Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 25 febbraio 2020, n. 7399
Massima estrapolata:
In tema di reati edilizi, dopo l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento del manufatto, ravvisando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca dell’ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all’esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell’abuso.
Sentenza 25 febbraio 2020, n. 7399
Data udienza 13 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 03/04/2019 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;
lette le conclusioni del PG.
il PG chiede di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 3 aprile 2019 la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto da (OMISSIS) per la sospensione e la revoca dell’ordine di demolizione emesso il 14 settembre 2009 dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Napoli, a seguito della sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, del 13 gennaio 2003, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Napoli del 7 febbraio 2006, irrevocabile il 19 dicembre 2006, per i reati L. n. 47 del 1985, ex articolo 20, lettera c) per avere realizzato un manufatto al rustico, costituito da perimetrali in muratura, di mq. 57 con altezza di m. 3,5, in assenza della concessione edilizia, con opere in cemento armato senza la previa denuncia dei lavori al genio civile e la direzione dei lavori (L. n. 1086 del 1971, articoli 2, 13, 4 e 14), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale in assenza della prescritta autorizzazione (Decreto Legislativo n. 490 del 1999, articolo 163).
I fatti furono accertati in (OMISSIS).
2. Avverso l’ordinanza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS).
2.1. Dopo aver riportato l’iter del procedimento, il contenuto dell’incidente di esecuzione, la motivazione dell’ordinanza impugnata, con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione per avere la Corte di appello omesso la decisione sull’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione per la prevedibile emissione di provvedimenti amministrativi con esso incompatibili, in base alla documentazione acquisita, ed al Decreto Legge n. 109 del 2018, articolo 25, comma 2 convertito dalla L. n. 130 del 2018, al ricorso al Tar pendente avverso il silenzio-rifiuto.
La Corte di appello avrebbe motivato solo sul rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione.
La Corte di appello avrebbe poi ritenuto erroneamente che l’opera ricada nella zona R.U.A. di inedificabilita’ assoluta, perche’ il P.T.P. di Ischia non precederebbe nella zona R.U.A. tale vincolo, posto invece nella zona P.I. (protezione integrale).
Quanto ai danni subiti per il terremoto, l’ordinanza non avrebbe tenuto conto che il Decreto Legge n. 109 del 2018, articolo 25 non richiede, ai fini della condonabilita’, particolari accertamenti ne’ verifiche della tipologia dei danni subiti per il sisma.
La Corte di appello avrebbe poi errato nel ritenere improcedibile l’istanza di condono, mentre sarebbe stato emesso solo un preavviso di improcedibilita’, atto endo procedimentale non definitivo.
Si contesta poi la decisione laddove ha ritenuto rispettato il termine di 6 mesi dall’entrata in vigore della L. n. 130 del 2018, termine che invece sarebbe scaduto il 19 maggio 2019, quindi dopo la decisione impugnata.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione quanto alla dedotta violazione degli articolo 6, par. 1, 2 e 8 della Cedu.
La Corte di appello avrebbe omesso di motivare sulla richiesta di applicazione dei principi espressi dalla sentenza Ivanova del 21 aprile 2016 della Corte edu e sulla proporzionalita’ dell’ordine di demolizione.
Dopo aver riportato la motivazione dell’ordinanza impugnata, si elencano una serie di sentenze della Cedu i cui principi la Corte di appello avrebbe violato con il provvedimento in esame in tema di esercizio del diritto di difesa e sulla proporzionalita’.
La Corte di appello avrebbe omesso anche di motivare sulla questione dedotta per cui l’esecuzione dell’ordine di demolizione dopo 15 anni concretizzerebbe la violazione degli articoli 8 e 6 par. 1 della Cedu, a fronte dell’inerzia della p.a. tale da ingenerare un legittimo affidamento nell’esecutato.
Il ricorrente ritiene poi che l’ordine di demolizione abbia natura di sanzione penale, in base alle sentenze della Corte edu richiamate nel ricorso.
Si ritiene violato l’articolo 6 par. 1 della Cedu per il tempo decorso, pari a 15 anni, per l’inerzia della Procura Generale.
2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio della motivazione in relazione alla dedotta violazione dell’articolo 649 c.p.p. ed agli effetti della sentenza Grande Stevens contro Italia depositata il 4 marzo 2014.
