Il diritto del singolo socio a percepire gli utili

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 marzo 2022| n. 6865.

Nelle società di persone, il diritto del singolo socio a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art. 2262 c.c., alla approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri di valutazione, a quella di un bilancio e non è surrogabile dalle dichiarazioni fiscali della società. (Affermando tale principio la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto la voce “prelevamento soci” idonea a formare l’attivo patrimoniale della società, in relazione alla soglia di fallibilità dell’art. 1, comma 2 lett. a), l.fall.).

Ordinanza|2 marzo 2022| n. 6865. Il diritto del singolo socio a percepire gli utili

Data udienza 23 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Societa’ – Di persone fisiche (nozione, caratteri, distinzioni) – Societa’ semplice – Rapporti tra soci – Partecipazione ai guadagni e alle perdite – In genere diritto del socio agli utili – Art. 2262 c.c. – Approvazione del rendiconto – Necessità – Surrogabilità con le dichiarazioni fiscali della società – Esclusione – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 11638/2016 r.g. proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), in proprio e quali soci legali rappresentanti della (OMISSIS) S.N.C. (OMISSIS), con sede in (OMISSIS), tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), e dall’Avvocato Prof. (OMISSIS), con i quali elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS).
– ricorrenti –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) S.N.C. (OMISSIS), in persona del curatore Dott.ssa (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza, n. cron. 756/2016, della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA del 31/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 23/02/2022 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Il diritto del singolo socio a percepire gli utili

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ed (OMISSIS), in proprio e quali soci legali rappresentanti della (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS), ricorrono per cassazione, affidandosi a cinque motivi, contro la sentenza della Corte di appello di Venezia del 31 marzo 2016, n. 756, reiettiva del reclamo da essi promosso, L. Fall., ex articolo 18, avverso la dichiarazione del proprio fallimento pronunciata dal Tribunale di Treviso, il (OMISSIS), su istanza di (OMISSIS) ed (OMISSIS). Queste ultime ed il fallimento sono rimasti solo intimati.
1.1. Per quanto qui di interesse, quella corte, nel disattendere il motivo di reclamo della menzionata societa’ volto ad affermare la sussistenza, nei tre esercizi precedenti il deposito dell’istanza di fallimento, dei requisiti, di cui alla L. Fall., articolo 1, comma 2, per andare esente dal fallimento, ha cosi’ opinato: “Stante l’insufficienza degli elementi disponibili, la Corte ha disposto l’acquisizione della relazione L. Fall., ex articolo 33, del curatore fallimentare, dall’esame della quale risulta, invece, che l’attivo patrimoniale ha superato il limite di Euro 300.000 nell’esercizio 2013. Infatti, a pag. 13 e ss. della relazione, risulta testualmente: “… I dati patrimoniali sono esposti per gli anni dal 2010 al 2013 e sono riclassificati secondo lo schema civilistico. I dati 2014 e 2015, per quanto sopra detto, non sono disponibili.% Non e’ contestato che la riclassificazione dei dati secondo lo schema civilistico, la cui fonte dichiarata sono i libri inventari e le situazioni contabili, necessaria all’applicazione della norma in esame, sia stata correttamente seguita e da essa risulta, alla voce ATTIVO PATRIMONIALE per l’esercizio al 31.12.2013, (la) somma di 335.547 Euro”. All’udienza odierna, in sede di discussione, i ricorrenti hanno sostenuto che il dato in esame andrebbe ridotto ad Euro 188.142, in quanto la somma di Euro 146.914 corrisponde a prelievi dei soci e pertanto, trattandosi di societa’ di persone, la posta non dovrebbe essere considerata un credito vero e proprio della societa’. In subordine, si obietta che il credito andrebbe completamente svalutato perche’ i debitori, cioe’ i soci, risultano del tutto impossidenti. Gli argomenti non sono condivisibili. Va premesso che non e’ contestato il prelievo dei soci in conto anticipazione utili. Il principio generale per cui le societa’ di persone sono dotate di autonomia patrimoniale, il loro patrimonio e’ distinto da quello dei soci ed e’ destinato al conseguimento dell’oggetto sociale e all’adempimento delle obbligazioni contratte per la societa’, non subisce alcuna deroga in sede di applicazione dei criteri di cui alla L. Fall., articolo 1.

