Giusta causa di revoca dell’amministratore di società

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 5 luglio 2019, n. 18182.

La massima estrapolata:

La giusta causa di revoca dell’amministratore di società non è integrata dalla mera ricorrenza di esigenze di auto-organizzazione della struttura societaria, quale la decisione della capogruppo di trasferire le azioni della controllante ad altra società del gruppo, ove la stessa non sia stata motivata sulla base di circostanze o fatti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto e tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacità dell’amministratore.

Sentenza 5 luglio 2019, n. 18182

Data udienza 31 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 26012/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
e contro
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour n. 19, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale condizionato;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso principale;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 605/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 14/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/05/2019 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso principale, inammissibilita’ o in subordine rigetto dell’incidentale;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto dell’incidentale;
udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato (OMISSIS), con delega orale dell’avv. (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del principale, accoglimento dell’incidentale.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 14 aprile 2016 la Corte d’appello di Torino, riformando sul punto la decisione di primo grado, ha dichiarato non prescritto il diritto di (OMISSIS) al risarcimento del danno per la revoca senza giusta causa dalla carica di consigliere di amministrazione della (OMISSIS) s.a., societa’ di diritto lussemburghese controllata da Banco di Napoli s.p.a., deliberata dall’assemblea della prima il 25 marzo 1997, ma ha ritenuto la domanda infondata nel merito.
In particolare, la corte territoriale ha affermato che:
a) non e’ fondata l’eccezione di prescrizione del diritto azionato, posto che fu notificato alla societa’ tempestivo atto di costituzione in mora in data 11 marzo 2002;
b) la domanda non merita tuttavia accoglimento, perche’ il contratto denominato “Accordo di regia” – concluso tra la controllante (OMISSIS) s.p.a. e la controllata (all’epoca, per il 99,99% del capitale), in esecuzione del quale la prima con le deliberazioni del 19 luglio 1994 e del 14 dicembre 1995 aveva assunto l’obbligo di pagare il compenso e l’indennizzo per l’eventuale revoca senza giusta causa ai consiglieri di amministrazione della seconda (che, peraltro, coincidevano con quelli del (OMISSIS) s.p.a.) – si e’ risolto nel momento in cui quest’ultima ha ceduto in data 30 dicembre 1996 l’intero pacchetto azionario alla (OMISSIS) s.p.a. (sua partecipata totalitaria), in virtu’ della clausola risolutiva espressa contenuta nell’articolo 3 del predetto accordo, secondo la quale l’obbligo sarebbe cessato, fra l’altro, in caso di trasferimento di tutte le azioni “ad altra entita’ economica”. Ed in data 6 marzo 1997 il (OMISSIS) s.p.a. ha comunicato a (OMISSIS) s.a. la risoluzione del c.d. accordo di regia, decisione mai impugnata e, dunque, implicitamente assentita.
La detta cessione del pacchetto azionario, inoltre, integra la giusta causa di revoca, palesando il venir meno del vincolo fiduciario, in quanto si tratta ormai di due soggetti distinti.
Infine, anche qualora fosse stato a suo tempo concluso un contratto a favore di terzo (come prospettato nell’atto di citazione del (OMISSIS)), esso sarebbe sempre da individuare nello stesso accordo di regia, ormai risolto; mentre la nuova prospettazione (contenuta nella comparsa conclusionale in primo grado) quale negozio atipico con assunzione diretta dell’obbligo verso il (OMISSIS) non e’ condivisibile, in quanto fonte dell’obbligo non potrebbero essere le due deliberazioni del 19 luglio 1994 e del 14 dicembre 1995, meri atti unilaterali inidonei, senza il collegamento al predetto accordo negoziale, al sorgere dell’obbligo di pagamento del compenso.
Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione da (OMISSIS), affidato a sette motivi.
Si difende (OMISSIS) s.p.a. con controricorso, proponendo altresi’ ricorso incidentale per un motivo, cui resiste controparte con controricorso.
