Corte di Cassazione, civile, Sentenza|9 maggio 2022| n. 14548.
Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva.
Nel giudizio di cassazione, ai fini della condanna ex articolo 96, comma 3, del Cpc, può costituire abuso del diritto alla impugnazione la proposizione di un ricorso basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo dell’autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia. Parimenti, la proposizione di un ricorso per cassazione fondato su motivi palesemente inammissibili, rende l’impugnazione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (articolo 6 Cedu) e dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie; essa, pertanto, costituisce condotta oggettivamente valutabile come abuso del processo, poiché determina un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali e si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’articolo 96, comma 3, Cpc, la quale configura una sanzione di carattere pubblicistico che non richiede l’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’agente ma unicamente quello della sua condotta processualmente abusiva, consistente nell’avere agito o resistito pretestuosamente.
Sentenza|9 maggio 2022| n. 14548. Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva
Data udienza 15 febbraio 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Risarcimento danni – Mancata cancellazione di trascrizione pregiudizievole – Ricorso per cassazione – Censure inammissibili
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di Sez.
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27829/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato presso il suo domicilio digitale (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in (OMISSIS);
– ricorrenti –
e nei confronti di:
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 446 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata il 21/2/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/2/2022 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio gli eredi di (OMISSIS) domandando il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, asseritamente subiti; gli attori affermavano che nel 2001 (OMISSIS) aveva eseguito un pignoramento immobiliare procedendo ad una trascrizione difforme dall’atto notificato (avendo i cespiti staggiti un’estensione diversa rispetto a quella indicata) e che, una volta dichiarata estinta la procedura per l’omesso deposito della documentazione ex articolo 567 c.p.c., gli eredi del creditore procedente non avevano provveduto alla cancellazione della trascrizione della formalita’ pregiudizievole, gia’ disposta dal giudice dell’esecuzione.
Nella tesi attorea la trascrizione del pignoramento aveva cagionato un “arricchimento contra jus” e la sua mancata cancellazione aveva arrecato pregiudizio all’onore e alla dignita’ degli esecutati, alla proprieta’ e ai “diritti umani e fondamentali rinvenienti dopo il Trattato di Lisbona”.
I convenuti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva per avere i predetti gia’ rinunciato all’eredita’ di (OMISSIS); comunque, contestavano nel merito l’avversaria pretesa. Con distinta comparsa di risposta si costituiva (OMISSIS) che domandava a sua volta il rigetto delle domande attoree.
Il Tribunale di Foggia, con la sentenza n. 950 del 22/6/2013, respingeva le domande risarcitorie avanzate da (OMISSIS) e (OMISSIS) e li condannava, in solido, alla rifusione delle spese di lite; con la predetta pronuncia il giudice di primo grado riteneva provata la carenza di legittimazione passiva di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avendo gli stessi eccepito e provato di aver rinunciato all’eredita’ di (OMISSIS); quanto alla posizione di (OMISSIS), statuiva che solo con un’opposizione esecutiva gli attori avrebbero potuto pretendere un risarcimento dei danni conseguenti alla trascrizione del pignoramento e che, comunque, l’ordine di cancellazione del gravame era stato impartito dal giudice dell’esecuzione al Conservatore dei Registri Immobiliari, sicche’ gli esecutati avrebbero potuto agevolmente conseguire la cancellazione della formalita’ pregiudizievole mediante presentazione di copia conforme del provvedimento.
Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva
Avverso la decisione proponeva appello il solo (OMISSIS), deducendo l’erroneita’ della sentenza per avere il Tribunale travisato il presupposto della domanda (costituito dalla mancata cancellazione della trascrizione del pignoramento e non dall’esecuzione dello stesso), erroneamente rilevato la rinuncia all’eredita’ di alcuni convenuti (invece contraddetta da circostanze tali da fondare un’accettazione tacita della medesima), mancato di considerare l’illiceita’ della trascrizione del pignoramento su beni di estensione diversa e, infine, condannato solidalmente gli attori al pagamento delle spese di lite, sebbene ciascuno di essi avesse fatto valere in giudizio un proprio singolo interesse.
La Corte d’appello di Bari respingeva l’impugnazione con la sentenza n. 446 del 21/2/2019, condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado, che venivano invece compensate nei confronti di (OMISSIS).
A fondamento della propria decisione la Corte territoriale poneva le motivazioni di seguito riassunte (per quanto qui ancora puo’ rilevare).
Riguardo al primo motivo d’appello, affermava che il Tribunale si era pronunciato in modo completo sulla domanda risarcitoria, da un lato rilevando che gli esecutati avrebbero potuto ottenere agevolmente la cancellazione della trascrizione del pignoramento in base all’ordine del giudice dell’esecuzione e, dall’altro, che per i danni conseguenti al pignoramento la domanda doveva essere proposta, ex articolo 96 c.p.c., con opposizione all’esecuzione.
