Il divieto di “reformatio in peius”

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 12 giugno 2019, n. 25985.

La massima estrapolata:

In tema di impugnazioni, non viola il divieto di “reformatio in peius” la sentenza del giudice di appello che, pur in presenza di gravame del solo imputato, lo ritenga responsabile a titolo di dolo e non – come in primo grado – di colpa, senza per questo aggravare il trattamento sanzionatorio, atteso che, per espressa indicazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., il giudice di secondo grado può dare al fatto, nei limiti del devoluto e senza incidere sulla pena, una definizione giuridica più grave.

Sentenza 12 giugno 2019, n. 25985

Data udienza 6 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. DI STASI Antonell – rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/09/2018 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cuomo Luigi, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28/09/2018, la Corte di appello di Bari confermava la sentenza emessa il 12/11/2014 dal Tribunale di Bari, con la quale (OMISSIS) era stato dichiarato responsabile del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, articolo 4, commi 1, 4 bis e 4 ter e condannato alla pena principale di mesi quattro di reclusione ed a quella accessoria del divieto di mesi sei di accedere in luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive o si accettano scommesse autorizzate ovvero si tengono giuochi d’azzardo autorizzati.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione della L. n. 401 del 1989, articolo 4, commi 1, 4 bis e 4 ter e correlato vizio di motivazione, argomentando di essere titolare di autorizzazione rilasciata dall’A.A.M.S. per le scommesse ippiche e di aver ottenuto l’autorizzazione ex articolo 88 T.U.L.P.S. dal Questore di Bari, mentre per le altre scommesse “on line” aveva stipulato con la (OMISSIS) – titolare della concessione per le scommesse sportive n. 3303 e del sito (OMISSIS) – s.r.l. contratto di commercializzazione di ricariche, distribuzione dello schema di contratto di gioco e trasmissione del contratto di gioco sottoscritto dal giocatore; tale circostanze evidenziavano l’insussistenza dell’elemento soggettivo, peraltro riconosciuto dal Tribunale quale colpa e dalla Corte territoriale quale dolo con conseguente reformatio in peius della sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’articolo 131 bis c.p. e correlato vizio di motivazione, lamentando che, pur avendo chiesto in sede di conclusioni l’applicazione dell’articolo 131 bis c.p., la Corte territoriale aveva omesso qualsiasi motivazione in merito.
Con il terzo motivo deduce violazione della L. n. 401 del 1989, articolo 5 e correlato vizio di motivazione per erronea applicazione della pena accessoria. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Risulta incontestato che il (OMISSIS), aggiudicatario di un punto di gioco ippico, in virtu’ di apposita autorizzazione rilasciata dalla SNAI s.p.a, concessionaria di A.A.M.S., per l’esercizio del quale era munito di licenza di cui all’articolo 88 T.U.L.P.S., operava anche la raccolta diretta di scommesse per eventi sportivi calcistici, cosi’ integrando la condotta del reato ascritto, operando, per tale aspetto, in difetto di titolo ex articolo 88 T.U.L.P.S. perche’ autorizzato solo alla commercializzazione di concorsi pronostici su base ippica.
La Corte territoriale ha, quindi, ritenuto sussistente anche l’elemento psicologico del reato contestato, dando rilievo dimostrativo alle seguenti circostanze, emerse dalle risultanze istruttorie e dimostrative della piena coscienza e volonta’ della condotta illecita: contenuto dei contratti che il ricorrente aveva personalmente sottoscritto, con la (OMISSIS). s.r.l., societa’ con sede nel territorio italiano e titolare di concessione per le scommesse sportive, secondo cui al (OMISSIS) veniva affidato esclusivamente lo svolgimento di attivita’ di promozione e pubblicizzazione del gioco a distanza – attivita’ accessoria e propedeutica alla raccolta a distanza di gioco riservata alla sola concedente – e attivita’ di commercializzazione di ricariche; diretta riscossione da parte del (OMISSIS) del denaro ricevuto per le scommesse per eventi sportivi di tipo calcistico con rilascio di ricevuta.
Va ricordato che l’accertamento del dolo, quale prova della coscienza e volonta’ del fatto, costituisce un accertamento di fatto volto a conoscere e ricostruire il fatto storico e deve fondarsi sulla considerazione di tutte le circostanze esteriori dello dai quali il giudice inferisce la sussistenza o meno di una determinata realta’ psicologica (SSUU 38343/2014 Rv. 261105; 16465/2011 Rv. 250007; 4912/1989 Rv. 180979).
Nella specie, la motivazione offerta dalla Corte territoriale a fondamento dell’accertamento dell’elemento psicologico ha tenuto conto di tutti gli elementi fattuali rilevanti, e si connota come adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimita’.
Il ricorrente, peraltro, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Ne’ coglie nel segno la dedotta violazione del divieto di reformatio in peius, avendo la Corte territoriale ritenuto il ricorrente responsabile a titolo di dolo e con a titolo di colpa come affermato, invece, dal Tribunale, senza alcun effetto sulla pena irrogata.
Non viola, infatti, il divieto di reformatio in peius, la sentenza del giudice di appello che, pur in presenza di gravame prodotto dal solo imputato, lo ritenga responsabile a titolo di dolo e non – come in primo grado – di colpa, senza per questo aggravare il trattamento sanzionatorio, atteso che, per espressa indicazione dell’articolo 597 c.p.p., comma 3, il giudice di secondo grado puo’ dare al fatto, nei limiti del devoluto e senza incidere sulla pena, una definizione giuridica piu’ grave (Sez.5, n. 8932 del 09/06/2000, Rv.217726).
2. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
La Corte territoriale disattendeva il motivo di gravame relativo all’erroneita’ della pena accessoria applicata dal Tribunale, rimarcandone l’estrema genericita’, e confermava l’applicazione di tale pena, nella misura minima di sei mesi applicata dal primo Giudice, richiamando, sul punto, la disposizione normativa di cui alla L. n. 401 del 1989, articolo 5 che ne prevede espressamente l’applicazione in caso di condanna per i delitti di cui agli articoli 1 e 4.
3. E’, invece, fondato il terzo motivo di ricorso.
Nella sentenza impugnata, pur avendo la difesa dell’imputato formulato richiesta di applicazione della causa di non punibilita’ dell’articolo 131 bis c.p., non vengono esplicitate le ragioni del relativo diniego.
Il silenzio della decisione sul tema vizia parzialmente l’atto decisorio e tale omissione investe un ambito della decisione rimesso all’esclusivo apprezzamento fattuale del giudice di merito.
3. Consegue, pertanto, l’annullamento parziale della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito affinche’ valuti, con giudizio di fatto non surrogabile in questa sede, l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p., con la precisazione che l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna per la verifica della sussistenza dell’articolo 131 bis c.p., impedisce l’applicabilita’ nel giudizio di rinvio della eventuale causa di estinzione del reato per prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Sez.3, n. 50215 del 08/10/2015, Rv.265434).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilita’ dell’articolo 131 bis c.p. con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari per nuovo esame. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.

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