Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 14 marzo 2019, n. 7245.
La massima estrapolata:
Il Fisco può dimostrare l’inesistenza oggettiva delle operazioni sulla base della dichiarazione rilasciata dal curatore fallimentare della società che ha emesso le relative fatture, circa il mancato rinvenimento, in sede di inventario, di beni della società fallita, beni che, invece, secondo la formale rappresentazione delle fatture, avrebbero costituito l’oggetto delle operazioni contestate.
Ordinanza 14 marzo 2019, n. 7245
Data udienza 17 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosaria – rel. Consigliere
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6671/2012 R.G. proposto da
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. in Roma presso l’avv. (OMISSIS), rappres. e difesa dall’avv. (OMISSIS) con procura speciale notarile del 12.4.17, rep. N. (OMISSIS) del notaio (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. presso l’Avvocatura dello Stato che la rappres. e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, n. 200/47/2011 depositata in data 13/9/2011 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2018 dal Cons. Rosario Caiazzo;
RILEVATO
CHE:
La (OMISSIS) s.r.l. impugno’ l’avviso d’accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica generale ai fini irpeg, irap e iva, aveva recuperato a tassazione maggiore imponibile per operazioni inesistenti, per l’anno 2003, chiedendo il pagamento della somma di Euro 293.598,74. L’accertamento traeva origine da una verifica nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il 26.2.03, in ordine alla quale, in sede di l’inventario, non erano stati rinvenuti beni di proprieta’ della stessa impresa fallita; pertanto, le fatture emesse dalla (OMISSIS) s.r.l., nel marzo 2003, erano state ritenute relative ad operazioni inesistenti. La Ctp di Napoli rigetto’ il ricorso.
La (OMISSIS) s.r.l. propose appello assumendo che le suddette operazioni erano riferibili a cessioni commerciali soggettivamente inesistenti ma veritiere, depositando copia di fatture emesse da cui emergeva la successiva cessione di parte della merce acquistata dalla societa’ fallita.
L’Agenzia delle entrate resisteva.
Con sentenza del 13.9.11, la Ctr della Campania rigetto’ l’appello, osservando che: le fatture in questione erano riferibili alla (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il 26.2.03; la societa’ ricorrente non aveva dimostrato di aver annotato nei registri contabili gli acquisti oggetto delle stesse fatture ritenute oggettivamente inesistenti, ne’ di aver pagato il prezzo di tali acquisti che, peraltro, per quanto scritto nelle fatture, avrebbe dovuto avvenire in contanti; era irrilevante la successiva cessione dei beni acquistati dalla societa’ fallita, trattandosi di beni di facile reperibilita’ sul mercato.
La (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
RITENUTO
CHE:
Con il primo motivo e’ dedotta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per travisamento dei fatti processuali, avendo la Ctr affermato che le fatture contestate erano state emesse da un socio della (OMISSIS) s.r.l. che avrebbe agito all’insaputa della stessa societa’, mentre nell’appello era stato sostenuto che le operazioni erano state concluse da un socio, tale (OMISSIS), ingannato da qualcuno che si era presentato quale espressione della fallita (OMISSIS) s.r.l.
Pertanto, la ricorrente lamenta che, in assenza di tale errore processuale su fatto decisivo, il giudizio della Ctp e della Ctr sarebbe stato probabilmente diverso.
Con il secondo motivo e’ denunziata contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo relativo alla dimostrazione della sussistenza delle operazioni contestate, in quanto la motivazione conteneva affermazioni tra loro incompatibili che s’elidevano a vicenda, non consentendo di individuare la ratio decidendi.
Il primo motivo e’ infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita’ in tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente e’ una “cartiera” o una societa’ “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarita’ formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., n. 17619/18; n. 26453/18).
Nel caso concreto, premesso che e’ applicabile ratione temporis la versione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla novella del 2012, l’ufficio ha dimostrato l’oggettiva inesistenza delle cessioni dalla (OMISSIS) s.r.l. per il precedente fallimento di quest’ultima, dichiarato il 26.2.03, considerato che: il curatore fallimentare aveva dichiarato di non aver rinvenuto merce riferibile alla societa’ fallita; l’Ufficio aveva accertato, come evidenziato nella sentenza impugnata, che la (OMISSIS) s.r.l. non aveva dimostrato l’avvenuto pagamento del corrispettivo della merce oggetto delle fatture contestate che riportavano la dicitura “pagamento in contante allo scarico”.
Al riguardo, le indicazioni riportate sulla fattura, senza alcun riscontro oggettivo dell’effettiva esecuzione del pagamento, costituiscono chiaro indice presuntivo dell’inesistenza della cessione della merce, gravando piuttosto sul contribuente l’onere di dimostrare che il pagamento sia realmente stato eseguito (v. Cass., n. 28224/08 in tema di simulazione assoluta di contratto di compravendita).
Nel caso concreto, il contribuente non ha fornito la prova dell’effettivita’ delle stesse cessioni ai fini della deduzione dei costi e della detrazione dell’IVA, ne’ ha allegato l’effettivo pagamento del prezzo, a nulla rilevando, in proposito, che le merci in questione siano state oggetto di fatture di vendita emesse successivamente, di cui peraltro la ricorrente non ha dimostrato l’effettiva sussistenza.
Inoltre, va osservato che il motivo e’ incentrato su una deduzione del tutto irrilevante ai fini della decisione del giudizio (ovvero, il fatto che le cessioni di merce sarebbero state concluse da un socio della (OMISSIS) s.r.l., tale (OMISSIS), ingannato da terzi che avrebbero speso fraudolentemente la ragione sociale della fallita (OMISSIS) s.r.l.).
Al riguardo, giova altresi’ rilevare che e’ rimasto del tutto indimostrato che le cessioni in questione sarebbero state stipulate dal suddetto socio e non, come avrebbe dovuto essere, dall’amministratore della societa’ o da soggetto munito di poteri rappresentativi.
Ne consegue che la censura relativa al vizio motivazionale per travisamento dei fatti processuali e’ del tutto infondata.
Parimenti infondato e’ il secondo motivo.
Il collegio ritiene che non possa predicarsi la contraddittorieta’ della motivazione in quanto, al di la’ di qualche imprecisione semantica contenuta nella sentenza impugnata, la Ctr ha chiaramente argomentato sulla natura oggettivamente inesistente delle cessioni i’n questione e sulla mancata prova contraria da parte del contribuente.
In particolare, e’ erronea la doglianza della societa’ ricorrente in ordine alla contraddizione in cui sarebbe incorso il giudice d’appello nel ritenere, da un lato, l’oggettiva esistenza delle cessioni di merce e, dall’altro, nell’affermare che la societa’ non avrebbe provato l’effettivita’ delle medesime cessioni.
Invero, contrariamente a quanto esposto dalla parte ricorrente, la Ctr non ha affermato che le cessioni in questioni furono oggettivamente esistenti, avendo piuttosto, rilevato che, sebbene fosse stata fornita la prova della (successiva) vendita della merce, la societa’ ricorrente non aveva dimostrato l’effettivita’ dell’acquisto dei beni, riferiti nelle fatture alla fallita (OMISSIS) s.r.l., come desumibile: dalla omessa indicazione delle modalita’ con le quali gli acquisti del materiale vennero annotati nei registri contabili; dalla mancata prova del pagamento del corrispettivo convenuto, come detto.
Pertanto, la motivazione della Ctr e’ chiara e non infirmata da alcuna contraddittorieta’.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida nella somma di Euro 5000,00 oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
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