Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 marzo 2021| n. 7126.
Il danno estetico non può essere considerato una voce di danno a sè, aggiuntiva ed ulteriore rispetto al danno biologico, salve circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, circostanze nella specie non ricorrenti e comunque non adeguatamente e specificatamente allegate.
Ordinanza|12 marzo 2021| n. 7126
Data udienza 7 ottobre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Danno estetico – Liquidazione del danno biologico – Lesione dell’integrità psicofisica del soggetto – Invalidità temporanea e permanente – Liquidazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 26900 dell’anno 2018, proposto da:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)) rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
– ricorrenti –
nei confronti di:
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE di Teramo, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore Generale, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di L’Aquila n. 1966/2017, pubblicata in data 27 ottobre 2017;
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 7 ottobre 2020 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS), in proprio e quale genitore legale rappresentante della figlia minore (OMISSIS) (che, raggiunta la maggiore eta’ nel corso del giudizio di primo grado, lo ha proseguito in proprio), ha agito in giudizio contro l’Azienda U.S.L. di Teramo per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito a trattamenti sanitari inadeguati cui era stata sottoposta (OMISSIS) presso la Divisione di Odontoiatria dell’Ospedale Civile “(OMISSIS)” di (OMISSIS).
Le domande sono state rigettate dal Tribunale di Teramo. La Corte di Appello di L’Aquila, in riforma della decisione di primo grado, le ha invece parzialmente accolte, condannando l’Azienda U.S.L. di Teramo a pagare l’importo di Euro 25.000,00 in favore di (OMISSIS) e l’importo di Euro 3.471,60 in favore di (OMISSIS), oltre accessori.
Ricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Azienda U.S.L. di Teramo.
Il ricorso e’ stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375 e 380 bis.1 c.p.c..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2047 e 2059 c.c.: per avere la Corte di Appello dell’Aquila ritenuto che il periodo di trattamento necessario per evitare un aggravamento del quadro clinico e contenere gli effetti negativi delle cure negligenti, sino alla stabilizzazione dei postumi, non possa essere liquidato come danno da invalidita’ temporanea ma sia assorbito dal danno da invalidita’ permanente (ex articolo 360 c.p.c., n. 3)”. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2047 e 2059 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti per avere la Corte di Appello dell’Aquila personalizzato il danno non patrimoniale subito dalla sig.ra (OMISSIS) senza tener conto del reale periodo di invalidita’ temporanea (ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.
Il primo ed il terzo motivo (aventi entrambi ad oggetto la liquidazione del danno da invalidita’ temporanea subito dall’attrice (OMISSIS)) sono logicamente connessi e possono pertanto essere esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati.
La corte di appello ha respinto la pretesa dell’attrice di ottenere il riconoscimento del danno da invalidita’ temporanea per l’intero periodo (pari a circa undici anni) in cui era stata sottoposta a cure odontoiatriche/ortodontiche finalizzate a contenere e stabilizzare i danni riportati a seguito dell’incidente (e del successivo inadeguato trattamento medico ricevuto), liquidando esclusivamente il danno derivante dall’inabilita’ temporanea per i quaranta giorni del suo ricovero ospedaliero (oltre al danno da invalidita’ permanente, danno che risulta correttamente valutato in base alla situazione della danneggiata come stabilizzatasi all’esito delle indicate cure).
In tal modo, sono stati violati i principi di diritto affermati in proposito da questa Corte – e che vanno in questa sede ribaditi – secondo cui la liquidazione del danno biologico deve tener conto della lesione dell’integrita’ psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidita’ temporanea e di quella permanente e quest’ultima e’ suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo abbia riacquistato la sua completa validita’ con relativa stabilizzazione dei postumi, onde l’esistenza di una malattia in atto e l’esistenza di uno stato di invalidita’ permanente non sono tra loro compatibili, di modo che, sinche’ durera’ la malattia, permarra’ uno stato di invalidita’ temporanea, anche se non v’e’ ancora invalidita’ permanente (v. ad es., Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3806 del 25/02/2004, Rv. 570534 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10303 del 21/06/2012, Rv. 623138 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 26897 del 19/12/2014, Rv. 633923 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5197 del 17/03/2015, Rv. 634697 01; Sez. 3, Sentenza n. 16788 del 13/08/2015, Rv. 636383 –
01).
