Il delitto di trasferimento fraudolento di valori

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 16 settembre 2020, n. 26099.

Integra il delitto di trasferimento fraudolento di valori, di cui all’art. 512-bis cod. pen., la nomina fittizia ad amministratore di una società di un prestanome a cui venga anche attribuita la titolarità del conto corrente bancario della società, con potere di disporre delle risorse della medesima. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna dell’imputato presso la cui abitazione erano stati rinvenuti anche assegni emessi dal prestanome sul conto corrente della società).

Sentenza 16 settembre 2020, n. 26099

Data udienza 16 luglio 2020

Tag – parola chiave: Riciclaggio e auto – riciclaggio – Delitto presupposto – Accertamento con sentenza passata in giudicato – Necessità – Esclusione – Fatto costitutivo non giudizialmente escluso – Sufficienza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere

Dott. SGADARI Giuseppe – est. Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/11/2018 della Corte di appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere SGADARI Giuseppe;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso di (OMISSIS) e l’annullamento con rinvio limitatamente al ricorso di (OMISSIS);
lette le conclusioni scritte dei difensori dei ricorrenti, Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS) e avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), che hanno chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso inerenti alla prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di L’Aquila, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di L’Aquila del 6 ottobre 2016, confermava la responsabilita’ di (OMISSIS) in ordine al reato di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo L) della imputazione, solo con riguardo all’attribuzione fittizia a (OMISSIS) della legale rappresentanza della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”, effettuata alla scopo di agevolare la commissione dei reati di ricettazione, riciclaggio e reimpiego, nonche’ confermava la responsabilita’ di (OMISSIS) in ordine al reato di cui all’articolo 648-ter c.p., di cui al capo I). Al contempo, la Corte dichiarava la prescrizione dei restanti reati ascritti ai ricorrenti, tutti relativi ad una serie di truffe a societa’ di leasing commesse da un gruppo organizzato in associazione per delinquere con a capo l’imputato (OMISSIS).
2. Ricorrono per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), con distinti atti.
2.1. (OMISSIS) deduce, con un motivo articolato in cinque punti, violazione di legge per avere la Corte ritenuto integrato il reato di trasferimento fraudolento di valori dalla mera attribuzione da parte del ricorrente della carica di amministratore di una societa’ ad un soggetto prestanome, peraltro in assenza di “immissioni illecite” nelle casse sociali. Vi sarebbe solo un ambiguo riferimento a non precisati assegni, ma non alla provvista, senza alcuna specificazione in ordine al fatto che si trattasse di assegni della societa’ e non del prestanome come persona fisica. Non sarebbero stati valorizzati alcuni elementi di prova, segnatamente le sommarie informazioni del prestanome (OMISSIS) e della di lui sorella, che avrebbero escluso in capo al ricorrente l’amministrazione di fatto della societa’. Mancherebbe anche il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, mancando il collegamento tra il trasferimento fraudolento di valori al Buescu e le condotte truffaldine dichiarate prescritte.
Nel sesto punto, si deduce che il capo di imputazione individua il tempus commissi delicti nell’anno 2010, senza specificare il mese ed il giorno. In tal caso, si sarebbe dovuto ritenere consumato il reato I’l gennaio del 2010, sicche’, avendo la Corte dichiarato la prescrizione di tutti i fatti commessi fino al 5 gennaio del 2010, anche la residua ipotesi di reato ritenuta in vita si sarebbe estinta in data antecedente alla sentenza impugnata. Giudicando di fatti successivi, senza alcuna impugnazione della parte pubblica, la Corte avrebbe travalicato i limiti del devoluto, in violazione del divieto di reformatio in peius.
Quand’anche si volesse ritenere che il reato fosse stato commesso fino al (OMISSIS), anche in questo caso esso si sarebbe prescritto prima della sentenza impugnata, dal momento che non varrebbero a postergare il termine di prescrizione le sue sospensioni, che il primo giudice avrebbe erroneamente calcolato e che sarebbero in parte non verificabili – con riguardo a quelle attinenti all’udienza preliminare – i cui verbali non sarebbero stati acquisiti.
