Il datore di lavoro non può licenziare individualmente un dipendente per gli stessi motivi alla base della procedura di mobilità

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 16 gennaio 2020, n. 808.

La massima estrapolata:

Il datore di lavoro non può licenziare individualmente un dipendente per gli stessi motivi alla base della procedura di mobilità aperta poco prima e conclusasi con accordo sindacale non accettato dal lavoratore.

Sentenza 16 gennaio 2020, n. 808

Data udienza 18 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 21570-2017 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
E SUL RICORSO SUCCESSIVO, SENZA NUMERO DI R.G. proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente successivo –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente al ricorso successivo –
avverso la sentenza n. 389/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 18/07/2017 R.G.N. 631/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso della (OMISSIS) S.P.A. e accoglimento primi quattro motivi del ricorso (OMISSIS);
udito L’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Genova, giudice del reclamo L. n. 92 del 2912, ex articolo 1, comma 58 e ss. con sentenza del 14- 18 luglio 2017 numero 389 riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Massa, che aveva dichiarato nullo in quanto ritorsivo il licenziamento intimato dalla societa’ (OMISSIS) S.p.A. al dipendente (OMISSIS); per l’effetto, riteneva il licenziamento illegittimo ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 18, commi 7 e 5, dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la societa’ al pagamento di un’indennita’ risarcitoria.
La Corte territoriale a fondamento della decisione premetteva che il licenziamento era stato adottato per gli stessi motivi posti a base della procedura di mobilita’ avviata e conclusa dalla societa’, da cui il (OMISSIS) era rimasto escluso ed osservava che il licenziamento individuale, sebbene intervenuto oltre i termini previsti dalla L. n. 223 del 1991, non poteva fondarsi sugli stessi motivi di quello collettivo, pena la frustrazione delle finalita’ sottese alla procedura di mobilita’.
La identita’ dei motivi del licenziamento individuale rispetto a quelli del licenziamento collettivo risultava oltre che dalla lettera di licenziamento, dalle difese della societa’, laddove affermava che la necessita’ di adottare il licenziamento individuale era sorta per il fatto che il (OMISSIS) non aveva accettato quello collettivo, in una situazione in cui l’unico criterio di scelta concordato dall’azienda con i sindacati era quello della mancanza di opposizione al licenziamento collettivo.
In via incidentale, pur non essendo oggetto di causa, la Corte territoriale riteneva la invalidita’ del predetto criterio di scelta, in quanto non obiettivo; affermava, comunque, che esso nella logica di chi lo aveva concordato, doveva individuare i lavoratori da licenziare nell’ambito della procedura ex lege n. 223 del 1991 e non gia’ fondare il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo di chi non avesse accettato il licenziamento collettivo.
Il licenziamento, tuttavia, non si qualificava come ritorsivo: a questi fini rilevava la esclusivita’ del motivo ritorsivo laddove era indubbio che alla base del licenziamento vi fossero anche motivi economici, viste le precarie condizioni in cui versava la societa’ e di cui erano prova le varie procedure di cassa integrazione e licenziamento collettivo che si erano succedute nel periodo in considerazione.
Inoltre il (OMISSIS), che non aveva negato di avere rifiutato il licenziamento collettivo – ponendosi nelle condizioni di non essere collocato in mobilita’ – non poteva fondatamente sostenere che la societa’ lo avesse discriminato, licenziandolo individualmente invece che nell’ambito della procedura di mobilita’.
Avverso la sentenza hanno proposto separati ricorsi, riuniti nel presente procedimento, la societa’ (OMISSIS) S p.a., articolato in due motivi, e (OMISSIS), articolato in otto motivi; ciascuna delle parti ha resistito con controricorso al ricorso avversario ed ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la societa’ (OMISSIS) spa ha dedotto – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articolo 24, della L. n. 604 del 1966, articolo 3, dell’articolo 41 Cost. nonche’ della L. n. 183 del 2010, articolo 30.