 

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Non vi e’ confusione fra patrimonio della societa’ e patrimonio dei soci, ne’ fra debiti sociali e loro debiti personali. I prelievi dei soci dal patrimonio sociale costituiscono altrettanti crediti della societa’, regolarmente risultanti dalle scritture contabili. Le somme relative ai prelievi erano liquidita’ presente nelle casse sociali e vanno a costituire l’attivo patrimoniale del relativo esercizio. Infine, e’ del tutto fuorviante la pretesa che detti crediti debbano essere svalutati ora per allora in relazione alla asserita incapienza dei soci che non sarebbero in grado di restituirli perche’ questo assunto attiene, semmai, alla determinazione dell’attivo acquisito/acquisibile alla massa fallimentare ed alla convenienza delle azioni che la procedura potrebbe intraprendere. Questo piano non va confuso con la quantificazione del patrimonio attivo della societa’ che va determinato all’epoca del relativo bilancio di esercizio secondo i principi contabili a cui fanno riferimento gli articolo 2426 c.c. e segg.. Tanto (sia) in conformita’ al tenore testuale della L. Fall., articolo 1 – “… attivo patrimoniale del valore complessivo annuo inferiore ad Euro 300.000″ – che in conformita’ a quanto costantemente ritenuto dalla giurisprudenza (Cass. Civ. 47382012, 27088/2011)”.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso denunciano, rispettivamente:
I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., articolo 1, comma 2, lettera a), in combinato disposto con gli articoli 2217 e 2424 c.c.. Insussistenza dei presupposti per la declaratoria di fallimento”. Si assume che: i) “E’ evidente che il giudicante, formalisticamente ancorandosi all’asettico dato letterale della norma secondo l’attuale formulazione della L. Fall., articolo 1, comma 2, ha in mente l’autonomia patrimoniale perfetta tipica delle societa’ di capitali, mentre non tiene in alcun conto ne’ del fatto che nelle societa’ di persone non esiste una pari perfezione, ne’ – fatto certamente piu’ rilevante – che, nel caso di imprese di modestissima entita’ (normalmente nemmeno soggette a redazione del bilancio in forma ordinaria), il valore dell’attivo patrimoniale va letto in modo sostanzialistico, cioe’ valutando – salvo il caso di falsita’ dei bilanci – la consistenza effettiva dell’attivita’ imprenditoriale al fine di correttamente apprezzare la realta’ economica dell’impresa”; ii) “nel caso di specie esiste un conto “Soci c/prelevamenti” che, tra il 2012 ed il 2013, varia di “ben” 1.000,00 (Euro) e che non riguarda neppure un valore relativo al periodo, ma viene riportato dagli anni precedenti in modo sostanzialmente uniforme. Di piu’, sia nel periodo 2012-2013 che per gli anni immediatamente precedenti, tale conto costituisce addirittura la voce prevalente dell’attivo patrimoniale”; iii) “in ben due occasioni (…), il Curatore ha rimarcato che tale posta non va considerata come credito vero e proprio e cio’ non perche’ non e’ esigibile, ma proprio perche’ il credito non esiste nella realta’ ed, in ogni caso, perche’ distorce l’unico valore che la norma di cui alla L. Fall., articolo 1, vuole venga presa in considerazione: l’effettiva consistenza economica dell’attivita’ imprenditoriale”; iv) la corretta lettura degli articoli 2424, 2425 e 2217 c.c., “passa attraverso l’attenta osservazione del fatto che lo scopo della riforma (della Legge Fallimentare) non e’ stato quello di fissare “semplicemente” una soglia minima di natura contabile, ma di individuare un criterio economico concreto per la valutazione delle effettive dimensioni dell’impresa, operando una verifica che tenga conto dell’effettivo attivo patrimoniale quale espressione della reale dimensione dell’impresa: il che esclude, per ragioni facilmente intuibili, ogni valore ad un dato di per se stesso indifferente rispetto alle dimensioni dell’impresa-societa’ di persone”; v) l’errore in cui e’ incorsa la corte distrettuale “e’ l’aver apoditticamente assunto che l’attivo patrimoniale fosse pari ad Euro 227.414,00 per il 2012 e ad Euro 335.556,00 per il 2013, con cio’ concludendo per la fallibilita’ della societa’ per aver “sforato” il tetto dei 300.000,00 Euro di attivo patrimoniale nell’anno 2013″;

