I provvedimenti sanzionatori in ambito edilizio

Consiglio di Stato, Sentenza|28 settembre 2021| n. 6536.

I provvedimenti sanzionatori in ambito edilizio hanno carattere reale e ciò comporta che l’adozione degli stessi è disposta senza dover individuare un effettivo responsabile intendendosi quale responsabile il proprietario attuale o l’occupante l’immobile, e cioè a dire chi materialmente può farsi carico, in prima persona, di ripristinare lo status quo (articolo 31 Dpr n. 380/2001). In materia di abusi edilizi, il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino è non già l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, ma l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia, per cui è inciso anche il proprietario non responsabile e colui che v’è succeduto a qualunque titolo. L’intera materia è retta dal fondamentale principio di diritto secondo cui, nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte della Pa nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo.

Sentenza|28 settembre 2021| n. 6536. I provvedimenti sanzionatori in ambito edilizio

Data udienza 24 settembre 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Concessione in sanatoria – Mancato rispetto del requisito della c.d. doppia conformità urbanistica – Esecuzione di giudicato – Fiscalizzazione dell’abuso

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10205 del 2020, proposto da
Pa. Sa., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ri. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. Di Fruscio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
De An. An. n. Q. di Commissario Ad Acta ed altri;
Pi. Sa., rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 05756/2020, resa tra le parti, concernente avverso e per l’annullamento e/o la riforma
e/o la declaratoria di nullità
[degli atti impugnati con il ricorso principale]
1)della Ord.za di demolizione n. 36 del 12.10.2015, mai notificata;
2)del verbale di accertamento prot. n. 707 del 6.2.2017, mai notificato, con il quale il Commissario ad acta (insediatosi il 2.12.2016) accertava la mancata ottemperanza all’ordine di ingiunzione n. 36 del 10.12.2015, nonostante tale ordinanza sia stata superata dalla sanatoria ex art. 38, D.P.R. n. 380/01, prot. n. 2511 del 12.5.2016 e dal pagamento delle somme pari ad Euro 52.000,00 quantificate dall’Agenzia delle Entrate, giusta comunicazione acquisita al prot. com.le n. 5514 del 18.10.2016;
2) di tutti gli atti preordinati, collegati, connessi e conseguenti, comunque, lesivi ivi compreso -ove e per quanto possa occorrere- del rapporto di Polizia Municipale prot. n. 479 del 16.1.2017.
nonché avverso e per l’annullamento e/o la riforma
e/o la declaratoria di nullità
[degli atti impugnati con i motivi aggiunti al ricorso] ovvero
3) della disposizione n. 02 del 23.3.2018, notificata al ricorrente il 26.3.2018, con la quale il Commissario ad acta disponeva il mantenimento del manufatto nella disponibilità del patrimonio comunale in luogo della demolizione stante l’esistenza di prevalenti interessi pubblici alla conservazione dell’opera al patrimonio comunale riconoscendone la stessa di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 31, comma 5, D.P.R. n. 380/01 e L. reg.le n. 19 del 2017;
4) della presupposta determinazione accertativa n. 1 del 15.2.2017, prot. n. 932 (di cui si ignora il contenuto siccome mai notificata al ricorrente) recante:
a) acquisizione gratuita al patrimonio com.le delle pretese opere abusive, consistenti (si legge) nella realizzazione di un fabbricato ubicato in tenimento di (omissis) alla Via (omissis) di circa 260,00 mq. ed un volume di circa 700,00 mc. nonché l’acquisizione dell’ulteriore area pertinenziale di circa 300,00 mq.;
b) la trascrizione gratuita nei registri immobiliari se ed in quanto attuata;
c) l’immissione in possesso a favore del Comune delle seguenti porzioni:
-parte abusiva,
-area di sedime,
-superficie pertinenziale;
5) delle richiamate note comunali prott. n. 5385 del 27.9.2017 e n. 535 del 29.1.2018, di cui si ignora il contenuto, se ed in quanto lesive;
6) della richiamata nota commissariale prot. n. 709 del 5.2.2018, di cui si ignora il contenuto, se ed in quanto lesiva;
7) di ogni altro atto presupposto, preordinato, collegato, connesso e conseguente, comunque lesivo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Pi. Sa. e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 settembre 2021 il Cons. Davide Ponte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 5756 del 2020 del Tar Napoli, nella parte in cui ha respinto l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla medesima parte istante al fine di ottenere l’annullamento di una serie di atti, con particolare riferimento ai seguenti: ordinanza di demolizione n. 36 del 12 ottobre; verbale di accertamento prot. n. 707 del 6 febbraio 2017, con il quale il Commissario ad acta accertava la mancata ottemperanza all’ordine di ingiunzione n. 36 del 10 dicembre 2015, nonostante tale ordinanza sia stata superata dalla sanatoria ex art. 38, d.P.R. n. 380 del 2001, prot. n. 2511 del 12 maggio 2016 e dal pagamento delle somme pari ad Euro 52.000,00 quantificate dall’Agenzia delle Entrate; disposizione n. 02 del 23 marzo 2018 con la quale il Commissario ad acta disponeva il mantenimento del manufatto nella disponibilità del patrimonio comunale in luogo della demolizione stante l’esistenza di prevalenti interessi pubblici alla conservazione dell’opera al patrimonio comunale riconoscendone la stessa di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 cit e l.r. n. 19 del 2017; presupposta determinazione accertativa n. 1 del 15 febbraio 2017, prot. n. 932 recante acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle pretese opere abusive, consistenti nella realizzazione di un fabbricato ubicato in tenimento di (omissis) alla Via (omissis) di circa 260,00 mq. ed un volume di circa 700,00 mc. nonché l’acquisizione dell’ulteriore area pertinenziale di circa 300,00 mq.
All’esito del giudizio di prime cure, il Tar accoglieva il ricorso in parte, limitatamente alla sola acquisizione dell’area pertinenziale; nella rimanente parte lo dichiarava improcedibile ed infondato.