Ha censurato la dichiarazione di illegittimita’ del licenziamento, osservando che la Corte di merito avrebbe dovuto esaminare esclusivamente la sua motivazione ed accertare se la posizione del lavoratore fosse stata o meno effettivamente soppressa e se questi fosse altrimenti ricollocabile.
Ha assunto che la sentenza impugnata, affermando che le motivazioni sottese ad una procedura di mobilita’ costituiscono un vincolo per il datore di lavoro anche successivamente al decorso dei termini per collocare in mobilita’ i dipendenti e che non e’ consentito porre a base del licenziamento individuale, in tutto o in parte, i medesimi motivi di crisi sottesi alla procedura di mobilita’, aveva enucleato un divieto non previsto ne’ dalla L. n. 223 del 1991 – (che con l’articolo 24 prevedeva la sola necessita’ di attivare la procedura di licenziamento collettivo in caso di licenziamenti di almeno cinque dipendenti nell’arco di 120 giorni successivi al termine della procedura)- ne’ dalla L. n. 604 del 1966, articolo 3.
La compressione del diritto del datore di lavoro al licenziamento per giustificato motivo oggettivo configurava una lesione anche della liberta’ di iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 Cost., insindacabile dall’autorita’ giudiziaria, come riaffermato dalla L. n. 183 del 2010, articolo 30.
La societa’ ha esposto che nella fattispecie di causa sussisteva la necessita’ di sopprimere la posizione del (OMISSIS), unica unita’ lavorativa addetta ad un deposito non piu’ operativo.
Con il motivo si censura altresi’ l’incidentale dichiarazione di illegittimita’ del criterio di scelta concordato nell’ambito della procedura di mobilita’ (la adesione volontaria), trattandosi di questione non rilevante in causa e, comunque, per essere del tutto immotivata l’assunta mancanza di oggettivita’ del criterio di scelta.
Il motivo e’ infondato.
In una ricostruzione di sistema occorre muovere dal principio della centralita’ ai fini della verifica di legittimita’ del licenziamento collettivo del rispetto delle procedure di comunicazione preventiva, di consultazione sindacale e di comunicazione dell’elenco dei lavoratori licenziati; per costante orientamento di questa Corte i profili attinenti alle ragioni giustificative del recesso collettivo sono infatti assorbiti dal controllo sulla regolarita’ di tale procedura.
I residui spazi devoluti alla sede contenziosa non riguardano, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale- (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) – ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in tale sede le censure con le quali si investa l’autorita’ giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attivita’ produttiva, salva l’ipotesi di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilita’ al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori (per tutte, Cassazione civile sez. lav., 21/01/2019, n. 1515 e giurisprudenza ivi citata).
La procedura diretta a ridimensionare l’organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi intervenuti con il sindacato.
I principi qui ribaditi resterebbero del tutto privi di effettivita’ ove – all’esito della gestione “procedimentalizzata” dei motivi di riduzione del personale rappresentati nella comunicazione di avvio della procedura-fosse consentito al datore di lavoro di ritornare sulle scelte compiute quanto al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori in esubero ovvero quanto ai criteri di scelta dei singoli lavoratori da estromettere attraverso ulteriori e successivi licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
I licenziamenti individuali cosi’ effettuati, infatti, sebbene riconducibili agli stessi motivi oggetto della comunicazione iniziale, risulterebbero sottratti al confronto con il sindacato, con l’inevitabile effetto di rendere quel confronto incompleto in ordine al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali del personale eccedente e non attendibile quanto alla successiva partecipazione, all’atto dei licenziamenti, delle concrete modalita’ di applicazione dei criteri di scelta.
