Il consenso verbalmente prestato dal proprietario di un fondo all’esecuzione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18929.

Il consenso verbalmente prestato dal proprietario di un fondo all’esecuzione, da parte del proprietario confinante, di opere che si risolvano in menomazioni di carattere reale per il suo immobile non determina la nascita di servitù, per la mancanza del requisito dell’atto scritto, richiesto dall’articolo 1350, n. 4, del Cc; ma, la prestazione e la successiva revoca del consenso, in relazione alle circostanze in cui si sono verificate, possono concretizzare un fatto illecito, ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, per il quale e sufficiente dal punto di vista soggettivo la colpa, senza che sia necessaria la fraudolenza del comportamento di chi aveva prestato e poi revocato il consenso stesso.

Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18929

Data udienza 19 febbraio 2020

Tag/parola chiave: Comunione – Uso della cosa comune – Limiti – Uso frazionato della cosa comune a favore di un comproprietario – Legittimità – Limiti – Sottrazione del bene al godimento collettivo – Consenso unanime espresso in forma scritta – Necessità – Fondamento – Principio espresso in riferimento a controversia insorta a seguito di accorpamento ad appartamento di proprietà esclusiva del vano scala dell’edificio condominiale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 26820-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 6133/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) conveniva, dinanzi al Tribunale di Roma, (OMISSIS) per sentirla condannare al ripristino del vano scala condominiale che la (OMISSIS) aveva accorpato all’appartamento di sua proprieta’ esclusiva oltre al risarcimento dei danni.
Resisteva la (OMISSIS), spiegando altresi’ domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni provocati dalla revoca implicita del consenso gia’ prestato per l’esecuzione dei lavori di accorpamento del detto vano scale, lavori che erano stati portati a termine.
2. Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda attorea e condannava la (OMISSIS) al ripristino dello stato dei luoghi inerenti le parti comuni e condannava la medesima al pagamento dell’indennita’ ex articolo 1127 c.c. in relazione al bagno e al ripostiglio realizzati sul lastrico solare, nonche’ in relazione ai 18 mq. realizzati con l’inglobamento del vano scale; respingeva invece le domande di risarcimento dei danni, nonche’ la riconvenzionale proposta dalla (OMISSIS).
3. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello la (OMISSIS).
4. La Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, riduceva l’indennita’ ex articolo 1127 c.c. mentre respingeva i restanti motivi di appello.
5. Avverso la sentenza d’appello (OMISSIS) proponeva ricorso per cassazione.
6. Con sentenza numero 3161 del 2006 questa Corte dichiarava la nullita’ della sentenza della Corte d’Appello per essere stata sottoscritta da un presidente diverso da quello risultante nell’intestazione.
7. Il processo veniva ritualmente riassunto dalla (OMISSIS).
8. Resistevano (OMISSIS) e (OMISSIS).
9. La Corte d’Appello di Roma ribadiva la decisione precedentemente presa, rigettando tutti i motivi di appello, salvo quello relativo alla riduzione dell’indennita’ ex articolo 1127 c.c.
In particolare, la Corte d’Appello rilevava che il giudice di prime cure aveva fatto corretta applicazione dell’articolo 1102 c.c., in quanto l’inglobamento della cosa comune nella propria proprieta’ esclusiva vulnera il diritto di comproprieta’ degli altri condomini, a nulla valendo la pretesa maggior protezione delle cose comuni che l’inglobamento avrebbe determinato.
D’altra parte, non poteva accogliersi la tesi della carenza di interesse degli altri condomini a salire oltre il pianerottolo dell’ultimo piano, in quanto l’acquisizione della piena proprieta’ della cosa comune in capo al condomino che afferma di essere l’unico interessato a farne uso, in mancanza di ulteriori deduzioni, legittima l’interesse degli altri condomini ad opporsi.
Neanche poteva individuarsi un titolo negoziale in virtu’ del quale gli altri condomini avevano consentito la trasformazione di una porzione del bene immobile da cosa comune a proprieta’ esclusiva, anche perche’ mancava la forma scritta ad substantiam necessaria per ogni trasferimento immobiliare. Neanche era possibile ipotizzare che il consenso avesse dato loro un’obbligazione propter rem opponibile agli aventi causa degli attuali condomini, mancando il requisito della riferibilita’ reale con la cosa e anche quello della forma scritta.
