Il c.d. “divieto di nova”

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 11 dicembre 2019, n. 8421

La massima estrapolata:

Il c.d. “divieto di nova” di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a., non può impedire all’appellante di confutare tutte le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata perché le mere difese sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello mentre è l’impugnazione proposta per la prima volta in appello di atti rimasti estranei alla cognizione dei giudici del primo grado che è inammissibile.

Sentenza 11 dicembre 2019, n. 8421

Data udienza 21 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4395 del 2017, proposto da
Ba. Fa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Po., Ma. Ol. Me., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Po. in Roma, via (…);
contro
Azienda Ospedaliera Sant’A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Vi. Di Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 517/2017, resa tra le parti, concernente l’esecuzione del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, n. 8437 emesso dal Tribunale di Milano il 20.03.08.
Visti il ricorso in ottemperanza e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliera Sant’A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati Ga. St. su delega di Ma. Ol. Me. e Vi. Di Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con il ricorso di primo grado proposto dinanzi al TAR per la Lombardia, sede di Milano, la società istante ha chiesto l’esecuzione del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo n. 8437 emesso dal Tribunale di Milano in data 20 marzo 2008, munito di formula esecutiva, non opposto.
Tale decreto disponeva l’obbligo di pagamento per l’Azienda Ospedaliera Sant’A. della somma di Euro 5.547.184,06 oltre agli interessi ex art. 5 d.lgs. n. 231/02 dalla scadenza di ciascuna fattura al saldo effettivo, alle spese competenze ed onorari del procedimento liquidate in Euro 6.162,75 oltre ad I.V.A., C.P.A., ad Euro 396,26 per il rilascio dell’estratto notarile e alle successive occorrende.
Nel ricorso in ottemperanza la società ha chiesto il pagamento di una quota del credito indicato nel decreto ingiuntivo in questione: ha dedotto, infatti, che il proprio credito ammontava a complessivi Euro 142.176,62 dei quali:
Euro 63.401,83 per sorte capitale;
Euro 28.894,68 per interessi di mora maturati al 15/3/2012;
Euro 7.755,20 a titolo di spese liquidate con il decreto ingiuntivo;
Euro 1.481,93 per spese successive a quelle liquidate nel decreto ingiuntivo;
Euro 396,26 per spese notarili;
Euro 40.246,72 per tassa di registrazione del decreto ingiuntivo.
Ha quindi chiesto il pagamento dell’importo complessivo di Euro 142.176,62 oltre agli ulteriori interessi di mora sulla sorte capitale dal 15/2/2012 al tasso di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 231/02.
1.1 – L’Amministrazione intimata si è costituita nel giudizio di primo grado rappresentando, con memoria depositata il 29 ottobre 2013, che – in seguito ad accertamenti istruttori – era emerso che l’importo rivendicato non era corretto; la stessa Ba. Fa., alla data del 22 ottobre 2013, aveva riconosciuto che il saldo della somma capitale riferibile al decreto ingiuntivo n. 8437/08 ammontava ad Euro 12.164,87: ciò comportava che il calcolo degli interessi doveva essere rivisto in quanto fondato su un capitale errato.
1.2 – Aveva anche dedotto che le somme rivendicate, diverse da quelle liquidate con il decreto ingiuntivo, ed in particolare, le somme di Euro 1.481,93 richieste a titolo di spese successive e di Euro 40.246,93 relative alla tassa di registrazione non potevano essere riconosciute in quanto non ricomprese dal decreto ingiuntivo.
1.3 – Ba. Fa. non depositava in giudizio alcuno scritto difensivo sui rilievi svolti dall’Amministrazione, limitandosi a chiedere una serie di rinvii della decisione.
1.4 – Con le note di udienza, depositate in prossimità della Camera di Consiglio del 4 aprile 2016, l’Azienda Sanitaria aveva rappresentato non solo che l’importo rivendicato non era esatto, ma che la sorte capitale che residuava era stata pagata, in parte tramite operazione di cartolarizzazione regionale, in altra parte era stata oggetto di emissione di note di credito da parte della società ; aveva quindi aggiunto che nessun importo ulteriore poteva essere richiesto, rispetto a quelli coperti dal giudicato di cui al decreto ingiuntivo n. 8437/2008.
1.5 – La causa veniva discussa ed il Tar Piemonte, con ordinanza collegiale n. 935/2016 rilevava che:
“- secondo le memorie delle parti la sorte capitale è di euro 12.164,87;
– secondo la memoria dell’amministrazione, non contestata ritualmente, il capitale è stato pagato mediante cartolarizzazione e note di credito;
– non sono dovuti pagamenti ad alcun titolo non previsti nei titoli esecutati;
– non esiste alcuna certezza in merito al pagamento degli interessi sul capitale così come sopra indicato”.
