Il danno patrimoniale da perdita di una “chance”

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 1 settembre 2020, n. 5330.

La massima estrapolata:

Il danno patrimoniale da perdita di una “chance” costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale ed esige la prova, anche presuntiva, purchè fondata su circostanze specifiche e concrete, dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza. Il risarcimento in parola può essere, in altri termini, riconosciuto solo quando la “chance” perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base ad elementi certi ed obiettivi.

Sentenza 1 settembre 2020, n. 5330

Data udienza 16 luglio 2020

Tag – parola chiave: Attività di guardia giurata – Autorizzazione – Tardivo rilascio – Danno da perdita di chance – Natura

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2769 del 2018, proposto da
An. An., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fi. De Ma. in Roma, via (…);
contro
Ufficio Territoriale del Governo di Modena, Ministero dell’Interno, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Seconda n. 781/2017, resa tra le parti, concernente il risarcimento dei danni derivanti dal tardivo rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di guardia giurata;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Modena e del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica, tenutasi da remoto, del giorno 16 luglio 2020 il Cons. Stefania Santoleri e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. 18/2020, convertito in modificazioni con legge n. 27/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con la sentenza impugnata, n. 781/2017, il TAR per l’Emilia Romagna ha accolto parzialmente il ricorso proposto dal ricorrente diretto ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo con il quale la P.A. gli ha rilasciato l’autorizzazione ad esercitare l’attività di guardia giurata in qualità di lavoratore autonomo.
2.- Il ricorrente espone di aver svolto dal 1988 al 2002 l’attività di guardia giurata in qualità di lavoratore dipendente presso diversi istituti di vigilanza e di aver presentato, in data 12 dicembre 2003, istanza volta ad ottenere l’autorizzazione a svolgere tale attività quale lavoratore autonomo.
2.1.- Con provvedimento del 22 marzo 2004 la Prefettura di Modena ha ritenuto, rigettando l’istanza del ricorrente, che in base al disposto dell’art. 133 del T.U.L.P.S. l’attività di vigilanza avrebbe potuto essere svolta unicamente da guardie giurate o direttamente dipendenti da proprietari privati o enti pubblici ovvero indirettamente alle dipendenze di istituti di vigilanza. Avverso tale provvedimento il ricorrente ha proposto ricorso dinanzi al TAR per l’Emilia Romagna che, con sentenza n. 3696/04 ne ha pronunciato l’annullamento.
Avverso tale sentenza è stato interposto appello da parte dell’Associazione nazionale guardie giurate ed il relativo ricorso è stato rigettato con sentenza del Consiglio di Stato n. 2661/2010.
2.2.- Malgrado la notificazione della sentenza e di un successivo atto di diffida (notificato in data 21 gennaio 2005) l’Amministrazione non vi ha dato esecuzione sicché il ricorrente ha proposto ricorso per l’ottemperanza poi accolto dallo stesso T.A.R. con sentenza n. 778/2005 con la quale è stato – tra l’altro – disposto di riesaminare la domanda del ricorrente e di concludere il relativo procedimento in conformità alle indicazioni contenute nella predetta sentenza n. 3696/2004.
2.3.- Con decreto prot. 159 Area 1 L.P. del 4 agosto 2005 il Prefetto di Modena si è nuovamente pronunciato sull’istanza dell’interessato, respingendola.
2.4.- Il ricorrente ha, dunque, proposto una nuova domanda di annullamento dinanzi allo stesso tribunale che è stata accolta (sentenza n. 1078/05) poiché l’Amministrazione non aveva osservato le garanzie partecipative.
2.5.- In data 10 marzo 2008 la Prefettura di Modena ha, con apposito provvedimento, nuovamente respinto l’istanza del ricorrente; anche tale decisione è stata impugnata dinanzi allo stesso T.A.R. il quale, con sentenza n. 4896/2010 l’ha annullata osservando, tra l’altro, come “la Prefettura ha continuato nella sostanza a non volere accettare la figura della guardia giurata come lavoratore autonomo, ed a ritenere che, comunque, l’attività espletata in tale forma contrasti ex se con l’esigenza di tutelare efficacemente persone e beni”. Nella medesima sentenza è stato dato atto, altresì, della circostanza che il ricorrente aveva fornito risposte precise sulla capacità tecnica ed economica e sulla conformità delle modalità operative del servizio a quelle richieste.