Nella specie, il periodo in cui (OMISSIS) era stata sottoposta al trattamento odontoiatrico/ortodontico finalizzato a contenere e stabilizzare i postumi riportati a seguito dell’evento dannoso, avrebbe senz’altro dovuto essere preso in considerazione ai fini della liquidazione del danno da invalidita’ temporanea (anche in considerazione dell’incidenza notoriamente pregiudizievole, sotto il profilo funzionale e della vita di relazione, di tali trattamenti), dovendo l’incidenza dell’invalidita’ permanente essere valutata solo all’esito della stabilizzazione della sua condizione, determinatasi con la conclusione del trattamento in questione.
Nella valutazione di tale pregiudizio, in particolare, avrebbe dovuto considerarsi sia il profilo dell’inabilita’ temporanea determinata dai trattamenti, per tutta la loro durata, sia (nell’ambito della complessiva liquidazione del danno non patrimoniale) il profilo delle eventuali conseguenti sofferenze morali o psicologiche patite dalla danneggiata a causa degli stessi.
La liquidazione operata dalla corte di appello non ha invece tenuto conto della situazione in cui la danneggiata si e’ trovata nel corso del periodo in cui e’ stata costretta a sottoporsi a tali trattamenti, sotto nessuno dei due profili indicati.
La decisione va pertanto cassata sul punto. La liquidazione del danno non patrimoniale e, in particolare, di quello relativo all’invalidita’ temporanea dovra’ essere nuovamente effettuata in sede di rinvio, sulla base del seguente principio di diritto: “la liquidazione del danno biologico deve tener conto della lesione dell’integrita’ psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidita’ temporanea e di quella permanente;
quest’ultima e’ suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo abbia riacquistato la sua completa validita’ con relativa stabilizzazione dei postumi, mentre, ai fini della liquidazione del danno da invalidita’ temporanea, laddove il danneggiato si sia dovuto sottoporre a periodi di cure, necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidita’ residuato al fatto dannoso e/o impedire il suo aumento, gli va riconosciuto un danno da inabilita’ temporanea totale o parziale per tali periodi, inteso come privazione della capacita’ psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilita’ sofferto, dovendosi inoltre tenere anche conto nella liquidazione complessiva del danno non patrimoniale delle relative sofferenze morali soggettive, eventualmente da egli patite negli indicati periodi”.
2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2047 e 2059 c.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti per avere la Corte di Appello dell’Aquila quantificato il danno non patrimoniale subito dalla sig.ra (OMISSIS) senza tener conto della componente riconducibile al concetto di danno estetico (ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.
Il motivo e’ infondato.
L’eventuale sussistenza di un danno estetico doveva essere (ed e’ stata, per quanto emerge dagli atti) presa in considerazione dal consulente tecnico di ufficio nell’ambito della valutazione relativa all’incidenza dell’invalidita’ permanente. La pretesa di ottenere una separata liquidazione di tale pregiudizio e’ infondata in diritto, in virtu’ del principio di omnicomprensivita’ e della necessaria liquidazione unitaria del danno biologico non patrimoniale.
Sotto tale aspetto, la decisione impugnata risulta conforme ai principi di diritto enunciati in materia da questa Corte, secondo cui il danno estetico non puo’ essere considerato una voce di danno a se’, aggiuntiva ed ulteriore rispetto al danno biologico, salve circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto piu’ grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta’, circostanze nella specie non ricorrenti e comunque non adeguatamente e specificamente allegate (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14246 del 08/07/2020, Rv. 658620 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 20630 del 13/10/2016, Rv. 642918 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014, Rv. 633405 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21716 del 23/09/2013, Rv. 628100 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11950 del 16/05/2013, Rv. 626348 – 01; Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605495 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7492 del 27/03/2007, Rv. 596962 – 01).
