Il dipendente che rifiuta due ricollocazioni

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Ordinanza 1 luglio 2019, n. 17634.

La massima estrapolata:

A seguito di una riorganizzazione aziendale, il dipendente che rifiuta due ricollocazioni, anche presso altra sede, non può poi chiedere il danno da demansionamento per le nuove mansioni assegnategli anche se esse siano in parte estranee alla professionalità e all’esperienza pregresse del lavoratore. Il rifiuto del dipendente di accettare le due posizioni offerte dalla società rappresenta, infatti, un elemento idoneo ad esonerare la responsabilità del datore per il dedotto inadempimento all’art. 2103 c.c.

Ordinanza 1 luglio 2019, n. 17634

Data udienza 4 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 7111/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) c/o l’Ufficio (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 71/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 18/03/2014 R.G.N. 461/2013.

RILERVATO

che:
Con sentenza n. 71 del 20014 la corte d’Appello di Brescia in accoglimento del gravame di (OMISSIS) Spa ha respinto la domanda di (OMISSIS), dipendente (OMISSIS), che in primo grado aveva chiesto che fosse accertato il demansionamento subito a far tempo dal 2005 e che la datrice di lavoro fosse condannata a riammetterla nelle mansioni precedentemente svolte ed al risarcimento del danno.
La corte bresciana ha ritenuto che (OMISSIS) avesse provato, attraverso l’istruttoria svolta in primo grado, che l’adibizione alle mansioni di addetta al Customer care 187 era legittima in quanto, a seguito di una riorganizzazione aziendale, era stata ridotta la forza lavoro della societa’ nell’area di Brescia, con eliminazione di figure di supporto alla vendita, ridotte solo a due e poi ad una soltanto; che inoltre la lavoratrice aveva rifiutato due possibilita’ di ricollocamento, una di addetta al supporto alla vendita presso la sede di Milano, l’altra di venditrice presso il negozio aziendale unificato (OMISSIS) di (OMISSIS);
la corte territoriale ha poi rilevato che la scelta effettuata dalla societa’ di mantenere altro dipendente nel solo posto residuo era derivata dal fatto che costui aveva svolto in passato mansioni di venditore e che pertanto, sussistendo le ragioni obiettive della riduzione delle posizioni lavorative in ragione della avvenuta riorganizzazione con riduzione dei posti di supporto alla vendita, non era sindacabile la scelta della societa’ della persona lasciata nell’unico posto residuato, non essendo la stessa pretestuosa o irrazionale o effettuata in mala fede, come si poteva evincere anche dalle testimonianze raccolte in primo grado;
ha poi ritenuto la corte bresciana che le mansioni svolte dalla (OMISSIS) dal 2007 in qualita’ di addetta al call center 187 non fossero dequalificanti rispetto a quelle svolte in precedenza, perche’ pur sempre rientranti nel 4 livello posseduto e ad esse equivalenti, non essendo rilevante la circostanza che venissero di fatto svolte maggiormente alcune attivita’, verosimilmente piu’ semplici, atteso che la lavoratrice doveva comunque conoscere approfonditamente i software aziendali per gestire direttamente il cliente e che comunque l’attribuzione di dette mansioni erano derivate dall’inesistenza delle pregresse mansioni svolte e dal rifiuto opposto dalla (OMISSIS) di accettare il trasferimento presso le sede milanese;
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) affidato a tre motivi, a cui ha resistito (OMISSIS) SPA con controricorso, atti illustrati poi da memorie ex articolo 380 bis 1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:
con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’articolo 434 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente respinto l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello di (OMISSIS) spa sollevata dalla lavoratrice per la mancanza di specificita’ dei motivi che si erano concretati in generiche censure alla sentenza appellata, con un mero richiamo delle difese svolte nella memoria di costituzione di primo grado, senza esaminare espressamente le statuizioni e quindi le motivazioni della sentenza di primo grado e senza neanche precisare in che modo avrebbe dovuto essere corretta la sentenza;
il motivo e’ inammissibile per difetto di autosufficienza, in violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; ed infatti non basta il deposito del ricorso di appello in osservanza di quanto statuito dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – onere assolto dalla ricorrente- dovendo il ricorso di legittimita’ contenere tutti gli elementi idonei per consentire l’esame diretto della censura e dunque in esso andavano trascritte le parti dell’atto di appello ritenute non idonee a censurare specificatamente la ratio decidendi della sentenza di primo grado, come anche andava trascritta o riportata “con precisione la pertinente parte motiva della sentenza di primo grado, il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per la verifica in concreto del paradigma delineato dagli articoli 342 e 343 c.p.c. e, in particolare, per apprezzare la specificita’ delle censure articolate”(cosi’ da ultimo Cass. n. 3194/2019);
