Il giudicato formatosi in un determinato giudizio

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 4 luglio 2019, n. 17931.

La massima estrapolata:

Il giudicato formatosi in un determinato giudizio può spiegare efficacia riflessa nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al rapporto processuale, purché questi sia titolare di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo, o comunque a questa subordinato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento a un sinistro stradale che aveva dato origine a due distinti giudizi – l’uno intentato dal proprietario per il risarcimento dei danni occorsi al mezzo, l’altro dal conducente per il risarcimento dei danni alla sua persona -, aveva escluso che il giudicato formatosi nel primo, in ordine alla ripartizione percentuale di responsabilità tra i conducenti coinvolti, potesse spiegare efficacia riflessa nel secondo).

Sentenza 4 luglio 2019, n. 17931

Data udienza 10 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 8692-2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1367/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 26/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Catania, Sezione distaccata di Acireale, (OMISSIS), (OMISSIS) e le (OMISSIS) s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni da lui subiti in un incidente stradale nel quale, mentre era alla guida di un ciclomotore, si era scontrato con la Fiat Panda condotta da (OMISSIS), di proprieta’ di (OMISSIS), la quale aveva compiuto un’improvvisa svolta a sinistra senza azionare l’indicatore di direzione, il tutto mentre l’attore stava effettuando il sorpasso della vettura.
Si costitui’ in giudizio la sola societa’ di assicurazione, chiedendo il rigetto della domanda, mentre gli altri convenuti rimasero contumaci.
All’esito dell’istruttoria, nella quale fu espletata anche una c.t.u. sulla persona dell’attore, il Tribunale riconobbe a quest’ultimo il diritto al risarcimento del danno biologico nella misura di Euro 70.000, oltre Euro 13.800 per invalidita’ temporanea assoluta ed Euro 900 per invalidita’ temporanea parziale, nonche’ del danno morale nella misura di Euro 30.000, mentre rigetto’ la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale derivante da perdita della capacita’ lavorativa.
2. La pronuncia e’ stata impugnata in via principale dal danneggiato e in via incidentale dalla societa’ di assicurazione e la Corte d’appello di Catania, con sentenza del 26 settembre 2016, ha rigettato l’appello principale e, in parziale accoglimento di quello incidentale, ha ridotto del 20 per cento la somma liquidata dal primo giudice.
2.1. Ha osservato la Corte territoriale che l’appello principale, avente ad oggetto il danno da perdita della capacita’ lavorativa, non poteva essere accolto. Ed invero, il danno patrimoniale da riduzione della capacita’ lavorativa generica si traduce in una menomazione dell’integrita’ psicofisica, risarcibile quale danno biologico. Quanto, invece, alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance, la Corte di merito ha rilevato che esso, neppure allegato in primo grado, non era stato in alcun modo provato, posto che la prova per testi volta alla dimostrazione che l’appellante era stato assunto dalla impresa (OMISSIS) non era stata ammessa in primo grado e la relativa richiesta non era stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi pertanto ritenere rinunciata. D’altra parte, la vittima si era limitata ad invocare “in astratto” tale voce risarcitoria.
2.2. La Corte etnea ha invece ritenuto fondato, anche se solo in parte, l’appello incidentale, avente ad oggetto il riparto delle percentuali di responsabilita’ del sinistro. Premesso che non era passata in giudicato la diversa sentenza, resa dal Giudice di pace di Catania, nel giudizio promosso dal proprietario della moto per il risarcimento dei danni materiali subiti nello stesso incidente – sentenza che aveva posto a carico del (OMISSIS) il 10 per cento della responsabilita’ – la sentenza ha ritenuto di quantificare la responsabilita’ di quest’ultimo nella maggiore misura del 20 per cento. Cio’ in quanto egli aveva effettuato il sorpasso della vettura condotta dal (OMISSIS) in prossimita’ di un’intersezione stradale, in tal modo violando l’articolo 148 C.d.S..
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catania propone ricorso (OMISSIS) con atto affidato a quattro motivi.
Resiste la (OMISSIS) s.p.a. con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2043 e 2056 c.c., per non essere stato riconosciuto il danno da lesione della capacita’ di lavoro, intesa come perdita di chance.