Non era fondato neanche il motivo di appello relativo a una presunta responsabilita’ contrattuale dei condomini che avevano prestato il consenso ai lavori per un presunto risparmio dei contributi altrimenti dovuti per il rifacimento e l’impermeabilizzazione della copertura fatiscente del vano scale, perche’ questo aspetto non provato non costituiva un corrispettivo. Il consenso presunto, pertanto, doveva qualificarsi come mero atto di liberalita’ che non da’ luogo a una responsabilita’ precontrattuale.
La Corte d’Appello accoglieva, invece, il motivo di gravame relativo alla riduzione dell’indennita’ ex articolo 1127 che doveva essere parametrata sull’effettivo incremento della nuova superficie utilizzabile come rilevato dalla stessa consulenza tecnica.
Veniva rigettato, infine, il motivo di appello relativo alla mancata dichiarazione della cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda di rimborso della quota di canoni e spese condominiali per mancanza di interesse posto che dalla decisione del Tribunale non potevano conseguire effetti pregiudizievoli per l’appellante.
10. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi.
11. (OMISSIS) ha resistito con controricorso e ha depositato memoria illusitrativa in prossimita’ dell’adunanza camerale del 22 ottobre 2019.
12. La trattazione del ricorso e’ stata rinviata all’adunanza camerale del 19 febbraio 2020.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione dell’articolo 1102 c.c..
La ricorrente evidenzia che nell’appello aveva affermato che la destinazione della cosa comune non era stata alterata dal suo intervento ex articolo 1102 c.c. e aveva aggiunto, solo per inciso, che tale intervento aveva rafforzato la protezione delle scale comuni e che i condomini non avevano alcun interesse a salire oltre il pianerottolo dell’ultimo piano, non potendo liberamente proseguire in terrazza. Quindi precisava che la riconvenzionale era intesa alla declaratoria di legittimita’ delle sue opere sul vano scala in forza del consenso prestato dai condomini e della norma del regolamento condominiale contrattuale oltre che dell’articolo 1102 c.c.
Dunque, il vero profilo della doglianza dell’appellante era relativo al difetto di utilita’ concreta degli altri condomini ad utilizzare il tratto terminale delle scale non avendo libero accesso al terrazzo. Secondo tale prospettazione, non era ravvisabile un’alterazione della destinazione della cosa comune da parte della ricorrente in mancanza di un concreto interesse degli altri condomini. Peraltro, nel regolamento contrattuale la terrazza di copertura del fabbricato condominiale era attribuita unitamente alla colonna d’aria sovrastante, in esclusiva al proprietario dell’ultimo piano e i residuali diritti dei sottostanti condomini erano connessi esclusivamente ad interventi di manutenzione e dovevano esercitarsi soltanto attraverso la proprieta’ esclusiva altrui. Pertanto, la funzione delle scale si configurava nella concretezza dell’uso come essenzialmente proiettata all’accesso alla proprieta’ singola e, dunque, essendo compatibile l’uso da parte degli altri condomini con l’uso esclusivo del proprietario dell’ultimo piano, restava inalterata in concreto la destinazione delle scale.
Inoltre, era errata la decisione della Corte d’Appello sulla mancata dimostrazione del difetto di interesse dei condomini avendo sin dal primo grado l’appellante articolato specifici capitoli di prova sul punto e anche sul loro consenso ai lavori. In particolare, la ricorrente richiama le richieste probatorie sul consenso dei condomini presenti nell’impugnazione in appello, in particolare il consenso della condomina (OMISSIS) che aveva suggerito anche all’appellante di costituire in prosecuzione dell’ultimo pianerottolo, affidando i lavori all’impresa di famiglia o di fiducia della medesima condomina (OMISSIS).
1.2 Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Deve premettersi che nel caso all’esame della Corte non e’ in discussione il fatto che il vano scala o pianerottolo oggetto dell’appropriazione mediante inglobamento nella proprieta’ della ricorrente sia di proprieta’ condominiale e che, in ogni caso, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., negli edifici in condominio anche le parti poste concretamente a servizio soltanto di alcune porzioni dello stabile, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni a tutti i condomini (Sez. 2, Sent. n. 2800 del 2017).
Cio’ di cui si discute e’ se la suddetta condotta sia compatibile, come ritiene la (OMISSIS), con quanto previsto dall’articolo 1102 c.c.
La tesi della ricorrente, secondo la quale, l’aver inglobato il vano scale e il pianerottolo di accesso nella propria abitazione non viola il citato articolo 1102 c.c. e’ del tutto destituita di fondamento. L’uso della cosa comune e i lavori per il miglior godimento della stessa ex articolo 1102 c.c. non possono mai concretizzarsi nell’appropriazione sostanziale del bene mediante un sostanziale spoglio degli altri comproprietari o condomini, sicche’ l’effettuazione di lavori che incorporino nella proprieta’ individuale parti condominiali quali le scale e il pianerottolo si concretizzano in una turbativa del possesso che legittima il condominio o uno dei singoli condomini alla relativa azione di manutenzione, a nulla rilevando che tali parti comuni siano poste a servizio esclusivo di una porzione dello stabile di proprieta’ esclusiva.