2.6.- Pur in presenza dell’annullamento di tale ulteriore provvedimento di diniego l’Amministrazione non ha provveduto al rilascio della richiesta autorizzazione.
2.7.- Parte ricorrente ha, quindi, proposto ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. 4896/2010 al fine di ottenerne l’adempimento mediante il rilascio dell’autorizzazione in questione ed il pagamento delle spese processuali ivi liquidate con richiesta di nomina di un commissario ad acta. 2.8.- Con sentenza n. 119/2011 il TAR ha, in primo luogo, giudicato sussistente l’inottemperanza dell’Amministrazione nei confronti dell’obbligo di procedere alla riedizione del potere amministrativo a seguito della sentenza di annullamento suindicata ed ha ritenuto, altresì, che nel caso di specie esistesse un vincolo per l’Amministrazione in ordine al contenuto del provvedimento da emettere in sede di riedizione del potere.
Con tale decisione il TAR ha evidenziato che, a fronte della terza sentenza di annullamento del diniego, non residuava all’amministrazione alcuno spazio discrezionale in ordine al rilascio del titolo abilitativo richiesto e, pertanto, la stessa Amministrazione, onde ottemperare alla sentenza n. 4896/2010, avrebbe dovuto provvedere a determinarsi in tal senso “mediante l’emissione del provvedimento in questione”.
3.- In data 29 marzo 2011, successivamente alla proposizione dell’odierna azione risarcitoria, la Prefettura di Modena ha riconosciuto al ricorrente la qualifica di guardia giurata in forma di lavoratore autonomo, evidenziando che, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del d.m. n. 269/2010, “il riconoscimento della nomina a guardia giurata è subordinato all’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente con il titolare della licenza prevista dagli articoli 133 o 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”, con onere del ricorrente di adeguarsi entro 18 mesi dal 16 marzo 2011. Parte ricorrente ha, dunque, avviato l’attività la quale è cessata il 16 settembre 2012.
4. – Con il ricorso di primo grado il ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni patiti, sostenendo che la condotta della Prefettura gli avrebbe impedito lo svolgimento dell’attività di lavoratore autonomo dal momento della richiesta del 2003, fino all’avvenuto rilascio dell’autorizzazione del 2011, pur in presenza dei pronunciamenti del TAR – e segnatamente sin dalla seconda sentenza di annullamento – sulla base dei quali l’Amministrazione avrebbe dovuto determinarsi nel senso di rilasciare il provvedimento richiesto. Sul versante dell’elemento soggettivo della responsabilità, secondo il ricorrente, la Prefettura avrebbe mantenuto una condotta ostruzionistica nonostante i numerosi solleciti e le sentenze volti ad ottenere l’esecuzione degli obblighi verso il ricorrente. Da tale condotta sarebbero derivati danni patrimoniali e non patrimoniali: i primi quantificati in Euro 70.000,00 annui, ovvero nell’inferiore somma pari a quella che il ricorrente avrebbe percepito quale guardia giurata dipendente (ossia Euro 33.285,62 lordi), in disparte la perdita dell’avviamento che avrebbe maturato ove avesse iniziato l’attività nel 2003; i secondi, legati alla violazione del diritto al lavoro costituzionalmente tutelato ed alla compromissione della sfera relazionale, oltre le spese sostenute per la tutela giurisdizionale azionata con i numerosi ricorsi, da liquidarsi in via equitativa nella misura del 100% dei mancati guadagni.
5. – Con la sentenza impugnata il TAR ha accolto parzialmente il ricorso riconoscendo la responsabilità della P.A.
5.1 – In relazione alla quantificazione del danno, il TAR ha accolto la sola domanda relativa al danno patrimoniale, liquidandolo nella misura di Euro 5.000,00 in luogo della maggiore somma rivendicata in giudizio; ha respinto, invece, la domanda diretta ad ottenere il danno non patrimoniale per carenza totale di prova.
