Il contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita non è nullo per contrarietà a norme imperative

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 207.

Il contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita non è nullo per contrarietà a norme imperative

Il contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita non è nullo per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ

Ordinanza|| n. 207. Il contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita non è nullo per contrarietà a norme imperative

Data udienza 20 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Contratto – Invalidità del contratto – Nullità del contratto – Contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita – Nullità per contrarietà a norme imperative – Esclusione Contratto – Invalidità del contratto – Nullità del contratto – Contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita – Nullità per contrarietà a norme imperative – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario- Consigliere rel. est.

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott GUIDA Riccardo- Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Ma.Na., rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al ricorso dall’Avvocato An.St., elettivamente domiciliata presso il suo studio in (…)

Ricorrente

contro

Ka.Pa.

Intimata

avverso la sentenza n. 1760/2019 della Corte di appello di L’Aquila, depositata il 30. 10. 2019 .

Udita la relazione sulla causa svolta dal consigliere Ma.Be. nella camera di consiglio del 20/12/2023.

Il contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita non è nullo per contrarietà a norme imperative

Fatti di causa e ragioni della decisione

1.Con sentenza n. 1760 del 30/10/2019 la Corte d’appello di L’Aquila confermò la decisione di primo grado, che aveva accolto la domanda proposta da Ka.Pa. di risoluzione del contratto di vendita di un immobile stipulato con scrittura privata in data 21/6/2006 per inadempimento dei venditori Di.Fi. e Ma.Na., che avevano rifiutato la stipulazione successiva per atto pubblico ed avevano nel frattempo venduto il bene ad altri, e di condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo pagato, pari ad Euro 250.000,00. La Corte di appello motivò la decisione reputando infondate le difese dei convenuti, che avevano dedotto di avere acquistato il bene in una procedura esecutiva a carico del padre dell’attrice, Ga.Pa., in accordo con quest’ultimo, con cui avevano anche concordato, a scopo di garanzia, la scrittura privata di vendita per cui è causa indicando come acquirente la figlia Ka.Pa., che però non era mai intervenuta in atto e che, successivamente, si era appropriata illecitamente, contro la volontà del genitore, del documento, lo aveva sottoscritto e quindi utilizzato in giudizio nei loro confronti. In particolare, la Corte aquilana ritenne infondata l’eccezione di simulazione del contratto sollevata dai convenuti, per difetto di prova dei fatti allegati e per essere gli stessi contraddetti dalla scrittura privata in atti, che indicava l’attrice parte acquirente, risultava sottoscritta dai contraenti e non era stata validamente contrastata attraverso una controdichiarazione attestante l’esistenza di un diverso accordo. Precisava inoltre che la validità dell’atto di vendita si estendeva anche alla quietanza di pagamento del prezzo, che avrebbe potuto essere impugnata solo in quanto provocata da errore di fatto o da violenza. Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 18/6/2020, ha proposto ricorso Ma.Na., in proprio e quale erede universale di Di.Fi., sulla base di sei motivi. Ka.Pa. non ha svolto attività difensiva.

2. Il primo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 cod. civ., 646 cod. pen., 1321, 1325, 1326 e 1418 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., 2697, 2727, 2729 e seguenti cod. civ. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata per travisamento dei fatti e delle difese proposte nei giudizi di merito. In particolare, si assume che la Corte di merito non ha considerato la deduzione difensiva secondo cui Ka.Pa. non aveva mai assunto la veste di parte contrattuale, non avendo partecipato al contratto di vendita, che aveva sottoscritto solo dopo averlo sottratto illegittimamente al padre, che lo custodiva, così commettendo il reato di appropriazione indebita. Si denuncia un difetto di istruttoria, per non essere stata valutata la querela sporta da Ga.Pa. nei confronti della figlia e per la mancata ammissione della prova per interpello e testi. Si deduce che il contratto, essendo stato il prodotto di un reato perpetrato dall’attrice, avrebbe dovuto essere dichiarato nullo, per violazione di norma imperativa. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere assegnato valenza probatoria alla scrittura di compravendita, senza dare ingresso alle richieste prove orali, volte a provare non la semplice simulazione soggettiva del contratto, ma la sua stessa inesistenza. Il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1418 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 e seguenti cod. civ. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto efficace la quietanza di pagamento del prezzo del bene venduto nonostante che essa fosse frutto del reato compiuto dalla controparte. Il quarto motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 e seguenti cod. civ. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., reitera la censura di mancata ammissione della richiesta di prove orali dirette a dimostrare l’indebita sottrazione della scrittura privata di compravendita da parte dell’attrice e, indirettamente, la insussistenza del dedotto rapporto contrattuale. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2697, 2724 n. 1 e 2 e 1417 cod. civ. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., assumendo che, anche a ritenere che i convenuti avessero denunciato la simulazione assoluta del contratto e non la sua inesistenza, la Corte di appello avrebbe dovuto dare ingresso alle prove orali richieste, sussistendo in favore della deduzione dei convenuti un principio di prova per iscritto, rappresentato dalla copia della scrittura privata mancante della firma della Pa. e dalla querela del padre Ga.Pa. e trovandosi i venditori, in ragione dei rapporti che li legavano a quest’ultimo, nella impossibilità morale di procurarsi una controdichiarazione sulla natura simulata del rapporto. Il sesto motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 e seguenti, 2724 n. 1 e 2 e 1417 cod. civ. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., lamenta il mancato ricorso da parte del giudicante alla prova per presunzioni, non risultando credibile che l’attrice avesse versato il prezzo della vendita nel corso degli anni e per non avere la stessa fornito alcuna spiegazione sui mezzi con cui si era procurata la provvista.