Ove, poi, come nella fattispecie di causa, venga raggiunta una intesa con le organizzazioni sindacali, il vulnus riguarderebbe anche il rispetto di tali accordi (in ordine al numero degli esuberi ed ai criteri di scelta), la cui obbligatorieta’ non puo’ esaurirsi nel tempo all’atto della conclusione della procedura; diversamente le intese con il sindacato si ridurrebbero ad un passaggio formale del procedimento e non ad una gestione partecipata della situazione aziendale rappresentata dall’imprenditore.
Il negoziato con il sindacato realizza, invece, un effettivo coinvolgimento del soggetto collettivo nelle scelte organizzative della impresa, che vincola l’imprenditore al rispetto delle scelte concordate, anche dopo la chiusura della procedura; gli impegni assunti vengono meno soltanto per effetto del modificarsi della situazione aziendale che costituisce il presupposto dell’accordo raggiunto.
In sostanza, il datore di lavoro, completata la procedura di licenziamento collettivo, non puo’ procedere sulla base delle medesime ragioni negoziate con la controparte sindacale all’ulteriore licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo di uno o piu’ lavoratori.
E’ l’identita’ dei motivi che determinano la situazione di eccedenza – nonche’ dei motivi tecnici, organizzativi e produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure alternative – che impone all’imprenditore di veicolare la liberta’ di impresa nell’ambito del controllo sindacale, senza poter procedere a successivi licenziamenti individuali; identita’ da intendere, naturalmente, non in senso formale ma in senso sostanziale ovvero come parita’ delle situazioni di fatto poste a base, rispettivamente, della procedura di licenziamento collettivo e del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Resta da aggiungere che l’indagine circa la identita’ delle predette “ragioni” costituisce un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito; nelle sue valutazioni egli dovra’ utilizzare tanto le risultanze documentali (atti della procedura di licenziamento collettivo e lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo) che ogni altro elemento di prova della sovrapponibilita’ delle due situazioni a confronto, fermo restando che lo stesso decorso del tempo rispetto alla data di chiusura della procedura di licenziamento collettivo potrebbe configurare, tenuto conto delle concrete circostanze, un mutamento della situazione di fatto.
Una conferma indiretta della indicata ricostruzione emerge dalla disposizione della L. n. 223 del 1991, articolo 17. Dalla norma risulta, infatti, che il datore di lavoro dopo la conclusione della procedura di licenziamento collettivo puo’ procedere alla risoluzione di altri rapporti di lavoro – senza dover esperire una nuova procedura – soltanto qualora i lavoratori il cui rapporto sia stato risolto vengano reintegrati a norma della L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18 sempre con il rispetto del vincolo numerico (licenziamento di un numero di lavoratori pari a quello dei lavoratori reintegrati) e dei criteri di scelta di cui alla L. n. 223 del 1991, articolo 5, comma 1. A fronte di cio’, inoltre, egli ha l’obbligo di preventiva comunicazione del licenziamento alla propria rappresentanza sindacale aziendale.
Nella fattispecie di causa risulta pacifico: che tra i posti indicati in esubero nella comunicazione di avvio della procedura di mobilita’ (del 24.4.2014) vi era quello occupato dal (OMISSIS) ed altresi’ che quest’ultimo non era stato licenziato in ragione del criterio di scelta concordato con il sindacato, consistente nella volonta’ di non opporsi al licenziamento manifestata dal lavoratore entro il 30 settembre 2014. Correttamente, dunque, la sentenza impugnata, sulla base del preliminare accertamento della identita’ delle ragioni del successivo licenziamento individuale del (OMISSIS), del 21 novembre 2014, ha affermato la illegittimita’ del medesimo licenziamento.
Erra, invece, la societa’ ricorrente nel sostenere che un siffatto divieto di licenziamento individuale non e’ previsto dalla legge e viola la liberta di impresa; piuttosto, la interpretazione da essa patrocinata non tiene conto dei limiti alla iniziativa economica privata che lo stesso articolo 41 Cost. impone e prevede per fini sociali ed altresi’ porrebbe seri dubbi di conformita’ dell’ordinamento nazionale alla direttiva 98/59/CE (che codifica il testo della direttiva 75/129/CEE)-considerando numero dodici ed articolo 2, paragrafo 3 – sotto il profilo del conseguimento dell'”effetto utile”.