Infine, con autonomo motivo si deduce violazione di legge in ordine alla confisca disposta Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-sexies, che dovrebbe essere annullata quale conseguenza della declaratoria di prescrizione del reato.
Si da’ atto che nell’interesse del ricorrente e’ stata depositata una memoria.
2.2. (OMISSIS) deduce violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte ritenuto il concorso morale del ricorrente nel reato presupposto di truffa di cui al capo E), che avrebbe impedito di affermare la sua responsabilita’ per il reato di cui all’articolo 648-ter c.p., stante la clausola di riserva ivi prevista, tenuto conto che l’imputato sarebbe stato partecipe della associazione a delinquere finalizzata alla commissione delle truffe.
In ogni caso, il reato di truffa presupposto sarebbe prescritto, mancherebbe la querela e l’imputato non sarebbe stato a conoscenza della provenienza delittuosa del danaro oggetto di reimpiego illecito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
1.1. Quanto al ricorso di (OMISSIS), deve rilevarsi che il primo argomento pone una questione giuridica astratta che attiene alla possibilita’ di ritenere configurabile il reato di trasferimento fraudolento di valori attraverso la mera fittizia attribuzione, da parte dell’agente, della qualifica di amministratore di una societa’ ad altro soggetto.
Tale questione giuridica – che, peraltro, non era stata prospettata con i motivi di appello – non e’ aderente al caso in esame, posto che si contesta al ricorrente, nel capo di imputazione, non solo di avere attribuito al (OMISSIS) la legale rappresentanza della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”, ma anche l’attribuzione della titolarita’ del conto corrente bancario ad essa societa’ intestato.
A fg. 7 della sentenza impugnata, la prova (non solo della astratta titolarita’ ma) della disponibilita’ del conto corrente della societa’ da parte del (OMISSIS), e’ stata rinvenuta nel fatto che a casa dell’imputato fossero stati rinvenuti, in esito a perquisizione, non soltanto fogli firmati in bianco dal conclamato prestanome (che aveva ammesso tale circostanza), ma anche “assegni emessi da quest’ultimo”.
Il che sta a significare, neanche implicitamente, che il (OMISSIS) non era stato un “mero” prestanome passivo del ricorrente, ma aveva agito per suo conto, disponendo delle risorse della societa’, quali che fossero state; tale circostanza trova conferma nel fatto che a casa del (OMISSIS) fosse stato ritrovato anche un “contratto di locazione di immobile con la medesima societa’, pro tempore amministrata da (OMISSIS)” (fg. 14 della sentenza di primo grado, il cui contenuto si fonde con quello della sentenza impugnata stante l’omogeneita’ del giudizio di condanna).
Ne consegue che e’ stata erroneamente invocata dal ricorrente, con riguardo al caso in esame, l’applicabilita’ dei principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, a proposito della impossibilita’ di configurare il reato di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinquies (oggi articolo 512-bis c.p.) quando da parte dell’agente si attribuisca all’avente causa la “mera” qualita’ di amministratore della societa’ (Sez. 5, n. 48415 del 06/10/2014, Mazzoni, Rv. 261027 ed altre conformi).
Nel caso in esame, l’effettivo utilizzo del conto corrente della societa’, aveva realizzato in capo al prestanome una indiretta disponibilita’ di “danaro” ed una diretta disponibilita’ di “beni o altre utilita’”, secondo quanto indicato e richiesto dalla norma incriminatrice.
L’assunto difensivo contrario, secondo il quale il (OMISSIS) avrebbe assunto la sola carica di “mero” prestanome, non avendo operato per conto della societa’ – cosi’ come sarebbe emerso da alcune testimonianze e dalla stessa perquisizione a casa dell’imputato (con il ritrovamento di un unico assegno riferibile alla persona fisica del (OMISSIS) non nella sua qualita’ di fittizio legale rappresentante della societa’) -non puo’ essere apprezzato in questa sede, dal momento che si tratta non solo di un argomento che attinge al merito della vicenda processuale, ma che non aveva formato neanche oggetto dei motivi di appello, venendo sottratto, quindi, alla valutazione del giudice deputato dall’ordinamento penale al suo vaglio.