Sulla base di queste premesse, quindi, il giudice di primo grado ordinava alle parti di depositare idonea relazione in merito al pagamento degli interessi.
La società istante non depositava alcuna relazione, né prendeva parte alla camera di consiglio. L’Azienda Ospedaliera chiedeva la declaratoria di cessazione della materia del contendere tenuto conto dell’intervenuto accordo transattivo intercorso tra la Ba. Fa. e l’Azienda Ospedaliera Sant’A., rappresentando che nell’ambito di quell’accordo erano ricomprese anche le fatture oggetto del decreto ingiuntivo in questione circostanza mai contestata dalla controparte.
2. – Con la sentenza impugnata il TAR Lombardia ha innanzitutto rilevato che “con ordinanza n. 935/2016 la Sezione ha accertato che il capitale era stato interamente pagato mentre rimanevano dubbi in merito agli interessi”; ha quindi dato atto della cessazione della materia del contendere tenuto conto dell’accordo transattivo intercorso tra le parti. Ha quindi condannato la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 4.000,00 oltre IVA e CPA.
3. – Avverso tale decisione la società Ba. Fa. ha proposto appello deducendo tre motivi di impugnazione che saranno in seguito esaminati.
3.1 – Si è costituita in giudizio l’Azienda Ospedaliera Sant’A. che ha eccepito plurimi profili di inammissibilità dell’appello; ha anche chiesto la sua reiezione per infondatezza.
3.2 – Con memoria del 6 dicembre 2017 l’appellante ha dichiarato che la sorte capitale si era ridotta ad Euro 2.857,87 mostrandosi intenzionata ad addivenire ad una composizione bonaria della controversia.
Ha quindi chiesto un rinvio per definire l’accordo con l’Azienda Ospedaliera
3.3 – La causa, già fissata alla camera di consiglio del 21 dicembre 2017, è stata rinviata a data da destinare su accordo delle parti, intenzionate a risolvere il contenzioso in via transattiva.
3.4 – In mancanza di accordo, su istanza della parte ricorrente, la causa è stata quindi fissata per la camera di consiglio del 21 novembre 2019.
3.5 – Le parti hanno depositato memorie e memorie di replica nelle quali hanno svolto le rispettive tesi difensive.
4. – Alla Camera di Consiglio del 21 novembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
5. – L’appello è infondato e va, dunque, respinto.
6. – L’appellante ha impugnato la sentenza di primo grado sotto tre profili.
6.1 – Con il primo motivo ha censurato la statuizione della cessazione della materia del contendere rilevando, in estrema sintesi, che:
– il primo giudice avrebbe mal interpretato l’accordo transattivo, non tenendo conto della natura non novativa della transazione (art. 2.1 dell’accordo) e della mancata certificazione dei crediti in questione, che – pertanto – avrebbero conservato il loro stato giuridico;
– al creditore, quindi, non sarebbe stata preclusa l’azione diretta ad ottenere il pagamento delle somme, né sarebbe stata a lui applicabile la rinuncia all’attivazione e alla prosecuzione dei procedimenti pendenti, prevista nell’accordo per i soli crediti certificati.
6.2 – Con il secondo motivo l’appellante ha contestato che il capitale oggetto del decreto ingiuntivo fosse stato integralmente pagato, come ritenuto dal Tar.
6.3 – Con il terzo motivo ha lamentato la sua condanna alle spese di giudizio, contestando anche l’importo liquidato.
7. – Le doglianze non possono essere condivise.
7.1 – Ritiene il Collegio di dover preventivamente esaminare – per ragioni logiche – il secondo motivo, con il quale l’appellante contesta il capo di sentenza relativo alla declaratoria dell’integrale pagamento del credito nascente dal decreto ingiuntivo.
7.2 – La parte appellata ha eccepito l’inammissibilità della doglianza, ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a., in quanto diretta ad introdurre nel giudizio di appello argomentazioni e profili che avrebbero dovuto essere dedotti in primo grado; ha anche eccepito l’inammissibilità della censura in quanto diretta a contestare una statuizione coperta da giudicato.
Come già rilevato in precedenza, la parte ricorrente nel giudizio di primo grado si è limitata a far valere le proprie pretese solo ed esclusivamente con il ricorso introduttivo del giudizio di ottemperanza; non ha svolto in seguito alcuna attività difensiva.
Di fronte alle eccezioni sollevate dalla parte intimata, prima tra tutte quelle relative all’intervenuto pagamento della sorte capitale, la parte ricorrente nulla ha replicato, mantenendo – sostanzialmente – un condotta inerte che è perdurata fino all’esito del giudizio; non ha depositato la relazione che gli era stata richiesta dal TAR in relazione al computo degli interessi, non ha contestato l’avvenuto pagamento del capitale, né la mancata spettanza delle ulteriori somme richieste in quanto non riconosciute nel decreto ingiuntivo, neppure ha presenziato alla camera di consiglio del 10 gennaio 2017 nella quale la causa è stata trattenuta in decisione.
