Il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 15 gennaio 2020, n. 734.

La massima estrapolata:

Il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell’impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso dello strumento, dalla disciplina speciale prevista dall’art. 186-bis l.fall., che al comma 1 espressamente contempla anche detta ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito; la norma in parola non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una siffatta organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori.

Ordinanza 15 gennaio 2020, n. 734

Data udienza 12 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere

Dott. FIDANZIA AndreA – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 24109/2015 proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), Fallimento (OMISSIS) Srl, (OMISSIS) e Pubblico Ministero presso il Tribunale di Arezzo;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1485/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE depositata il 31/8/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/11/2019 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Arezzo, con decreto in data (OMISSIS), riteneva inammissibile la proposta di concordato presentato da (OMISSIS) s.r.l. e, con contestuale sentenza, dichiarava il fallimento della societa’.
2. A seguito del reclamo presentato dalla compagine debitrice la Corte d’appello di Firenze rilevava che la proposta concordataria presentata entro il termine all’uopo concesso risultava priva della sottoscrizione del legale rappresentante della societa’, a dispetto di quanto previsto dalla L. Fall., articolo 161, comma 1; a tale vizio, che involgeva gli effetti sostanziali dell’atto e la sua stessa esistenza quale proposta del debitore nei confronti della massa dei creditori, non trovava applicazione – secondo i giudici distrettuali – il disposto dell’articolo 182 c.p.c., dato che la norma era volta a disciplinare il diverso tema del difetto di rappresentanza o autorizzazione a stare in giudizio della parte processuale.
Oltre a cio’ la Corte di merito constatava che il piano concordatario contemplava una continuita’ aziendale nel prospettato programma di definizione dei contratti preliminari di alcuni immobili e completamento dei lavori di costruzione di altri, secondo un cronoprogramma di durata triennale che prevedeva talune vendite in funzione della realizzazione della liquidita’ necessaria per sostenere le altre attivita’.
Simili caratteristiche imponevano di ricondurre la proposta, quanto meno con riferimento alla parte inerente al completamento degli immobili e alla loro successiva collocazione sul mercato, alla disciplina del concordato in continuita’, con le conseguenze previste dalla L. Fall., articolo 186-bis in termini di obblighi di allegazione e produzione ricadenti sul proponente.
La mancata produzione di una relazione di attestazione di contenuto conforme al disposto di tale norma, doverosamente rilevata dal Tribunale, comportava quindi l’inammissibilita’ della domanda di concordato presentata, stante l’impossibilita’ di verificare se la prosecuzione dell’attivita’ fosse funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori e, “con riferimento ai flussi dei costi e dei ricavi connessi alla prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, la veridicita’ dei dati esposti dal debitore”.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso, assistito da memoria, (OMISSIS) s.r.l., prospettando tre motivi di doglianza.
Gli intimati fallimento (OMISSIS) s.r.l., Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo, (OMISSIS) e (OMISSIS) non hanno svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione della L. Fall., articoli 151, 152 e 161 e articolo 182 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la Corte d’appello avrebbe ritenuto che la proposta concordataria fosse priva della sottoscrizione del legale rappresentante malgrado la societa’ proponente avesse provveduto a depositare, in uno con la memoria predisposta per l’udienza fissata L. Fall., ex articolo 162, comma 2, la proposta sottoscritta dal proprio legale rappresentante insieme al verbale di determina previsto dalla L. Fall., articolo 152; e peraltro la corte distrettuale avrebbe dovuto valorizzare a tal fine il comportamento concludente tenuto dal legale rappresentante oppure fare applicazione dell’articolo 182 c.p.c., onde consentire che si provvedesse alla sanatoria.
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. Fall., articoli 160, 161 e 186-bis: la corte distrettuale, facendo erronea applicazione del principio della prevalenza, non avrebbe compreso che il concordato aveva natura liquidatoria, essendo prevista la continuazione dell’attivita’ aziendale, con una sorta di esercizio provvisorio, per un tempo limitato e in funzione della successiva liquidazione; in ogni caso il concordato preventivo presentato, quand’anche fosse stato qualificato come misto, si fondava – in tesi di parte ricorrente – su un piano rispettoso di tutte le previsioni di legge in materia.
4.3 Il terzo motivo prospetta la violazione della L. Fall., articoli 160, 161, 162 e 186-bis in quanto i giudici distrettuali, nel trascurare le indicazioni presenti in piano in merito alla liquidita’ disponibile e le spiegazioni fornite con il reclamo circa i costi e i ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attivita’ di impresa, le risorse finanziarie necessarie e le relative modalita’ di copertura, avrebbero effettuato un improprio rilievo del difetto di allegazione, esercitando un indebito sindacato sulla fattibilita’ economica del piano.