Per il che, la questione giuridica posta, non solo non e’ aderente, in astratto, alla contestazione accusatoria elevata al ricorrente ma, per essere positivamente valutata oltre il dato testuale, necessiterebbe di inediti accertamenti di merito non effettuabili in questa sede.
1.2. Del pari, tutti gli altri argomenti spesi in ricorso per dimostrare l’insussistenza del reato, anche sotto il profilo soggettivo, non erano contenuti nei motivi di appello e, sollecitando anche questa volta accertamenti di merito, sono, per questo, inammissibili.
Addirittura, l’argomento volto a sostenere che la condotta di trasferimento fraudolento di valori in favore del (OMISSIS) sarebbe stata “sganciata” dalle truffe dichiarate prescritte, intanto non trova riscontro nella imputazione sub capo L) e nelle motivazioni delle sentenze dei gradi di merito; in secondo luogo, e’ logicamente opposta a quanto il ricorrente aveva sostenuto con l’atto di appello, laddove l’asserita insussistenza del reato contestato si faceva discendere dalla supposta assenza delle truffe prescritte, con il che presupponendone il collegamento.
1.3. Sono manifestamente infondati i motivi con i quali e’ stata invocata l’intervenuta prescrizione del reato prima della sentenza impugnata.
Deve, evidenziarsi, in primo luogo, che il reato di cui al capo L), nel suo segmento che la Corte non ha ritenuto prescritto – quello del quale fin qui si e’ discusso – e’ stato ritenuto commesso il 10 dicembre del 2010 (data della nomina del prestanome (OMISSIS) quale legale rappresentante della societa’), secondo la precisa indicazione contenuta a fg. 7 della sentenza di appello, sul punto non contestata dal ricorrente che, nel ricorso, non a caso, ha omesso di farne menzione.
Nel che, la corretta delimitazione della statuizione di condanna della Corte di Appello rispetto al perimetro tracciato nella imputazione, che faceva riferimento anche all’anno 2010 come periodo di commissione delle varie condotte contestate, oltre che a precedenti periodi evidentemente riferibili agli altri segmenti della medesima imputazione dichiarati prescritti.
Deve, escludersi, pertanto, una violazione del divieto di reformatio in peius e di qualunque altra prerogativa difensiva, posto che la giurisprudenza cui ha fatto riferimento il ricorrente – a proposito della individuazione del tempus commissi delicti seguendo il criterio piu’ favorevole all’imputato – vale solo quando vi sia una qualche incertezza rispetto ad una indicazione del tempus commissi delicti non determinata nel giorno e nel mese. Se, invece, come nel caso in esame, i giudici di merito, peraltro senza alcuna contestazione difensiva in proposito, abbiano individuato con precisione il dies a quo, nell’ambito del perimetro tracciato dalla imputazione (in questo caso l’anno 2010), il problema e’ risolto in fatto senza necessita’ di dover ricorrere a interpretazioni giuridiche.
Il termine di prescrizione del reato, pertanto, sarebbe maturato il 10 giugno del 2018, in sette anni e sei mesi dalla data della sua commissione.
Devono, tuttavia, essere aggiunti i periodi di sospensione del termine indicati, con estrema specificita’, a fg. 3 della sentenza del Tribunale e dovuti a vari rinvii dell’udienza preliminare per legittimo impedimento del difensore; rinvii pari a giorni 320, che hanno fatto slittare, anche da soli (potendosi calcolare anche altri periodi di sospensione, come i 53 giorni nel processo di appello), la maturazione del termine di prescrizione oltre la data della sentenza impugnata.