Si contesta la motivazione per relationem adottata dalla corte territoriale rispetto al parere della Procura Generale.
Il richiamo alla sentenza Grande Stevens sarebbe giustificato dal fatto che la sanzione amministrativa inflitta dal comune di Lacco Ameno sarebbe divenuta definitiva.
La sanzione amministrativa divenuta definitiva, inflitta dal comune di Lacco Ameno, avrebbe natura penale, ed implicherebbe cosi’ l’improcedibilita’ del processo penale, perche’ mentre il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, comma 9 comporta in fase esecutiva la distruzione fisica della res abusiva, quella comunale, laddove il contravventore non vi ottemperi, comporta l’acquisizione al patrimonio dell’ente non solo dell’immobile realizzato senza titolo ma anche dell’area di sedime e di quella accessoria cd. di pertinenza urbanistica.
Si ribadisce la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 649 c.p.p., per violazione dell’articolo 117 Cost., in relazione all’articolo 4 del protocollo n. 7 allegato alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, nella parte in cui non prevede l’applicabilita’ del divieto di secondo giudizio al caso in cui l’imputato sia risultato destinatario per il medesimo fatto, nell’ambito di un procedimento amministrativo, di un provvedimento definitivo volto all’applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale, secondo la giurisprudenza della Corte Edu.
2.4. Con il quarto motivo si deduce il vizio della motivazione in relazione alla dedotta violazione degli articoli 3 e 97 Cost. sotto il profilo della mancata osservanza dei canoni di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione della giustizia nell’organizzazione della tempistica delle procedure finalizzate alla materiale demolizione di manufatti abusivi, nonche’ in relazione alla dedotta violazione del provvedimento adottato dal procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli il 10 dicembre 2015.
2.5. Con il quinto motivo si deduce il vizio della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e); vi sarebbe un difetto di motivazione quanto alla dedotta inesistenza del titolo esecutivo in parte qua.
La demolizione comprenderebbe anche interventi eseguiti successivamente alla sentenza di condanna che sarebbero indipendenti rispetto al manufatto descritto in sentenza ed oggetto di ordine di demolizione; sicche’ la demolizione delle opere potrebbe avvenire senza la rimozione delle opere realizzate successivamente. Cio’ emergerebbe dalla c.t. di parte riportata nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va preliminarmente rilevato che la Corte di cassazione, Sez. 3, con la sentenza n. 21961 del 2013, ha rigettato il ricorso proposto da (OMISSIS) avverso l’ordinanza del 29 settembre 2010 con la quale la Corte d’appello di Napoli respinse l’istanza di revoca dell’ingiunzione alla demolizione di opere edili indicate dalla sentenza della corte di appello di Napoli del 7 febbraio 2006 emessa nei confronti di (OMISSIS).
Il ricorrente chiese la revoca adducendo la carenza di titolo dell’ingiunzione (avendo la sentenza di condanna emesso solo ordine di ripristino dello stato dei luoghi e non l’ordine di demolizione del manufatto abusivo), la presentazione di istanza di concessione in sanatoria con pagamento della somma dovuta a titolo di oblazione e l’estraneita’ della proprietaria del suolo al reato con conseguente inopponibilita’ del titolo alla stessa.
La Corte di cassazione, in quella sede ritenne infondata la tesi della inesistenza del titolo, poiche’, ad avviso del ricorrente, l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi non coincide con l’ordine di demolizione del fabbricato, rilevando che “poiche’ la modifica dello stato dei luoghi era consistita, come evidenzia l’ordinanza, nella costruzione dell’opera edile abusiva”.
La Corte di cassazione ribadi’ la costante giurisprudenza per cui “la formale distinzione non rileva qualora si tratti di provvedimenti che nella fattispecie concreta assumono identico contenuto”.
Dunque, secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione, l’ordine di rimessione in pristino contiene in se’ l’ordine di demolizione. Il punto non puo’ pertanto essere messo piu’ in discussione.
2. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
2.1. Quanto alla condonabilita’ delle opere, deve rilevarsi che la questione era stata gia’ oggetto del precedente incidente di esecuzione e la Corte di appello aveva rigettato l’istanza ritenendo che, trattandosi di opera insistente in zona assoggettata a vincolo paesaggistico-ambientale, non era ipotizzabile la sanatoria amministrativa dell’illecito.