 

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Ricostruendo in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la parte di sentenza recante esito negativo del gravame, i seguenti motivi di appello:
– error in iudicando, error in procedendo, ultrapetizione, violazione art. 31 d.p.r. n. 380 del 2001 violazione l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, manifesta ingiustizia, arbitrarietà, violazione dei principi di correttezza, trasparenza, imparzialità erroneità dei presupposti in fatto ed in diritto, sviamento, avendo erroneamente accorpato giudizio ordinario e giudizio di ottemperanza;
– analoghi vizi laddove i primi Giudici, pur accogliendo i motivi aggiunti (punto 8.2- pag. 14 e segg. della appellata sentenza), pretermettevano di esaminare i vizi di illegittimità derivata, espressamente dedotti dal Sa. Pa. e non caducavano in toto la determina commissariale di acquisizione del bene al patrimonio comunale n. 1/2017.
Venivano altresì riproposti i motivi di ricorso: avverso l’ordine di demolizione n. 36 del 2015, per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e 31 cit. nonché dei principi generali in tema di giusto procedimento, manifesta ingiustizia, carenza assoluta di istruttoria, per mancata notifica al ricorrente quale proprietario unico dell’immobile e del terreno sul quale tale manufatto insiste; nonché avverso l’attività del commissario ad acta, per nullità ed eccesso di potere essendo scaduto il termine di efficacia dei poteri dello stesso, nonché per la mancata valutazione di una serie di atti e di elementi successivi.
Le parti appellate, pubbliche e privata, si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Con ordinanza n. 660 del 2021 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.
Alla pubblica udienza del 24 settembre 2021 la causa passava in decisione.

 

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DIRITTO

1. L’esame dei vizi di appello dedotti impone un riassunto della complessa vicenda contenziosa fra le odierne parti.
1.1 L’appellante è proprietario dell’area e del manufatto rurale sito in (omissis), alla Via (omissis), riportata in catasto al foglio (omissis), particella n. (omissis). Il coniuge dell’appellante, sig.ra Fa. Mi., conduttrice del fondo, nell’anno 1988 chiedeva al Comune di rilasciare un permesso per ristrutturare l’immobile a seguito del terremoto del 1980 ai sensi della legge n. 219/81. Il Comune valutata la domanda e ritenuta la stessa meritevole di accoglimento rilasciava il titolo in favore della sig.ra Fa. sotto forma di autorizzazione del Sindaco n. 2114 del 18 aprile 1994. In seguito a verifiche geologiche l’intervento edilizio, previa istanza del 22.08.1995 di variante, veniva traslato con una parte di fabbricato portato a confine secondo le previsioni di P.R.G dietro autorizzazione in variante (prot. n. 5005 del 30.01.1996). Seguiva il ricorso al TAR proposto dal confinante Sa. Pi. (fratello dell’appellante) definito con sentenza n. 2149/1999, con cui veniva annullata la concessione edilizia.
1.2 Successivamente veniva quindi emessa l’ordinanza (n. prot.34/99) per la demolizione del fabbricato abusivo; tuttavia l’Amministrazione Comunale, a seguito di istanza, rilasciava in favore della sig.ra Fa. concessione in sanatoria (n. 17/2000) ex art. 13 l. n. 47/1985. Tale provvedimento, unitamente all’autorizzazione paesaggistica n. 120 del 5 gennaio 2001, veniva impugnato dinanzi al TAR Campania che, con sentenza n. 11950/2004 annullava tutti gli atti gravati. Avverso tale decisione la sig.ra Mi. Fa. proponeva appello al Consiglio di Stato; tale gravame veniva poi riunito all’appello (R.G.n. 11018/99) precedentemente proposto dalla stessa Fa. avverso la sentenza n. 2194/1999, ed entrambi venivano respinti con Sentenza n. 3960 del 2009 di questa sezione.