Osserva il ricorrente di aver gia’ posto in luce, con l’atto di appello, che all’epoca dell’incidente egli era stato assunto in prova presso l’impresa (OMISSIS) sud e che, in conseguenza dell’incidente, aveva visto “irrimediabilmente compromesso il possibile esercizio di attivita’ lavorativa”. Il c.t.u. aveva determinato nella misura del 25 per cento l’invalidita’ permanente residuata a suo carico a causa dell’incidente, con l’aggiunta che ogni attivita’ lavorativa operaia sarebbe stata per lui usurante. Si tratterebbe, quindi, di un’invalidita’ tale da non poter essere assorbita nel danno biologico; la Corte d’appello non avrebbe percio’ considerato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui la perdita di chance integra una lesione del diritto all’integrita’ del patrimonio, per cui il danno patrimoniale avrebbe dovuto essere risarcito in via autonoma.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullita’ della sentenza o del procedimento in relazione agli articoli 99 e 112 c.p.c. e articolo 132 c.p.c., n. 4).
Il ricorrente contesta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la domanda volta al risarcimento del danno da lesione della capacita’ di lavoro sarebbe nuova, in quanto proposta per la prima volta in appello (la parte ammette, peraltro, che la Corte d’appello, pur ritenendo il motivo inammissibile, si e’ ugualmente pronunciata sulla richiesta, rigettandola in considerazione del ritenuto assorbimento del danno nel danno biologico). In primo grado, al contrario, egli aveva gia’ chiesto il risarcimento di ogni danno derivante dall’incidente, per cui in tale categoria avrebbe dovuto ritenersi compresa la lesione della chance derivante dalla perdita di un’occasione di lavoro, intesa come proiezione futura del danno da perdita della capacita’ lavorativa in concreto.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’articolo 2729 c.c..
La censura insiste sul problema del danno patrimoniale da lesione della capacita’ lavorativa. Ribadite le conclusioni del c.t.u. ed i principi elaborati dalla giurisprudenza sul danno da lucro cessante da intendersi come pregiudizio certo ed attuale seppure in proiezione futura, il ricorrente rileva che il danno puo’ essere provato anche con presunzioni. E poiche’, nella specie, si tratta di un’invalidita’ permanente nella misura del 25 per cento, si deve presumere che da simile invalidita’ necessariamente derivi una diminuzione della capacita’ di produrre reddito, con conseguente diritto al risarcimento del danno anche patrimoniale.
4. I primi tre motivi, benche’ tra loro differenti, sono da trattare congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione tra loro esistente; tutti e tre, infatti, ruotano intorno al medesimo problema, cioe’ quello della liquidazione del danno patrimoniale da perdita o diminuita capacita’ di lavoro.
4.1. Essi sono sotto alcuni profili inammissibili e, comunque, privi di fondamento.
4.2. Rileva innanzitutto il Collegio che la Corte d’appello, nel sottolineare la novita’ della domanda del (OMISSIS) volta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance lavorativa, ha osservato che tale danno non era stato “specificamente allegato in primo grado, ne’ peraltro provato”, perche’ l’appellante non aveva dimostrato di essere stato assunto in prova presso la societa’ (OMISSIS) e la relativa prova per testi, non ammessa in primo grado, non era stata nuovamente sollecitata in sede di precisazione delle conclusioni, “con cio’ intendendosi rinunciata”. Quest’ultima argomentazione del giudice di merito non e’ stata contestata nei motivi di ricorso odierno, per cui deve ritenersi non piu’ discutibile in questa sede.
D’altra parte, come si e’ detto, la Corte d’appello ha anche evidenziato come la censura svolta dal (OMISSIS) in ordine all’omessa liquidazione del danno da capacita’ lavorativa specifica era del tutto astratta, ne’ le censure in esame superano la ratio decidendi della sentenza impugnata. Ne risulta, percio’, priva di fondamento la doglianza del primo motivo di ricorso, almeno in relazione a questo profilo.
E’ invece inconferente la censura di cui al secondo motivo di ricorso, la’ dove il ricorrente contesta l’osservazione della Corte d’appello secondo cui la domanda volta al risarcimento del danno da lesione della capacita’ di lavoro sarebbe nuova. La doglianza, infatti, da un lato non adduce alcuna effettiva argomentazione che dimostri la tempestivita’ della domanda stessa; da un altro lato, si presenta contraddittoria, perche’ in sostanza ammette (p. 10 del ricorso) che la Corte d’appello si e’ pronunciata ugualmente su quella domanda, nonostante la rilevata sua tardivita’; ed e’ poi chiaramente infondata nella parte in cui sostiene che aver chiesto il risarcimento di ogni danno comporterebbe, ex se, anche la domanda di risarcimento del danno da lesione della capacita’ lavorativa specifica.