3. I motivi, che appare opportuno trattare congiuntamente, sono tutti in parte infondati e per il resto inammissibili. La disamina delle censure deve partire dalla considerazione che, come risulta dalla lettura del ricorso e come rilevato dalla Corte di appello, nel giudizio di merito i convenuti, a fronte della contestazione del loro inadempimento al contratto di compravendita, non hanno mai contestato di avere sottoscritto il contratto prodotto dalla attrice, ma hanno sostenuto che esso era soltanto apparente, per essere stata la scrittura privata congegnata per altri scopi insieme al padre dell’attrice e senza coinvolgere quest’ultima. Sulla base di tali circostanze hanno quindi dedotto che nessun contratto era stato stipulato con la controparte, che infatti non l’aveva sottoscritto e lo aveva firmato solo successivamente, quando l’aveva rinvenuto tra le carte del genitore e se ne era illegittimamente appropriata e ne aveva fatto abusivamente uso. Risulta inoltre un dato pacifico, essendo la relativa circostanza ammessa dalla odierna ricorrente, la mancanza di qualsiasi controdichiarazione scritta, attestante la mera apparenza della scrittura privata.

4. Tanto precisato, appare condivisibile la sentenza impugnata laddove ha respinto la domanda per difetto di prova della simulazione. Gli argomenti svolti dagli appellanti, come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, non erano chiari in punto di esplicazione delle loro difese, oscillando tra l’affermazione che il contratto di vendita fosse meramente apparente, cioè non voluto, e la tesi che la vendita era stata in realtà convenuta con Ga.Pa., padre dell’attrice, soggetto formalmente terzo perché non indicato come parte del contratto. In entrambi i casi le fattispecie vanno comunque ricondotte nella figura della simulazione, assoluta nel primo caso, per interposizione di persona nel secondo caso. E in entrambi i casi si applica la regola che la prova della simulazione, da parte di uno dei contraenti, non può essere data a mezzo di testimoni o per presunzioni, ma solo attraverso una dichiarazione scritta (ex multis: Cass. n. 18049 del 2022; Cass. n. 10933 del 2022; Cass. n. 18204 del 2017). In mancanza della controdichiarazione, correttamente risulta pertanto essere stata negata la prova testimoniale e per presunzioni e respinta l’eccezione di simulazione. La ricorrente, in particolare con il quinto motivo, deduce che erroneamente la Corte di appello non ha dato ingresso alla prova per testi pur sussistendo un principio di prova per iscritto, rappresentato dalla copia della scrittura privata mancante della firma della Pa. e dalla querela sporta da Ga.Pa., e l’impossibilità morale di procurarsi la controdichiarazione sulla natura simulata del contratto, lamentando l’omesso esame di un fatti decisivi per il giudizio. La censura però appare inammissibile. In primo luogo perché nuova, non risultando né dalla sentenza impugnata né dai motivi di appello riprodotti in ricorso che gli appellanti avessero censurato sotto il profilo sollevato la decisione di primo grado che aveva respinto la loro istanza di prova testimoniale. In secondo luogo perché il vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio non è proponibile, ai sensi dell’art. 348 ter cod. proc. civ., applicabile nel caso di specie essendo stato il giudizio di appello introdotto nel 2015, escludendo tale disposizione la deducibilità in cassazione del motivo di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. nel caso in cui la sentenza di secondo grado sia fondata sulle stesse ragioni di quella di primo grado (c.d. doppia conforme). In tema di istanze istruttorie, merita inoltre precisare che i motivi di ricorso non hanno ad oggetto la richiesta di interrogatorio formale dell’attrice, che è ammissibile laddove miri a provare l’inesistenza del contratto per simulazione assoluta, atteso che tale mezzo di prova è stato ammesso ed espletato nel corso del giudizio di primo grado.

