Il danno biologico è pregiudizio ontologicamente diverso dal c.d. danno morale soggettivo

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 18 febbraio 2020, n. 4099.

La massima estrapolata:

Il danno biologico, rappresentato dall’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, è pregiudizio ontologicamente diverso dal c.d. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute ed entrambi devono essere risarciti. In tal senso, sebbene il giudice debba provvedere ad una liquidazione unitaria di tale danno, allo stesso modo di ciò che avviene con riguardo al danno patrimoniale, dovrà essere riconosciuta al danneggiato una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito, tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua componente, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche.

Sentenza 18 febbraio 2020, n. 4099

Data udienza 14 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 7053-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
– (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– (OMISSIS) NV, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 367/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 26/09/2014, R. G. N. 308/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2019 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega avvocato (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 26 settembre 2014, la Corte d’Appello di Genova, in parziale riforma della decisione del locale Tribunale, ha aumentato ad Euro 97.185,00 l’importo pari ad Euro 69.110,00 riconosciuto a titolo di risarcimento del danno in favore di (OMISSIS) condannando altresi’ in solido la (OMISSIS) S.p.A. e la (OMISSIS) alla rifusione delle spese di lite.
In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto, confermando sul punto la decisione del Tribunale, che la responsabilita’ indiretta del datore di lavoro ex articolo 2049 c.c., per il fatto dannoso commesso dal dipendente, non richiede che fra le mansioni affidate all’autore dell’illecito e l’evento sussista un nesso di causalita’, essendo sufficiente un nesso di occasionalita’ necessaria, per essere irrilevante che il dipendente medesimo abbia agito con dolo o per finalita’ strettamente personali.
La Corte d’appello ha, tuttavia, ritenuto insufficiente la somma quantificata in primo grado per il risarcimento del danno subito dalla lavoratrice, in considerazione della gravita’ del pregiudizio fisico e psichico riportati per effetto delle molestie sessuali poste in essere nei suoi confronti da due dipendenti, suoi superiori gerarchici, e seguite, breve distanza di tempo, dallo stupro perpetrato nei propri confronti da uno dei due.
Il giudice di secondo grado, quindi, ha reputato equo aumentare del 50% l’importo riconosciuto a titolo di danno non patrimoniale, per consentire un pieno ristoro del pregiudizio subito dalla ricorrente.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso, assistito da memoria, (OMISSIS), affidandolo ad un motivo.
Resistono, con controricorso, la (OMISSIS) S.p.A. e la (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con l’unico motivo di ricorso si censura la decisione di merito ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, deducendosi la violazione degli articoli 112 e 116 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2697 c.c., per omessa pronunzia sull’eccepito difetto di valutazione e motivazione delle risultanze della CTU medico legale del primo grado che riconoscevano un danno alla vita di relazione in misura equivalente al danno biologico, deducendosi, in particolare, il difetto di pronunzia sull’eccepito mancato riconoscimento di una voce di danno.
Il motivo e’ fondato.
1.1. Sottolinea parte ricorrente, al riguardo, che il consulente tecnico d’ufficio aveva riconosciuto esiti di carattere permanente, rappresentati dal disturbo post traumatico da stress, con stato depressivo, quantificati in misura pari al 15% specificando, altresi’, che i postumi in questione “incidono negativamente in misura equivalente al biologico” sulla vita di relazione della ricorrente; evidenzia, quindi, che erano state determinate due poste, una di danno biologico pari al 15% (secondo le tabelle del risarcimento del danno) e l’altra di danno non patrimoniale alla vita di relazione, riconosciuto in egual misura rispetto al danno biologico e, pertanto, pari anch’esso al 15%.
1.2. Va premesso, con riguardo all’allegata violazione dell’articolo 2697 c.c., che essa si configura solamente qualora il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 35). Profilo che, nel caso di specie, deve escludersi avendo il giudice di secondo grado fatto corretta applicazione della disposizione normativa considerata e posto alla base della decisione gli elementi di prova offerti dalla parte ricorrente, in ossequio al disposto di cui all’articolo 2697 c.c..
1.2.1. Quanto all’omessa pronunzia, giova rilevare che sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina esclusivamente le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.; articolo 185 c.p.).
La natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte Cost. n. 233 del 2003; Cass., Sez. U., 11/11/2008, n. 26972) implica innanzitutto l’unitarieta’ rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica ed inoltre, l’onnicomprensivita’ intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze che abbiano inciso “in peius” sulla precedente situazione del danneggiato derivanti dall’evento di danno, affiancata dal limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, e dando quindi ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, fra cui il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni e il cui contenuto consenta di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale (Sul punto, cfr. Cass. 20/08/2018, n. 20795). Compito del giudicante e’, quindi, quello di valutare congiuntamente, ma in modo distinto, la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, e, cioe’, tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (il danno definito morale, da identificarsi con il dolore, come in ipotesi della vergogna, della disistima di se’, della paura, ovvero della disperazione) quanto quello dinamico-relazionale (atto ad incidere in senso (peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
Nella valutazione del danno in parola, in particolare, ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto, il giudice dovra’, pertanto, valutare, a fini risarcitori, tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale – che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se’ stesso – quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita – che si muovono nell’ambito della relazione del soggetto con la realta’ esterna, con tutto cio’ che, in altri termini, costituisce “altro da se'”- (Cfr, in questi termini, Cass. n. 20795/2018 cit.).
La misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) puo’ essere poi aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e del tutto peculiari, quali quelle ritenute sussistenti nel caso di specie (Cass., 21/09/2017, n. 21939, Cass., 17/01/2018, n. 901, Cass., 27/03/2018, n. 7513).
1.2.2. Deve, quindi, ritenersi che costituisca duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attivita’ dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (articolo 32 Cost.);
nondimeno, una differente ed autonoma valutazione andra’ compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, peraltro oggi alla luce dalla nuova formulazione dell’articolo 138 del c.d.a., alla lettera e).
Conseguentemente, il danno biologico, rappresentato dall’incidenza negativa sulle attivita’ quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, e’ pregiudizio ontologicamente diverso dal cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute; entrambi devono essere risarciti (cfr, in terminis, Cass. 30/10/2018, n. 27482).
Sebbene il giudice debba provvedere ad una liquidazione unitaria di tale danno, allo stesso modo di cio’ che avviene con riguardo al danno patrimoniale, dovra’ essere riconosciuta al danneggiato una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito, tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua componente, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (in questi termini, Cass. Cass., 20/04/2016, n. 7766).
2. Alla luce del descritto panorama normativo e giurisprudenziale appare evidente l’omissione in cui e’ incorsa la Corte di merito.
La Corte, infatti, nell’affermare che “… il danno non patrimoniale va ben al di la’ del pregiudizio fisico psichico… il danno non patrimoniale deve quindi comprendere e con percentuale molto significativa anche i suddetti pregiudizi e non puo’ essere liquidato, come giustamente rilevato dall’appellante principale, applicando rigidamente, sia pure nei valori massimi, tabelle formate essenzialmente sulla responsabilita’ civile legata alla circolazione stradale…” fa riferimento a quelle conseguenze psichiche che sempre rientrano nell’ambito del danno biologico (appunto danno fisio – psichico per stessa ammissione della Corte d’Appello) e, pure, ne riconosce l’esigua determinazione da parte del giudice di primo grado e ne statuisce un incremento nella misura del 50% onde procedere a quello che ritiene il massimo ristoro possibile della lesione subita dalla ricorrente.
Omette, tuttavia, in tale liquidazione, completamente la voce del danno morale inteso come sofferenza intrinseca ed ulteriore del danneggiato stricto sensu e che in modo inesatto il CTU denomina danno alla vita di relazione.
In questo senso, e’ evidente che la personalizzazione del danno con l’aumento in misura del 50% non soddisfa i canoni risarcitori normativamente e giurisdizionalmente previsti, atteso che una voce, il danno morale, quale lesione intima, interiore, la sofferenza interna come componente indefettibile del danno non patrimoniale in determinate circostanze, peraltro particolarmente rilevante nel caso di specie, oggetto di domanda sia in primo che in secondo grado, e’ stata del tutto omessa nella motivazione non essendosi in alcun modo provveduto al riguardo.
3. Alla luce delle suesposte argomentazioni, la sentenza deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che dovra’ attenersi ai principi sopra enunciati e, ferma la voce di danno biologico tout court, riconosciuto nella misura del 15% e congruamente incrementato dalla Corte d’appello nella misura del 50%, dovra’ provvedere alla liquidazione di una autonoma voce di danno per il pregiudizio intrinseco, personale, connesso alla sofferenza interiore, valutato in considerazione anche della giovane eta’ della danneggiata e della situazione familiare e personale della stessa ma non quantificato dal giudice di merito. La Corte d’appello provvedera’ altresi’ alla liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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