 

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1.3 In data 10 luglio 2007 il Comune rilasciava nuovo permesso di costruire in sanatoria, prot. n. 53/2007. L’odierno appellato sig. Pi. Sa. proponeva nuovo ricorso al Tar, che con sentenza n. 4842/2009 annullava il permesso di costruire in sanatoria n. 53/2007, in ragione del mancato rispetto del requisito della c.d. “doppia conformità urbanistica”. Tale statuizione, appellata dalla sig.ra Fa., è divenuta irrevocabile poiché il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 737 del 17 febbraio 2014, ha rigettato l’impugnativa confermando nel merito la sentenza del Tar. Il ricorrente vittorioso, odierno appellato, con ricorso R.G. 4943/2015 proponeva ricorso di ottemperanza per l’esecuzione della predetta la pronuncia del TAR (n. 4842/2009) di annullamento del titolo edilizio.
Nelle more del giudizio di ottemperanza il Comune dapprima emetteva un’ordinanza di demolizione (n. 36/2015), per poi “sospenderla”; avverso il provvedimento di sospensione proponeva nuovo ricorso il sig. Pi. Sa. (R.G.1527/2016); infine, con la Sentenza n. 3856 del 25 luglio 2016, il giudice dell’ottemperanza ha ordinato espressamente al Comune di (omissis) (CE) di procedere, entro novanta giorni, alla demolizione dell’abuso, nominando per il caso di ulteriore inadempienza il Provveditore alle OO.PP. di Napoli quale Commissario ad acta per l’esecuzione della sentenza.
1.4 A fronte dell’inadempienza comunale, in data 2 dicembre 2016 si è insediato il Commissario ad Acta, Ing. Ma. Za.. Nelle more, la sentenza con cui il Commissario era stato incaricato dell’esecuzione passava in giudicato, in quanto confermata dal Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 796 del 2017 aveva respinto l’appello proposto dal Comune. In particolare questa sezione, nel condividere pienamente l’ordine argomentativo del Tar, ha così ricostruito la vicenda: “Le proposizioni che sono state ricordate, formatesi lungo l’arco di ben tre diversi giudizi, testimoniano ampiamente di come, nella fattispecie, si sia pervenuti al convincimento che altra soluzione non vi sarebbe stata – per il ripristino della legalità violata – se non quella della ineluttabile demolizione di quanto edificato illegittimamente, al punto tale che, invero, con la sentenza qui censurata è stato altresì nominato un commissario ad acta per l’eventualità – poi rivelatasi fondata – che il Comune si trovasse nella difficoltà di provvedervi autonomamente”.
Il Commissario ad acta incaricato dopo aver emesso un provvedimento di acquisizione propedeutico alla demolizione.