Orbene, con riguardo alla legittimita’ di tale calcolo, e’ a dirsi che il ricorrente non contesta in diritto ne’ le ragioni della sospensione (il legittimo impedimento del difensore) ne’ il suo computo, quanto, piuttosto, l’impossibilita’ di una verifica, dovuta alla mancata acquisizione dei verbali dell’udienza preliminare da parte del Tribunale o della Corte.
L’eccezione, in primo luogo, e’ generica e, per questa ragione, non puo’ essere valutata.
Inoltre, essa non era stata prospettata alla Corte di Appello, nonostante si sostenga che la prescrizione fosse maturata prima della sentenza impugnata. Dunque, l’argomento e’ nuovo e non e’ autosufficiente, poiche’, se e’ vero che la questione puo’ essere in astratto posta per la prima volta in questa sede, trattandosi di una (asserita) violazione di legge rilevabile d’ufficio ex articolo 129 c.p.p., non puo’ esserlo con riguardo ad una assenza di documentazione a corredo e di specifica contestazione della ragioni dei vari rinvii, mai dedotte davanti al giudice di appello, ne’ con i motivi ne’ in sede di discussione – per consentire una eventuale acquisizione documentale finalizzata al controllo – ne’ qui prospettata con l’allegazione dei verbali dell’udienza preliminare, idonei a sostenere la correttezza della questione giuridica posta, che rimane, oltre che generica in re ipsa, del tutto indimostrata per voluta scelta del ricorrente, trattandosi di atti a disposizione della difesa.
Tanto assorbe ogni altra considerazione difensiva in tema di prescrizione e quanto contenuto nella memoria depositata.
1.4. L’ultimo motivo, inerente alla confisca, rimane del pari assorbito dalla mancata declaratoria di prescrizione del reato prima della sentenza impugnata, pronuncia che, stante la inammissibilita’ del ricorso, non puo’ essere adottata neanche in questa sede (sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni; sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi; Sez.U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca).
2. Anche il ricorso di (OMISSIS) e’ manifestamente infondato e generico.
Il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata – e con quella di primo grado conforme – nella parte in cui ha escluso il concorso dell’imputato nel reato di truffa di cui al capo E), commesso dal (OMISSIS) in concorso con altro soggetto separatamente giudicato (fg. 6 della sentenza), precisando, senza alcun vizio logico, come la partecipazione del ricorrente al reato associativo di cui al capo A) dichiarato prescritto, siccome finalizzato alla perpetrazione di svariate truffe, non imponeva necessariamente la partecipazione del ricorrente ad ogni singolo reato-fine.
Avverso queste precisazioni, il ricorrente non deduce alcunche’ di specifico, limitandosi a sostenere il contrario senza alcun costrutto.
Mentre, l’utilizzazione da parte del (OMISSIS) del contributo del ricorrente per altre truffe e quale suo prestanome, ha indotto i giudici di merito ad escludere che egli versasse in una condizione di buona fede rispetto al reimpiego del danaro proveniente dalla truffa alla quale non aveva concorso, essendo comunque stato a lui consegnato dal coimputato (OMISSIS) cui il (OMISSIS) era illecitamente collegato (cfr. fgg. 12 e 13 della sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello). In proposito, il ricorso si rivela del tutto generico.
Infine, nessun rilievo giuridico puo’ avere il fatto che il reato presupposto di cui al capo E) sia stato dichiarato prescritto o si assuma che difettasse di querela.
Infatti, deve essere qui ribadito il principio secondo il quale, in tema di riciclaggio ed autoriciclaggio, non e’ necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialita’, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio o autoriciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza, in mancanza imponendosi l’assoluzione dell’imputato perche’ il fatto non sussiste (Sez. 2, Sentenza n. 42052 del 19/06/2019, Moretti, Rv. 277609. Massime precedenti Conformi: N. 10746 del 2015 Rv. 263156, N. 527 del 2017 Rv. 269017, N. 7795 del 2014 Rv. 259007).
Alla declaratoria di inammissibilita’ consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilita’.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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