I provvedimenti sanzionatori sono legittimamente adottati nei confronti dei proprietari catastali

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 7 novembre 2019, n. 7616.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo nessuna norma processuale o principio generale attribuisce alle parti in causa un diritto al rinvio della discussione del ricorso, poiché il principio dispositivo, che pure informa il processo amministrativo, va contemperato con l’interesse pubblico alla sollecita definizione della controversia coinvolgente l’esercizio di pubblici poteri.
L’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare
I provvedimenti sanzionatori sono legittimamente adottati nei confronti dei proprietari catastali degli immobili, dovendosi prescindere dagli eventuali rapporti interprivati tra gli autori degli abusi e i proprietari; l’ordine di demolizione è legittimamente notificato al proprietario catastale dell’area il quale, fino a prova contraria, è quanto meno corresponsabile dell’abuso

Sentenza 7 novembre 2019, n. 7616

Data udienza 24 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4208 del 2013, proposto dalla s.r.l. SB. (succeduta alla s.r.l. TE.) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Br. e Sa. Ca., elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. An. Ga. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, non costituito in giudizio,
nei confronti
la s.p.a. En.,ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per l’Umbria, sede di Perugia, Sezione I, n. 466 del 6 novembre 2012, resa tra le parti, concernente la demolizione di un impianto radio ripetitore e il ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 24 settembre 2019 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per l’appellante, gli avvocati Gi. Le., su delega dichiarata di Mi. Br., e Sa. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 242 del 2010, proposto innanzi al T.a.r. per l’Umbria, la s.r.l. TE. (di seguito la società ) aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 2339 datata 11 maggio 2010, con la quale il Responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia e per le Attività Produttive del Comune di (omissis) (PG) ordinava alla s.r.l. TE. (ora s.r.l. SB.), nella presunta qualità di esecutore materiale, la demolizione dell’impianto radio ripetitore e della relativa recinzione – collocati in località (omissis) -, con la conseguente rimessa in pristino dello stato dei luoghi, in quanto realizzati in assenza di una autorizzazione edilizia o ambientale.
2. A sostegno della proposta impugnativa, la società aveva dedotto:
i) “eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà dell’ordine impartito, nonché travisamento ed erronea valutazione dei fatti”;
ii) “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 della L.R. n. 21/2004; erronea individuazione del soggetto passivo dell’ordinanza di demolizione, violazione e falsa o errata applicazione dell’art. 112 c.p.c. per vizio di ultrapetizione”;
iii) “violazione dell’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 177/05; art. 86, comma 3, D.Lgs. n. 259/03; artt. 90 e 91 D.Lgs. n. 259/03; violazione ed errata applicazione dell’art. 87 D.Lgs. n. 259/03”;
iv) “violazione e falsa o errata applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul vizio di eccesso di potere per carenza e/o insufficienza d’istruttoria;
3. Costituitasi per resistere l’Amministrazione comunale ed intervenuti la s.r.l. Rtl 102,500 Hi. Ra. (ad adiuvandum) e l’Istituto per il So. del Cl. di (omissis) (ad opponendum), il Tribunale ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha riunito il citato ricorso ad altri due (n. 55 del 2012 e 56 del 2012) per “evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva”;
– ha respinto il ricorso n. 55 del 2012 reputando infondate tutte le censure articolate;
– ha condannato la società al rimborso delle spese di lite, liquidate nell’importo di Euro 3.000,00 a favore del Comune di (omissis) e di Euro 1.000,00 a favore dell’Istituto Di. per il So. del Cl. di (omissis).
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– “non è contestato che le opere delle quali si ordina la demolizione sorgano in area vincolata e siano del tutto abusive”;
– non è necessaria una motivazione puntuale al fine di disporre la demolizione di opere abusive;
– il contenuto del provvedimento impugnato è suffragato dal documento, denominato “contratto di alleggerimento”, prodotto dall’interventore ad adiuvandum ed al quale si riferisce pure l’interventore ad opponendum;
– l’ordinanza, nella quale i manufatti abusivi sono adeguatamente individuati, è doverosa sia per la mancanza del nulla osta paesaggistico che del permesso di costruire.