In ogni caso, a prescindere dalla riproposizione della questione, risulta chiaramente dalla lettura dell’ordinanza impugnata che il comune di Lacco Ameno ha comunicato che l’istanza di sanatoria non puo’ essere accolta perche’ ha ad oggetto un’opera del tutto diversa da quella originariamente ed abusivamente realizzata, poiche’ nel tempo e’ avvenuta la costruzione di nuove volumetrie, fino a giungere a mq. 114,64 (secondo quanto emerge dalle allegazioni difensive), con un patio di mq. 21,66, ed il completamento dell’opera, rifinito ed abitato.
Pertanto, correttamente la Corte di appello ha rigettato l’incidente di esecuzione ritenendo non condonabili le opere.
2.2. Cio’ rende del tutto irrilevante la questione dedotta sull’eventuale omessa risposta sull’istanza di sospensione dell’ordine di demolizione perche’, secondo la costante giurisprudenza, qualora la procedura amministrativa non si sia ancora risolta, il giudice deve effettuare una valutazione di prognosi sui tempi di definizione sui possibili esiti del procedimento amministrativo pendente, sussistendo i presupposti per la sospensione dell’esecuzione solo qualora il procedimento amministrativo possa essere risolto favorevolmente in tempi rapidi.
La Corte di appello ha escluso, con una motivazione ineccepibile, che siano possibili esiti favorevoli della domanda di condono edilizio.
2.3. Sono pertanto del tutto irrilevanti le questioni dedotte sull’eventuale errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello sulla sussistenza o meno del vincolo di inedificabilita’ assoluta.
2.4. Manifestamente infondato e’ poi il motivo nella parte in cui invoca l’applicazione del Decreto Legge n. 109 del 2018, articolo 25 convertito con modificazioni dalla L. 16 novembre 2018, n. 130 poiche’ tale norma si applica esclusivamente, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, alle “istanze di condono relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017”: nulla su tali danni risulta allegato dal ricorrente.
3. Gli altri motivi sono manifestamente infondati per le seguenti considerazioni.
3.1. Nel ricorso si richiamano le sentenze della Corte Edu senza alcun collegamento tra il fatto oggetto dell’incidente di esecuzione e quello che ha dato luogo alle sentenze citate.
3.2. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di reati edilizi, l’ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 31 al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, ha natura di provvedimento giurisdizionale, anche se applicativo di sanzione amministrativa, ed e’ soggetto all’esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale (Sez. 3, n. 30679 del 20/12/2016, dep. 2017, Pintacorona, Rv. 270229 – 01).
L’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalita’ punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non e’ l’autore dell’abuso; di conseguenza, la corte ha escluso che ad esso si applichi la disciplina della prescrizione stabilita dall’articolo 173 c.p. per le sanzioni penali: all’ordine di demolizione non si applica alcuna prescrizione ne’ e’ suscettibile di estinzione per decorso del tempo (Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670 – 01).
3.3. La tesi del ricorrente sulla natura di pena dell’ordine di demolizione e’ manifestamente infondata in diritto.
La giurisprudenza ha costantemente escluso che l’ordine di demolizione possa ricondursi alla nozione convenzionale di “pena” nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra srl, Rv. 275850 – 02), alla cui motivazione si rimanda per ragioni di sintesi.
Si veda anche Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977 – 01, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale, per violazione degli articoli 3 e 117 Cost., del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa – che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalita’ punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non e’ l’autore dell’abuso non consentono di ritenerla “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, pertanto, e’ da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all’articolo 117 Cost..
3.4. Va poi ricordato che e’ possibile la revoca dell’ordine di demolizione solo quando esso risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusivita’ (Cfr. in tal senso Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012, Oliva, Rv. 254426).
3.5. Nel caso in esame, invece, risulta non solo che non puo’ essere accolta la domanda di condono edilizio ma che il comune di Lacco Ameno ha ingiunto in tre diverse occasioni la demolizione delle opere e che tale demolizione non e’ stata eseguita, tanto che si chiede la revoca dell’ordine di demolizione emesso dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Napoli.
Va ricordato che il trasferimento al patrimonio comunale della proprieta’ dell’immobile abusivo consegue automaticamente alla scadenza del termine fissato per l’ottemperanza all’ordinanza sindacale di demolizione: nel caso in esame, pertanto, secondo quanto rappresentato nel ricorso, il bene e’ divenuto di proprieta’ del comune di Lacco Ameno, non avendo ottemperato il ricorrente alla demolizione imposta dal comune.
