I Comuni non hanno certamente una competenza propria ed autonoma in materia di ordine pubblico

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 23 agosto 2019, n. 5829.

La massima estrapolata:

Se i Comuni non hanno certamente una competenza propria ed autonoma in materia di ordine pubblico e, dunque, non possono compiere autonome valutazioni su tale interesse, tali enti sono tuttavia formalmente, se non sostanzialmente, competenti a revocare le autorizzazioni commerciali da essi rilasciate, per motivi di ordine pubblico, se vi sia una richiesta in tal senso da parte dell’Autorità provinciale di pubblica sicurezza, ossia il Prefetto, preposta istituzionalmente alla tutela di tale qualificato interesse.

Sentenza 23 agosto 2019, n. 5829

Data udienza 20 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3854 del 2010, proposto da
Co. Fa., rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Gu. e De. Ve., con domicilio eletto presso lo Studio Ro. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’interno – Prefettura di Vibo Valentia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), è elettivamente domiciliato;
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pi. El. St., con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato An. Ep. in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO:SEZIONE II n. 00329/2010, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e del Ministero dell’Interno – Prefettura di Vibo Valentia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Al. Gu. ed An. Ep., in dichiarata delega dell’avvocato St.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso il Tribunale amministrativo della Calabria, il sig. Co. Fa. – titolare di un locale bar con intrattenimento musicale – impugnava l’ordinanza n. 2 del 27 febbraio 2007, prot. n. 781, con la quale il Sindaco del Comune di (omissis) disponeva l’immediata revoca della licenza n. 8 del 2006.
In precedenza, già nel mese di novembre del 2006 era stato comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento finalizzato alla revoca della licenza in questione, poi disposta con ordinanza n. 11 del 12 dicembre 2006, nonostante il deposito – da parte dell’interessato – di note difensive.
Peraltro, con ordinanza n. 12 del 18 dicembre 2006 l’amministrazione comunale revocava l’ordinanza n. 11, disponendo la sospensione della licenza per quarantacinque giorni, in attesa di eventuali determinazioni di competenza della prefettura di Vibo Valentia; quindi, con successiva ordinanza n. 1 del 31 gennaio 2007, il Sindaco, in mancanza di comunicazioni prefettizie, prorogava la sospensione di altri trenta giorni.
Seguiva infine, con la richiamata ordinanza n. 2 del 27 febbraio 2007, prot. n. 781, la definitiva revoca della licenza commerciale.
A sostegno del proprio gravame, l’interessato deduceva innanzitutto l’incompetenza dell’organo ad adottare il provvedimento impugnato, fondandosi lo stesso su ragioni di ordine pubblico e sicurezza, di pertinenza del Questore ai sensi dell’art. 100 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).
Lamentava quindi un presunto difetto di motivazione, in quanto nell’ordinanza si sarebbe fatto riferimento ad una nota prefettizia non portata a conoscenza del ricorrente, nonché la violazione dell’art. 19, comma 4, del d.P.R. n. 616 del 1977, il quale prevede che la revoca, disposta da organo competente (che, per le ragioni sopra esposte, non sarebbe stato, secondo il ricorrente, il sindaco) possa avvenire per “motivata” richiesta del prefetto, laddove tale motivazione non emergerebbe dal tenore dell’ordinanza.
Veniva quindi dedotta l’illegittimità dell’atto per eccesso di potere, sub specie di illogicità, difetto e falsità dei presupposti, in quanto nel locale di proprietà del ricorrente non si sarebbero mai verificate risse o incidenti.
Costituitisi in giudizio, il Ministero dell’interno ed il Comune chiedevano il rigetto del gravame, poiché infondato.
Con sentenza 22 marzo 2010, n. 329, il giudice adito respingeva il ricorso.
Avverso tale decisione il ricorrente interponeva appello, deducendo i seguenti profili di impugnazione:
1) Sulla insistenza dei presupposti per la revoca della licenza.
2) Sulla “competenza” ad emettere il provvedimento.
Cosituitisi in giudizio, sia il Ministero dell’interno che il comune di (omissis) concludevano per l’infondatezza dell’appello, chiedendone la reiezione.
Con ordinanza 8 giugno 2010, n. 2614, la V Sezione del Consiglio di Stato respingeva l’istanza cautelare proposta dall’appellante.
Quindi all’udienza del 20 giugno 2019, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello viene contestato che il provvedimento impugnato tragga origine da un comportamento concreto del titolare della licenza revocata e da eventuali violazioni dei correlati obblighi in capo a quest’ultimo, quanto piuttosto da una presunta “minaccia” per il “possibile verificarsi di reati di impatto sociale”, presupposti tipici della misura preventiva di cui all’art. 100 r.d. n. 773 del 1931.