6. – Avverso tale capo di sentenza – relativo al quantum debeatur a titolo di risarcimento del danno – il ricorrente ha proposto appello; il capo di sentenza che ha riconosciuto la responsabilità della P.A. non è stato impugnato dall’Amministrazione e dunque è passato in giudicato.
L’appello, dunque, verte sul capo di sentenza che ha riconosciuto, in via ridotta, il danno patrimoniale ed ha respinto la domanda diretta ad ottenere quello non patrimoniale.
6.1 – L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio senza svolgere attività difensiva.
7. – All’udienza pubblica del 16 luglio 2020, tenutasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
8. – L’appello è infondato e va, dunque, respinto.
9. – Con il primo motivo di appello l’appellante ha lamentato la violazione dell’art. 3, comma 1 e dell’art. 88, comma 2, lett. d) c.p.a. oltre alla violazione dell’art. 1226 c.c., rilevando che la sentenza non sarebbe stata motivata, in quanto non sarebbero stati indicati i criteri utilizzati per la quantificazione, in via equitativa, per la commisurazione del danno.
9.1 – Il secondo motivo investe specificatamente la quantificazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
9.1.1 – Con specifico riferimento ai danni patrimoniali l’appellante ha rappresentato di non aver potuto svolgere l’attività di guardia giurata per ben sette anni, con la conseguente perdita di guadagno derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa.
In particolare, ha rilevato che dopo il rilascio del decreto prefettizio (29/3/2011) avrebbe avuto la possibilità di svolgere l’attività di lavoro autonomo per un periodo assai breve, posto che la Prefettura gli aveva imposto la prescrizione di costituire un rapporto di lavoro dipendente “con il titolare della licenza” entro 18 mesi a partire dal 16 marzo 2011.
Non potendo assoggettarsi ad un rapporto di subordinazione, dopo la defatigante battaglia giudiziaria svolta negli atti, è stato costretto dal 16/9/2012 a cessare l’attività di lavoro autonomo e a dar corso ad un nuovo contenzioso, tuttora pendente dinanzi al TAR Emilia Romagna, avverso tale prescrizione.
Ha quindi dedotto che avendo avuto a disposizione un breve intervallo di tempo, non avrebbe avuto la concreta possibilità di “far decollare” e consolidare la propria attività lavorativa.
9.1.2 – Ha sottolineato di aver prodotto in primo grado una perizia giurata che avrebbe quantificato in Euro 273.679,00 il danno derivante dalla mancata tempestiva attivazione della sua prestazione lavorativa, di tipo autonomo; ha anche aggiunto che ove il giudice non avesse condiviso la stima del danno contenuta in tale perizia, avrebbe dovuto disporre un CTU in luogo di provvedere in via equitativa.
Ha quindi censurato, in particolare, le statuizioni del TAR nella parte in cui hanno ritenuto non verosimile la stima del danno patrimoniale subito, sottolineando che quando prestava servizio come guardia giurata dipendente egli aveva svolto il servizio, da solo, in favore di circa 400 soggetti e che, quindi, se avesse potuto avviare la sua attività tempestivamente, avrebbe goduto del vantaggio di essere “partito ed arrivato per primo” con ogni conseguente vantaggio concorrenziale.
9.1.3 – In ogni caso la somma liquidata sarebbe stata palesemente inidonea tenuto che si trattava di liquidare un danno derivante da sette anni di inattività .
Ha contestato anche la decisione del primo giudice secondo cui non sarebbe stato possibile utilizzare il parametro del reddito annuo di una guarda giurata dipendente, reddito che nel 2010 ammontava ad Euro 33.285,62; censurando anche la statuizione relativa al danno da avviamento.
9.2 – Con il successivo profilo ha censurato la decisione di primo grado che ha negato il riconoscimento del danno non patrimoniale per carenza di prova, ricordando che il diritto al lavoro è un diritto fondamentale e che quindi tale danno avrebbe dovuto essere riconosciuto in via presuntiva nella misura del 50% dei mancati guadagni o nella diversa misura riconosciuta dal giudice.
10. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente essendo tra loro connesse, non possono essere condivise.
