Quando il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 11 gennaio 2019, n. 1141.

La massima estrapolata:

Il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto, o della mancata partecipazione dell’imputato alla sua realizzazione, mentre analogo effetto non scaturisce dalla pronuncia di assoluzione con altre formule, non essendo suscettibile di applicazione analogica la norma di cui all’articolo 652 c.p.p. per il suo contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile.

Sentenza 11 gennaio 2019, n. 1141

Data udienza 6 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente

Dott. DI PAOLA Sergio – rel. Consigliere

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/12/2015 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SALZANO Francesco che ha concluso chiedendo annullarsi con rinvio la sentenza impugnata;
Udito l’Avv. (OMISSIS) nell’interesse dell’imputata che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 22/12/2015, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS), in relazione al contestato delitto di cui all’articolo 646 c.p. ritenendo sussistente la causa di non punibilita’ ex articolo 649 c.p..
2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa della costituita parte civile; premessa l’ammissibilita’ in astratto dell’impugnazione proposta (per l’interesse della parte civile a non dover nuovamente assumere gli oneri probatori, gia’ assolti nel giudizio penale concluso con la sentenza impugnata, per dimostrare la responsabilita’ dell’imputata nell’instaurando giudizio civile), deduce con il primo motivo di ricorso, la violazione della legge penale, in riferimento agli articoli 2 e 3 c.p.p., per avere la sentenza violato il giudicato interno con riferimento all’applicabilita’ dell’articolo 649 c.p., questione gia’ valutata dal medesimo giudice nell’esame delle questioni preliminari al dibattimento. Risultava dagli atti del giudizio che sin dalle indagini preliminari era stata esclusa la sussistenza della condizione di non punibilita’ (con le ordinanze con cui erano state rigettate le richieste di archiviazione), decisione sostenuta anche dal giudice del dibattimento in sede di esame delle questioni preliminari al dibattimento; nessun nuovo elemento era sopraggiunto nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione di legge, in relazione agli articoli 307 e 649 c.p.; la sentenza aveva riconosciuto erroneamente il rapporto di affinita’ tra l’imputata e la querelante (nuora della prima) ignorando il dato della morte del coniuge della querelante, che aveva determinato la cessazione della qualita’ di affine.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2.1. Il perimetro delle impugnazioni consentite alla parte civile, in relazione alle sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, dev’ essere individuato attraverso la lettura sinottica delle disposizioni di cui all’articolo 568 c.p.p., comma 4, e articolo 576 c.p.p..
Il principio generale che richiede l’individuazione dell’interesse all’impugnazione, attraverso la verifica del risultato in concreto utile che la parte processuale puo’ conseguire mediante l’esercizio del diritto ad impugnare il provvedimento, impone di selezionare, tra le pronunce di proscioglimento, e tra esse anche fra quelle assolutorie, le sentenze che possono essere oggetto di appello o di ricorso proposti dalla parte civile (in mancanza di impugnazione da parte dell’ufficio del p.m.).
2.2. Nella prospettiva dell’esercizio dell’azione civile nel contesto del giudizio penale, l’interesse che fonda il diritto all’impugnazione della parte civile e’ quello di non veder pregiudicate, in ipotesi di pronunce assolutorie, le pretese al riconoscimento del fatto illecito e del diritto al risarcimento e alle restituzioni. Tale pregiudizio ricorre ove la sentenza di proscioglimento, mediante l’accertamento condotto nella fase del giudizio, abbia statuito sull’insussistenza degli elementi del fatto tipico, comuni alla struttura del fatto illecito che rappresenta la causa petendi dell’azione civile, ovvero abbia accertato l’esistenza di cause di esclusione della responsabilita’, riconosciute come tali anche in sede civile.
Ogni differente pronuncia, che non involga alcun giudizio su tali elementi della fattispecie, e che abbia acquisito autorita’ di cosa giudicata in sede penale per effetto della mancata impugnazione del pubblico ministero, non potra’ forma’re oggetto di appello”o di ricorso proposti “dalla parte civile, come nelle ipotesi in cui si tratti di pronunce dal contenuto meramente processuale (quali quelle relative all’insussistenza di condizioni di procedibilita’: “la parte civile e’ priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per improcedibilita’ dell’azione penale dovuta a difetto di querela, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneita’ ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell’azione civilistica”: Sez. 2, n. 19738 del 21/03/2018, Balbo, Rv. 272898, seguendo l’insegnamento di Sez. Unite, n. 35599 del 21/06/2012, Di Marco, Rv. 253242).