 

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II) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2426 c.c., rispetto ai requisiti di cui alla L. Fall., articolo 1, comma 2, lettera a), determinati alla luce degli articoli 2217 e 2424 c.c. letti in conformita’ dell’O.I.C. 15: Insussistenza dei presupposti per la declaratoria di fallimento sotto un diverso profilo”. Si contesta alla corte lagunare di avere “erroneamente ritenuto che i ricorrenti stessero invocando l’OIC 15 al fine di “ridimensionare” il debito”, laddove, invece, quel principio contabile “e’ stato insistentemente richiamato in tale sede non per “correggere” i dati di bilancio, ma per dare una esatta chiave di lettura al fine di individuare il giusto criterio per definire l’attivo patrimoniale al 2012 ed al 2013. Il criterio de quo contribuisce a dare conferma del fatto che, seppure esposta, la posta “Soci c/prelevamenti” non va tenuta in alcuna considerazione, tanto piu’ se utilizzata al fine di individuare la reale dimensione dell’impresa”.
2. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perche’ chiaramente connesse, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento.
2.1. Invero, la voce patrimoniale relativa al prelevamento dei soci, ove riscontrata nei bilanci delle societa’ di persone, trova giustificazione, essenzialmente: a) nel carattere personale del rapporto che lega il singolo socio alla societa’; b) nelle minori formalita’ cui sono soggette questo tipo di societa’ rispetto a quelle di capitali.
2.2. Nell’operativita’ attuale, poi, non sono infrequenti le prassi intese a qualificare i prelievi dalla cassa sociale da parte dei soci, seppur riferiti ad esercizi ancora in corso, nei termini di “percezione di utili”; ed altresi’ a ritenere le attribuzioni patrimoniali, che questi prelievi producono, come senz’altro definitive e quindi intangibili: all’unica condizione che consti il previo consenso di tutti i soci.
2.2.1. Tale valutazione – cosi’ si afferma in letteratura – trae elemento di decisivo supporto nella sentenza emessa da questa Corte in data 9 luglio 2003, n. 10786 (non massimata). Questa pronuncia ha ritenuto, in particolare, che “quanto alla possibilita’, in una societa’ in nome collettivo, di imputare dei pagamenti a utili sociali di competenza del periodo in corso, ancor prima del rendiconto, essa e’ consentita dall’articolo 2262 c.c.. Questa norma, infatti, nel subordinare la distribuzione degli utili all’approvazione del rendiconto, ammette espressamente il patto contrario”.

 

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2.2.2. Per la verita’, tale pronuncia ha, in se’ stessa, un orizzonte alquanto circoscritto, posto che risulta fermata sul punto rappresentato dalla possibilita’ di imputare un trasferimento di somme a versamento di utili. Rappresenterebbe una forzatura, pertanto, attribuirle il senso di ritenere la definitivita’ ed intangibilita’ dell’attribuzione patrimoniale cosi’ posta in essere (e non gia’ quello – comunque non privo di significato – di ammettere un’attribuzione “provvisoria” e condizionata al riscontro dell’effettiva sussistenza degli utili di periodo).
2.3. In ogni caso, i contenuti espressi da tale decisione sono stati superati dalla (successiva) evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha appunto affermato che “nelle societa’ di persone il diritto del singolo socio a percepire gli utili e’ subordinato, ai sensi dell’articolo 2262 c.c., all’approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri di valutazione, a quella di un bilancio” (cfr. Cass. n. 28806 del 2013; Cass. n. 17489 del 2018; nella medesima direzione si puo’ gia’ vedere, peraltro, Cass. n. 1240 del 1996).
2.3.1. Vero e’ che questi arresti non si sono occupati in modo diretto di una eventuale “derogabilita’ pattizia” del principio cosi’ enunciato. Non pare dubbio, tuttavia, che esse muovano propriamente dal presupposto della imperativita’ della regola per cui “non puo’ farsi luogo a ripartizione di somme fra soci, se non per utili realmente conseguiti” (secondo quanto prescrive in modo espresso, per le societa’ in nome collettivo, quale e’, nella specie, la (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS), l’articolo 2303 c.c.). Come viene a rimarcare la notazione (svolta da Cass., n. 17489 del 2018) secondo cui la distribuzione di utili, che non siano effettivamente conseguiti, e’ fenomeno che tende, per sua propria natura, a produrre un “rimborso mascherato dei conferimenti”.