Le parti hanno depositato anche la memoria di cui all’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – I motivi. Il ricorso principale espone motivi che possono essere come di seguito riassunti:
1) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c., comma 1, articoli 1363, 1366 e 1369 c.c. e dei corrispondenti articoli 1156, 1158 e 1161 code civil luxembourgeois, con riguardo alla clausola n. 3 dell’accordo contrattuale fra le due societa’, il quale non presupponeva affatto la perduranza del controllo societario diretto, ma unicamente la continuita’ di appartenenza al medesimo gruppo economico (“altra entita’ economica”), ossia del potere di direzione e coordinamento, che e’ cosa diversa dal puro controllo; come e’ avvenuto nel caso di specie, attesa la partecipazione totalitaria del (OMISSIS) s.p.a. in (OMISSIS) s.p.a., cessionaria dell’intero pacchetto azionario dalla prima detenuto nella (OMISSIS) s.a.;
2) violazione dell’articolo 2697 c.c., in quanto, a fronte della revoca dell’amministratore, e’ la societa’ a dover provare la giusta causa per esonerarsi dall’obbligo di pagamento di un’indennita’, onde era sulla controparte l’onere di dimostrare la sussistenza di un distinto centro di interessi;
3) omesso esame di fatto decisivo, consistente nel controllo totalitario di (OMISSIS) s.p.a. in capo a (OMISSIS) s.p.a., essendo la prima una societa’ appartenente al medesimo gruppo bancario;
4) violazione o falsa applicazione dell’articolo 1372 c.c., perche’, una volta qualificato l’accordo di regia come contratto a favore di terzi, non era possibile la risoluzione per mutuo dissenso con effetti anche verso il terzo, nonostante l’avvenuta risoluzione del “patto di regia”;
5) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2383 c.c., comma 3, con riguardo alla clausola n. 3 del negozio medesimo, posto che il (OMISSIS) s.p.a. si era obbligato a corrispondere agli amministratori della controllata l’indennita’ di cui alla norma predetta per il caso di revoca anticipata senza giusta causa, mentre la situazione indicata non integra di per se’, come invece affermato dalla sentenza impugnata, la giusta causa di revoca;
6) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2383 c.c., comma 3, in quanto le mere esigenze organizzative della societa’ capogruppo non escludono il diritto all’indennizzo per la revoca dell’amministratore;
7) violazione dell’articolo 2359 c.c. e articolo 2383 c.c., comma 3, perche’ la corte del merito non ha considerato come anche il controllo indiretto possa rilevare ai fini di stabilire una influenza dominante su altra societa’, onde non puo’ dirsi che, nella specie, (OMISSIS) s.p.a. avesse perduto il controllo su (OMISSIS) s.a. solo per averla ceduta alla (OMISSIS) s.p.a., dalla prima comunque controllata al 100%.
1.2. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, (OMISSIS) s.p.a. deduce, con riguardo al rigetto della propria eccezione di prescrizione, l’omesso esame di fatto decisivo, consistente nell’avere la corte del merito omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilita’ del motivo di appello avverso, in quanto il (OMISSIS) s.p.a. aveva di fatto disconosciuto l’avviso di ricevimento, privo di sottoscrizione, onde controparte per potersene avvalere avrebbe dovuto proporre istanza di verificazione ex articolo 216 c.p.c. entro il termine di legge.
2. – La sentenza impugnata. Come ricordato, la corte d’appello ha ritenuto che non spetti al (OMISSIS) nessun compenso per la revoca anticipata dalla carica, in quanto il c.d. accordo di regia concluso tra la capogruppo (OMISSIS) s.p.a. e la controllata (OMISSIS) s.a. – in forza del quale la prima si obbligo’ a corrispondere sia il compenso agli amministratori della seconda, sia l’eventuale risarcimento per recesso dal rapporto senza giusta causa – si e’ risolto in virtu’ della clausola risolutiva espressa, contenuta nell’articolo 3, allorche’ (OMISSIS) s.p.a. cedette l’intero pacchetto azionario alla (OMISSIS) s.p.a., da essa interamente partecipata, con conseguente venir meno dell’obbligo contrattualmente assunto dalla capogruppo, in seguito alla comunicazione di volersene avvalere operata dalla capogruppo medesima con lettera del 6 marzo 1997, non contestata dalla controparte.