In base al principio della “ragione piu’ liquida” il giudice d’appello soprassedeva all’esame del secondo motivo, concernente la pretesa erroneita’ dell’accertamento della qualita’ di eredi in capo ai convenuti.
Veniva dichiarata inammissibile la censura formulata col terzo motivo, per avere l’appellante mancato di contrapporre alle rationes decidendi della sentenza di primo grado – segnatamente, al rilievo circa la possibilita’ di conseguire autonomamente la cancellazione della trascrizione del pignoramento – argomentazioni pertinenti, essendosi invece limitato ad addurre che il Conservatore dei RR.II. era stato esonerato da ogni responsabilita’, che le spese del processo esecutivo non sono regolate secondo il principio di soccombenza, che l’obbligazione di cancellare la formalita’ si era stata trasmessa mortis causa agli eredi di (OMISSIS); su questo particolare punto osservava, tra l’altro, la Corte barese – “a norma dell’articolo 1227 c.c., comma 1, non ci si puo’ dolere delle conseguenze dannose che si sarebbero potute agevolmente evitare attivandosi per ottenere autonomamente la cancellazione della trascrizione del pignoramento, ne’ si puo’ addurre, a giustificazione dell’inerzia, la circostanza che l’onere economico relativo alla cancellazione della trascrizione del pignoramento, peraltro neanche quantificato, fosse a carico degli eredi di (OMISSIS), poiche’ anche se cosi’ fosse, ben avrebbe potuto il debitore, una volta ottenuta la cancellazione della trascrizione del pignoramento a proporre spese, richiedere il rimborso delle stesse a carico dei creditori”.
Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva
Sempre in riferimento al terzo motivo dell’impugnazione, la Corte reputava infondata la doglianza avverso la decisione di primo grado che, correttamente, aveva escluso che l’azione risarcitoria per i danni conseguenti ad un pignoramento “ingiusto” (in ragione della divergenza tra la descrizione dei beni colpiti con l’atto notificato e quelli indicati nella nota di trascrizione), riconducibile all’articolo 96 c.p.c., potesse essere esperita in un giudizio autonomo (ex articolo 2043 c.c.) rispetto all’opposizione esecutiva.
Infine, con riguardo all’ultimo motivo d’appello, la Corte barese affermava che la condanna solidale delle parti soccombenti al pagamento delle spese del primo grado costituiva la “naturale conseguenza del rigetto delle domande proposte dagli attori (OMISSIS) e (OMISSIS) con il medesimo atto di citazione nell’interesse comune di entrambi”.
Avverso tale decisione (OMISSIS) proponeva ricorso per cassazione, fondato su tre motivi; resistevano con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); l’intimato (OMISSIS) non ha svolto difese nel giudizio di legittimita’.
Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso e i singoli motivi sono inammissibili, sia per la violazione dell’articolo 366 c.p.c., sotto il duplice profilo della mancanza di una sintetica esposizione del fatto processuale e della carenza di specificazioni sulle circostanze rilevanti per la decisione di legittimita’ (tra le quali, ad esempio, l’illustrazione delle statuizioni rese dal giudice di primo grado), sia per avere il ricorrente omesso di cogliere la principale ratio decidendi della sentenza impugnata (l’inidoneita’ della censura rivolta alla decisione del Tribunale di Foggia che, pur senza richiamarlo, aveva fondato sull’articolo 1227 c.c., comma 1, il rigetto della pretesa risarcitoria), sia per il cumulo di eterogenee censure in un unico motivo (il primo), sia per il reiterato, ma incongruo (e, quindi, aspecifico), richiamo alla disciplina della trascrizione delle domande giudiziali, non pertinente alla trascrizione del pignoramento immobiliare.