 

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Nelle more delle operazioni commissariali veniva proposto il ricorso deciso dalla sentenza qui appellata avverso l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune (n. 36/2015) nonché i provvedimenti del Commissario ad acta.
Tale gravame, già oggetto di rigetto in sede cautelare (anche di appello: cfr. ordinanza 2518/2017), veniva quindi in prevalenza respinto dalla sentenza qui impugnata, nei termini riassunti nella narrativa in fatto.
Successivamente con il provvedimento n. 2/2018 prot.1667 il Commissario, ometteva di dare seguito al giudicato che imponeva la demolizione del manufatto abusivo, adottando una “Dichiarazione di esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell’opera abusiva…”, ai sensi dell’art. 31, comma 5, del D.p.r. n. 380/2001. Pertanto l’odierno appellato proponeva reclamo ex art. 114, comma 6, C.p.a., al cui esito il Tar Campania – sede di Napoli -, con la pronuncia n. 184 del 12.01.2019, affermava il contrasto con il giudicato dell’operato del commissario: “… con sentenza n. 3856 del 25 luglio 2016, confermata da Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2017 n. 796, questa Sezione era stata chiara nello stabilire che il commissario ad acta dovesse procedere alle “operazioni di abbattimento del manufatto abusivo”.
Tale sentenza è stata appellata dal Comune resistente ma questa sezione, con sentenza n. 5883 del 2019, ha integralmente confermato il decisum del giudice dell’ottemperanza.
1.5 A fronte del permanere dell’inadempienza l’appellato Pi. Sa. proponeva nuova istanza ex art. 112 C.p.a., chiedendo altresì la sostituzione del Commissario; in accoglimento dell’istanza si pronunciava il Tar con l’ordinanza n. 298 del 22 gennaio 2020. In seguito veniva nuovamente richiesto l’intervento del giudice dell’ottemperanza, che con l’ennesima pronuncia ha ordinato al Commissario di procedere alle operazioni di abbattimento del manufatto “(cfr. Tar Campania Napoli, Sez. VIII, ordinanza n. 6337 del 4.12.2020)

 

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1.6 Infine, con la pronuncia n. 5756 del 2020, oggetto di impugnazione nella presente sede, il Tar ha dichiarato improcedibile il ricorso R.G. 1070/2017 con la seguente motivazione: “il giudicato scaturente dalle citate sentenze, sostanzialmente inteso a rimarcare la legittimità del provvedimento di demolizione e l’illegittimità del provvedimento di fiscalizzazione dell’abuso, rende improcedibile il ricorso principale”.
2. A fronte del ricostruito quadro controverso, l’appello è destituito di fondamento.
3. In ordine al primo, peraltro generico, ordine di censure, assume rilievo dirimente quanto già statuito, con pronuncia passata in giudicato (n. 796 del 2017), da questa sezione, nei termini che occorre richiamare a fini di ulteriore chiarezza in merito all’insostenibilità delle tesi di parte appellante:
“8.1. Premesso che due precedenti titoli edilizi rilasciati dal Comune già non avevano avuto buona fortuna in sede giudiziale (il primo essendo stato annullato nel 1999 ed il secondo nel 2004), vale innanzi tutto ricordare che la sentenza di primo grado n. 4842/2009 ha annullato il terzo titolo edilizio sulla scorta delle seguenti principali considerazioni:
– “nel caso di specie, come emerso nella pregiudiziale vicenda processuale avente ad oggetto i precedenti titoli abilitativi (…), la domanda di autorizzazione in variante presentata dall’odierna controinteressata il 25 agosto 1995, che sotto il profilo strutturale rappresenta un progetto nuovo e diverso rispetto a quello inizialmente autorizzato, è tardiva rispetto al procedimento di cui all’articolo 18 del decreto legislativo 30 marzo 1990, n. 76”;
– “Tali considerazioni – in disparte la oramai superflua indagine circa il rispetto da parte del progetto in variante del limite (…)secondo il quale il volume dell’edificio ricostruito non può superare il 30 per cento di quello preesistente – evidenziano come il fabbricato in questione ha una cubatura notevolmente superiore rispetto alla volumetria dell’originario manufatto, con conseguente illegittimità dell’impugnato permesso di costruire in sanatoria, atteso che l’intervento de quo, dovendo necessariamente avvenire entro i limiti plano-volumetrici del fabbricato originario, si pone in contrasto con la disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dell’abuso che al momento del rilascio della sanatoria.”,

 