Inoltre, la corte del merito, seppure in modo a volte intrecciato e discontinuo, ha aggiunto di reputare integrato il venir meno del vincolo fiduciario quale giusta causa di revoca degli amministratori da parte della societa’ controllata, attesi il peculiare rapporto con la controllante e la detta cessione azionaria.
Orbene, entrambe queste argomentazioni – costituenti autonome rationes decidendi e come tali contrastate dai motivi del ricorso – non colgono nel segno.
Giova ricordare che la vicenda e’ gia’ venuta all’esame di questa Corte, con riguardo all’azione proposta da altro amministratore revocato, e che pure ivi la sentenza impugnata, pronunciata dalla Corte d’appello di Napoli il 4 febbraio 2011, conteneva due distinte ed autonome rationes: “l’una consistente nel riconoscimento di una giusta causa di revoca dell’amministratore, l’altra consistente nella esclusione comunque di un obbligo della banca controricorrente di versare all’amministratore il compenso che avrebbe maturato sino alla scadenza naturale del mandato” (cfr. Cass. 10 settembre 2015, n. 17899). Peraltro, essendo in quel caso le questioni giuridiche sottoposte al vaglio di legittimita’ affatto diverse, non si tratta di un precedente in senso tecnico.
3. – I fatti. In punto di fatto, afferma la sentenza impugnata che sulla base del predetto “accordo di regia” la capogruppo assunse, approvando le deliberazioni del 19 luglio 1994 e del 14 dicembre 1995 (la prima consiliare, la seconda di cui non si precisa – neppure dalle odierne parti – l’organo deliberante), l’obbligo diretto di pagare il compenso, come pure l’eventuale risarcimento in caso di revoca anticipata ingiustificata, agli amministratori della partecipata societa’ lussemburghese.
E’, dunque, incontestato fra le parti sia il diritto dell’odierno ricorrente di percepire un compenso per la carica (che nessuno assume fosse stata assunta con rinuncia preventiva del diritto al compenso e, quindi, in via gratuita), nonche’ il risarcimento in caso di anticipata revoca senza giusta causa; sia l’esistenza di un patto, che prevedeva la corresponsione di tali compenso e risarcimento direttamente da parte della capogruppo (la quale, come emerge dalla deliberazione assunta dalla medesima il 14 dicembre 1995, riportata sul punto in ricorso, avrebbe poi “addebitato a (OMISSIS), tra gli altri, gli oneri sostenuti dal (OMISSIS) S.p.A. a norma del capo a) che precede, in conformita’ a quanto previsto nell’accordo di regia in essere…”).
Altrettanto pacifico, infine, il contenuto della clausola negoziale, di cui all’articolo 3 dell’accordo, riportata nel ricorso in ossequio al principio di specificita’: “(i)n caso di fusione, incorporazione o trasferimento di tutte le azioni di (OMISSIS) SA ad un’altra entita’ economica, il presente contratto cessa automaticamente”.
Si tratta di un patto di accollo, quale contratto a favore di terzo, di natura cumulativa ed esterna, costituendo esso un obbligo anche verso il creditore, il quale puo’ quindi pretendere l’adempimento dell’obbligazione, con la conseguenza che, nel caso di mancata osservanza dell’obbligo, l’accollante risponde dell’inadempimento anche nei confronti del creditore.
4. – Motivi vertenti sulla sopravvenuta inefficacia dell’accordo di regia”. I primi quattro motivi del ricorso, come pure il settimo, pongono questioni connesse, afferenti il ritenuto venir meno dell’efficacia dell’accordo concluso tra capogruppo e partecipata, fondante in capo alla prima l’obbligo di pagamento del compenso e dell’eventuale indennita’ per l’anticipata revoca illegittima.