5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 13 maggio 2013 e depositato il 3 giugno 2013, lamentando, attraverso cinque motivi di gravame (pagine 4-11), quanto di seguito sintetizzato:
I) avrebbe errato il Tribunale nel respingere il primo motivo del ricorso di primo grado, stante la stessa confusa individuazione dell’oggetto dell’ordinanza di demolizione;
II) avrebbe errato il Tribunale nel respingere il secondo motivo del ricorso originario, stante l’estraneità della TE. S.r.l. all’esecuzione dei manufatti, essendo una mera utilizzatrice del locale tecnico e del traliccio ivi installato;
III) avrebbe errato il Tribunale nel respingere il terzo motivo del ricorso originario, stante la formulazione di cui all’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, che si atteggia a norma speciale rispetto alla normativa edilizia generale;
IV) il Tribunale non avrebbe esaminato il quarto motivo di doglianza articolato con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, del quale quindi se ne chiede in questa sede l’accoglimento;
V) in merito alla condanna alle spese, ha dedotto che la materia del contendere non richiede una complessa attività difensiva e che, con specifico riferimento all’Istituto Di. per il So. del Cl. di (omissis), il medesimo non era stato evocato in giudizio, essendo intervenuto volontariamente.
6. La società ha conclusivamente chiesto, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e, pertanto, l’annullamento della censurata ordinanza.
7. Nessuno dei soggetti intimati si è costituito in giudizio.
8. Con ordinanza cautelare n. 2269 del 18 giugno 2013, il Collegio ha respinto la domanda di sospensione degli effetti dell’impugnata sentenza, rilevando “che l’appello non appare assistito dal necessario fumus boni iuris, in quanto la sentenza impugnata resiste alle censure sollevate dall’appellante, dovendosi ritenere il provvedimento di demolizione immune dai vizi denunciati in prime cure ed essendo, comunque, incontestato che l’impianto radio sia stato realizzato in assenza di qualsiasi autorizzazione edilizia e/o ambientale”.
9. In data 20 novembre 2018, si è costituita in giudizio la s.r.l. SB., documentando la fusione per incorporazione della TE. S.r.l., con conseguente subentro nei rapporti giuridici dell’incorporata, e chiedendo l’accoglimento dell’appello in esame.
10. In data 9 luglio 2019 parte appellante ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento dell’appello ed evidenziando a tal uopo che il Comune di (omissis) avrebbe non avrebbe censirtonel proprio PRG l’area in questione, né ha adottato il Regolamento per l’installazione degli impianti radioelettrici previsto dall’art. 13 della L.R. n. 31/2013, con ciò precludendo alla ricorrente la possibilità di attivare le procedure autorizzative.
11. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 24 settembre 2019, è stato introitato in decisione.
12. Preliminarmente, non può essere accolta l’istanza di rinvio avanzata dalle parti congiuntamente, motivata per la pendenza di trasferimento dell’attività in altro sito.
Al riguardo, va ribadito il principio secondo cui nel processo amministrativo nessuna norma processuale o principio generale attribuisce alle parti in causa un diritto al rinvio della discussione del ricorso, poiché il principio dispositivo, che pure informa il processo amministrativo, va contemperato con l’interesse pubblico alla sollecita definizione della controversia coinvolgente l’esercizio di pubblici poteri (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 17 maggio 2018, n. 2948). Va per giunta rilevato che trattasi di appello, assai risalente cosicché le parti hanno avuto tutto il tempo necessario per definire la controversia in sede transattiva.
13. Il Collegio ritiene che l’appello in esame sia fondato nei sensi e nei limiti di cui alla motivazione che segue.
13.1. Non risulta fondato il primo motivo d’appello, in quanto l’ordinanza demolitoria impugnata è ampiamente suffragata dal verbale di sopralluogo con il quale le opere abusive sono state accertate, tanto più che i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia non richiedono alcun apprezzamento in punto di interesse pubblico. Infatti, come rilevato di recente da questo Consiglio “L’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare” (cfr. sentenza, sez. II, 19 giugno 2019, n. 4184; v. anche sez. VI, 15 ottobre 2018, n. 5915). Inoltre, come pure è stato osservato di recente, “Ai fini della legittimità dell’ingiunzione demolitoria è necessaria l’affermazione della accertata abusività dell’opera, mediante la descrizione della stessa, la constatazione dell’esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo e l’individuazione della norma applicata” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903). L’individuazione delle opere ben può essere effettuata attraverso i riferimenti catastali, di cui vi è menzione nell’impugnata ordinanza, la quale inoltre contiene una precisa descrizione delle opere sanzionate nelle loro caratteristiche dimensionali.
13.2. Infondato è il secondo motivo, in quanto la legittimazione passiva all’ordine di demolizione si radica anche sulla mera disponibilità materiale e giuridica delle opere. Questo Consiglio ha infatti affermato che “I provvedimenti sanzionatori sono legittimamente adottati nei confronti dei proprietari catastali degli immobili, dovendosi prescindere dagli eventuali rapporti interprivati tra gli autori degli abusi e i proprietari; l’ordine di demolizione è legittimamente notificato al proprietario catastale dell’area il quale, fino a prova contraria, è quanto meno corresponsabile dell’abuso” (cfr. Cons Stato, sez. IV, 2 ottobre 2017, n. 4571).