con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli articoli 2013 e 2697 c.c.: la corte d’appello pur avendo accertato il mutamento in peius delle mansioni affidate dal 2005 alla lavoratrice di operatore call center 187, ha poi ritenuto erroneamente non giustificato il rifiuto della lavoratrice di accettare il trasferimento a (OMISSIS) o l’assunzione a (OMISSIS) presso altro datore di lavoro in franchising ( (OMISSIS) / (OMISSIS)), ritenendo cio’ sufficiente per escludere l’onere della societa’ di provare l’inesistenza di altre posizioni di lavoro con mansioni equivalenti in grado di preservare la professionalita’ acquisita dal lavoratore, in particolare avendo la (OMISSIS) puntualmente dedotto ed allegato l’esistenza di altre posizioni lavorative nell’area bresciana, a suo dire equivalenti, che la corte avrebbe omesso di esaminare;
il motivo e’ infondato; la corte territoriale ha accertato che le mansioni di customer care 187 attribuite alla lavoratrice rientravano nel livello di inquadramento – 4 livello de CCNL del settore – ed ha ritenuto giustificata l’adibizione a mansioni in parte estranee alla professionalita’ e all’esperienza pregresse della (OMISSIS) in assenza di ulteriori posizioni di lavoro di analogo contenuto professionale, stante il rifiuto opposto dalla lavoratrice di accettare le due posizioni offerte dalla societa’; diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente la corte ha correttamente ritenuto che non vi fosse stata violazione dei principi di cui all’articolo 2013 c.c. alla luce della lettura della norma che questa corte ha effettuato; ed infatti costituendo il demansionamento un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi della citata norma, su di lui incombe l’onere di provare l’esatto adempimento di tale obbligo, oppure l’impossibilita’ dell’adempimento
derivante da causa a lui non imputabile, in base all’articolo 1218 c.c. (cfr. Cass. n. 4766/2006, Cass. 4211/2016): il rifiuto opposto dalla lavoratrice di accettare le due posizioni di lavoro offerte dalla societa’ e’ stato pertanto correttamente ritenuto dalla corte di merito elemento di esonero dalla responsabilita’ per l’inadempimento;
quanto alla censura circa l’omesso esame da parte della corte di merito delle ulteriori posizioni lavorative indicate, su cui nulla aveva eccepito neanche la societa’, si tratta di una doglianza inammissibile atteso che, come precisato dalla stessa ricorrente (OMISSIS) nell’atto di ricorso, le relative allegazioni risultano essere state svolte non in primo grado, ma tardivamente solo in sede di comparsa di costituzione in appello; tuttavia il thema decidendum deve essere identificato attraverso le allegazioni contenute negli atti introduttivi di causa del giudizio di primo grado, potendo le parti chiedere nella prima udienza di discussione l’ammissione di nuovi mezzi di prova, ma solo nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 420 c.p.c., comma 5;
con il terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5, un omesso esame di fatto decisivo e altresi’ la violazione articoli 1375, 2013 e 2967 c.c.: la corte d’appello avrebbe dovuto sindacare la scelta della societa’ di non adibirla all’unico posto rimasto, di supporto alla vendita, al quale aveva assegnato invece un suo collega. Per la ricorrente tale scelta era contraria a buona fede, in quanto la societa’ non solo, contraddittoriamente, l’aveva ritenuta idonea alla mansione di supporto alla vendita tanto da offrirle tale posizione di lavoro a (OMISSIS), ma poi le aveva offerto una posizione dequalificante e dunque non idonea a (OMISSIS). Inoltre la sentenza impugnata avrebbe omesso un fatto decisivo, costituito dalla testimonianza dello stesso lavoratore adibito all’unico posto di supporto alla vendita, il quale aveva riferito di non aver avuto, all’inizio, esperienza di venditore di supporto e di essersi avvalso dell’aiuto proprio della ricorrente per svolgere tale prestazione, rimasta sempre identica nel tempo; non avrebbe pertanto considerato la societa’ due rilevanti dati di fatto: a) che l’attivita’ di supporto, pur variando il software, era sempre la stessa, b) che il collega non conosceva tale attivita’ avendola imparata da lei;
la doglianza non merita accoglimento perche’, nel lamentare che la scelta della societa’ doveva ritenersi contraria a buona fede, e’ volta in concreto a richiedere una nuova valutazione di una questione in fatto che la corte ha gia’ esaminato; la sentenza ha invero valutato i fatti oggetto della testimonianza del collega della ricorrente – da cui era emerso che detta attivita’ di supporto alla vendita aveva avuto delle modifiche, essendo cambiati alcuni programmi di software con cui venivano effettuate delle verifiche piu’ approfondite sui dati dei clienti per la fatturazione – e ne ha tratto il convincimento di assenza di contraddittorieta’ o di mala fede nella scelta operata dalla societa’. Si tratta quindi di valutazioni di merito che non sono sindacabili in sede di legittimita’.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con condanna della ricorrente, soccombente, alla rifusione delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della pie ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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