4.1. – Il primo, il secondo ed il settimo motivo vanno accolti, per le ragioni che seguono.
Dall’inefficacia sopravvenuta del c.d. patto di regia concluso nel 1994, in virtu’ della cessione del pacchetto azionario, la corte territoriale ha fatto discendere l’insussistenza di qualsiasi diritto risarcitorio in capo all’amministratore anticipatamente revocato: in tal modo, essa non ha tuttavia fatto buon governo dei principi dell’interpretazione negoziale e di quello dell’onere della prova.
4.1.1. – Sotto il primo profilo, la corte del merito non ha correttamente applicato i criteri di cui agli articoli 1156, 1158 e 1161 code civil luxembourgeois, corrispondenti agli articoli 1362, 1366 e 1369 c.c., dal ricorrente invocati, laddove essa in modo apodittico si limita ad affermare la diversa soggettivita’ giuridica dei due enti (capogruppo ed altra societa’ del medesimo gruppo, cessionaria del pacchetto azionario), senza pero’ approfondire – sulla base della logica dell’intero accordo, delle altre clausole del medesimo che palesino gli interessi sottesi ed, in una, della causa concreta in esso oggettivamente espressa – quale fosse l’esatta portata dell’espressione “altra entita’ economica”, contenuta nella menzionata clausola n. 3 del c.d. accordo di regia: vale a dire, se con essa si intendesse qualunque cessione ad un altro soggetto, o, invece, si volesse piuttosto pattuire l’inefficacia del patto di accollo del compenso (e dell’obbligo risarcitorio secondario per il caso di revoca illegittima dell’organo), contenuto nel piu’ volte menzionato “accordo di regia”, solo in ipotesi di venir meno della unita’ economica dei due soggetti, appartenenti al medesimo gruppo imprenditoriale.
L’interpretazione del contratto costituisce giudizio di fatto, riservato al giudice del merito: ma le norme che la governano sono regole di diritto e, sulla base dell’interpretazione, il giudice qualifica il contratto, ne giudica della validita’ ed efficacia, sindaca l’inadempimento, in sostanza valuta ogni vicenda giuridica.
La regola base e’ quella contenuta nell’articolo 1156 c.c. lussemburghese – legge applicabile al negozio ex articolo 4 della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, adottata a Roma il 19 giugno 1980, ratificata dalla L. 18 dicembre 1984, n. 975 ed entrata in vigore dal 10 aprile 1991 – secondo cui, al pari dell’articolo 1362 c.c., comma 1, si richiede di “ricercare qual e’ stata la comune intenzione delle parti contraenti anziche’ fermarsi al senso letterale dei termini impiegati”.
Nell’ermeneutica contrattuale (a somiglianza dell’evoluzione verificatasi nella stessa interpretazione della legge), dall’originario richiamo al principio in claris non fit interpretatio – secondo cui l’interprete dovrebbe arrestare la propria attivita’ interpretativa alla lettera del negozio, ove questa appaia univoca – si e’ progressivamente affermato il convincimento secondo cui e’ in ogni caso necessario indagare sulle reali intenzioni delle parti e sull’effettiva portata delle clausole all’interno del testo (cfr., fra le altre, Cass. 13 marzo 2015, n. 5102).
Nella specie, pertanto, a fronte della figura del gruppo societario, che pacificamente ricorreva, la corte territoriale avrebbe dovuto valutare se davvero la distinta soggettivita’ della societa’ del gruppo valesse ad integrare la nozione di diversa “entita’ economica”, utilizzata dalle parti: senza potersi, dunque, arrestare alla semplicistica considerazione della differente personalita’ giuridica, nozione estranea alle parole ed al contenuto del concetto utilizzati dalle parti.
