamento dell’illegittimita’ della pretesa fatta valere con l’ingiunzione stessa, rispetto alla quale l’opponente assume la veste di attore; con la conseguenza che il mutamento, in grado di appello, della ragione addotta a sostegno dell’indicata illegittimita’ configura una modificazione della “causa petendi”e, quindi, della originaria domanda, soggetta alla preclusione di cui dell’articolo 345 c.p.c., comma 1 (conf. Cass. n. 5846 del 1996; Cass. n. 8230 del 1996). Non rileva appunto che sia rimasto immutato il petitum iniziale, ma l’indicazione di una diversa giustificazione per l’illegittimita’ dell’ingiunzione implica evidentemente l’individuazione di una diversa causa petendi, che proprio alla luce della previsione di cui all’articolo 345 c.p.c., non puo’ essere dedotta in grado di appello;
– il quinto motivo di ricorso (che denuncia la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., per abnormita’ del dispositivo che rigetta il ricorso nonostante la nullita’ della sentenza di primo grado) e’ parimenti infondato in quanto non sussiste la violazione dedotta, per avere il giudice del gravame comunque pronunciato sull’originario ricorso.
Nel giudizio di appello, accanto alla censura volta a far valere il vizio di nullita’ della sentenza, l’appellante aveva riproposto tutte le questioni di merito del giudizio; l’amministrazione, dal suo canto, parimenti aveva concluso perche’ il giudice dell’impugnazione respingesse l’opposizione, con rigetto dell’appello e conferma del provvedimento appellato. Sulla base di tali richieste di entrambe le parti era dunque inequivoca la volonta’ delle medesime di una decisione nel merito; in particolare, la volonta’ della p.a., laddove chiedeva la conferma della impugnata decisione, di ottenere null’altro che la conferma dell’ingiunzione amministrativa. Nessuna violazione dell’articolo 112 c.p.c., ha dunque commesso la sentenza impugnata, essendo il giudice unico tenuto a provvedere ai sensi dell’articolo 162 c.p.c., comma 1.
Come piu’ volte questa Corte ha affermato, l’appello e’ giudizio a contenuto complesso, il quale, secondo il principio dell’assorbimento dei motivi di nullita’ in motivi di impugnazione, cumula innanzi allo stesso giudice le fasi rescindente e rescissoria, salvo ricorra alcuna delle ipotesi eccezionali, dalla legge tassativamente elencate, di prevista limitazione dei poteri del giudice del secondo grado al solo iudicium rescindens, in conseguenza di un prefigurato motivo di rimessione della causa al primo giudice. Pertanto, il giudice di appello, come ha il potere di pronunciare su di una domanda sulla quale il primo giudice ha omesso di pronunciare, ha lo stesso potere quando si e’ in presenza di una pronuncia viziata perche’ adottata in un procedimento conclusosi con una sentenza il cui annullamento non comporti l’obbligo di rimessione al primo giudice.
La sentenza impugnata ha fatto, dunque, corretta applicazione del detto consolidato principio (cfr. Cass. 15 settembre 2004 n. 18571; Cass. 8 agosto 2003 n. 11949; e gia’ Cass. 7 luglio 1999 n. 7054; Cass. 13 marzo 1997 n. 2251).
Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, sempre a carico della parte ricorrente, soccombente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 -quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;
condanna le parti ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dell’amministrazione controricorrente che liquida in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misure del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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