3.6. Orbene, se la giurisprudenza ha affermato (cfr. Sez. 3, n. 45703 del 26/10/2011, Mammoliti, Rv. 251319) che il condannato per reato edilizio, in quanto destinatario dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo, e’ legittimato a proporre incidente di esecuzione contro l’ingiunzione a demolire, a prescindere dall’acquisizione del bene al patrimonio comunale, occorre chiarire pero’ i limiti della domanda che egli puo’ proporre in sede di incidente di esecuzione, soprattutto quando, come nel caso in esame, risulta non accoglibile l’istanza di condono edilizio, a seguito della successiva trasformazione del bene da parte dell’istante.
Va ricordato infatti che l’acquisizione gratuita dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune non e’ incompatibile con l’ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna: l’acquisizione e’ finalizzata in via principale alla demolizione e il soggetto condannato puo’ richiedere al Comune, divenuto medio tempore proprietario, l’autorizzazione a procedere alla demolizione a proprie spese, cosi’ come puo’ provvedervi, a spese del condannato, l’autorita’ giudiziaria.
3.7. Si ha incompatibilita’ tra l’acquisizione gratuita e l’ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna so(tanto se con Delib. consiliare l’ente locale stabilisce, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, comma 5, di non demolire l’opera acquisita (il comma 5 recita: “L’opera acquisita e’ demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.”); cfr. in tal senso Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232174 – 01.
Si veda anche Sez. 3, n. 42698 del 07/07/2015, Mazzotta, Rv. 265495 – 01, che ha affermato che l’acquisizione gratuita dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune non e’ incompatibile con l’ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna e con la sua successiva esecuzione da parte del pubblico ministero, a spese del condannato, sussistendo incompatibilita’ solo nel caso in cui l’ente locale stabilisca, con propria Delib., l’esistenza di interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive, prevalenti rispetto a quello del ripristino dell’assetto urbanistico violato.
In motivazione la sentenza Mazzotta ha rilevato che l’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 31, comma 9, costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell’autorita’ amministrativa, atteso che assolve ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232172) e che ha carattere reale, ricadendo direttamente sul soggetto che e’ in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso, ne’ la sua operativita’ puo’ essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprieta’ dell’immobile, con la sola conseguenza che l’acquirente potra’ rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell’avvenuta demolizione.
3.8. Ne consegue che ove il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell’opera, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformita’ o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell’abuso.
Nell’incidente di esecuzione, pertanto, ove si accerti che:
– l’opera non e’ suscettibile di rilascio di permesso in sanatoria;
– sia stato notificato l’ordine di demolizione da parte del comune;
– non essendo stata eseguita la demolizione, sia avvenuta l’acquisizione gratuita dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune;
– il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell’opera, l’unica possibilita’ per il condannato e’ chiedere la revoca dell’ordine di demolizione dell’a.g. al fine di procedere spontaneamente alla demolizione.
Ogni altra richiesta e’ pertanto priva di interesse (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Ligorio, Rv. 268133).
4. Del tutto parziale e’ poi il richiamo alla sentenza Ivanova: sul punto per ragioni di sintesi, si rimanda alla motivazione di Sez. 3, n. 15141 del 20/02/2019, Pignalosa, non massimata, che ha ribadito che in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” all’inviolabilita’ del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato.
4.1. Dalla giurisprudenza CEDU si ricava, afferma la sentenza Pignalosa, al contrario l’opposto principio dell’interesse dell’ordinamento all’abbattimento – in luogo della confisca – delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche.
Cfr. sul punto la sentenza emessa nel caso Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009.
Si e’ ribadito che la Corte Europea considera del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l’ordine giuridico violato, prevale sul diritto (rectius, interesse di mero fatto) all’abitazione dell’immobile abusivamente realizzato.
4.2. Non puo’ esser qui invocata la sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), secondo la quale il diritto all’abitazione di cui al citato articolo 8 – tra cui dovrebbe annoverarsi, nella lettura del ricorrente, anche l’abitazione abusiva – richiede una valutazione di proporzionalita’, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l’interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio.
La Corte EDU, nella decisione Ivanova, ha ribadito la legittimita’ convenzionale della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilita’ con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiche’ la stessa puo’ essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalita’ della misura con la situazione personale dell’interessato.