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Vale altresì ricordare che, successivamente, la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 737/2014, pronunciata sull’appello proposto avverso quella di primo grado sopra citata, così si è a propria volta espressa nei suoi passaggi principali:
– “il Tribunale territoriale ha ritenuto che il nuovo fabbricato avesse “una cubatura notevolmente superiore rispetto alla volumetria dell’originario manufatto, con conseguente illegittimità dell’impugnato permesso di costruire in sanatoria, atteso che l’intervento de quo, dovendo necessariamente avvenire entro i limiti plano-volumetrici del fabbricato originario, si pone in contrasto con la disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dell’abuso che al momento del rilascio della sanatoria””;
– “Si tratta di considerazioni cui l’appello, sul punto specifico, non oppone rilievi di segno diverso.”;
– “L’appello, comunque, è all’evidenza infondato. Basterebbe la circostanza – attestata dalla relazione del Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza di Caserta in data 7 febbraio 2008, e comunque non contestata – che sull’area esisteva un vincolo assoluto di inedificabilità per escludere quella c.d. doppia conformità urbanistica che è invece presupposto indispensabile per il rilascio del permesso in sanatoria”;
– “Poiché la sanatoria disciplinata dall’art. 36 t.u. – in ciò differenziandosi da un vero e proprio condono – è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi “formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo a fronte di interventi pur sempre astrattamente consentiti dalle disposizioni urbanistiche all’epoca della loro realizzazione, l’eventuale rilascio di un’autorizzazione paesistica in sanatoria (su cui insiste la memoria dell’appellante del 18 dicembre 2013) rimane del tutto irrilevante e improduttiva di effetti sulla questione controversa.”.

 

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Vale poi aggiungere il ricordo che la sentenza qui ora appellata si fonda sulle seguenti, principali considerazioni:
– “in relazione ad opere edilizie oramai divenute sine titulo, l’Amministrazione comunale è tenuta ad adottare tutti gli ulteriori atti necessari al ripristino della situazione di fatto anteriore alla realizzazione del fabbricato de quo, al fine di far conseguire all’interessato il soddisfacimento del bene della vita coincidente con l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli a lui derivanti dalla presenza illegittima della costruzione realizzata dalla controinteressata”;
– “non è dunque sufficiente l’adozione del provvedimento di ingiunzione di demolizione del manufatto abusivo”;
– “le iniziative medio tempore assunte dal Comune di (omissis) non hanno assicurato la corretta esecuzione del giudicato, per non essere stato raggiunto l’obiettivo di adeguare, secondo legge, lo stato dei luoghi al dictum giudiziale”;
– “dopo un primo provvedimento legittimamente fondato sulla necessità di demolire il manufatto abusivo (…), l’Amministrazione comunale si è successivamente espressa per la sospensione della sanzione ripristinatoria – a fronte dell’impugnativa proposta dal proprietario del manufatto abusivo e pur senza concessione di misura cautelare da parte del giudice amministrativo -, e infine ha promosso l’irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, anche se non ancora formalmente disposta (è in corso l’accertamento del valore venale delle opere)”;
– “dette conclusioni (…)non tengono però conto della circostanza che (…)la previsione di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 (…)comporta che, se anche la fiscalizzazione dell’abuso edilizio può riguardare non solo vizi formali e procedurali, ma perfino vizi sostanziali, deve trattarsi pur sempre di vizi emendabili, nel senso che l’Amministrazione, ogni volta che ciò sia possibile, deve privilegiare la riedizione del potere depurato dai vizi riscontrati, ancorché aventi carattere sostanziale, e ricorrere alla demolizione dell’opera abusiva solo quale extrema ratio, quando cioè si sia in presenza di vizio, formale o sostanziale, inemendabile (…), a meno che non ricorra la particolare ipotesi in cui solo una porzione del fabbricato risulta abusiva con preclusione a rimuoverla per il serio rischio statico cui sarebbe esposta la residua parte legittima dell’edificio, sì da imporsi comunque in questo caso la sanatoria della porzione abusiva a mezzo della corresponsione della sanzione pecuniaria”;

 