10.1 – Quanto al danno patrimoniale il TAR ha ritenuto non condivisibili i criteri di calcolo utilizzati dal ricorrente attraverso la perizia di stima versata in atti in quanto:
– nella predetta perizia si sostiene che il ricorrente, in ipotesi di tempestivo rilascio dell’autorizzazione, avrebbe “certamente” stipulato contratti di vigilanza privata con almeno 500 tra imprenditori, istituti bancari e privati, considerato, tra l’altro, che egli stesso, in passato, avrebbe espletato alle dipendenze della Nuova Emilpol s.r.l. di Carpi il servizio di pattugliamento in qualità di guardia giurata nella città di Modena e provincia per un numero di 400 soggetti;
– di tale circostanza che non vi è nessuna certezza, né sono stati offerti idonei elementi che il ricorrente, secondo dati di esperienza comune, senza un’organizzazione a supporto (nella perizia di stima si fa riferimento ad un’attività svolta senza ausilio di dipendenti), potesse stipulare (e ancor di più onorare) un numero di contratti quale quello invocato rimanendo, invero, tale volume d’affari una sua probabile mera aspirazione;
– siffatta quantificazione non può neppure essere agganciata alla remunerazione della guardia giurata con rapporto di lavoro dipendente, stante l’ontologica differenza tra l’attività svolta attraverso un rapporto di subordinazione e quella svolta in modo autonomo, ciò che non può condurre a ritenere omogenee le due situazioni;
– il volume d’affari che avrebbe garantito – secondo la prospettazione di parte – l’utile invocato a titolo risarcitorio deve essere pertanto significativamente ridimensionato;
– in relazione all’asserito pregiudizio all’avviamento lo stesso, pur rimanendo lo stesso avviamento inespresso in assenza di un verosimile potenziale trasferimento del complesso aziendale (nel caso di specie neppure ipotizzato), deve ricondursi all’effettiva capacità del ricorrente di avviare la propria azienda siccome quanto sopra evidenziato e dunque alla stessa capacità va agganciato nei limiti del complessivo pregiudizio patito, tenendo peraltro nella debita considerazione il fatto che il d.m. n. 269 del 2010 ha poi comunque impedito lo svolgimento dell’attività secondo lo schema del lavoro autonomo.
Il danno patrimoniale è stato quindi ritenuto risarcibile in una misura percentuale minima rispetto a quella allegata ed invocata, quantificata dal TAR complessivamente nella misura di Euro 5.000,00 (euro cinquemila/00).
11. – La decisione del TAR risulta immune da vizi, in quanto – contrariamente a quanto dedotto in appello – il giudice ha fornito un’adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto non attendibile la quantificazione del danno contenuta nella perizia di parte: ha sottolineato, infatti, la non condivisibilità, sulla base di dati di comune esperienza, dei criteri di calcolo utilizzati dal consulente di parte.
Nell’atto di appello l’appellante si è genericamente limitato a censurare tale statuizione, ma non ha fornito alcun elemento di prova a dimostrazione dell’attendibilità dei dati presi in considerazione dal tecnico di parte per commisurare l’entità del risarcimento, con la conseguenza che la valutazione del TAR resiste alle doglianze proposte.
11.1 – I presupposti sui quali si fonda la perizia sono, infatti, del tutto indimostrati: l’asserita sicura stipulazione di 500 contratti di vigilanza, oltre ad essere oggettivamente inverosimile, trattandosi dello svolgimento di un’attività di vigilanza da svolgersi da solo (e quindi senza un’organizzazione aziendale) si scontra con il dato reale emergente dalla documentazione prodotta, che attesta la stipulazione di un numero di contratti di gran lunga inferiore, ciascuno di essi, peraltro, per una durata di pochi mesi.
11.2 – Nella stessa perizia, il consulente di parte ha fatto espresso riferimento a n. 15 contratti stipulati nel 2012, ciascuno di essi del valore di Euro 15,00 mensili: si tratta, con ogni evidenza, di un “giro di affari” assai modesto; tale dato reale si scontra in modo palese con il conteggio effettuato dal consulente per quantificare i ricavi delle prestazioni che avrebbero potuto essere svolte relativamente a ciascun anno; il consulente, infatti, ha preso in considerazione la somma di Euro 180,00 annuali per ciascun contratto (pari ad Euro 15,00 x 12 mesi di servizio) ed ha moltiplicato tale dato per 500, considerando di tale entità il numero degli asseriti clienti potenziali.