5. Il principio processuale della “ragione piu’ liquida” induce ad esaminare in via preliminare gli ultimi due motivi perche’ di piu’ agevole soluzione.
Tali motivi – da trattarsi congiuntamente non solo perche’ rivolti a criticare il secondo, autonomo, argomento su cui si fonda la decisione impugnata, ma anche perche’ affetti da un coincidente vizio – sono inammissibili.
5.1 La corte territoriale non ha affatto sostenuto, facendo applicazione del principio della prevalenza, che il concordato in esame fosse un concordato misto.
I giudici distrettuali in realta’, dopo aver precisato che una simile espressione era stata utilizzata dal giudice di merito non in senso tecnico, per fare riferimento a un tertium genus rispetto al concordato liquidatorio e a quello in continuita’ aziendale, bensi’ in ragione della previsione in piano della continuazione dell’attivita’ aziendale, seppur in forma limitata, hanno ritenuto che la proposta concordataria fosse riconducibile alla disciplina del concordato in continuita’ e rimanesse regolata dal disposto della L. Fall., articolo 186-bis.
E che di concordato misto quale autonomo istituto la Corte del merito non abbia proprio inteso parlare si trova conferma nella puntualizzazione secondo cui la definizione di concordato misto non ha fondamento normativo, perche’ la fattispecie cosi’ definita rientra in una delle ipotesi di concordato con continuita’ espressamente previste dalla L. Fall., articolo 186-bis, comma 1.
5.2 Allo stesso modo la corte territoriale non ha affatto sostenuto che la societa’ debitrice avesse pretermesso le necessarie indicazioni in merito a liquidita’ disponibile, costi e ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attivita’ di impresa, risorse finanziarie necessarie e relative modalita’ di copertura, ma ha rappresentato che la natura del concordato imponeva che la relazione del professionista prevista dalla L. Fall., articolo 161, comma 3, avesse le caratteristiche prescritte dalla L. Fall., articolo 186-bis, comma 2, e dunque da un lato attestasse che la continuita’ era funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, dall’altro consentisse di verificare le indicazioni compiute dal debitore ai sensi delle lettera a) della medesima norma.
5.3 La Corte di merito quindi non ha ravvisato alcun concordato misto ne’ ha constatato la mancanza delle indicazioni previste dalla L. Fall., articolo 186-bis, comma 2, lettera a), ma ha attribuito al concordato presentato natura di concordato in continuita’ constatando poi, in ragione di tale natura, un difetto di attestazione.
A fronte di simili argomenti entrambi i motivi di doglianza tornano a reiterare le doglianze gia’ poste al vaglio della corte distrettuale, senza cogliere e criticare la ratio decidendi della decisione impugnata e, per di piu’, rappresentando una violazione di legge con riferimenti prettamente meritali piuttosto che l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge.
Ambedue le critiche risultano quindi inammissibili.
Cio’ in primo luogo per l’illegittimita’ del procedimento di astrazione cosi’ compiuto dagli argomenti offerti dai giudici distrettuali, giacche’ il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 19989/2017) e non puo’ prescindere da essa, limitandosi a insistere per l’accoglimento delle doglianze gia’ presentate al giudice di appello.
D’altra parte l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale e’ sottratta al sindacato di legittimita’ (Cass. 24155/2017) se non sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 22707/2017, Cass. 195/2016).
6. Quanto appena argomentato si riverbera sul primo motivo di ricorso, riguardante l’ulteriore ed autonoma ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata, rendendolo del pari inammissibile.
In vero, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse a una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivita’ delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 2108/2012).
7. La fattispecie rimessa al vaglio dei giudici di merito riguardava una proposta di concordato che prevedeva un’operazione finalizzata a conseguire un valore di realizzo sensibilmente superiore a quello ottenibile dalla liquidazione del compendio immobiliare disponibile nelle condizioni in cui si trovava al momento dell’avvio della procedura: in una prima fase si sarebbe proceduto alla vendita di alcuni immobili (gia’ terminati o per i quali era stata ritenuta piu’ opportuna la vendita al grezzo), in adempimento di alcuni preliminari di vendita gia’ parzialmente eseguiti, allo scopo di consentire la formazione di una iniziale liquidita’ funzionale al completamento, in un secondo momento, degli altri immobili.
Siffatta proposta, qualificata dal debitore di tipo liquidatorio e per questo motivo non corredata dalle attestazioni previste dalla L. Fall., articolo 186-bis, comma 2, e’ stata invece ricondotta dalla corte distrettuale all’istituto del concordato in continuita’, sul presupposto che tale debba intendersi il concordato il cui piano preveda, “in qualsiasi prospettiva, la prosecuzione dell’attivita’ di impresa e quindi l’assunzione del relativo rischio”.
