Il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|15 luglio 2021| n. 27343.

Il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione.

In tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta. (In motivazione, la Corte ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto).

Sentenza|15 luglio 2021| n. 27343. Il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione

Data udienza 4 marzo 2021

Integrale

Tag – parola: Armi – Arma clandestina – Ricettazione, detenzione e porto in luogo pubblico – Continuazione – Ricettazione provata dal possesso dell’arma clandestina – Esclusa violazione principio del ne bis in idem – Condotta di detenzione non assorbita in quella di porto – Trattamento sanzionatorio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIANI Vincenzo – Presidente

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/10/2019 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. CAPPUCCIO DANIELE;
preso atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. COCOMELLO ASSUNTA, ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi, con requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 ottobre 2019 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma di quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Agrigento il 29 maggio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di minaccia grave e ridotto, di conseguenza, le pene loro applicate per i delitti, uniti dal vincolo della continuazione, di ricettazione, detenzione e porto in luogo pubblici di arma clandestina in un anno, otto mesi e venti giorni di reclusione e 2.070,00 Euro di multa, per (OMISSIS), e di un anno e sei mesi di reclusione e 1.800,00 Euro di multa, per (OMISSIS).
2. (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono, con separati atti a firma, rispettivamente, degli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), ricorsi per cassazione incentrati su motivi che, in larga parte comuni, possono essere esposti congiuntamente.
2.1. Con il primo motivo, deducono violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto la loro responsabilita’ per la ricettazione di armi clandestine sull’indimostrato presupposto che le armi – un fucile a pompa marca Mossberg, per entrambi, ed una pistola calibro 7,65, per il solo (OMISSIS) – siano state da loro ricevute dopo l’abrasione della matricola, condotta illecita che, tuttavia, ben potrebbe essere stata commessa dopo l’acquisto.
2.2. Con il secondo motivo, il solo (OMISSIS) lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello rigettato il motivo di impugnazione con il quale era chiesto dichiararsi non doversi procedere per precedente giudicato con riferimento alla detenzione della pistola cal. 7,65, fatto gia’ accertato con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento del 18 febbraio 2013.
Entrambi gli imputati eccepiscono, inoltre, che i giudici di merito avrebbero dovuto dichiarare l’assorbimento dei fatti di detenzione nelle corrispondenti fattispecie di porto, carente la prova che le armi siano state detenute in epoca precedente o successiva rispetto al contestato porto in luogo pubblico.
2.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono che i giudici di merito, una volta riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, non abbiano ridotto la pena nella misura massima di un terzo.
2.4. Il solo (OMISSIS), inoltre, addebita alla Corte di appello di avere compiuto un errore materiale nella rideterminazione della pena, in senso a lui sfavorevole, che potrebbe essere direttamente emendato dalla Corte di cassazione.
3. Disposta la trattazione scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, il Procuratore generale ha concluso, con requisitoria scritta del 10 febbraio 2021, chiedendo il rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili perche’ vertenti su censure manifestamente infondate.
2. Sostengono i ricorrenti, con il primo motivo, che, carente ogni informazione in ordine al tempo dell’abrasione della matricola delle armi da loro rispettivamente detenute, non potrebbe pervenirsi all’affermazione della loro penale responsabilita’ in ordine al delitto di ricettazione, che postula la ricezione del bene proveniente dal delitto perpetrato eliminando i segni identificativi che, per quanto consta, potrebbe, invece, essere stato commesso quando gia’ le armi erano pervenute nella loro disponibilita’.
In proposito, occorre ricordare, con la giurisprudenza di legittimita’, che “Il possesso di un’arma clandestina integra di per se’ la prova del delitto di ricettazione, poiche’ l’abrasione della matricola, che priva l’arma medesima di numero e dei contrassegni di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 11, essendo chiaramente finalizzata ad impedirne l’identificazione, dimostra, in mancanza di elementi contrari, il proposito di occultamento del possessore e la consapevolezza della provenienza illecita dell’arma” (Sez. 1, n. 37016 del 28/05/2019, Spina, Rv. 276868; Sez. 1, n. 39223 del 26/02/2014, Bonfiglio, Rv. 260347; Sez. 2, n. 33581 del 28/05/2009, Carboni, Rv. 245229).