Vero e’, invece, e deve essere ulteriormente ribadito nella pronuncia odierna, che la domanda di risarcimento dei danni, sotto qualunque profilo venga proposta, deve essere delineata e puntualizzata con chiarezza; non e’ sufficiente, in altri termini, la generica richiesta di risarcimento di tutti i danni, sussistendo a carico della parte danneggiata l’onere di specificare al giudice quale danno venga concretamente richiesto e perche’, rimanendo altrimenti la domanda inevitabilmente generica.
4.3. Deve essere viceversa ulteriormente esaminata la censura, che e’ presente nei primi tre motivi di ricorso, con la quale il ricorrente chiede a questa Corte di stabilire se, pacifica essendo l’invalidita’ permanente da lui riportata in misura del 25 per cento a seguito dell’incidente, da simile elemento possa dedursi in via presuntiva la sussistenza sicura di una qualche diminuzione della capacita’ di produrre reddito intesa come proiezione futura del danno da perdita della capacita’ lavorativa in concreto.
Osserva la Corte, a questo proposito, che e’ esatta l’osservazione della Corte di merito secondo cui il danno da lesione della capacita’ lavorativa generica non attiene alla produzione del reddito e si risolve, quindi, in una lesione dell’integrita’ psico-fisica risarcibile a titolo di danno biologico. In tal senso si e’ gia’ pronunciata questa Corte con la sentenza 6 agosto 2004, n. 15187, ribadita dalla piu’ recente sentenza 25 agosto 2014, n. 18161.
A tali pronunce il ricorrente contrappone la sentenza 12 giugno 2015, n. 12211, nella quale questa Corte ha riconosciuto che in tema di danni alla persona, l’invalidita’ di gravita’ tale (nella specie, del 25 per cento) da non consentire alla vittima la possibilita’ di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non gia’ lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacita’ lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacita’ lavorativa generica. In questa pronuncia la Corte – dopo aver ribadito che “il danno da riduzione della capacita’ lavorativa generica non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia in una menomazione dell’integrita’ psico-fisica risarcibile quale danno biologico” – ha precisato che un’invalidita’ nella misura del 25 per cento integra una ipotesi di c.d. macropermanente. Tale situazione e’ fonte di un danno “che viene per converso in rilievo sotto il (differente) profilo dell’eventuale ulteriore danno patrimoniale derivante dalla riduzione della capacita’ lavorativa generica, in quanto per la sua entita’ l’invalidita’ non consente al danneggiato la possibilita’ di attendere (anche) ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali ed idonei alla produzione di fonti di reddito, oltre a quello specificamente prestato al momento del sinistro” (l’orientamento di questa decisione e’ stato ribadito anche dalle piu’ recenti ordinanze 14 novembre 2017, n. 26850, e 31 gennaio 2018, n. 2348, nelle quali si e’ detto che “l’elevata percentuale di invalidita’ permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacita’ lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue”, danno che puo’ essere liquidato in via equitativa).
Osserva la Corte che un grado di invalidita’ permanente come quella nella specie riportata dal ricorrente, pari appunto al 25 per cento, costituisce, in effetti, un caso limite, perche’ e’ ragionevolmente ritenere che essa avra’ inevitabili ripercussioni sul futuro della vita lavorativa della persona (il (OMISSIS) aveva trentadue anni nel momento in cui il sinistro si verifico’), nel senso che potrebbe tradursi in una lesione anche della capacita’ lavorativa generica. Di recente, infatti, questa Corte ha respinto il ricorso contro una sentenza di merito che, in presenza di una percentuale di invalidita’ pari a quella odierna, aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale futuro, incrementando tuttavia l’importo del risarcimento del danno biologico sotto il profilo della c.d. cenestesi lavorativa (cosi’ l’ordinanza 22 maggio 2018, n. 12572, in quel caso la danneggiata era una bambina).
Va rilevato, pero’, che il caso odierno e’ alquanto differente. Ed infatti la stessa relazione del c.t.u. – le cui conclusioni sono riportate nel ricorso – aveva concluso nel senso che per le limitazioni conseguenti alle fratture riportate dal Piccioni nel sinistro per cui e’ causa “qualsiasi attivita’ lavorativa operaia diventa usurante”. Ora dalla sentenza in esame e dal ricorso nulla e’ dato sapere con esattezza circa le attitudini lavorative della vittima e le sue condizioni personali e familiari; la sentenza, come si e’ visto, afferma che non e’ stata data alcuna prova certa sul punto. Quindi non puo’ ritenersi dimostrato che gli esiti ai quali ha fatto riferimento il c.t.u. siano davvero in grado di riflettersi negativamente sulla capacita’ di produzione del reddito da parte del ricorrente.