2.3. Il dato normativo di riferimento, per apprezzare la sussistenza del pregiudizio che la parte civile puo’ subire in conseguenza della pronuncia assolutoria, e’ rappresentato dall’articolo 652 c.p.p.; norma che, secondo il costante orientamento sia della giurisprudenza penale, che di quella civile, va interpretata nel senso che il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto, o della mancata partecipazione dell’imputato alla sua realizzazione, mentre analogo effetto non scaturisce dalla pronuncia di assoluzione con altre formule, non essendo suscettibile di applicazione analogica la norma di cui all’articolo 652 c.p.p. per il suo contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile (Cass. civ., sez. 3, 18-11-2014, n. 24475, in tema di sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale nei confronti di imputato minorenne; Cass. civ., sez. 3, 02-08-2004, n. 14770). Ad analoghe conclusioni si e’ giunti espressamente anche con riferimento alla sentenza di assoluzione per l’accertata sussistenza di una causa di non punibilita’ (Sez. 5, n. 11090 del 07/01/2015, Decarli, Rv. 263037, relativa ad una fattispecie di assoluzione pronunciata per il riconoscimento della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 599 c.p., “la quale, escludendo la punibilita’ dei reati di ingiuria e diffamazione, non ne esclude la natura di illecito civile e l’esistenza dell’obbligazione risarcitoria, ove ne sia derivato un danno, che puo’ essere fatta valere innanzi al giudice civile”).
2.4. La soluzione interpretativa adottata, era stata gia’ fatta propria dalla giurisprudenza di legittimita’, nel vigore del codice di rito del 1930, quando si era piu’ volte affermato che “anche a seguito delle sentenze n. 1 del 25 gennaio 1970 e n. 29 del 27 febbraio 1972 della Corte costituzionale, l’impugnazione della parte civile deve ritenersi inammissibile per difetto di interesse quando l’imputato sia stato assolto perche’ il fatto non costituisce reato o per una causa soggettiva di non punibilita’ o per insufficienza di prove sull’elemento psicologico o per una causa di improcedibilita’ ovvero per una causa sopravvenuta di estinzione del reato. Invero, le suddette formule di assoluzione non pregiudicano gli interessi della parte civile, perche’ in questi casi l’articolo 25 c.p.p. non pone limitazioni all’esercizio dell’azione in sede civile. Viceversa, la parte civile ha il diritto di invocare la sostituzione della formula censurata con altra egualmente assolutoria, nel caso in cui l’imputato sia “stato assolto perche’ il fatto non sussiste o perche’ non l’ha commesso o per insufficienza di prove sul fatto o con altra formula totalmente preclusiva dell’ulteriore corso dell’azione civile (nella specie, per aver agito nell’esercizio di una facolta’ legittima)” (Sez. 5, n. 1877 del 18/12/1981, dep. 1982, Luchini, Rv. 152440).
2.5. L’impugnazione che contesti, come nella specie, l’erronea affermazione della sussistenza di una causa di non punibilita’, non e’ in grado di eliminare concreti pregiudizi alla parte civile impugnante; da quella pronuncia assolutoria, nel successivo giudizio civile, non discenderebbe alcun limite all’accertamento della sussistenza del fatto illecito e, quindi, del danno risarcibile ove siano provati i fatti costitutivi della domanda proposta.
Ne’ l’impugnazione non risulta sorretta da un interesse giuridicamente apprezzabile, in termini di vantaggio conseguibile dalla parte civile; l’accertamento contenuto nella sentenza oggetto di ricorso, come risulta dalla lettura del testo della decisione, e’ limitato alla verifica della sussistenza della causa di non punibilita’ ex articolo 649 c.p., senza che la decisione abbia dato conto di specifici accertamenti sulla sussistenza del fatto di reato e della sua attribuibilita’ all’imputato. Pertanto, anche ove dovesse risultare corretta la prospettazione giuridica della ricorrente, quanto all’insussistenza dei presupposti per ritenere operante la causa di non punibilita’ riconosciuta dalla sentenza del Tribunale, il contenuto della sentenza che dovesse riformare tale decisione non recherebbe alcun vantaggio concreto alla parte civile (su cui resterebbe l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi della domanda in sede civile, senza alcun ausilio derivante dall’avvenuta costituzione nel giudizio penale).
3. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Avv. Renato D’Isa

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