Il primo giudice ha fatto conseguentemente applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 64, comma 2, c.p.a.
Secondo l’Azienda Ospedaliera le difese dirette a sostenere il mancato pagamento della sorte capitale avrebbero dovuto essere proposte in primo grado e non potrebbero, quindi, trovare ingresso in sede di appello, sussistendo la preclusione recata dall’art. 104, comma 2, c.p.a.
8. – Ritiene il Collegio che la prospettazione della parte appellata non possa essere condivisa.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza il c.d. “divieto di nova” di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a., “non può impedire all’appellante di confutare tutte le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata perché le mere difese sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello mentre è l’impugnazione proposta per la prima volta in appello di atti rimasti estranei alla cognizione dei giudici del primo grado che è inammissibile” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 4/06/2019, n. 3761; Sez. IV, n. 6251/18).
Ne consegue che la prima eccezione di inammissibilità va respinta.
8.1 – Deve essere ora esaminata la seconda eccezione di inammissibilità, relativa alla natura dell’ordinanza n. 635/2016, da riqualificarsi come “sentenza non definitiva” e alla conseguente formazione del giudicato sui punti sui quali essa si è pronunciata.
La prospettazione della parte appellata è condivisibile.
8.2 – Come correttamente rilevato dalla parte appellata, al fine di stabilire la natura del provvedimento adottato dal giudice (ordinanza o sentenza non definitiva), nel rispetto del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, occorre avere riguardo al contenuto dello stesso: con la sentenza non definitiva il giudice risolve alcune questioni già mature per la decisione, mentre il giudizio prosegue per altre rispetto alle quali è necessaria un’ulteriore attività istruttoria.
8.3 – Nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, il TAR non si è limitato ad ordinare il deposito di idonea relazione in merito agli interessi, ma ha espressamente statuito in merito al capitale facendo applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 64 c. 2, c.p.a. ritenendolo “pagato mediante cartolarizzazione e note di credito” come dichiarato dall’Azienda Ospedaliera nella propria memoria; ha anche precisato che “non sono dovuti pagamenti ad alcun titolo non previsti nei titoli esecutati”; ha infine ritenuto che non vi fosse certezza sul pagamento degli interessi e solo su tale specifico punto ha disposto incombenti istruttori.
8.4 – A sua volta, la sentenza appellata, non è tornata su tali aspetti, limitandosi a precisare che con la precedente ordinanza n. 935/2016 la Sezione aveva già accertato che il capitale era stato interamente pagato, mentre rimanevano dubbi in merito agli interessi.
In pratica, il primo giudice non ha esaminato gli aspetti relativi alla sorte capitale (e agli accessori richiesti in sede di ottemperanza, e cioè le spese successive e quelle relative alla registrazione) ritenendo tali aspetti già definiti con l’ordinanza n. 935/2016.
8.5 – Tali statuizioni avrebbero dovuto essere tempestivamente censurate mediante riserva di appello o appello avverso l’ordinanza, tenuto conto che tale atto che definiva negativamente per la parte istante uno specifico punto della controversia (e cioè l’avvenuto pagamento del capitale e la mancata spettanza di taluni accessori) aveva natura sostanziale di sentenza non definitiva; tale statuizione peraltro, impattava anche sulla pretesa relativa agli interessi moratori, che presuppongono il mancato pagamento del debito.
8.6 – Ne consegue che le doglianze sul punto – da far valere tempestivamente avverso tale decisione – non possono trovare ingresso in questo giudizio e, dunque vanno dichiarate inammissibili.
9. – Ad ogni buon conto, per mera completezza espositiva, il Collegio ritiene di dover precisare – quanto alla pretesa diretta ad ottenere il pagamento per le spese successive, ivi comprese quelle relative alla registrazione del decreto ingiuntivo -, che la statuizione del TAR, ormai coperta da giudicato, è comunque condivisibile, perché si tratta di poste non espressamente riconosciute con il decreto ingiuntivo e che, dunque, non possono conseguirsi mediante il ricorso per ottemperanza.
L’art. 113 comma 2, lett. d) c.p.a. fa espresso riferimento all’obbligo di conformarsi al giudicato formatosi sulla sentenza del giudice ordinario (e sui provvedimenti ad essa equiparati), ed il comma 3 dello stesso articolo consente la proposizione, in aggiunta all’azione di esecuzione del giudicato, della sola azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione monetaria ed interessi, o di risarcimento danni connessi alla impossibilità o alla mancata esecuzione totale o parziale del giudicato, escludendo, implicitamente, la possibilità di richiedere altro, come invece rivendica l’appellante.