 

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2.4. Non si puo’ in ogni caso trascurare, nell’indicata direzione, che la richiamata regola risulta presidiata da un’apposita sanzione penale nei confronti degli amministratori, che “ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti” (articolo 2627 c.c.).
2.5. Ne’, poi, si rivela d’ostacolo ad una simile lettura la circostanza che la norma dell’articolo 2262 c.c. – nel dichiarare il diritto del socio a percepire la “sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto” – fa salvo il “patto contrario”. Che questa possibilita’ si mostra riferita, secondo la piana lettura del testo normativo, alla possibilita’ di “limitare”, non gia’ di “espandere”, il diritto del socio alla percezione degli utili di periodo; e cosi’, in specie, alla possibilita’ che lo statuto sociale venga a subordinare – durante la vita della societa’ – la distribuzione degli utili al consenso della maggioranza dei soci.
2.6. Nel sistema in oggi vigente, gli utili di periodo si formano in relazione all’esito dei singoli esercizi sociali, secondo quanto dispone la norma generale dell’articolo 2217 c.c.. Le societa’ di persone non conoscono, d’altra parte, la possibilita’ di distribuire degli acconti sui dividendi, secondo quanto si ricava (se non altro) dalla norma dell’articolo 2433-bis c.c..
2.6.1. Dal testo delle norme dell’articolo 2433 c.c., comma 4 e articolo 2433-bis c.c., comma 7, si ricava agevolmente, inoltre, che la distribuzione di utili non effettivamente conseguiti configura un’ipotesi di indebito oggettivo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2033 c.c..
2.6.2. Da tutto cio’ deriva che il prelievo di somme dalle casse sociali da parte dei soci – che non trovino la loro esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti dalla societa’ (circostanza in relazione alla quale nulla specificano gli odierni ricorrenti) – comporta senz’altro il sorgere del diritto della societa’ di ripetere le somme, che sono state concretamente distribuite, nei confronti di ciascun socio che le abbia fatte proprie.
2.6.3. Nel rispetto di queste condizioni, la voce di bilancio (“prelevamento soci”) in questione viene a rappresentare una posta non fittizia, bensi’ effettiva e, come tale, idonea a formare l’attivo patrimoniale della societa’ in relazione alla norma della L. Fall., articolo 1, comma 2.
2.6.4. Deve concludersi, allora, che, come recentemente stabilito da Cass. n. 979 del 2021, concorrono a formare l’attivo patrimoniale che viene preso in considerazione dalla norma della L. Fall., articolo 1, comma 2, lettera a), i prelievi di somme dalla cassa sociale da parte dei soci di una societa’ in nome collettivo, che non trovino la loro esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti, atteso che le somme cosi’ percepite sono soggette ad azione di ripetizione di indebito da parte della societa’.
2.7. Infine, laddove viene fatto riferimento a documentazione contabile (del 2013) e ad asserite affermazioni del curatore (cfr. pag. 6 del ricorso), le censure in esame obliterano totalmente che, “in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimita’” (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019; Cass. n. 18695 del 2021).
3. Il terzo motivo di ricorso e’ rubricato “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione: errata supposizione dell’esistenza del presupposto di cui alla L. Fall., articolo 1, comma 2, lettera a)”. Richiamandosi le argomentazioni gia’ esposte nei motivi precedenti, si insiste nell’affermare che “la consistenza dell’attivo patrimoniale rilevante ai fini di cui alla L. Fall., articolo 1, non e’ quella individuata dal Collegio giudicante”, atteso che “come gia’ osservato, il valore di bilancio utile al fine di determinare l’attivo patrimoniale per gli anni 2012 e 2013 e’ rispettivamente pari ad Euro 81.900,00 per il 2012 e ad Euro 188.642 per il 2013. Il giudice ha errato nel prendere in considerazione anche la posta “Soci c/prelevamenti”, giacche’, come e’ pacifico tra le parti del giudizio, di tale posta non deve essere tenuta alcuna considerazione al fine l’effettiva consistenza dell’attivo di bilancio”.