Allo stesso modo, il Collegio osserva che non e’ stata neppure posta una specifica domanda di risarcimento del danno da c.d. cenestesi lavorativa, che peraltro la giurisprudenza ha sempre considerato fonte di compromissione biologica dell’individuo, da liquidare in modo onnicomprensivo come danno alla salute (v. la sentenza 24 marzo 2004, n. 5840, e l’ordinanza 9 ottobre 2015, n. 20312). D’altra parte, la stessa sentenza di questa Corte richiamata in ricorso (n. 12211 del 2015) fa riferimento ad una percentuale di invalidita’ tale da non consentire lo svolgimento di lavori diversi da quello in atto; per cui il vuoto probatorio evidenziato dalla Corte d’appello rende infondata anche la doglianza relativa al mancato risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla elevata percentuale di invalidita’ permanente.
5. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullita’ della sentenza o del procedimento in relazione all’articolo 132 c.p.c., n. 4).
Il ricorrente premette che il proprietario della moto da lui condotta (tale (OMISSIS)) aveva promosso un autonomo giudizio, davanti al Giudice di pace di Catania, per il risarcimento dei danni derivati al mezzo. In quel giudizio era stata riconosciuta a carico del Piccioni una percentuale di responsabilita’ nella misura del 10 per cento, e quella sentenza sarebbe passata in giudicato. Non sarebbe chiaro, quindi, “il processo logico” che ha condotto la Corte d’appello ad una diversa conclusione, riconoscendo a suo carico una percentuale di responsabilita’ del 20 per cento; e sarebbe comunque errata l’affermazione secondo cui quella sentenza non era ancora passata in giudicato.
5.1. Il motivo non e’ fondato.
Va innanzitutto osservato che la censura, cosi’ come proposta, non trova riscontro nella motivazione della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto di non essere vincolata dalla decisione assunta nell’altro giudizio per la semplice ragione che quest’ultima non era passata in giudicato; per cui non e’ corretto affermare che non sarebbe chiaro il processo logico seguito dalla Corte di merito.
Fatta simile premessa, ed anche dando per scontato che la sentenza pronunciata nell’altro giudizio sia nel frattempo passata in giudicato, il problema posto all’esame della Corte consiste nello stabilire se quel giudicato abbia o meno effetti vincolanti in quello odierno.
La risposta e’ negativa. Nel caso in esame, infatti, dal medesimo sinistro stradale sono nati due diversi giudizi: l’uno promosso dal proprietario della moto condotta dal (OMISSIS), per il risarcimento dei danni al mezzo, incardinato davanti al giudice di pace; e l’altro, quello odierno, promosso dal conducente non proprietario per il risarcimento del danno alla sua persona. Com’e’ noto, l’articolo 2909 c.c. limita gli effetti del giudicato alle parti, ai loro eredi ed aventi causa, per cui il giudicato presuppone innanzitutto una identita’ delle parti. Com’e’ stato affermato nella sentenza 20 febbraio 2013, n. 4241, di questa Corte, in cui venne affrontato un problema simile (ma non identico) a quello oggi in esame, l’efficacia del giudicato maturatosi in un certo giudizio non puo’ essere invocata in relazione ad un giudizio al quale una delle parti (l’odierno ricorrente) certamente non ha partecipato. Nel caso in esame, poi, non solo i soggetti dei due giudizi sono, almeno in parte, diversi, perche’ il (OMISSIS) non ha partecipato all’altro giudizio, ma e’ diverso anche il petitum, perche’, come s’e’ detto, nell’uno si chiedeva il risarcimento dei danni riportati dal mezzo e nell’altro di quelli riportati dal conducente. Ne deriva che nessuna efficacia, neppure in termini di giudicato riflesso, puo’ determinarsi dall’esito dell’altro giudizio risarcitorio, per cui la Corte d’appello non era vincolata, nell’attribuzione delle rispettive percentuali di responsabilita’, alle percentuali gia’ fissate nell’altro giudizio. D’altra parte, questa Corte ha anche affermato, in una pronuncia piu’ recente, che la sentenza passata in giudicato puo’ avere un’efficacia riflessa nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al rapporto processuale, ma a condizione che si tratti di un diritto non autonomo o comunque subordinato a quello oggetto del precedente accertamento (sentenza 25 febbraio 2019, n. 5411); situazione che non ricorre nel caso in esame.
Ne consegue che la doglianza di cui al motivo in esame e’ priva di fondamento.
6. Il ricorso, pertanto, e’ rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.
Pur sussistendo le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, tale versamento non va disposto, essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Catania in data 7 marzo 2017.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.800, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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