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– “nella fattispecie, tuttavia, non ricorre nessuna delle due condizioni legittimanti l’applicazione della sanzione pecuniaria, per trattarsi – da un lato – di titolo edilizio in sanatoria annullato in sede giurisdizionale sulla base di un vizio di carattere sostanziale non emendabile (…)e per risultare abusivo – dall’altro lato – l’intero fabbricato edificato sine titulo”;
– “avendo la legge chiaramente delineato i presupposti per commutare l’ordinaria misura demolitoria in sanzione pecuniaria (…)e avendo in tal modo la legge stessa introdotto una disciplina di “favore” per quanti abbiano realizzato la costruzione confidando nella legittimità del titolo poi annullato, l’affidamento del privato a conservare l’opera così eseguita non si presenta tutelato in via generale ma è salvaguardato nei soli limiti definiti dalle scelte discrezionali del legislatore, per cui l’Amministrazione non può neppure far eventualmente derivare la decisione di rinunciare all’abbattimento delle opere abusive da considerazioni che attengono ad ulteriori profili di salvaguardia della posizione del privato non codificati dalla norma, e allo stesso modo non assumono pregio in questa sede interessi pubblici diversi da quelli insiti nella disciplina urbanistico-edilizia violata dal titolo abilitativo annullato dal giudice”.
8.2. Le proposizioni che sono state ricordate, formatesi lungo l’arco di ben tre diversi giudizi, testimoniano ampiamente di come, nella fattispecie, si sia pervenuti al convincimento che altra soluzione non vi sarebbe stata – per il ripristino della legalità violata – se non quella della ineluttabile demolizione di quanto edificato illegittimamente, al punto tale che, invero, con la sentenza qui censurata è stato altresì nominato un commissario ad acta per l’eventualità – poi rivelatasi fondata – che il Comune si trovasse nella difficoltà di provvedervi autonomamente.
8.3. Non vale, ad avviso del Collegio, opporre a tanto il fatto che il Comune avrebbe avuto allora ancora residui spazi di azione amministrativa per valutare la residua possibilità di un suo intervento positivo (a favore del privato interessato dalla minaccia di demolizione del suo manufatto illegittimo, oltre che a beneficio della finanza dell’ente locale) ai sensi dell’art. 38 del T.U. edilizia e, soprattutto, il fatto che, di fronte a ciò, il giudice dell’ottemperanza di primo grado si sarebbe dovuto ineluttabilmente arrendere, posto che nelle more del suo giudizio si sarebbe addirittura già formato il provvedimento di ammissione del privato alla c.d. fiscalizzazione dell’abuso, in quanto:
– per un verso, non pare che meriti disquisire dei distinguo tra edificazione ab origine sine titulo ovvero successivamente divenuta tale, per intervenuto annullamento giurisdizionale di un precedente titolo di assenso edilizio formalmente valido, giacchè – almeno nella fattispecie, per come si sono conclusi i giudizi di legittimità anteriori a quello di ottemperanza, per cui ancora è causa – i titoli edilizi dati dal Comune alla parte privata interessata paiono piuttosto essere stati meri veli formali ad una sostanza edilizia non recuperabile, dunque titoli non idonei a sostenere la dignità di una siffatta disquisizione. Semmai, varrebbe all’opposto riflettere se la sottile distinzione sopra evocata meriti realmente di avere giustificazione le volte in cui il rilascio di un titolo edilizio valga a fungere da mero schermo formale di legittimità rispetto ad una sostanza concreta di non recuperabilità – sul piano della legalità giuridica – dell’edificato scorrettamente realizzato;
– per altro verso, è assai opinabile – e comunque non è persuasiva – la tesi del Comune secondo la quale, quando l’ente locale, ai sensi dell’art. 38 del T.U. citato, si rivolge all’Agenzia del territorio (ora delle entrate) per la stima dalla norma prevista, il procedimento di cui alla detta disposizione si dovrebbe intendere ormai già concluso. E questo quanto meno per un dato interpretativo testuale, quale quello del co. 2 del predetto art. 38, secondo il quale (solo) “L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36”. Ne consegue che, siccome all’epoca dei fatti di cui qui si tratta, come bene evidenziato dal Giudice dell’ottemperanza in primo grado e non potuto smentire dalle difese tendenti a sostenere la tesi opposta, si era ancora nella sub fase procedimentale dell’acquisizione dei dati di stima dell’Agenzia delle entrate, va da sé che il procedimento ex art. 38 all’epoca non s’era ancora concluso e, dunque, neppure in tesi era (ed è ) sostenibile che il Giudice dell’ottemperanza dovesse o potesse arrestarsi nella disamina nel merito del caso che gli era stato sottoposto;

 