Deve dunque farsi applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di comunione, l’uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari puo’ essere consentito per accordo fra i partecipanti solo se l’utilizzazione, concessa nel rispetto dei limiti stabiliti dall’articolo 1102 c.c., rientri tra quelle cui e’ destinato il bene e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comunisti, trovando l’utilizzazione da parte di ciascun comproprietario un limite nella concorrente ed analoga facolta’ degli altri. Pertanto, qualora la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente alla possibilita’ di godimento collettivo nei termini funzionali originariamente praticati, non si rientra piu’ nell’ambito dell’uso frazionato consentito, ma nell’appropriazione di parte della cosa comune, per legittimare la quale e’ necessario il consenso negoziale di tutti i partecipanti che – trattandosi di beni immobili – deve essere espresso in forma scritta “ad substantiam” (Sez. 2, Sent. n. 14694 del 2015).
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: nullita’ della decisione per disapplicazione dell’articolo 132 c.p.c. in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 4 nullita’ della decisione e violazione articolo 112 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 4 o in alternativa violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3 ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Secondo il ricorrente era circostanza di fatto pacifica e non negata dalle controparti l’esenzione dal contributo per le opere e spese di rifacimento ed impermeabilizzare e per la condomina (OMISSIS) sussisteva anche il lucro del profitto dell’impresa cui erano stati affidati i lavori.
Il nucleo centrale della doglianza consiste nel rilievo della malafede delle controparti o della loro colpa grave ai sensi dell’articolo 2043 c.c. rappresentata dalla complessiva condotta volta ad ottenere una condanna al ripristino dello status quo ante del tratto terminale del vano scala dopo aver espressamente autorizzato e, dunque, permesso l’esecuzione dell’opera e, avendo tra l’altro risparmiato il contributo alle spese di rifacimento di impermeabilizzazione della copertura del vano scala. L’ingiustificata revoca ad un consenso gia’ pienamente manifestato anche se solo in forma verbale comporta una responsabilita’ aquiliana delle controparti.
Peraltro, la domanda risarcitoria dell’appellante non si fondava solo sulla responsabilita’ precontrattuale, ma anche su quella ex articolo 2043 c.c. posta a tutela della buona fede e dell’affidamento del principio del neminem laedere.
Si sarebbe determinata, dunque, anche una violazione dell’articolo 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, oltre che una violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. e un omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
2.1 I secondo motivo di ricorso e’ fondato.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che: “il consenso verbalmente prestato dal proprietario di un fondo all’esecuzione, da parte del proprietario confinante, di opere che si risolvano in menomazioni di carattere reale per il suo immobile non determina la nascita di servitu’, per la mancanza del requisito dell’atto scritto, richiesto dall’articolo 1350 c.c., n. 4; ma, la prestazione e la successiva revoca del consenso, in relazione alle circostanze in cui si sono verificate, possono concretizzare un fatto illecito, ai sensi dell’articolo 2043 c.c., per il quale e sufficiente dal punto di vista soggettivo la colpa, senza che sia necessaria la fraudolenza del comportamento di chi aveva prestato e poi revocato il consenso stesso” (sez. 2, sent. n. 5584 del 1980).
Nella specie la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione del sopraindicato principio i qualificando il consenso prestato dai controricorrenti quale atto di liberalita’ per la mancanza di un corrispettivo pattuito, il che, tuttavia, non e’ sufficiente ad escludere la responsabilita’ extracontrattuale derivante dall’aver prima dato il consenso all’esecuzione dei lavori e, successivamente all’esecuzione degli stessi, dall’averlo revocato citando in giudizio la (OMISSIS).
In tali casi, dunque, non rileva che il consenso ai lavori sia stato espresso senza la forma prescritta dalla legge in quanto cio’ che conta e’ la sussistenza dei presupposti dell’illecito extracontrattuale (fatto illecito colposo o doloso, danno ingiusto e nesso di causalita’). Spettera’ dunque alla Corte d’Appello valutare se la condotta dei ricorrenti di revoca del consenso prestato allo svolgimento dei lavori dopo la loro esecuzione, alla luce delle circostanze di fatto proprie del caso di specie, costituisca un illecito extracontrattuale.
3. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma che decidera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma che decidera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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