Al riguardo, giova ricordare come nel gruppo bancario si contempla da tempo lo strumento del “regolamento di gruppo” (cfr. Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 61, comma 4); si considerino, altresi’, gli articoli 2497-ter c.c., il quale presuppone le direttive della capogruppo, e 2497-septies c.c., se riferito anche al gruppo gerarchico; e si veda gia’ una remota pronuncia di questa Corte, in cui veniva ricordato che “(l)’accordo, o la situazione di raggruppamento (in forma di partecipazioni incrociate, di controlli o di altri tipi di coordinamento o anche di dominio) e’ vicenda societaria diffusa, poiche’ consente di utilizzare il potenziale economico di varie imprese senza ricorrere allo strumento della fusione” (Cass. 8 maggio 1991, n. 5123).
Nella specie, con l’accollo alla capogruppo dell’obbligo di corrispondere agli amministratori della controllata il compenso, nonche’ l’eventuale risarcimento per la revoca illegittima dalla carica, era dunque dato di realizzare, in una situazione di eterodirezione della controllata, il concreto apporto in favore di questa ad opera della controllante, che in tal modo, mediante la nomina dei medesimi amministratori ed il vincolo del loro compenso, realizzava la soggezione alle direttive programmatiche della capogruppo (sia pure sempre con il filtro del perseguimento dell’interesse della societa’ amministrata, secondo il nuovo articolo 2497 c.c.).
In sostanza, si realizzava cosi’ l’intento, gia’ da questa Corte reputato legittimo, secondo cui le decisioni della capogruppo vengono attuate dalla societa’ figlia, a condizione che siano fatte proprie dagli organi di questa – tanto piu’, dunque, quando siano le medesime persone fisiche – e non contrastino con l’interesse sociale (cfr. Cass. 15 giugno 2000, n. 8159; Cass. 13 febbraio 1992, n. 1759).
Simili accordi dunque permettono il perseguimento degli interessi di gruppo e di veicolare gli ordini che la capogruppo bancaria impartisce ai sensi delle leggi speciali (cfr. Decreto Legislativo 24 settembre 1993, n. 385, articolo 23, comma 2, come riscritto nel 2003 e nel 2004, che, nel definire la “nozione di controllo”, di cui alla rubrica, lo reputa esistente, fra l’altro, oltre che quando il socio dispone della maggioranza dei voti per la nomina e la revoca degli organi, anche, come prevede il n. 4, in presenza di un “assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi amministrativi”).
4.1.2. – Sotto il secondo profilo, questa Corte ha gia’ affermato, in tema di onere della prova circa il diritto dell’amministratore al risarcimento del danno per la revoca anticipata dalla carica, come gravi sulla societa’, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facolta’ di recedere senza conseguenze risarcitorie (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037).
Nel caso di specie, il patto di pagamento di una “indennita’” per il caso di revoca senza giusta causa (unico profilo che ora interessa, non parlandosi del diritto al compenso) fu convenzionalmente assunto dalla capogruppo, la quale tuttavia pretende di sottrarsene, allegando l’inefficacia sopravvenuta del negozio per il verificarsi della condizione, integrante la clausola risolutiva espressa, del passaggio del pacchetto azionario ad “altra entita’ economica”.
Costituendo fatto impeditivo del diritto al risarcimento del danno, l’esistenza di tale inefficacia per integrazione della condizione contrattuale predetta avrebbe dovuto essere provata, dunque, dal (OMISSIS) s.p.a., la quale aveva l’onere di dimostrare che, nonostante il controllo totalitario, la (OMISSIS) s.p.a. faceva capo ad un distinto aggregato di interessi economici: non potendosi il giudice di merito arrestare, invece, al mero, superficiale rilievo di una distinta soggettivita’ giuridica.
A tale concreta vicenda va dunque esteso il principio appena ricordato, posto che la diversa fonte dell’obbligazione risarcitoria (la legge, con l’articolo 2383 c.c., comma 3, o la volonta’ delle parti, in ipotesi di assunzione dell’obbligo da parte di un terzo accollante) e il diverso elemento di integrazione della fattispecie (la giusta causa di revoca o la risoluzione dell’accordo per clausola risolutiva espressa) non incidono sull’atteggiarsi degli oneri probatori a carico rispettivo delle parti.