In quest’ottica interpretativa la sentenza impugnata sostiene che la definizione di concordato misto, inteso come tale quel concordato che prevede la prosecuzione dell’attivita’ aziendale mediante l’utilizzazione di una parte soltanto dell’attivo, con previsione di una liquidazione atomistica dell’altra parte, non ha fondamento normativo, in quanto quella cosi’ definita e’ una delle ipotesi di concordato con continuita’ espressamente previste dalla L. Fall., articolo 186-bis, caratterizzata, come le altre, dalla circostanza della prosecuzione dell’attivita’ d’impresa.
Questa Corte ritiene di trarre spunto da una simile affermazione sistematica allo scopo di enunciare, ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., comma 1, i principi di diritto che governano questa peculiare fattispecie.
8.1 Il contesto normativo attuale non consente di ipotizzare un novero di possibili forme di concordato (liquidatorio, in continuita’, misto con prevalenza dell’una o dell’altra componente) ma individua, piu’ semplicemente, un istituto di carattere generale, regolato dalla L. Fall., articoli 160 e ss., e una ipotesi speciale rispetto ad esso, prevista dalla L. Fall., articolo 186-bis.
8.2 In particolare quest’ultima norma – introdotta nel panorama normativo dalla L. n. 83 del 2012, articolo 33, lettera d, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, dove si e’ trovata ad affiancare la nuova disciplina generale della L. Fall., articoli 160 e ss. contemplata dal Decreto Legge n. 35 del 2005, convertito con modificazioni dalla L. n. 80 del 2005 – regola espressamente il concordato con continuita’ aziendale, offrendo, al comma 1, una definizione dell’istituto (“Quando il piano di concordato di cui all’articolo 161, comma 2, lettera e) prevede la prosecuzione dell’attivita’ di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o piu’ societa’, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo. Il piano puo’ prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa”) e individuando, in seguito, una sua peculiare disciplina (concernente i contenuti del piano e della relazione del professionista attestatore, la possibile moratoria fino a un anno del pagamento dei crediti privilegiati, la prosecuzione dei rapporti in corso e la partecipazione a procedure di affidamento a contratti pubblici anche a seguito del deposito del ricorso).
Una molteplicita’ di norme di contorno (tra cui la L. Fall., articolo 160, comma 4, in tema di soddisfazione minima dei creditori, la L. Fall., articolo 163, comma 5, in materia di proposte di concordato concorrenti, e la L. Fall., articolo 182-quinquies, comma 5, in punto di autorizzazione al pagamento di crediti anteriori) fanno poi rinvio alla norma di contenuto definitorio.
8.3 La terminologia di concordato misto e’ stata utilizzata, in termini descrittivi, per individuare un concordato di contenuto complesso il cui piano preveda, accanto a una continuazione dell’attivita’ d’impresa, una liquidazione dei beni non funzionali all’esercizio della stessa.
Rispetto a un concordato il cui piano abbia simili caratteristiche taluna giurisprudenza di merito – spinta anche dalla preoccupazione di evitare abusi del ricorso allo strumento concordatario in continuita’, in particolare da quando, nel 2015, e’ stata prevista per esso, alla L. Fall., articolo 160, comma 4, l’esenzione dalla soglia minima di soddisfazione dei creditori – ha ritenuto di applicare la disciplina prevista dalla L. Fall., articolo 186-bis nel caso in cui dalla continuita’ aziendale provenga la maggior parte delle risorse destinate alla soddisfazione dei creditori (cd. teoria della prevalenza o dell’assorbimento).
Altra giurisprudenza invece ha ritenuto (al pari della Corte di merito nel caso in esame) che in caso di continuita’ aziendale trovi applicazione sempre la disciplina di cui alla L. Fall., articolo 186-bis, salvi i casi di abuso, a prescindere dalla consistenza delle risorse da essa provenienti destinate alla soddisfazione dei creditori.
Ed ancora alcune voci hanno proposto un’applicazione selettiva della disciplina di un tipo di concordato o dell’altro rispetto ai diversi contenuti del medesimo piano, altre invece hanno optato per una sovrapposizione delle differenti regole (di modo che a una percentuale di soddisfazione del 20% si dovrebbe accompagnare l’attestazione di un professionista in merito alla funzionalita’ della prosecuzione dell’attivita’ d’impresa alla maggior soddisfazione dei creditori).
8.4 L’individuazione del canone regolante il concordato il cui piano abbia un contenuto complesso deve giocoforza trovare soluzione ponendo attenzione all’attuale contesto normativo, che si struttura come detto – attraverso l’individuazione di una disciplina di carattere generale a cui si accompagna, in termini di specialita’ con l’introduzione di regole peculiari rispetto alla fattispecie comune, il disposto della L. Fall., articolo 186-bis.
Questa norma, all’ultimo periodo del suo comma 1, include espressamente nel novero regolato dalla disciplina speciale il caso in cui il piano preveda “anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa”.
