Illegittimi i provvedimenti sanzionatori edilizi quando per gli immobili sanzionati pendono istanze di sanatoria rimaste inevase

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 20 giugno 2019, n. 4223.

La massima estrapolata:

Se è vero che sono iIllegittimi i provvedimenti sanzionatori edilizi quando per gli immobili sanzionati pendono istanze di sanatoria rimaste inevase, ciò non vale allorché la domanda di condono riguardi un manufatto del tutto diverso.

Sentenza 20 giugno 2019, n. 4223

Data udienza 7 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 287 del 2010, proposto dai signori Gi. Mi. e Ol. Mo., entrambi rappresentati e difesi dall’avv. Lu. De Lu. di Me., elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. L. Na. in Roma, alla via (…),
contro
il Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ma. Fe., An. An. e Ga. Ro., elettivamente domiciliato c/o lo studio dell’avv. Gr. & As. S.r.l., in Roma al corso (…),
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, Sezione IV, n. 19357 del 7 novembre 2008, resa inter partes, concernente diniego di permesso di costruire e risarcimento del danno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2019 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti, gli avvocati Lu. De Lu. e Pa. Co., su delega dell’avv. Ga. Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 6990 del 2002, integrato da motivi aggiunti, proposto innanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, i signori Gi. Mi. e Ol. Mo. avevano chiesto l’annullamento dei seguenti atti:
a) disposizione dirigenziale n. 769 del 26 aprile 2002, con la quale è stata ordinata la demolizione delle opere abusive realizzate nel fabbricato di loro proprietà in Napoli alla via (omissis);
b) provvedimento del Dirigente del Servizio Antiabusivismo Edilizio del Comune di Napoli n. 1090 del 16 settembre 2005, con cui è stata disposta l’acquisizione al patrimonio comunale del predetto fabbricato (atto impugnato con i motivi aggiunti);
c) nota del Servizio Progetto Condono prot. n. 4633 del 26 settembre 2001, sulla base della quale è stata adottata l’ordinanza di demolizione suba) (anche tale atto è stato impugnato con i motivi aggiunti).
2. A sostegno della proposta impugnativa, i ricorrenti evidenziavano che l’intervento sarebbe conforme a quanto descritto nella domanda di condono e che l’ordinanza di demolizione si fonda su una nota (la n. 4633 del 2001) che in realtà riguarderebbe una diversa domanda di condono, avente ad oggetto una villa su tre livelli.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale resistendo, il Tribunale adì to, Sezione IV, ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha respinto il ricorso nonché i motivi aggiunti ove proposti avverso il provvedimento del Dirigente del Servizio Antiabusivismo Edilizio del Comune di Napoli n. 1090 del 16 settembre 2005;
– ha dichiarato inammissibile per difetto d’interesse la censura di difetto motivazionale correlata alla presenza sull’area di vincolo paesaggistico (questo capo della sentenza non è stato impugnato ed è pertanto passato in giudicato);
– ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti proposti avverso la nota del Servizio Progetto Condono prot. n. 4633 del 26 settembre 2001;
– ha compensato le spese di lite.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– “per le caratteristiche costruttive e la destinazione d’uso il manufatto oggetto dei provvedimenti impugnati – capannone ad uso deposito aperto su due lati, a piano terra, realizzato in c.a. e ferro di mt. 17,10 x mt. 6,80 con sottostante camera d’aria- così come dettagliatamente descritto nei verbali allegati alle memorie dell’amministrazione non coincida, a prescindere dalle dimensioni rilevate (99 mq. il primo e circa 115 mq. il secondo) con quello oggetto della domanda di condono, che consiste, con tutta evidenza, nei lavori preliminari alla realizzazione di una civile abitazione”;
– peraltro, l’opera oggetto della domanda di condono risulta “eseguita nel corso del mese di febbraio 1995”;
– “A nulla rileva infatti che la ricorrente a seguito del nubifragio del 2001 si sia limitata a riposizionare i blocchi del muro a secco, rispetto ad un intervento pre-esistente”;
– inammissibile per carenza di interesse è il ricorso con motivi aggiunti nella parte in cui si avversa la nota prot. n. 4633 del 26 settembre 2001, atteso che “Irrilevante è che l’ordine di demolizione riguardi, impropriamente, tale nota in quanto […] il presupposto della demolizione è l’abusività del manufatto”.
5. Avverso tale pronuncia i signori Mirante e Moschino hanno interposto appello, notificato il 22 dicembre 2009 e depositato il 15 gennaio 2010, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame (pagine 4- 8), quanto di seguito sintetizzato:
– avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che il capannone di mq. 99, oggetto della domanda di condono, non sia coincidente con il manufatto di mq. 111 oggetto dei provvedimenti di demolizione e acquisizione, in quanto questa apparente discrasia si spiega solo perché i diversi coefficienti si riferiscono, rispettivamente, alla superficie netta e lorda;
– avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che il manufatto sarebbe stato demolito nel 1983 e ricostruito “presumibilmente”nel febbraio 1995, in quanto esistente in loco in aerofotogrammetria del 1986;
– il Tribunale non avrebbe considerato che è del tutto implausibile che un privato demolisca un manufatto ad uso abitativo per destinarlo a deposito, in una famosa zona panoramica qual è Posillipo;
– il Tribunale sarebbe incorso in errore nel ricostruire i fatti facendo leva su una perizia giurata, della quale si sono travisati i contenuti, atteso che da questa è dato rilevare, contrariamente a quanto si afferma in sentenza, che gli infissi esterni non sono stati completati;
– contrariamente a quanto opinato dal Tribunale l’erroneo contenuto della nota prot. n. 4633 del 26 settembre 2001 sarebbe tale da inficiare la legittimità dell’ordinanza di demolizione su cui si fonda, con conseguente sussistenza del profilo di interesse ad articolare la relativa censura.
6. In data 20 gennaio 2010, il Comune appellato si è costituito in giudizio con atto di stile.
7. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti hanno svolto difese scritte, anche in replica, insistendo per le rispettive conclusioni.
8. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 7 maggio 2019, non merita accoglimento.
9. Le ragioni prospettate dal ricorrente attengono innanzitutto alla pretesa corrispondenza tra il manufatto sanzionato con gli atti impugnati in primo grado (“Manufatto di solo piano terra in ca. e ferro di mt. 17,10 x mt. 6,80 con sottostante camera d’aria”) e la domanda di condono rimasta pendente, ma le critiche dell’appellante non valgono a superare le considerazioni rese dal Tribunale a sostegno della decisione reiettiva fondate sia sulle caratteristiche dei due immobili sia sull’epoca di realizzazione del capannone, successivo alla data (20 febbraio 1995) di presentazione della domanda di condono e pertanto a quella di sbarramento temporale per la condonabilità delle opere (31 dicembre 1993).
Assumono quindi rilievo preliminare le critiche sollevate dall’appellante al fine di contestare la ricostruzione dei termini fattuali della vicenda di causa operata dal Tribunale nel senso che vi sarebbe sostanziale coincidenza tra i due immobili, rispettivamente descritti nell’istanza condonizia e nel verbale di sequestro della locale Stazione dei Carabinieri in data 29 settembre 2001, valorizzandosi quanto da esso riportato nei termini che seguono: “il manufatto era visivamente conforme a quanto indicato dai verbali di sequestro e dissequestro del 10.3.1995 e del 10.7.2000 […] e che nel corso dei due controlli effettuati alla data del 25 m.c. e odierno, non sono stati visti operai svolgere i suddetti lavori, né sono stati usati materiali cementizi per legare i blocchi di pomicemento, che sono stati poggiati a secco l’uno sull’altro”.
9.1. Le critiche dell’appellante non possono essere condivise, in quanto se è vero che nell’istanza di sanatoria indirizzata alla Soprintendenza in data 8 novembre 1986 si discorre di un “locale deposito”, è vero anche che nella successiva domanda di condono, avanzata in data 20 febbraio 1995 ai sensi della legge n. 724 del 1994 (cd. secondo condono), l’abuso viene descritto in termini di “appartamento” e pertanto non risulta in alcun modo coincidente con quello contestato dall’Amministrazione comunale. Né può trattarsi di un lapsus calami, in quanto, ai fini del calcolo dell’oblazione, il richiedente faceva ricorso alla “Deduzione 1^ casa” ovviamente inconciliabile con la destinazione del manufatto a deposito. A ciò deve aggiungersi quanto ritraibile dalla documentazione fotografica allegata alla domanda che appunto raffigura un manufatto munito di infissi con falda spiovente coperta da tegole, caratteristiche queste che ne tradiscono in modo inequivocabile la destinazione abitativa. Nella perizia giurata altrettanto allegata alla domanda si rinviene poi una descrizione del tutto collimante con la destinazione abitativa del manufatto, discorrendosi di un manufatto munito di “infissi d’ambito in alluminio preverniciato” mentre, per quanto attiene alla collocazione temporale del manufatto contestato con gli atti impugnati in prime cure, dai sopralluoghi effettuati fra gennaio 2005 ed il 1 marzo 2005, cui fa riferimento il verbale/fono a mano n. 1867/ED dell’11 marzo 2005, correttamente richiamato dal Tribunale, il suddetto manufatto abusivo è descritto come opera “eseguita nel corso del mese di febbraio 1995”.
