Il diritto di pretendere la potatura dei rami degli alberi del vicino

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 26 agosto 2019, n. 21694

 

Massima estrapolata:

Il diritto di pretendere la potatura dei rami degli alberi del vicino che si protendono sulla proprietà altrui, così come disciplinato dall’art. 896 c.c. può essere esercitato anche da una fondazione bancaria, la quale agisce quale semplice soggetto privato a tutela di un proprio diritto leso dalla condotta di altro soggetto privato, senza con ciò coinvolgere lo scopo istituzionale dell’Ente. 

Ordinanza 26 agosto 2019, n. 21694

Data udienza 28 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 23776-2015 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
FONDAZIONE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS) in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7078/2014 della CORTE d’APPELLO di ROMA, depositata il 18.11.2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 4.7.2008, la FONDAZIONE (OMISSIS) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Roma (OMISSIS), chiedendo la condanna del medesimo al taglio dei rami degli alberi protendenti dal fondo di proprieta’ del (OMISSIS) a quello confinante di proprieta’ dell’attrice, nonche’ la condanna all’estirpazione degli alberi di fico e di lauro e di qualunque altro albero posto a ridosso del confine o al taglio della sommita’ degli alberi medesimi nella parte in cui sovrastavano il muro di confine, oltre alla condanna al risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio (OMISSIS), il quale, premettendo che gli alberi erano stati piantati da oltre 60 anni, affermava che, nelle more, essendo giunto il momento favorevole al taglio dei rami, era stata effettuata la potatura di quelli protendenti sul cortile di proprieta’ dell’attrice.
Espletata CTU, con sentenza n. 5413/2012 depositata in data il 15.3.2012, il Tribunale di Roma accoglieva la domanda attrice, condannando il convenuto al taglio dei rami degli alberi sul suo fondo prospicienti su quello confinante dell’attrice e alla potatura in altezza di quelli eccedenti l’altezza del muro di confine; rigettava la domanda di risarcimento dei danni.
Contro tale sentenza proponeva appello il (OMISSIS), chiedendone la riforma, previo riconoscimento dell’eccepita usucapione, con rigetto della avversa domanda e con la condanna della Fondazione alle spese del giudizio, deferendo giuramento decisorio alla controparte.
Si costituiva la Fondazione (OMISSIS), eccependo l’inammissibilita’ del gravame per carenza di interesse ad agire, non essendo stata disposta la rimozione delle piante ma solo la loro riduzione in altezza; l’inammissibilita’ dell’eccezione di usucapione, in quanto proposta per la prima volta in appello; l’irritualita’ del deferito giuramento decisorio e il rigetto del gravame nel merito.
Con sentenza n. 7078/2014, depositata in data 18.11.2014, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello confermando l’impugnata sentenza e condannando l’appellante alle spese di lite del grado.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di sei motivi; resiste la Fondazione (OMISSIS) con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – La Fondazione (OMISSIS) eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilita’ del ricorso per mancata indicazione dei motivi di appello e violazione del principio di autosufficienza.
L’eccezione appare superabile in ragione della, seppur sintetica, motivazione in ordine alle ragioni dell’appello, enucleabili dal contesto argomentativo dell’atto.
2. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Nullita’ della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e contraddittorieta’ della stessa (articolo 360 c.p.c., n. 5)”, poiche’ la Corte di merito avrebbe omesso di esaminare la CTU, condannando il (OMISSIS) a recidere i rami che si protendevano nella confinante proprieta’ dell’appellata Fondazione, ed a tagliare le piante sul confine, la cui altezza superava il muro e fino alla sommita’ di esso; laddove la CTU, invece, sconsigliava di ricorrere alla rimozione della parte superiore, in quanto essa lasciava una ferita esposta, nella quale si insediavano insetti e agenti patogeni con formazioni di marcescenza. Peraltro, la sentenza d’appello non avrebbe preso in esame altro fatto decisivo, riguardante la individuazione degli alberi che avrebbero dovuto essere oggetto di taglio nella parte superiore.
2.1. – Il motivo e’ inammissibile.
2.2. – L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 18 novembre 2014) consente (Cass. n. 8053 e n. 8054 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioe’, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, ovvero (come nella specie) di contraddittorieta’ della stessa – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).
Nel rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe, dunque, dovuto specificamente e contestualmente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Viceversa, nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter accedere all’esame del parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ traccia alcuna, se non l’apodittica affermazione di una, non altrimenti spiegata, decisivita’ (rispetto all’esito della lite) delle risultanze della CTU, che sconsigliava di ricorrere alla rimozione della parte superiore, e della individuazione di quali alberi avrebbero dovuto essere oggetto di taglio nella parte superiore.
2.3. – Cosi’ formulate le censure si risolvono, piuttosto, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto e delle conseguenze di diritto come emerse nel corso del procedimento, cosi’ mostrando il ricorrente di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per cio’ solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri piu’ consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilita’ nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimita’ (Cass. n. 5939 del 2018). Compito della Cassazione non e’ quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, onde sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimita’ limitarsi a controllare se costui (come avvenuto nella specie) abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
3. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Nullita’ per violazione di legge (articolo 892 c.c. in relazione all’articolo 1158 c.c.)” in quanto gia’ nella comparsa di costituzione, il medesimo aveva rilevato che gli alberi erano stati piantati, nel sito attuale, circa 60 anni prima (almeno 40 per il CTU) e che mai alcuno aveva chiesto il loro taglio. A fronte di cio’ i giudici di merito non avevano ritenuto di dare peso alla vetusta’ delle piante, con conseguente maturazione del termine per l’usucapione.
3.1. – Il motivo non puo’ trovare accoglimento.
3.2. – La Corte di merito ha, correttamente, rilevato come fosse inammissibile l’eccezione di usucapione, in quanto proposta per la prima volta in sede di appello in paese violazione del disposto di cui all’articolo 345 c.p.c..
Dal contenuto del ricorso in cassazione si evince, infatti, che il ricorrente aveva rilevato (fin dalla comparsa di costituzione e risposta in primo grado) che gli alberi erano stati piantati nella loro attuale ubicazione circa 60 anni prima e che mai, prima dell’atto di citazione da cui origina il giudizio, alcuno avesse chiesto il loro taglio. Ma un tale assunto, in difetto di uno specifico richiamo al contenuto della comparsa di costituzione in primo grado, non consente di poter configurare la tempestiva proposizione di una effettiva eccezione di usucapione degli alberi, come invece dedotto dal ricorrente, senza peraltro rispettare la necessaria autosufficienza del ricorso.
3.3. – E’ principio consolidato che i requisiti di contenuto e forma previsti, a pena di inammissibilita’, dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, debbano essere assolti necessariamente con il ricorso e non possano essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex plurimis Cass. n. 29093 del 2018; conf. Cass. n. 20694 del 2018).
Il ricorrente ha, dunque, l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dello stesso, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresi’ Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo cosi’ reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilita’) e dall’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilita’ del ricorso) (Cass. n. 17168 del 2012). Il ricorrente ha il dovere quindi di indicare – mediante anche la trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessita’ di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012).
3.4. – Peraltro, il diritto di far protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante non puo’ essere acquistato per usucapione, riconoscendo espressamente l’articolo 896 c.c. al proprietario del fondo, sul quale, essi protendono, il potere di costringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo. Ne consegue che non rileva la sussistenza di un muro divisorio, proprio o comune, sul confine, in quanto, ai sensi dell’articolo 892 c.c., le piante devono essere tenute, in ogni caso, ad un’altezza che non ecceda la sommita’ del muro stesso (Cass. n. 14632 del 2012).
4. – Con altri motivi, il ricorrente deduce la “Mancata applicazione delle norme del Comune di Roma relative ai Vincoli della Citta’ Storica”, di cui al P.R.G. vigente, finalizzati alla conservazione e valorizzazione delle qualita’ esistenti e al recupero di spazi esterni e interni (corti, orti, giardini); nonche’ le norme a tutela dei beni culturali Decreto Legislativo n. 42 del 2004, ex articolo 20 (terzo motivo); la “Nullita’ per mancato rispetto del protocollo di Kyoto, ratificato con la L. n. 120 del 2002”, che tutela il patrimonio arboreo, volto a contenere le emissioni di gas nocivi (quarto motivo); la “Nullita’ per violazione e mancata applicazione della L. n. 10 del 2013”, i cui articoli 6 e 7 tutelano il patrimonio arboreo esistente nelle aree scoperte di pertinenza degli edifici, cosi’ come la L. n. 449 del 1997, articolo 43 come modificata dalla L. n. 10 del 2013, che prevede sia favorito l’assorbimento delle emissioni di anidride carbonica tramite l’incremento e la valorizzazione del patrimonio arboreo delle aree urbane (quinto motivo).
4.1. – Tutti questi motivi, in quanto formulati e proposti per la prima volta nel ricorso per cassazione sono inammissibili.
I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilita’, questioni che siano gia’ comprese nel giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimita’ questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito (Cass. n. 907 del 2018).
5. – Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la “Nullita’ per mancata applicazione della L. n. 218 del 1990”, in quanto la Corte d’appello non ha tenuto conto dell’eccezione di carenza di legittimazione della Fondazione a richiedere il taglio degli alberi, in quanto esso contrasta con lo scopo istituzionale della Fondazione stessa, cioe’ quella della tutela dell’ambiente.
5.1. – Il motivo e’ infondato.
5.2. – Il diritto di pretendere la potatura dei rami degli alberi del vicino che si protendono sulla proprieta’ altrui, cosi’ come disciplinato dall’articolo 896 c.c. (ovvero, con riguardo alle prescrizioni circa i limiti di altezza, dall’articolo 892 c.c., u.c.), non e’ limitato dalle norme pubblicistiche a tutela del paesaggio in quanto tra i due ordini di norme non sussiste un nesso di specialita’, essendo la disciplina codicistica rivolta alla tutela delle proprieta’ privata e quella pubblicistica alla protezione del patrimonio paesaggistico nel suo complesso (Cass. n. 19035 del 2008).
5.3. – Tale ultima considerazione consente di superare la considerazione secondo cui la Corte di merito non avrebbe tenuto conto dell’eccezione di carenza di legittimazione della Fondazione a richiedere il taglio degli alberi, in quanto contrastante con lo scopo istituzionale della Fondazione stessa, cioe’ quella della tutela dell’ambiente.
Nella specie, risulta evidente come la Fondazione abbia agito civilisticamente quale semplice soggetto privato a tutela di un proprio diritto leso dalla condotta di altro soggetto privato, senza con cio’ coinvolgere lo scopo istituzionale dell’Ente.
6. – Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore di parte controricorrente. Va emessa altresi’ la dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 800,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

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