La compresenza in piano di attivita’ liquidatorie che si accompagnino alla prosecuzione dell’attivita’ aziendale e’ dunque espressamente contemplata dal legislatore, all’interno della norma, speciale e derogatoria dei criteri generali, di cui alla L. Fall., articolo 186-bis.
Il che non lascia spazio a equivoci di sorta in merito al fatto che tale normativa governi la fattispecie (vale a dire che il concordato tradizionalmente definito come misto sia, nelle intenzioni del legislatore, un concordato in continuita’ che prevede la dismissione di beni).
8.5 Il dato normativo non evoca alcun rapporto di prevalenza di una parte dei beni rispetto all’altra a cui e’ riservata diversa sorte, ma fa riferimento alla liquidazione dei beni “non funzionali all’esercizio dell’impresa”, implicitamente ritenendo che quelli funzionali siano invece destinati alla prosecuzione dell’attivita’ aziendale.
La regola prevista dalla norma non riguarda la quantita’ delle porzioni a cui sia affidato un diverso destino (e la conseguente prevalenza dell’una rispetto all’altra in funzione delle risorse da devolvere alla soddisfazione dei creditori), ma la funzionalita’ di una porzione dei beni alla continuazione dell’impresa in uno scenario concordatario.
Si tratta di una clausola elastica, fondata su un criterio qualitativo piuttosto che quantitativo, che investe una parte dei beni aziendali, da apprezzarsi non nella loro mera materiale consistenza, ma in funzione, per la porzione non destinata alla vendita, della possibilita’ di poter essere organizzati, ex articolo 2555 c.c., per l’esercizio dell’impresa o di una sua parte.
La norma dunque non pone una distinzione fra gruppi di beni, ma fra beni da liquidare e beni organizzabili e organizzati per la continuita’ dell’impresa.
Il parametro della funzionalita’ impone percio’ all’interprete di indagare l’effettivo persistere di una continuita’ d’impresa che, sia pur in misura limitata o ridotta a taluni rami o sedi, assuma una sua autonoma rilevanza in termini economici ed a cui i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali.
8.6 Quanto appena detto non esaurisce pero’ la pregnanza della terminologia utilizzata dal legislatore, che deve essere intesa pure nell’ambito di un istituto regolato dal criterio generale del miglior soddisfacimento dei creditori.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di precisare che nell’ipotesi di concordato con continuita’ aziendale il piano deve essere idoneo a dimostrare la sostenibilita’ finanziaria della continuita’ stessa, in un contesto in cui il favor per la prosecuzione dell’attivita’ imprenditoriale e’ accompagnato da una serie di cautele, inerenti il piano e l’attestazione, tese ad evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attivita’ non puo’ che essere funzionale (Cass. 9061/2017).
Pertanto, nell’ambito di un concordato in continuita’ che preveda la dismissione di una porzione di beni, se un’impresa o una parte di un’impresa deve continuare a esistere in termini di attivita’ (nel caso di specie con utilizzazione dei beni di cui non era programmata la liquidazione in funzione della destinazione dei ricavi a fattori della successiva produzione), il rischio di impresa incontra il limite della manifesta dannosita’ per i creditori (L. Fall., ex articolo 186-bis, u.c.), dei quali invece deve essere necessariamente assicurato il miglior soddisfacimento (come indicato dal comma 2, lettera b, della medesima norma).
L’inclusione di un concordato cosi’ strutturato nel novero del concordato con continuita’ comporta percio’ l’introduzione di una precisa connotazione di portata generale, costituita dalla clausola del miglior soddisfacimento dei creditori, che caratterizza e limita (secondo modalita’ differenti dalla soglia minima prevista dalla L. Fall., articolo 160, comma 4, in ragione della peculiarita’ dell’istituto) la procedura in termini costanti, stringenti e ineludibili.
7.7 Nell’ambito del particolare tipo di concordato con continuita’ in parola la funzionalita’ dei beni non destinati alla liquidazione deve quindi essere intesa tanto in termini di effettiva rilevanza imprenditoriale, nel senso che gli stessi debbono essere organizzati in modo da assicurare la effettiva continuazione, in tutto o in parte, dell’attivita’ di impresa pregressa, quanto in termini di rischio imprenditoriale, nel senso che la loro destinazione al persistente utilizzo nell’ambito dell’attivita’ aziendale incontra il limite del miglior soddisfacimento dei creditori. Nell’interesse della legge andranno dunque fissati i seguenti principi:
il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell’impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attivita’ aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso, dalla disciplina speciale prevista dalla L. Fall., articolo 186-bis, che al comma 1 espressamente contempla anche una simile ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito;
tale norma non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnato una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneita’ dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attivita’ di impresa e ad assicurare, attraverso una simile organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori.
8. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
La mancata costituzione in questa sede degli intimati esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis ove dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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