9.2. Non potrà trovare applicazione quanto statuito dall’art. 38 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), laddove prevede che la presentazione della domanda di condono sospende il procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative. Per effetto di tale statuizione normativa, nella pendenza della definizione di tali domande, non può essere, tra l’altro, adottato alcun provvedimento di demolizione e tale disposizione si applica anche ai condoni presentati ai sensi dell’art. 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 26 (Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2016, n. 5028).
Invero, la presentazione della richiesta di sanatoria fa sorgere l’obbligo per il Comune di esaminarla, con conseguente necessità di assumere un nuovo provvedimento favorevole o sfavorevole cosicché l’originario provvedimento repressivo è destinato a perdere efficacia e non può più essere portato ad esecuzione. Il principio suddetto, infatti, postula la sostanziale coincidenza tra il manufatto oggetto di demolizione e quello interessato dalla domanda di condono, che, come detto, nel caso di specie non ricorre. La divergenza plano-volumetrica tra i due manufatti (quello descritto nella domanda di condono e quello oggetto della disposizione dirigenziale di demolizione) rende irrilevante la domanda di condono, sebbene l’ubicazione degli stessi sia identica. Difatti, come osservato da parte di condivisibile giurisprudenza di prime cure in una vicenda analoga, “questa palese discrasia impedisce che il meccanismo di sospensione dei procedimenti sanzionatori, per effetto della presentazione di una istanza di condono, possa trovare concreta applicazione alla struttura oggetto dell’ordinanza di demolizione” (T.a.r. Campania, sede di Napoli, sez. IV, 2 maggio 2018, n. 2930).
Non trova quindi applicazione il principio secondo il quale l’Amministrazione non può emettere alcun provvedimento sanzionatorio senza prima aver definito il procedimento scaturente dall’istanza di sanatoria, ostandovi i principi di lealtà, coerenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (Cons. Stato, 17 aprile 2018, n. 2315). I suddetti principi, infatti, impongono il dovere di procedere prioritariamente all’esame della domanda di condono prima di assumere iniziative pregiudizievoli per lo stesso esito della sanatoria edilizia, ciò però sul presupposto di una coincidenza dei manufatti oggetto di entrambi i provvedimenti.
Nel caso di specie, al contrario, la suddetta corrispondenza tra i due immobili non è ravvisabile, dal momento che il manufatto oggetto della domanda di condono è destinato ad abitazione, mentre quello risultante dalla disposizione dirigenziale di demolizione è un fabbricato adibito a deposito.
In conclusione sul punto, se è vero che, secondo un principio generalmente recepito in sede pretoria, sono illegittimi i provvedimenti sanzionatori edilizi quando per gli immobili sanzionati pendono istanze di sanatoria rimaste inevase, ciò non vale allorché, come nel caso di specie, la domanda di condono riguardi un manufatto tutt’affatto diverso. Tale evidente diversità conculca ogni possibile interferenza tra il procedimento sanzionatorio con quello di sanatoria aliunde attivato.
9.3. Parte appellante solleva un’ulteriore critica, evidenziando che il Tribunale avrebbe travisato il contenuto della perizia giurata allegata alla domanda di condono, avendo riportato un passaggio testuale della stessa discorrendo di infissi “completati” invece che “incompleti”, ma tale inesattezza, per vero evidenziabile alla luce dell’esatto tenore del predetto elaborato peritale, non inficia la bontà delle argomentazioni a sostegno del capo della sentenza cui si indirizzano le critiche dell’appellante essendo il ragionamento del Tribunale inteso a coonestare la vocazione abitativa dell’immobile, testimoniata dalla presenza di infissi. In tale ottica risulta quindi irrilevante la circostanza che si tratti di parti complete o incomplete dell’immobile essendo in ogni caso incompatibili con la pretesa destinazione a deposito.
9.4. Parte appellante insiste, infine, nel ritenere che l’ordinanza demolitoria si fondi su un presupposto erroneo, richiamando la nota prot. n. 4633 del 26 settembre 2001 sebbene riguardante una diversa pratica di condono. Osserva, di contro, il Collegio che tale erronea indicazione non è in grado di inficiare il quadro motivazionale dell’ordinanza demolitoria fondandosi questa sulla rilevata abusività del manufatto in quanto tale meritevole della sanzione irrogata.
10. In conclusione, il gravame in esame è infondato e deve essere respinto.
11. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo il criterio della soccombenza, sono liquidate nella misura stabilita in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 287/2010), lo respinge.
Condanna gli appellanti in solido alla rifusione, in favore del Comune di Napoli, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere

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