Con il secondo motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – la ricorrente ha denunziato l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti nonche’ la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c..
Si assume l’omessa valutazione delle risultanze istruttorie, dalle quali sarebbe emersa la soppressione della posizione del (OMISSIS) (per chiusura del deposito cui era assegnato) e la impossibilita’ del suo reimpiego.
Tali circostanze risultavano dagli atti della procedura di mobilita’, non erano state mai contestate da controparte ed erano state confermate dai testi escussi.
Dal materiale probatorio si evinceva anche il rifiuto gia’ manifestato dal lavoratore ad una diversa collocazione, essendosi egli opposto al trasferimento ad altro deposito.
Il motivo e’ infondato.
Dal principio di diritto affermato nell’esame del primo motivo di ricorso deriva la mancanza di decisivita’, nel senso auspicato dalla societa’ ricorrente, del fatto che la effettiva chiusura del deposito cui il (OMISSIS) era addetto fosse emersa nell’ambito della procedura di mobilita’, conducendo piuttosto, tale circostanza ad esiti opposti a quelli attesi dal datore di lavoro. Ne’ assume rilievo l’eventuale mancanza di disponibilita’ del lavoratore ad un diverso impiego a fronte delle sopra evidenziate ragioni di illegittimita’ del licenziamento, che attengono, a monte, alla potesta’ di recesso del datore di lavoro.
Il ricorso della societa’ deve essere conclusivamente respinto; restano da esaminare le ragioni del ricorso del lavoratore.
Il ricorrente (OMISSIS) ha denunziato:
– con il primo motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 – nullita’ della sentenza e del procedimento in riferimento agli articoli 132 (numero 3 e 4) e 112 c.p.c..
Ha dedotto che il giudice del reclamo non aveva riportato correttamente le sue conclusioni, con conseguente violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 3.
Ha esposto che nel ricorso introduttivo e nella comparsa di costituzione in appello veniva allegata la nullita’ del licenziamento per contrarieta’ a norme imperative. Tale domanda era stata assorbita nel primo grado, per la dichiarazione della natura ritorsiva del licenziamento mentre nel grado di reclamo non era stata esaminata ne’ poteva dirsi assorbita, con conseguente nullita’ della sentenza per omessa pronuncia.
Si denunzia, altresi’, la inesistenza della motivazione giacche’ l’omesso esame di numerosi fatti decisivi determinava sostanzialmente la decisione di una questione di fatto diversa da quella dedotta e discussa.
– con il secondo motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame della vicenda giudiziaria e sostanziale antecedente al licenziamento.
Il ricorrente ha lamentato l’omessa considerazione della motivazione formale del licenziamento ed il mancato confronto di essa con le ragioni di un precedente licenziamento che gli era stato intimato nel novembre 2011 e che era stato dichiarato nullo con sentenza divenuta definitiva, senza che egli venisse mai effettivamente reintegrato (in quanto dapprima trasferito invalidamente a (OMISSIS) per due volte consecutive, poi collocato in aspettativa ed in cassa integrazione ed, infine, posto in ferie e licenziato individualmente).
L’esame di tali circostanze appariva indispensabile a fondare il giudizio di nullita’ del licenziamento perche’ ritorsivo o contrario a norme imperative;
– con il terzo motivo, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, relativo al contenuto degli accordi sulla cassa integrazione guadagni e sulla mobilita’ siglati dalla societa’ tra il 2012 ed il 2014, con particolare riferimento all’accordo del 30 giugno 2014.