2. Come recentemente statuito da questa stessa Sezione con riferimento ad analogo ricorso di (OMISSIS) e con argomentazioni che ben si attagliano anche all’atto introduttivo di questo giudizio (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 4435 dell’11/02/2022), “Il ricorrente, infatti, si dilunga in una contorta esposizione delle vicende processuali, frammista a continue ed incidentali proprie valutazioni, intersecate da stralci degli atti processuali propri e delle controparti,… e ancora riportando stralci della motivazione della sentenza di primo e (soprattutto) di secondo grado,… ritenendo di dover informare la Corte di ogni piu’ infinitesimale dettaglio, ma cosi’ finendo per rendere praticamente incomprensibile una vicenda processuale che, complessa quanto si vuole, e’ pur sempre una ordinaria” azione risarcitoria; “Ora, e’ appena il caso di precisare che il giudizio di cassazione e’ un giudizio impugnatorio a critica vincolata, in cui il ricorrente deve rivolgersi alla Corte individuando uno o piu’ specifici vizi di legittimita’ – che, in tesi, affliggono la decisione impugnata – scegliendoli dal novero di quelli elencati dall’articolo 360, comma 1, e nel rispetto, tra l’altro, dei requisiti di contenuto-forma di cui agli articoli 365 e 366 c.p.c.. In particolare, l’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, prevede che il ricorso debba contenere, a pena di inammissibilita’, “l’esposizione sommaria dei fatti di causa”; al riguardo, deve anzitutto evidenziarsi che, secondo ormai consolidata giurisprudenza, il fatto deve intendersi nella duplice accezione di fatto sostanziale (ossia, quanto concernente le reciproche pretese delle parti) e processuale (relativo, cioe’, a quanto accaduto nel corso del giudizio, alle domande ed eccezioni formulate dalle parti, ai provvedimenti adottati dal giudice…)…. Sul versante opposto, concernente l’eccesso di esposizione (ossia, quello che qui viene in rilievo), numerose pronunce hanno avuto ad oggetto la tecnica della c.d. “spillatura” o del c.d. “assemblaggio”, consistenti nella riproduzione, meccanica o informatica, di una serie di atti processuali e documenti all’interno del ricorso; in proposito, Cass., Sez. Un. 16628/2009, ha affermato che “La prescrizione contenuta nell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo la quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena d’inammissibilita’, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, non puo’ ritenersi osservata quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, ne’ accenni all’oggetto della pretesa, limitandosi ad allegare, mediante “spillatura” al ricorso, l’intero ricorso di primo grado ed il testo integrale di tutti gli atti successivi, rendendo particolarmente indaginosa l’individuazione della materia del contendere e contravvenendo allo scopo della disposizione, preordinata ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura”; e ancora, secondo Cass., Sez. Un. 5698/2012, “In tema di ricorso per cassazione, affini del requisito di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali e’, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si e’ articolata; per altro verso, e’ inidonea a soddisfare la necessita’ della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso….” (i suddetti principi sono stati affermati, ex multis, da Cass. n. 3385/2016 e Cass. n. 12641/2017). Costituisce naturale evoluzione del consolidato insegnamento giurisprudenziale quella secondo cui la descritta tecnica espositiva non puo’ utilizzarsi neanche nella mera illustrazione dei motivi di ricorso. Cosi’, da ultimo, Cass. n. 26837/2020…”.
Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva
Anche in questo giudizio, come nel citato precedente (Cass. 4435/2022), si deve concludere che “cosi’ inquadrate le piu’ significative pronunce sul tema in discorso, ritiene la Corte che il ricorrente sia incorso in una eccessiva e sovrabbondante esposizione, avendo adottato una tecnica espositiva (gia’ descritta supra) che da un lato implica la lettura di una imponente massa di informazioni su fatti (processuali e sostanziali) per lo piu’ irrilevanti ai fini della decisione, e che dall’altro rende di per se’ impossibile la focalizzazione sui fatti invece rilevanti, neppure potendo procedersi mediante la tecnica della espunzione (v. Cass. n. 8245/2018), ossia dell’isolamento di quanto di superfluo sia stato inserito nel ricorso, stante la stretta concatenazione tra frasi, contenuto di atti e provvedimenti tra virgolette, considerazioni incidentali e quant’altro, prima descritta. Una tale tecnica espositiva rende, dunque, particolarmente “indaginosa” l’individuazione delle questioni da parte di questa Corte, impropriamente investita della ricerca e della selezione dei fatti (anche processuali) rilevanti ai fini del decidere (v. la gia’ citata Cass., Sez. Un., n. 16628/2009)”.
3. Anche singolarmente considerati, i motivi sono inconsistenti.
4. Infatti – rispetto alla prima censura (di per se’ inammissibile per l’articolazione in un singolo motivo di eterogenei profili di doglianza, tra loro cumulati in modo tale da rendere impossibile distinguerli; si veda, in proposito, ex multis, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26790 del 23/10/2018, Rv. 651379-01) – la sentenza della Corte d’appello di Bari non e’ incorsa in “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” (segnatamente, degli articoli 342 e 96 c.p.c. e articolo 2043 c.c.), ne’ in nullita’ per violazione dell’articolo 112 c.p.c., e, anzi, ha correttamente ritenuto che i motivi d’impugnazione non avessero colto una delle rationes decidendi della pronuncia di primo grado (peraltro reputata esatta anche dal giudice d’appello) e, segnatamente, quella riguardante la possibilita’ per gli esecutati di procedere autonomamente alla cancellazione della formalita’ pregiudizievole sulla scorta del provvedimento estintivo del giudice dell’esecuzione. Ad abundantiam, si osserva che l’essere i debitori rimasti inerti configura l’ipotesi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, posto che una cooperazione attiva degli interessati alla cancellazione avrebbe potuto eliminare tutti i pregiudizi lamentati con la domanda risarcitoria.
Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva
E’ pure corretta l’ulteriore affermazione della sentenza impugnata riguardante l’improponibilita’ dell’autonoma domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla pretesa illegittimita’ della trascrizione pignoramento: gli esecutati avrebbero dovuto dedurre con l’opposizione esecutiva ex articolo 617 c.p.c., il vizio dell’atto di pignoramento (ammesso che possa considerarsi tale una divergenza sull’estensione dei terreni pignorati, di per se’ inidonea a rendere del tutto incerta l’individuazione dei beni sottoposti al vincolo esecutivo) e avanzare con essa la richiesta risarcitoria (ex articolo 96 c.p.c.), non essendo ammissibile un’autonoma actio nullitatis degli atti della procedura di esecuzione forzata dalla quale possa scaturire una responsabilita’ risarcitoria del creditore procedente.
5. Il secondo motivo (“nullita’ della sentenza per violazione e falsa/errata applicazione delle norme sul contenuto della sentenza (di cui al combinato disposto dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articolo 118 disp. att. c.p.c., articolo 156 c.p.c., comma 2, e articolo 161 c.p.c., comma 1)”) e’ palesemente infondato e pretestuoso.
L’aver indicato la parte processuale come ” (OMISSIS)”, anziche’ ” (OMISSIS)” (nome che, comunque, e’ correttamente riportato nella parte della sentenza che elenca le conclusioni dell’appellante), costituisce un evidente errore materiale, inidoneo ad inficiare il decisum.
Parimenti, insignificante e’ il refuso (a pag. 9 della sentenza) dove si fa riferimento al “rigetto dell’appello incidentale dell’ (OMISSIS) s.p.a.”.
6. E’ inammissibile pure la terza censura (“violazione e falsa applicazione di norme di diritto” e, segnatamente, “norme processuali riguardanti la condanna alle spese di lite; articolo 24 Cost.; articolo 111 Cost.; articolo 96 c.p.c.”) con cui si sostiene l’erroneita’ della statuizione della Corte d’appello concernente la condanna solidale alle spese del giudizio di primo grado.
Giudizio di cassazione e la condotta processualmente abusiva
Indipendentemente dalla valutazione dell’interesse del condebitore solidale ad impugnare la condanna in solido con altri, la comunanza di interessi – a base della pronunciata solidarieta’ – costituisce un accertamento del giudice di merito che, nel caso, e’ stato congruamente motivato dalla Corte barese sulla scorta del principio di “causalita’ della lite” (che era scaturita da un unitario atto di citazione degli Scopece).
7. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, le quali sono liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo.
8. La palese inammissibilita’ del ricorso e dei motivi, unitamente all’inconsistenza e pretestuosita’ di questi ultimi, costituisce elemento idoneo e sufficiente a considerare temeraria, ai fini dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, l’impugnazione di (OMISSIS).
Come gia’ ritenuto da numerosi precedenti di questa Corte, “nel giudizio di cassazione, ai fini della condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, puo’ costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo dell’autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia” (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 38528 del 06/12/2021, Rv. 663164-01) e “la proposizione di un ricorso per cassazione fondato su motivi palesemente inammissibili, rende l’impugnazione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (articolo 6 CEDU) e dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessita’ di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie; essa, pertanto, costituisce condotta oggettivamente valutabile come “abuso del processo”, poiche’ determina un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali e si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, la quale configura una sanzione di carattere pubblicistico che non richiede l’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’agente ma unicamente quello della sua condotta processualmente abusiva, consistente nell’avere agito o resistito pretestuosamente” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 22208 del 04/08/2021, Rv. 662202-01; analogamente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19285 del 29/09/2016, Rv. 642115-01 e Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 5725 del 27/02/2019, Rv. 652838-02).
In applicazione della menzionata disposizione, dunque, si condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, dell’ulteriore importo di Euro 7.000,00.
9. Conformemente a quanto statuito da Cass., Sez. U., Sentenza n. 4315 del 20/02/2020, Rv. 657198-01, non spetta a questa Corte la competenza a provvedere sulla eventuale revoca del provvedimento di ammissione di (OMISSIS) al patrocinio a spese dello Stato: la valutazione sulla sussistenza delle condizioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 136, per la revoca dell’ammissione spetta alla Corte d’appello di Bari (giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata), alla quale la copia di questa sentenza deve essere trasmessa ai sensi dell’articolo 388 c.p.c..
10. Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte;
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 7.200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge, nonche’ a pagare ai medesimi controricorrenti la somma di Euro 7.000,00 ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, qualora dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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