13.3. Infondato è il terzo mezzo, in quanto la disciplina in materia di comunicazioni elettroniche non esclude la necessità di conseguire i titoli edilizi e ambientali. Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza, se in astratto l’installazione dell’antenna di un impianto radiofonico non costituisce trasformazione del territorio comunale agli effetti delle leggi urbanistiche, la realizzazione di simili manufatti va però considerata anche in concreto ed in relazione alla obiettiva consistenza degli impianti, richiedendosi il rilascio del titolo edilizio in caso di installazione di tralicci o antenne di notevoli dimensioni, con annessi altri manufatti accessori (Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6714; Cons. Stato, sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1326). Le anzidette caratteristiche dimensionali dell’opus, ed in particolare la sua rilevante altezza (circa 12/13 ml), consentono quindi di ritenerlo attratto al regime concessorio.
Del resto, la qualificazione di opere edilizie quali “nuove costruzioni” discende dalla legge statale e segnatamente dall’art. 3, lett. e.4, del d.P.R. n. 380 del 2001, laddove si è riferito alla “installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione”. Anche a voler ritenere tale disciplina implicitamente abrogata dall’entrata in vigore del Codice delle comunicazione elettroniche, gli artt. 87 e ss. di tale compendio normativo richiedono comunque la presentazione di un’istanza (o di una Scia per gli impianti di potenza fino a 20 Watt) agli organi comunali competenti, che quindi esclude che possano essere realizzati in assenza di qualsiasi vaglio degli uffici preposti al rilascio dei titoli edilizi.
13.4. E’ infondato anche il quarto mezzo, in quanto, fermo restando che la mancata pronuncia su una o più domande non comporta la rimessione della causa al primo giudice, non è ravvisabile il lamentato difetto di istruttoria, non avendo l’Amministrazione l’onere di accertare chi sia il responsabile delle opere abusive accertate.
Questo Consiglio ha infatti di recente ribadito che “Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio – ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario -che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi e quindi legittimati attivi all’impugnazione della sanzione. D’altra parte, l’acquirente dell’immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al bene ceduto facenti capo al precedente proprietario, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo l’abuso commesso prima del passaggio di proprietà ” (sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 6983).
13.5. Infondato è, infine, l’ultimo mezzo laddove si contesta il capo della sentenza relativo alle spese di giudizio, in quanto le relative statuizioni sono frutto di valutazioni discrezionali del giudice di primo grado. Ha infatti rilevato questo Consiglio che “Nel processo amministrativo la regolazione delle spese giudiziali non richiede, in via generale, una ampia motivazione, posto che esse, per principio generale, seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.), ovvero si tratta di evenienza emergente dalla stessa sentenza (soccombenza reciproca trattata, mutamento della giurisprudenza), ponendosi invece un onere di più specifica motivazione laddove la regolazione delle spese prescinda dalla vittoria in giudizio e risponda ad esigenze differenti (art. 92 comma 1, c.p.c.); comunque resta fermo che, in sede di regolazione delle spese, il giudice è attributario di ampia discrezionalità, da esercitarsi nella considerazione, oltre che della intervenuta soccombenza, degli ulteriori elementi indicati dagli artt. 91 ss., c.p.c., cui rinviano gli artt. 26, 39 e 88 c.p.a.” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 luglio 2016, n. 3430).
13.5.1. Per quanto però riguarda specificamente la posizione dell’interventore ad opponendum, Istituto Di. per il So. del Cl. di (omissis), è da ritenere fondato il rilievo sollevato dall’appellante, in quanto, per il principio di causalità degli oneri processuali, il soccombente non può essere chiamato alla rifusione delle spese di giudizio sopportate da chi è intervenuto in giudizio volontariamente.
14. In conclusione, l’appello è fondato nei limiti in cui si avversa il capo relativo alle spese in favore dell’interventore ad opponendum Istituto Di. per il So. del Cl. di (omissis) e pertanto, entro tali limiti, va riformata la sentenza di primo grado.
15. La soccombenza parziale e reciproca giustifica la compensazione delle spese del secondo grado di giudizio

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 4208/2013), lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, annulla la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite in favore dell’interventore ad opponendum Istituto Di. per il So. del Cl. di (omissis).
Spese del secondo grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Giulia Ferrari – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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