3.1. Questa doglianza – ancor prima che infondata, avendo la corte specificamente esaminato il tema – e’ inammissibile, atteso che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo “novellato” dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis risultando impugnata una sentenza pubblicata il 31 marzo 2016), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e da prospettarsi nel rispetto dei puntuali oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, n. 8054 del 2014. Esso, dunque, non ricomprende questioni o argomentazioni (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicche’ sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, pure nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
4. Il quarto ed il quinto motivo, infine, denunciano, rispettivamente:
IV) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., articolo 1, comma 2, lettera a), e degli articoli 2217 e 2424 c.c., in combinato disposto con i principi CEDU e della Carta dei Diritti Fondamentali UE. Insussistenza dei presupposti per la declaratoria di fallimento”. Si richiamano le medesime argomentazioni di cui ai motivi precedenti al fine di affermare che “dichiarare che la prova gia’ “nelle mani” della Corte d’Appello non puo’ essere presa in considerazione costituisce palese violazione degli articoli 6 e 17, CEDU e dell’articolo 47 della Carta Dei Diritti Fondamentali UE, in uno con la L. Fall., articolo 1. Si tenga conto che, trattandosi di una societa’ in nome collettivo, con la societa’ sono falliti anche i suoi due soci. Essendo agli atti del giudizio d’opposizione la prova piena del fatto che non sussistono i presupposti per la fallibilita’ ed avendo il Collegio giudicante avuto tale documentazione nella propria diretta disponibilita’ prima di pronunciarsi, appare evidente che la procedura ed il conseguente provvedimento definitorio sono gravemente viziati per eccesso di formalismo (…) dal momento che: 1. e’ agli atti la prova dell’insussistenza dei presupposti; 2. la stessa e’ confermata in atti dalla stessa curatela che e’ rimasta estranea al giudizio ma non inerte, ha confermato l’assenza di presupposti (…). Invero, anche senza guardare i bilanci e/o la contabilita’, la mera lettura della relazione L. Fall., ex articolo 33, risolve ogni dubbio. Nulla, dunque, avrebbe potuto o dovuto impedire al Collegio di giudicare sostanzialmente fondate le doglianze formulate dalla societa’ ricorrente”;
V) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Violazione degli articoli 6 e 13 CEDU e dell’articolo 47 della Carta dei Diritti Fondamentali UE proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000”. Si ripropongono, sotto il diverso profilo procedurale ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, le identiche argomentazioni esposte nel quarto motivo.
4.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perche’ connesse, si rivelano complessivamente inammissibili.
4.1.1. Richiamate, infatti, le considerazioni tutte gia’ poste a fondamento del mancato accoglimento dei primi due motivi, e’ qui sufficiente rimarcare, esclusivamente, che le descritte censure, peraltro estremamente generiche, sono volte sostanzialmente a contestare la ricostruzione, evidentemente di carattere fattuale e qui non ulteriormente sindacabile, con cui la corte distrettuale ha ritenuto insussistenti (con particolare riguardo all’attivo patrimoniale del 2013) i requisiti di non fallibilita’, L. Fall., ex articolo 1, comma 2, invocati dalla (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS), sicche’ le critiche ivi sviluppate investono il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, dello specifico requisito predetto), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 non puo’ essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 596 del 2022; Cass. n. 2959 del 2021; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per cio’ solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri piu’ consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonche’ le piu’ recenti Cass. n. 8758 del 2017, Cass. n. 2959 del 2021 e Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 596 del 2022).
5. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessita’ di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimita’, essendo il fallimento e le creditrici istanti rimasti solo intimati, dandosi atto altresi’ – in assenza di ogni discrezionalita’ al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spettera’ all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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