I provvedimenti sanzionatori in ambito edilizio

– per altro verso ancora, in disparte il fatto che, nella fattispecie, la parte vittoriosa nel giudizio di legittimità anteriore a quello di ottemperanza neppure ragionevolmente avrebbe già avuto di fronte a sé un provvedimento (quello di chiusura del procedimento di c.d. fiscalizzazione) di cui potersi formalmente dolere, resta il fatto che il giudice dell’ottemperanza non può reputarsi privo del potere di sindacare quale degli atti (successivi al giudicato da eseguire e) medio tempore eventualmente intervenuti possa qualificarsi di elusione ovvero di violazione del giudicato da ottemperare – giacchè, in tesi, l’eventuale illegittimità di detti atti medio tempore adottati andrebbe sempre sindacata altrove, in differente ed autonomo giudizio sulla loro legittimità – posto che, altrimenti, si dovrebbe pervenire alla conclusione che un Giudice dell’ottemperanza è sempre, ineluttabilmente esposto alla previa e pregiudiziale verificazione (da parte di altro Giudice della legittimità ) di possibili eventi-presupposto alla praticabilità dell’ottemperanza del cui sindacato lo stesso, invece, è investito. Questa prospettazione peraltro, ove vera, si presterebbe a facili pratiche dilatorie (ed esse stesse elusive del giudicato), volte alla continua proliferazione da parte di un’autorità amministrativa di atti che, in sequenza fra loro, spostando su piani formalmente diversi i temi di discussione, altro non varrebbero che ad allontanare – con le intuibili diseconomie in termini di fattori preziosi, anche solo sul piano temporale, ulteriori rispetto a quelle che già oggi, da più parti, sono indicate criticamente quali elementi concorrenti ad una giustizia lenta e dunque altresì nè effettivamente efficace nè parimenti effettiva – il momento di definitiva valutazione di quale debba essere il corretto adempimento satisfattivo del giudicato e, in sostanza, del se l’ottemperanza sia o meno intervenuta in un determinato caso;
– in conclusione, nel caso di specie, l’intervento valutativo dei Giudici di primo (in ordine alla teorica possibilità di sussistenza degli spazi applicativi della disposizione di cui all’art. 38 del T.U. edilizia) non risulta essere stato affetto da vizi di ultrapetizione, costituendo esso, al contrario, incidente delibativo coessenziale e necessario nell’ambito della sua contingente funzione di giudice dell’esecuzione.”
3.1 Le chiare considerazioni di carattere oggettivo, appena riportate, confermano l’assenza di qualsiasi titolo legittimante la costruzione, senza che al riguardo possano avere i tentativi (aventi carattere invero evidentemente pretestuoso) di invocare la diversa soggettività dell’odierno appellante.

 

I provvedimenti sanzionatori in ambito edilizio

4. Le stesse considerazioni sgombrano il campo dalle ulteriori censure dedotte con il presente appello.
4.1 In ordine al motivo riproposto avverso l’ordine di demolizione del 2015, in disparte la palese tardività del gravame proposto due anni dopo, assume rilievo dirimente la consolidata giurisprudenza anche di questo Consiglio secondo cui i provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3660).
4.2 Analogamente, va fatta applicazione della parimenti consolidata giurisprudenza a mente della quale in materia di abusi edilizi commessi da persona diversa dal proprietario, perché quest’ultimo possa andare esente dalla misura consistente nell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insiste il bene (ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), occorre che risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone lo stesso venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 26 febbraio 2021, n. 1648).
Nulla di ciò risulta in alcun modo provato o anche solo dedotto da parte appellante, coniuge convivente della originaria titolare dei titoli edilizi annullati, il quale nella sostanza si limita ad evocare – in termini pretestuosi – la propria diversa soggettività, senza fornire alcun elemento concreto tale da far anche solo ipotizzare la propria presunta estraneità .
4.3 Parimenti destituiti di fondamento – in disparte l’inammissibilità per la novità delle questioni – appaiono i vizi dedotti avverso l’attività del commissario ad acta.
Infatti, se per un verso a fronte della nomina di cui alla sentenza 3856 del 2016 sopra citata, non emerge alcun elemento tale da ritenere sussistente la invocata decadenza temporale al 31 gennaio 2017 del commissario ad acta (correttamente insediatosi a fronte del permanere della inadempienza comunale), per un altro verso – contrariamente alle deduzioni basate sulla errata valutazione di atti comunali – i conseguenti provvedimenti trovano pieno e consolidato fondamento nei reiterai pronunciamenti giurisdizionali, sopra richiamati, in coerenza al consolidato principio per cui il commissario ad acta costituisce ausiliario del Giudice.
5. L’appello va pertanto respinto.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza in favore della parte appellata privata. Sussistono giusti motivi per compensare le spese nei confronti delle amministrazioni costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte appellata privata, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori dovuti per legge. Spese compensate nei confronti del Comune appellato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore

 

 

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