Era, quindi, onere della societa’ capogruppo provare che, a causa della cessione del pacchetto azionario detenuto in (OMISSIS) s.a. ad una sua partecipata totalitaria, fosse stata integrata la condizione contemplata nella clausola risolutiva espressa, prevista dalle parti.
Ne deriva che la corte del merito non ha correttamente applicato la regola di cui all’articolo 2697 c.c., addebitando al (OMISSIS) di non aver offerto la prova “in merito ai fatti ed alle circostanze utili a configurare, tra le due societa’, un unico centro di imputazione di interessi”. Ed invero, essa trascura del tutto il corretto atteggiarsi dell’onere della prova, come ora esposto, nonche’ – sempre ai fini dell’onere predetto – la stessa previsione dell’articolo 2497-sexies c.c., secondo cui si presume che l’attivita’ di direzione e coordinamento di societa’ sia esercitata dalla societa’ o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’articolo 2359 c.c..
4.2. – Infondato, invece, e’ il terzo motivo, atteso che la corte del merito non ha mancato di considerare il fatto del controllo totalitario della stessa cessionaria del pacchetto azionario compravenduto, quanto piuttosto di trarne tutte le conseguenze giuridiche dovute.
4.3. – Il quarto motivo resta assorbito.
5. – Motivi vertenti sull’esistenza di una giusta causa di revoca. I rimanenti motivi quinto e sesto riguardano la giusta causa di revoca dell’odierno ricorrente dalla carica.
La seconda argomentazione contenuta nella decisione impugnata, sebbene non del tutto svolta, afferma, infatti, la sussistenza della giusta causa di revoca – la cui mancanza, in forza del menzionato accordo di regia, avrebbe comportato l’obbligo della capogruppo di pagare l’indennizzo – in ragione della stessa cessione del pacchetto azionario da parte della capogruppo, la quale aveva, in origine, propiziato la nomina dei propri amministratori a comporre il c.d.a. della controllata.
Poiche’ anche tale ratio fonda la decisione, la ricorrente l’ha impugnata con i motivi in esame.
Essi sono, del pari, fondati.
5.1. – La questione della legge applicabile alla revoca dell’amministratore della societa’ di diritto lussemburghese non risulta trattata dalla sentenza impugnata, ne’ dalle parti. Cio’ e’ verosimilmente dovuto al fatto che la stessa deliberazione del 14 dicembre 1995, assunta dal (OMISSIS) s.p.a., riferiva agitale societa’ l’obbligo di corrispondere quanto dovuto agli amministratori della controllata, “ivi compreso quanto spettante agli stessi nell’ipotesi prevista dall’articolo 2383 c.c., comma 3”.
Questa Corte ha gia’ chiarito la portata del diritto dell’amministratore al risarcimento del danno per il caso di revoca anticipata dalla carica senza giusta causa, enunciando alcuni principi di diritto, qui rilevanti, secondo cui:
a) la giusta causa di revoca consiste nell’esistenza di circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, siano o no provocate dall’amministratore, le quali pregiudicano l’affidamento nelle sue attitudini e capacita’, ossia il “rapporto fiduciario” (Cass. 23 marzo 2017, n. 7475;15 ottobre 2013, n. 23381; 14 maggio 2012, n. 7425; 5 agosto 2005, n. 16526; 7 agosto 2004, n. 15322; 21 novembre 1998, n. 11801; 22 giugno 1985, n. 3768); al riguardo il potere dell’assemblea non e’ illimitato, in ragione della dignita’ e del sacrificio economico imposto alle persone che rivestono la carica amministrativa (Cass. 15 aprile 2016, n. 7587, in motivazione);
b) nell’atteggiarsi degli oneri probatori ex articolo 2697 c.c., grava sulla societa’ quello di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facolta’ di recedere senza conseguenze risarcitorie (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037).
Orbene, richiamata la detta distribuzione dell’onere probatorio, occorre ora precisare che nella nozione di giusta causa di revoca non rientra la mera cessione del pacchetto azionario detenuto in (OMISSIS) s.a. ad altra partecipata totalitaria.