9.1 – Per quanto concerne la sorte capitale, è opportuno sottolineare che la pretesa originaria contenuta nel ricorso di primo grado si è via via ridotta, fino ad arrivare alla modica cifra di Euro 2.704,98 indicata dalla stessa parte appellante nella memoria del 4/11/2019, nella quale – peraltro – la società ha anche espressamente indicato la composizione di tale credito (cfr. pag. 2): questa specifica problematica, anch’essa ormai coperta da giudicato, è comunque assorbita dalla declaratoria di cessazione della materia del contendere.
10. – In relazione a tale specifico aspetto, oggetto del primo motivo di appello, è opportuno rilevare che il TAR ha ritenuto cessata la materia del contendere a prescindere dalla natura della transazione, e cioè sia nel caso di transazione novativa che in caso di transazione semplice.
10.1 – Ha rilevato, infatti, che l’esistenza dell’atto di transazione preclude l’azione di ottemperanza (Cons. Stato, Sez. V, 28 giugno 2006, n. 4214) e, quando sia stipulato dopo l’avvio del giudizio comporta la cessazione della materia del contendere, in quanto sostituisce il titolo giudiziario per il quale era stata proposta l’azione esecutiva.
Ha richiamato sul punto anche la giurisprudenza civile (cfr. Cass. Sez. III, 24 febbraio 2015, n. 3598) secondo cui la transazione in corso di causa determina la cessazione della materia del contendere.
10.2 – Dopo aver distinto tra transazione novativa e transazione semplice ha rilevato che anche in caso di transazione semplice nella quale “rimangono fermi il precedente rapporto e la relativa fonte (…) si introducono mutamenti dell’assetto sostanziale dei diritti e degli obblighi che sul piano processuale si configurano come fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto azionato” e che quindi “l’una e l’altra forma di transazione eliminano la posizione di contrasto fra le parti e fanno venire meno l’interesse delle stesse ad una pronuncia”.
10.3 – Tale statuizione non è stata impugnata e, dunque, sul punto si è formato il giudicato.
Ne consegue che non sussiste alcun interesse per l’appellante a coltivare la doglianza diretta a sostenere la natura di transazione non novativa dell’atto stipulato con l’Azienda Ospedaliera Sant’A., al fine di ottenere la riforma della statuizione di cessazione della materia del contendere assunta dal TAR.
11. – Per quanto concerne, invece, la mancata certificazione dei propri crediti – elemento che secondo l’appellante sarebbe idoneo a sottrarli dall’applicazione della transazione – è sufficiente rilevare che la documentazione versata in atti dall’appellante non è idonea a dimostrare tale presupposto: il documento prodotto dall’appellante (doc. H) è un mero foglio Excel di provenienza della stessa parte appellante corredata da una mail dalla quale non si evince alcunché in merito alla mancata certificazione dei crediti in questione.
11.1 – Ne consegue che, poiché entrambe le parti hanno riconosciuto che i crediti di cui trattasi sono ricompresi nel novero di quelli soggetti a transazione, e che non vi è prova dell’inapplicabilità nei loro confronti del regime ivi previsto, non essendovi una valida prova in ordine alla mancata certificazione dei crediti, ne consegue che anch’essi ricadono nell’accordo transattivo come ritenuto dal primo giudice.
Ne consegue la conferma della declaratoria di cessazione della materia del contendere resa dal primo giudice.
12. – Resta da esaminare il terzo motivo di impugnazione relativo alla condanna alle spese.
Tale doglianza è infondata.
12.1 – Costituisce principio pacifico in giurisprudenza che la sindacabilità in appello della condanna alle spese di lite comminata dal primo giudice, in quanto espressiva della discrezionalità di cui dispone il giudice in ogni fase del processo, è limitata alle sole ipotesi in cui venga modificata la decisione principale, salvo la manifesta abnormità (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 7 luglio 2017, n. 3352), circostanza che non ricorre nel caso di specie.
La scelta del giudice di primo grado di porre a carico della ricorrente le spese di lite si giustifica con le statuizioni sulla domanda rese dal TAR, e con la condotta tenuta dalla stessa parte ricorrente nel corso del giudizio; l’importo liquidato non risulta abnorme tenuto conto del valore della controversia.
13. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza di primo grado che ha dichiarato la cessazione della materia del contendere.
14. – Le spese del grado di appello possono invece compensarsi tra le parti tenuto conto della particolarità della fattispecie.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata e, quindi, dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine al ricorso di primo grado.
Spese del grado di appello compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore
Ezio Fedullo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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