La censura, d’altronde, risulta formulata in termini non sufficientemente specifici, nell’indicare gli elementi in base ai quali risulterebbe emergere il dedotto danno estetico, in violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
3. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 167 c.p.c. e del principio di non contestazione per avere la Corte d’Appello rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito dal sig. (OMISSIS) per carenza di prova di circa l’esistenza e la quantificazione stessa del danno senza avvedersi che entrambe le circostanze risultavano essere pacifiche in quanto non contestate (ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.
Il motivo e’ infondato.
Secondo il ricorrente (OMISSIS), egli avrebbe specificamente dedotto, in sede di merito, i danni connessi alle spese sostenute per le trasferte effettuate, dall’Abruzzo a Roma, in vista dei trattamenti odontoiatrici/ortodontici subiti dalla figlia e non vi sarebbe stata una specifica contestazione in ordine a tali allegazioni.
La corte di appello ha peraltro ritenuto provate solo le spese emergenti dalle relative fatture mediche.
Il motivo di ricorso non risulta formulato in termini sufficientemente specifici, in violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
Non e’ infatti adeguatamente richiamato il contenuto degli atti introduttivi in cui sarebbero stati allegati i fatti di cui si assume la non contestazione (in particolare, non risulta adeguatamente richiamato il contenuto della comparsa di risposta della A.S.L. convenuta, in cui i fatti allegati dall’attore non sarebbero stati specificamente contestati).
E’ comunque appena il caso di ribadire che il principio di non contestazione riguarda esclusivamente i “fatti” allegati dalle parti (che, in quanto non contestati, non richiedono prova), non certo il contenuto e, tanto meno la valenza probatoria, dei documenti prodotti per dimostrare tali fatti (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 21/06/2016, Rv. 640254 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3306 del 11/02/2020, Rv. 657014 – 01; cfr. altresi’: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22055 del 22/09/2017, Rv. 646016 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30744 del 21/12/2017, Rv. 647006 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 3126 del 01/02/2019, Rv. 652900 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 05/03/2020, Rv. 657154 – 01). I documenti, in quanto prove precostituite, devono invece essere sempre valutati dal giudice nella loro valenza probatoria (mentre, al contrario, i fatti non oggetto di contestazione, essendo al di fuori del cd. “thema decidendum” per definizione non richiedono alcuna prova, onde non vi puo’ essere alcuna “non contestazione” in relazione al contenuto di documenti).
Sotto questo aspetto, la censura in esame finisce per sovrapporre erroneamente i due piani indicati. Si discute – sia nel ricorso che nelle memorie depositate dai ricorrenti – della regolarita’ della produzione di prospetti e documenti, ma la questione non puo’ ritenersi rilevante ai fini della dedotta ed eventuale violazione del principio di non contestazione, perche’ quest’ultimo non riguarda i documenti ma le allegazioni e non ha ad oggetto la valutazione delle prove documentali ma solo le allegazioni di specifici fatti.
In ogni caso, per quanto e’ possibile evincere dagli atti, la corte di appello non risulta avere affatto violato il principio di non contestazione: essa non ha negato il fatto che la figlia del ricorrente era stata sottoposta a trattamenti odontoiatrici/ortodontici presso un professionista di Roma (liquidando infatti gli importi delle relative fatture), ne’ che la famiglia aveva dovuto affrontare le relative trasferte. Ha pero’ ritenuto che i documenti prodotti non costituissero sufficiente prova del quantum delle spese effettivamente affrontate per tali trasferte e, in particolare, ha ritenuto non provato il preteso pregiudizio reddituale conseguente al mancato svolgimento dell’attivita’ lavorativa di (OMISSIS), che secondo quest’ultimo sarebbe stato invece documentato sulla base delle dichiarazioni attinenti al reddito percepito (quale promotore finanziario) negli anni in considerazione.
Le censure in esame, sotto questo aspetto, si risolvono in una contestazione avente ad oggetto la valutazione delle prove, attivita’ riservata al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimita’.
4. Sono accolti il primo e il terzo motivo del ricorso, che e’ rigettato per il resto.
La sentenza impugnata e’ cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso, che rigetta per il resto, e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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