Nessun elemento di prova, neanche presuntivo, è stato posto a sostegno di questa favorevole previsione, atteso che – come già rilevato – dalla stessa perizia di parte si evince che, una volta ottenuta l’autorizzazione prefettizia, l’appellante aveva stipulato nell’anno 2012 solo 15 contratti, peraltro, per un intervallo di tempo limitato.
Ne deriva che il conteggio eseguito dal consulente di parte è stato condivisibilmente considerato del tutto inattendibile.
11.3 – Occorre considerare, inoltre, che il rilascio dell’autorizzazione non garantiva automaticamente la stipulazione dei contratti di vigilanza, ma consentiva all’appellante soltanto di inserirsi nel mercato e di competere con gli altri operatori del settore.
Tenuto conto che il danno da risarcire riguarda la sola perdita di chance di conseguire il reddito derivante dall’esercizio dell’attività di vigilanza nel periodo 2004-2010, legittimamente il TAR ha fatto ricorso al criterio equitativo (cfr. Cons. Stato sez. V, 27/12/2017, n. 6088), non sussistendo concreti e certi parametri cui ancorare la quantificazione del danno, atteso che – come correttamente ha ritenuto il primo giudice – non poteva utilizzarsi la retribuzione della guardia giurata dipendente come criterio di computo.
11.4 – Da ciò deriva che, nonostante l’omessa esplicitazione dei criteri di calcolo da parte del primo giudice, l’importo liquidato risulta congruo alla luce dei parametri a disposizione, e cioè il numero dei contratti stipulati nel 2012 (pari a 15), la loro durata (di pochi mesi), la necessità di procedere all’abbattimento del reddito complessivo derivante da tali contratti in misura percentuale per il periodo di riferimento (circa 7 anni) pari almeno al 50%.
Secondo la giurisprudenza, infatti, “il danno patrimoniale da perdita di una “chance” costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale ed esige la prova, anche presuntiva, purchè fondata su circostanze specifiche e concrete, dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza (Cass. 30/09/2016, n. 19604, Cass. 13/04/2017, n. 9571). Il risarcimento in parola può essere, in altri termini, riconosciuto solo quando la “chance” perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento, da desumersi in base ad elementi certi ed obiettivi (Cass. 10/12/2012, n. 22376) (Cassazione civile sez. lav., 11/10/2017, n. 23862).
Ne consegue che la quantificazione del danno patrimoniale eseguita dal TAR risulta immune dai vizi dedotti in appello.
12. – Quanto al danno non patrimoniale, correttamente il TAR ha richiamato il costante orientamento della giurisprudenza secondo cui tale danno è risarcibile “solo ove sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio; in particolare tale onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche, perchè il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. 13 maggio 2011, n. 10527; Cass. 21 giugno 2011, n. 13614).
Affinchè sia riconoscibile valore giuridico alle presunzioni semplici è necessario che gli elementi presi in considerazione siano gravi, precisi e concordanti, ovvero siano tali da lasciar apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità, senza che sia consentito al giudice, in mancanza di un fatto noto, fare riferimento ad un fatto presunto e far derivare da questo un’altra presunzione (Cass. 20 giugno 2006, n. 14115; Cassazione civile sez. lav., 18/01/2017, n. 1185).
12.1 – Per il riconoscimento del danno non patrimoniale non basta far riferimento ad un generico stato di stress conseguente alla condotta dell’Amministrazione, ma occorre la prova specifica del danno subito.
Nel caso di specie tale prova non è stata fornita e, quindi, la statuizione del TAR sullo specifico punto merita conferma.
13. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza di primo grado che ha accolto in parte il ricorso di primo grado.
14. – Le spese del grado di appello possono compensarsi tra le parti tenuto conto che l’Amministrazione si è limitata alla sola costituzione formale senza svolgere attività difensiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata, che ha accolto in parte il ricorso di primo grado.
Spese del grado di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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