5. Con il primo motivo la ricorrente deduce che il contratto di vendita deve considerarsi nullo per contrarietà a norme imperative, per essere la Pa. entrata in possesso del documento sottraendolo illegittimamente al padre, così commettendo, ad avviso della ricorrente, il reato di appropriazione indebita, oggetto di querela da parte del genitore, firmandolo solo successivamente. Il mezzo è infondato dovendosi ritenere, sulla base dei criteri elaborati da questa Corte, che il contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita non sia nullo per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. Sul tema della relazione tra reato e contratto, sotto il profilo della nullità del negozio, deve infatti darsi rilievo decisivo, secondo il condiviso orientamento di questa Corte, alla natura della norma penale violata, dovendosi valutare se si tratti di norma posta a tutela di un interesse generale dell’ordinamento ovvero di un interesse solo personale, cioè di un bene privato e non di rilevanza pubblicistica. Solo nel primo caso può configurarsi la nullità del contratto per contrasto con l’art. 1418, comma 1, cod. civ., considerato che la nullità del negozio è lo strumento predisposto dal legislatore per realizzare interessi di carattere generale protetti dall’ordinamento (Cass. n. 17568 del 2022; Cass. n. 17959 del 2020; Cass. n. 26097 del 2016) . In questo ordine di idee è stato ad esempio qualificato nullo il contratto concluso a seguito del delitto di estorsione, in quanto lesivo del diritto fondamentale della libertà personale (Cass. n. 17568 del 2022; Cass. n. 17959 del 2020), ovvero per effetto del delitto di circonvenzione di incapaci, in cui il bene protetto non è semplicemente la libertà a contrarre ma la tutela del soggetto non in grado di autodeterminarsi (Cass. n. 10609 del 2017; Cass. n. 2860 del 2008), mentre si è esclusa la nullità del contratto concluso per effetto di truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell’altro, che è invece solo annullabile, ai sensi dell’art. 1439 cod. civ., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, neanche sotto il profilo dell’intensità, diverso da quello che vizia il consenso negoziale (Cass. n. 18930 del 2016; Cass. n. 7468 del 2011; Cass. n. 13566 del 2008) . Alla luce di questo criterio distintivo deve allora ritenersi che il contratto collegato al delitto di appropriazione indebita non sia radicalmente nullo, essendo il bene protetto quello personale della proprietà privata, privo come tale di rilevanza pubblicistica, tanto più che nel caso di specie, secondo la stessa prospettazione del ricorso, esso sarebbe stato consumato non in danno dell’altro contraente, ma di un terzo.

6. Destituita di fondamento appare anche la censura che deduce l’inesistenza del contratto per la mancanza di apposizione della sottoscrizione della Pa. nella copia della scrittura privata in possesso dei venditori. Premesso che la sottoscrizione di un contratto da parte dei contraenti può non essere contestuale, nel caso di specie risulta dalla esposizione dei fatti svolta nello stesso ricorso che il contratto prodotto dalla attrice in giudizio portava anche la sua sottoscrizione, sicché la circostanza dedotta appare irrilevante sotto il profilo, qui sollevato, della esistenza del contratto.

7. Infondato appare infine il sesto motivo di ricorso, che investe il tema della validità della quietanza rilasciata dai venditori di avere ricevuto il prezzo della compravendita, essendo la relativa decisione della Corte di appello, che non ha ammesso le prove testimoniali sul punto, conforme al principio affermato da questa Corte che la quietanza a saldo rilasciata al debitore fa piena prova dell’avvenuto pagamento, con la conseguenza che il creditore che l’ha rilasciata non è ammesso alla prova contraria per testi, salvo dimostri, in applicazione analogica dell’art. 2732 cod. civ., che il suo rilascio è avvenuto per errore di fatto o per violenza (Cass. n. 20520 del 2020; Cass. S.U. n. 19888 del 2014), circostanze mai allegate dai convenuti.

8. In conclusione, il ricorso è respinto. Nulla si dispone sulle spese del giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva. Deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. n. 115 del 2002.

Il contratto seguìto alla commissione del reato di appropriazione indebita non è nullo per contrarietà a norme imperative

P. Q. M.

rigetta il ricorso.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2024.

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