A carico del titolare della licenza, inoltre, non risulterebbero precedenti penali specifici (non potendosi certo considerare tale una precedente sospensione della patente di guida per eccessiva velocità ), con l’eccezione di due contravvenzioni relative all’aver abusato di strumenti sonori diffondendo nel locale di sua proprietà musica ad alto volume nel corso della notte; neppure rileverebbero i rapporti di parentela con soggetti destinatari di misure di prevenzione e/o pregiudicati, atteso che in realtà a carico di questi ultimi (nella specie, il padre ed un fratello) non risulterebbero carichi penali pendenti, né risulterebbero aver riportato in precedenza delle condanne penali definitive.
In ogni caso, detti parenti nulla avrebbero a che fare con la gestione dell’esercizio di cui è titolare l’odierno appellante.
Il motivo, ancorché suggestivo, non può essere accolto.
Va innanzitutto premesso che il giudice amministrativo può svolgere solamente un sindacato “esterno” di legittimità – e non di merito – sul contenuto di un provvedimento amministrativo ampiamente discrezionale quale quello in esame, nel quale l’amministrazione è chiamata ad operare un bilanciamento tra esigenze contrapposte di rilevante interesse pubblicistico; tale sindacato va dunque circoscritto alle ipotesi di palese abnormità e/o contraddittorietà delle conclusioni raggiunte rispetto alle premesse ivi menzionate, ovvero all’evidente carenza di motivazione del provvedimento adottato.
Ciò detto, risulta dagli atti che il provvedimento di revoca adottato dal Sindaco di (omissis) era fondato sulle note prefettizie prot. n. 1834 del 2006 e prot. n. 234 del 2007.
Con la prima il Prefetto di Vibo Valentia comunicava al Comune che da “informazioni fornite dal competente organo di polizia è emerso che Co. Fa. risulta di pessima condotta morale e civile”eche lo stesso, in data 23 novembre 2005, era stato “segnalato dalla sezione polstrada di Siena per infrazione di norme comportamentali (sospensione patente di guida”; in data 13 dicembre 2002 “il Tribunale di Bologna ha disposto il sequestro di beni (un immobile sito nel Comune di Bologna) nell’ambito di un procedimento per l’irrogazione di misure di prevenzione”; che inoltre il Co., padre dell’appellante, era pregiudicato per “reati contro il patrimonio e la persona per violazioni in materia edilizia e contravvenzioni al codice della navigazione”e che “risulta associarsi a persone pregiudicate e socialmente pericolose nominativamente individuate ed in passato è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.s. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza”.
Alla luce delle deduzioni difensive depositate dall’interessato, faceva quindi seguito la seconda nota prefettizia, con la quale si rappresentava quanto comunicato dal locale Comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri, per cui “da copiosa documentazione agli atti del citato organo di polizia” sarebbe risultata la frequentazione di “Co. Fa. con soggetti pregiudicati e socialmente pericolosi”.
Inoltre, “Se è pur vero che il padre Co. Ni. non risulta avere sentenze passate in giudicato per reati contro la persona è anche vero che lo stesso ha riportato una sentenza definitiva per reati contro il patrimonio (tentata estorsione aggravata) ed ha pendente presso il locale Tribunale un procedimento penale per reati contro il patrimonio mediante frode (truffa in concorso). Risulta, inoltre gravato da deferimenti all’A.G. per simulazione di reato, minaccia a mano armata, danneggiamento di autovettura mediante incendio, usurpazione, modifiche dello stato dei luoghi ed invasione di terreni, associazione di tipo mafioso, inquinamento delle acque, oltraggio a P.U., violazione delle norme ambientali, violazione della legge sugli stupefacenti, associazione a delinquere e da sempre, vicino ad ambienti della criminalità organizzata della Piana e del Vibonese”.
La medesima nota proseguiva riportando che il fratello dell’interessato sarebbe stato inoltre “condannato a mesi 8 di reclusione – pena sospesa – per i reati di resistenza, oltraggio a un Pubblico Ufficiale e porto d’armi […] nonché risulta essere stato segnalato dal nucleo di PT G.d.F. per associazione a delinquere”.
Alla luce di tali riscontri non può oggettivamente ritenersi – nei limiti e nei termini del sindacato proprio del giudice amministrativo, di cui si è detto in precedenza – che nel caso di specie il Prefetto, nello svolgere le valutazioni eminentemente discrezionali in cui si esplicano le funzioni dell’autorità provinciale di pubblica sicurezza, abbia operato in palese difetto di istruttoria, ovvero abbia assunto le proprie conclusioni in evidente contraddizione rispetto alle premesse di fatto rilevate.
Invero, non è oggettivamente abnorme né illogico ritenere – già solo in termini generali – che le premesse sovra citate – in primo luogo le riferite frequentazioni – potessero integrare un motivo di turbamento dell’ordine pubblico e della sicurezza, ove riferite al titolare di una licenza relativa ad un esercizio di pubblica frequentazione, quale un bar con intrattenimento musicale.
In una prospettiva più generale, va evidenziato che la valutazione operata dal Prefetto risulta aver considerato molteplici aspetti di rilievo, a partire da dati oggettivi concernenti la persona del ricorrente, anziché limitarsi all’esame di rapporti di parentela con soggetti pericolosi per i beni tutelati.