Il ricorrente ha esposto che nel periodo novembre 2012 – settembre 2014 la societa’ aveva effettivamente avviato alcune procedure di licenziamento collettivo, nell’ambito delle quali le parti addivenivano ad accordi in sede ministeriale. Nell’ultima procedura di mobilita’ nazionale, con accordo ministeriale del 30 giugno 2014, era previsto un incentivo all’esodo, con collocazione in mobilita’ a favore dei soli lavoratori che avessero manifestato l’intenzione di non opporsi al licenziamento.
Ha dedotto che l’esame di tale accordo avrebbe consentito alla Corte territoriale di comprendere che la ratio della mobilita’ volontaria non era quella di escludere i lavoratori che non vi aderissero dalle tutele della L. n. 223 del 1991 ma quella di privilegiare la salvaguardia dei posti di lavoro;
– con il quarto motivo: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, relativo a quanto accaduto contestualmente al licenziamento impugnato e nell’epoca immediatamente successiva.
Il ricorrente ha esposto che in epoca pressoche’ coeva al termine dell’ultima procedura, con lettere in data 26 settembre 2014 per la regione Lombardia ed in data 15 ottobre 2014 per la regione Lazio la societa’ aveva avviato nuove procedure di licenziamento collettivo, su base regionale. Tali circostanze erano state dedotte nel ricorso introduttivo, ammesse nella memoria di costituzione di controparte ed accertate dal giudice di primo grado.
Nella comunicazione di avvio del 26.09.2014 non si segnalava alcun esubero con riferimento allo stabilimento di (OMISSIS), cui egli era ancora addetto come unico dipendente; in data 25 settembre 2014 la societa’ gli aveva comunicato che al termine del periodo di cassa integrazione in deroga egli sarebbe stato collocato in ferie e poi in aspettativa.
Dall’esame di tali fatti risultava che la societa’ era consapevole di avere numerosi esuberi dislocati su piu’ regioni e che la mancata adesione alla procedura conclusa non escludeva i lavoratori dalle tutele della L. n. 223 del 1991, tanto da avviare due distinte procedure di mobilita’ regionali ed al suo unico licenziamento individuale.
– con il quinto motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione della L. n. 604 del 1966, articolo 3.
Con il motivo si assume l’errore commesso dalla Corte territoriale laddove, pur pronunciando l’illegittimita’ del licenziamento, aveva affermato, al fine di escluderne il carattere ritorsivo, che esso fosse sostenuto da una valida motivazione economica.
Il giustificato motivo oggettivo indicato nella lettera di recesso era inesistente, in quanto la soppressione della posizione lavorativa era gia’ stata attuata nell’anno 2011 ed anche sul piano formale il recesso costituiva una replica del precedente.
Nulla era stato provato anche con riferimento all’obbligo di repechage mentre la societa’ ammetteva di avere assunto nuovo personale dopo il licenziamento.
Alla mancanza di prova del giustificato motivo oggettivo doveva conseguire l’esame della sua possibile natura ritorsiva.
– Con il sesto motivo, violazione e falsa applicazione degli articoli 1324, 1345, 1375, 1418 c.c., impugnando la statuizione di rigetto della domanda di nullita’ del licenziamento fondata sulla sua natura ritorsiva.
Il ricorrente ha assunto che, una volta accertata l’inesistenza di una legittima motivazione del licenziamento individuale, si imponeva il vaglio delle circostanze relative alla sua reale motivazione; i fatti descritti in riferimento ai precedenti motivi dal secondo al quinto del ricorso, analizzati nella loro connessione logica e temporale, ne rivelavano la connotazione ritorsiva.
– Con il settimo motivo: violazione e falsa applicazione – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (rectius: 3) – della L. n. 223 del 1991, articoli 4, 5 e 24 e dell’articolo 1418 c.c..
Con il motivo si deduce la nullita’ del licenziamento per violazione delle norme imperative poste dalla L. n. 223 del 1991, domanda non indicata dalla Corte d’Appello nella esposizione delle conclusioni delle parti e non esaminata. Si assume che la vicenda, correttamente ricostruita, determinava la nullita’ del licenziamento per violazione delle norme imperative poste dalla L. n. 223 del 1991.