Si noti che il giudizio se la fattispecie concreta – la cui esistenza e’ rimessa in via esclusiva al giudice del merito – vada sussunta sotto l’astratto paradigma legislativo e’ giudizio di diritto, controllabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (si vedano, proprio sulla revoca dell’amministratore, Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037; in tema di licenziamento per giusta causa, Cass. 10 gennaio 2019, n. 428; 19 gennaio 2018, n. 1374; 9 luglio 2015, n. 14324; 14 marzo 2013, n. 6501; 13 agosto 2008, n. 21575). Onde, ferma la ricorrenza in concreto della situazione nel caso di specie, riservata al giudice del merito, la sussunzione della singola ragione di revoca nell’ambito della nozione di giusta causa di cui all’articolo 2383 c.c. e’ giudizio di diritto.
Al riguardo, non puo’ ritenersi che il “vincolo fiduciario” sia in re ipsa venuto meno, secondo l’oggettiva nozione predetta, per la vicenda in fatto accertata dal giudice del merito. La ricorrenza di esigenze di auto-organizzazione della struttura societaria, costituente un motivo di natura oggettiva non pertinente alla condotta dell’amministratore, e’ invero reputata estranea alla nozione di giusta causa legittimante il recesso della societa’ (Cass. 12 settembre 2008, n. 23557; Cass. 18 settembre 2013, n. 21342; Cass. 19 novembre 2008, n. 27512; Cass. 7 maggio 2002, n. 6526).
Tale principio va ora ribadito, dovendosi affermare che la cessazione dei componenti del consiglio di amministrazione, determinata dalla decisione della capogruppo di trasferire le azioni della controllante ad altra societa’ del gruppo, non e’ sorretta da giusta causa, in mancanza di circostanze o fatti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacita’ dell’amministratore, che non puo’ essere integrata dal mero nuovo assetto organizzativo del gruppo, il quale non e’, di per se’, collegabile ad una rottura del pactum fiduciae.
6. – Il ricorso incidentale. L’unico motivo del ricorso incidentale condizionato e’ inammissibile.
Non sussiste, invero, integrazione della fattispecie dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la quale richiede che sia stato omesso l’esame di un fatto decisivo: al contrario, la ricorrente incidentale lamenta che la corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi su di un’eccezione dalla medesima banca sollevata, avente ad oggetto l’inammissibilita’ di avverso motivo di appello.
Ma tale vizio non e’ riconducibile alla fattispecie invocata.
La differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’articolo 112 c.p.c. e l’omesso esame di fatto decisivo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consiste nella circostanza che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), mentre, nella seconda ipotesi l’attivita’ di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione.
In particolare, questa Corte ha gia’ chiarito – con principio che qui si intende ribadire – come l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’articolo 112 c.p.c. e non gia’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensi’ la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicche’, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 16 marzo 2017, n. 6835; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23930).
7. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in accoglimento dei motivi esposti, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, perche’ decida la controversia in esame, applicando i seguenti principi di diritto:
“In tema di onere della prova circa il diritto dell’amministratore al risarcimento del danno per la revoca anticipata dalla carica, grava sulla societa’, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., l’onere di dimostrare il venir meno del diritto al risarcimento del danno, anche nell’ipotesi in cui il patto di pagamento di una “indennita’” sia stato convenzionalmente assunto dalla capogruppo, che alleghi l’insussistenza del suo obbligo in ragione della cessione della societa’ controllata ad altra, costituente un diverso aggregato di interessi economici”.
“Non e’ integrata la giusta causa di revoca dell’amministratore di societa’ dalla mera ricorrenza di esigenze di auto-organizzazione della struttura societaria, quale la decisione della capogruppo di trasferire le azioni della controllante ad altra societa’ del gruppo, ove la stessa non sia stata motivata sulla base di circostanze o fatti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto e tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacita’ dell’amministratore”.
Alla corte territoriale si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso principale, respinto il terzo ed assorbito il quarto; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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