A fronte di ciò, anche la successiva ordinanza sindacale risulta adeguatamente motivata dal riferimento a quanto statuito dalle note prefettizie, nel momento in cui l’amministrazione municipale non ha individuato – nell’ottica del bilanciamento degli interessi in gioco – delle ulteriori ragioni (ovviamente distinte rispetto a quelle considerate dall’autorità prefettizia e relative invece all’esercizio delle diverse funzioni comunali) idonee a giustificare – all’opposto – il mantenimento del rapporto di licenza instaurato con l’appellante.
Con il secondo motivo di appello viene invece eccepito che il provvedimento di revoca impugnato è stato adottato dal Comune su indicazione e direttiva del Prefetto, con ciò però violando la competenza del Questore ex art. 100 r.d. n. 773 del 1931, per l’ipotesi in cui l’intervento sia giustificato da ragioni di ordine pubblico.
In particolare, sostiene l’appellante, se tutte le volte in cui viene in considerazione un problema di ordine pubblico fosse competente il Comune per il tramite della Prefettura, l’art. 100 r.d. n. 771 del 1931 non avrebbe può ragione di esistere, dovendosi a tal punto parlare di sua abrogazione o disapplicazione di fatto.
Allo stesso modo, neppure potrebbe sostenersi una sorta di competenza “doppia” o concorrente riservata a due diversi organi (il Prefetto ed il Questore), che genererebbe confusione ed assoluta incertezza, con possibilità di contrasti e conflitti; piuttosto, rileva l’appellante, andrebbe chiarito che le due norme di legge (l’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 e l’art. 100 comma 1 del r.d. n. 773 del 1931) disciplinano fattispecie differenti.
La revoca prevista all’art. 19 cit. è strettamente collegata al precedente rilascio del titolo: così come il Comune ha il potere di rilasciare determinate licenze, ha anche il potere opposto di sospenderle, annullarle o revocarle se i relativi titolari violano gli obblighi connessi al titolo rilasciato; per contro, la revoca di cui all’art. 100 è del tutto avulsa dall’autorizzazione e dal comportamento tenuto dal titolare, ma presuppone il verificarsi obiettivo di determinate situazioni di rischio per l’ordine pubblico, quali precisate dalla norma.
Del resto, ricorda l’appellante, a rimarcare la diversità degli ambiti di intervento è lo stesso costante orientamento giurisprudenziale a chiarire che la previsione di cui all’art. 19, comma 4, cit. non ha abrogato l’art. 100, comma 1, del r.d. n. 773 del 1931.
Nel caso di specie, pertanto, alla luce delle motivazioni del provvedimento impugnato (incentrate, come si è detto, su ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e pericolosità sociale), non potrebbe revocarsi in dubbio che la competenza ad adottare un eventuale provvedimento di revoca fosse unicamente del Questore, ai sensi dell’art. 100 r.d. n. 773 del 1931, e non già del Comune o del Prefetto: ciò in quanto la revoca non sarebbe dipesa da un particolare comportamento imputato al titolare della licenza (in violazione, ad esempio, degli obblighi connessi a quest’ultima), ma sarebbe stata giustificata da una presunta “minaccia” per il “possibile verificarsi di reati di impatto sociale” e dal “timore che venga a costituire ambiente favorevole alla conduzione di attività illecite”.
Neppure questo motivo è fondato, dovendo trovare applicazione, anche per il caso in esame, il principio generale espresso, tra gli altri, nel precedente di Cons. Stato, VI, 18 novembre 2010, n. 8107, secondo cui dal combinato disposto dell’art. 100 r.d. n. 773 del 1931 e dell’art. 19 d.P.R. n. 616 del 1977 si desume che, se i Comuni non hanno certamente una competenza propria ed autonoma in materia di ordine pubblico e, dunque, non possono compiere autonome valutazioni su tale interesse, tali enti sono tuttavia formalmente, se non sostanzialmente, competenti a revocare le autorizzazioni commerciali da essi rilasciate, per motivi di ordine pubblico, se vi sia una richiesta in tal senso da parte dell’Autorità provinciale di pubblica sicurezza (ossia il Prefetto), preposta istituzionalmente alla tutela di tale qualificato interesse.
Tale assetto normativo ha la sua ratio nella considerazione che la revoca di un’autorizzazione commerciale – in quanto contrarius actus – deve comunque provenire dall’Autorità che ha adottato l’autorizzazione della cui revoca si discute, di talché non potrebbe l’Autorità di pubblica sicurezza revocare un’autorizzazione rilasciata dal Comune; per l’effetto il legislatore ha definito un contesto operativo nel quale si impone una leale collaborazione tra amministrazioni preposte alla cura di diversi interessi e si prevede la competenza formale del Comune a revocare le proprie autorizzazioni, peraltro su proposta vincolante dell’Autorità di pubblica sicurezza.
Non sussiste, pertanto, il ravvisato vizio di incompetenza, potendosi per il resto condividere l’articolata ricostruzione della ratio normativa operata dal primo giudice.
Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va dunque respinto. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Ministero dell’interno e del Comune di (omissis), delle spese di lite del grado di giudizio, che complessivamente liquida in euro 2.000,00 (duemila/00) ciascuno, oltre Iva e Cpa se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Federico Di Matteo – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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