Stando cosi’ le cose, la prova della dedotta posteriorita’ temporale dell’eliminazione dei segni identificativi delle armi rispetto al momento della loro ricezione da parte degli odierni ricorrenti sarebbe stata rimessa a questi ultimi, i quali, avendo mantenuto ininterrotta signora su detti beni, avrebbero dovuto, in buona sostanza, ammettere di essersi resi autori, da soli o in concorso con terzi, dell’illecita alterazione, cio’ che non hanno fatto, in tal modo accreditando’ la ricostruzione della vicenda concordemente operata dai giudici di merito.
3. Il secondo motivo verte, in primo luogo, sulla violazione del ne bis in idem in cui la Corte di appello sarebbe incorsa disattendendo la richiesta di non doversi procedere per precedente giudicato in ordine alla detenzione, da parte di (OMISSIS), della pistola cal. 7,65.
Il ricorrente deduce, al riguardo, di essere stato gia’ condannato, con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Agrigento del 18 febbraio 2013, per il porto in luogo pubblico, nei primi mesi del 2010, di una pistola cal. 7,65, che coinciderebbe con quella oggetto di contestazione nell’ambito del presente procedimento, sequestrata il 23 aprile 2011.
L’obiezione e’ priva di pregio, avuto riguardo, per un verso, all’assenza di prova in ordine all’identita’ delle armi oggetto di separato addebito ed alla clandestinita’ dell’arma per il cui porto illecito e’ gia’ stata pronunziata sentenza irrevocabile e, per altro verso, e soprattutto, al fatto che, nel procedimento indicato dal ricorrente egli rispondeva, ai capi b) e aa), di due ipotesi di porto, mentre in questa sede gli sono ascritte la detenzione della pistola ed una distinta ed autonoma fattispecie di porto, successiva di oltre un anno a quelle gia’ definitivamente accertate.
3.1. Parimenti infondata si palesa la censura afferente al negato assorbimento della condotta di detenzione delle armi in quella di porto, non emergendo dal compendio istruttorio – ne’ essendo stati introdotti dai diretti interessati – elementi attestanti la coincidenza temporale tra l’acquisto della disponibilita’ ed il porto: in proposito, occorre sottolineare, anche in questo caso con il conforto della giurisprudenza di legittimita’, che “In tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresi’ la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta. (In motivazione, la Corte ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato circa la contemporaneita’ delle due condotte, il giudice di merito non e’ tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorita’ della detenzione rispetto al porto)” (Sez. 6, n. 46778 del 09/07/2015, Coscione, Rv. 265489) sussistendo, in proposito, un preciso onere di allegazione a carico dell’imputato (Sez. 1, n. 18410 del 09/04/2013, Vestita, Rv. 255687).
4. La doglianza, articolata al terzo motivo, relativa alla misura dell’alleggerimento del carico sanzionatorio conseguente al riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’articolo 62 c.p., n. 6), trova smentita, in primo luogo, nella sentenza di primo grado, confermata, sul punto, dalla Corte di appello, che, per entrambi gli imputati (cfr. pagg. 11-12), ha applicato una riduzione prossima (perche’ determinata nel 30%) a quella massima di un terzo sulla pena base e, precisamente, per entrambi, da due anni e sei mesi di reclusione e 3.000 Euro di multa ad un anno e nove mesi di reclusione e 2.100 Euro di multa.
La decisione e’ stata, peraltro, originata dal convincimento, a chiare lettere espresso dai giudici di secondo grado, dell’impossibilita’ di contenere ulteriormente – avuto riguardo alla gravita’ delle condotte ed alla personalita’ degli imputati – la sanzione benevolmente determinata dal Giudice dell’udienza preliminare agrigentino, a fronte del quale i ricorrenti articolano una contestazione di evidente ed insuperabile genericita’, giacche’ si astengono dall’indicare le ragioni che avrebbero dovuto indurre i giudici di merito ad applicare l’attenuante nella sua massima estensione.
5. Erra, infine, (OMISSIS) nel lamentare l’erroneo computo della pena da parte dei giudici di merito.
Il Giudice dell’udienza preliminare, invero, stabilita la pena per il piu’ grave reato di ricettazione di cui al capo 3) della rubrica – gia’ considerate le attenuanti ed al lordo della riduzione per la scelta del rito abbreviato – in un anno e nove mesi di reclusione e 2.100 Euro di multa, ha apportato, per ciascuno dei quattro reati residui (la detenzione ed il porto del fucile, la detenzione della pistola, la minaccia grave), espressamente ritenuti di pari gravita’, ed a titolo di continuazione, l’aumento di due mesi e quindici giorni di reclusione e 225 Euro di multa, sicche’ l’eliminazione, per effetto della declaratoria di prescrizione del reato sanzionato dall’articolo 612 c.p., comma 2, di tre mesi di reclusione e 300 Euro di multa (sempre al lordo della riduzione per il rito), si e’, di fatto, tradotta in un vantaggio, anziche’ in una penalizzazione, per l’imputato, ormai cristallizzato dalla definitivita’ della statuizione e, percio’, intangibile.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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