Nel caso Ivanova la violazione e’ stata ritenuta perche’ i rimedi interni, previsti nell’ordinamento bulgaro, non garantiscono la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione – anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile – dovrebbe in linea di principio disporre della possibilita’ che la valutazione della proporzionalita’ di tale misura (che comporta la perdita dell’abitazione) sia effettuata da un giudice indipendente.
4.3. Nulla di tutto questo e’ accaduto nel caso in esame: non solo il ricorrente ha avuto ampiamente la possibilita’ di difendersi, ma la sanzione e’ stata inflitta da un giudice indipendente; l’esecuzione della stessa e’ stata sottoposta due volte all’autorita’ giudiziaria, con esperimento di tutti i rimedi.
Soprattutto, rispetto al momento dell’applicazione della sanzione, vi sono state altre evidenti violazioni da parte del ricorrente, con il raddoppio della costruzione, fino al totale completamento delle opere, fino alla realizzazione di una villa con patio nell’isola d’Ischia in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, il che rende la misura originariamente inflitta del tutto proporzionale rispetto alla lesione arrecata.
5. E’ infondata anche la questione del tempo, poiche’ se l’ordine di rimessione in pristino e’ stato pronunciato con la sentenza di primo grado e confermato in appello, l’ordine di esecuzione della procura generale non e’ stato emesso non nel 2019, ma dopo poco piu’ di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Pertanto, proprio alla luce della giurisprudenza della Corte Edu in relazione al tempo, la sanzione deve ritenersi proporzionata, perche’ emessa dopo un ragionevole lasso di tempo, proprio come ritenuto nel caso Ivanova.
Come chiaramente indicato nella sentenza Pignalosa, nella decisione sul caso Ivanova la Corte Edu ha escluso che l’ordine di demolizione contrasti con l’articolo 1 del protocollo n. 1 (protezione della proprieta’); ha altresi’ affermato che l’ordine di demolizione dell’immobile, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione (per un precedente, cfr. Hamer c. Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03), ha l’obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante cosi’ ristabilendo l’ordine giuridico violato dal comportamento dell’autore dell’abuso edilizio; dall’altro, che l’ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori (il riferimento e’ al caso Saliba c. Malta, n. 4251/02, dell’8 novembre 2005).
6. Manifestamente infondato e’ il terzo motivo, con il quale si invoca l’applicazione della sentenza Grande Stevens contro Italia depositata il 4 marzo 2014.
Oltre a rilevarsi che la sentenza Grande Stevens ha ad oggetto un caso concreto del tutto diverso da quello in esame, il ricorso trascura del tutto di analizzare le successive sentenze emesse sulla stessa questione ed in particolare la sentenza A e B contro Norvegia la Grande Camera della Corte EDU, quelle della Grande sezione della Corte di giustizia del 20 marzo 2018 (rispettivamente in causa C-537/16, Garlsson Real Estate SA e altri, in cause C-596/16 e C-597/16, Di Puma e CONSOB, e in causa C-524/15, Menci).
Sul punto, per ragioni di sintesi, si richiamano i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 222, depositata il 24 ottobre 2019, che dichiarato inammissibile la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 649 c.p.p., in riferimento all’articolo 3 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1, – quest’ultimo in relazione all’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui non prevede l’applicabilita’ della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia gia’ stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU e dei relativi Protocolli, con riferimento al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-ter.
7. Il quarto motivo e’ manifestamente infondato: anche’ in tal caso le asserzioni in diritto sono avulse dal caso concreto.
L’ordine di demolizione, emesso come gia’ indicato in tempi ragionevoli rispetto alla definitivita’ della sentenza, di cui si chiede la revoca o la sospensione e’ del 14 settembre 2009: si invoca la violazione di un provvedimento interno alla Procura Generale presso la Corte di appello di Napoli emesso il 10 dicembre 2015.
8. Rispetto al quinto motivo il ricorrente non ha piu’ interesse, posto che le opere sono state acquisite, secondo la ricostruzione del fatto da lui prospettata, al patrimonio del comune, per non avere egli ottemperato all’ordine di demolizione impartito dal comune e potendo esclusivamente, a fronte della impossibilita’ di beneficiare del condono edilizio, solo procedere alla demolizione spontanea.
9. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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