Ulteriore profilo di nullita’ era ravvisabile nella reiterazione del precedente licenziamento, dichiarato nullo con precedente giudicato.
– Con l’ottavo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18.
La censura investe la statuizione di risoluzione del rapporto di lavoro ed applicazione della sola tutela indennitaria, assumendosi che la corretta ricostruzione in fatto, con il riconoscimento della nullita’ del licenziamento per motivo illecito determinante ovvero per violazione delle norme imperative di cui alla L. n. 223 del 1991 – articoli 4 e 24 ovvero articolo 5 – comportava l’applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 1.
Ritiene il Collegio debba essere esaminato in via preliminare il sesto motivo di ricorso, relativo al rigetto della domanda di nullita’ del licenziamento in quanto ritorsivo.
Il motivo e’ fondato.
La sentenza impugnata dopo avere affermato la illegittimita’ del licenziamento individuale del (OMISSIS) – perche’ adottato per gli stessi motivi posti a base della procedura di licenziamento collettivo- ha respinto la domanda di nullita’ per la natura ritorsiva del medesimo licenziamento sul rilievo della assenza di esclusivita’ (rectius: del carattere determinante) del motivo ritorsivo, in quanto al licenziamento avevano concorso quegli stessi motivi economici posti a base della procedura di licenziamento collettivo.
Tale statuizione e’ in contraddizione con il principio, gia’ enunciato da questa Corte (Cass., sezione lavoro 04/04/2019, n. 9468; 23 novembre 2018 n. 30429), secondo cui affinche’ resti escluso il carattere determinante del motivo illecito del licenziamento ex articolo 1345 c.c. ed L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 1, non e’ sufficiente che il datore di lavoro alleghi l’esistenza di un giustificato motivo oggettivo ma e’ necessario che quest’ultimo risulti comprovato e che, quindi, possa da solo sorreggere il licenziamento, malgrado il concorrente motivo illecito.
In particolare, la ragione economica posta a base del licenziamento individuale non puo’ escludere il carattere determinante del motivo illecito dedotto dal lavoratore tanto nei casi in cui manchi la prova della sua effettivita’ che nei casi in cui la esigenza organizzativa, pur esistente, non configuri un giustificato motivo oggettivo L. n. 604 del 1966, ex articolo 3; in entrambe le ipotesi, invero, la ragione allegata dal datore di lavoro non sarebbe idonea a sorreggere il licenziamento.
Nella fattispecie di causa la Corte territoriale, avendo escluso la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, avrebbe dovuto procedere all’accertamento in fatto della sussistenza o meno del motivo illecito, indagine che ha ritenuto superflua alla luce della erronea affermazione, in punto di diritto, della sua natura non determinante ex articolo 1345 c.c.
La sentenza impugnata deve essere conclusivamente cassata in accoglimento del sesto motivo del ricorso del lavoratore e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione affinche’, alla luce del principio di diritto sopra esposto, provveda ad un nuovo esame della domanda di nullita’ del licenziamento in quanto ritorsivo.
Dalla cassazione della pronuncia che ha escluso il motivo ritorsivo del licenziamento deriva l’assorbimento delle ulteriori censure inerenti alla statuizione cassata.
Le restanti ragioni del ricorso, relative alla domanda di nullita’ del licenziamento per violazione della L. n. 223 del 1991, articoli 4, 5 e 24 restano assorbite secondo l’ordine logico: dal loro eventuale accoglimento non deriverebbero per il lavoratore – nel vigente regime della L. n. 223 del 1991, articolo 5 ratione temporis applicabile – le medesime conseguenze utili assicurate dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 1, poiche’ la norma citata non collega alla loro violazione alcun effetto in termini di nullita’ del licenziamento.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente (OMISSIS) spa dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso di (OMISSIS) spa. Accoglie il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS), assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente (OMISSIS) spa dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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