Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 10 dicembre 2018, n. 55231.

La massima estrapolata:

Il Gip che autorizza l’intercettazione, o la proroga dell’attività captativa, non si limita ad un intervento di natura formale o comunque estraneo all’oggetto dell’imputazione, né si limita a “conoscere” il contenuto degli atti procedimentali acquisiti a sostegno di un’ipotesi accusatoria, ma è tenuto ad una delibazione delle risultanze allegate a sostegno della richiesta, in funzione valutativa della configurabilità, su quelle basi, di gravi (o sufficienti) indizi del reato ipotizzato dal Pm richiedente.

Sentenza 10 dicembre 2018, n. 55231

Data udienza 28 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO D. – Presidente

Dott. DI PAOLA Sergi – Consigliere

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere

Dott. DE SANTIS Anna – Consigliere

Dott. PAZIENZA – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
3) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa in data 18/07/2018 dalla Corte d’Appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vittorio Pazienza;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PERELLI Simone, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti ad altra Sezione della Corte d’Appello per l’ulteriore corso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/07/2018, la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato le istanze di ricusazione proposte da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti del G.u.p. dr. (OMISSIS), avendo quest’ultimo svolto – nel medesimo procedimento a loro carico funzioni anche di G.i.p., in particolare emettendo alcuni decreti di proroga delle intercettazioni telefoniche in corso, in accoglimento di richieste fondate su atti della Squadra Mobile di (OMISSIS) nei quali si faceva espresso riferimento ai predetti indagati.
2. Ricorrono per cassazione il (OMISSIS), la (OMISSIS) e il (OMISSIS), a mezzo dei propri difensori, deducendo, con argomentazioni sostanzialmente analoghe, violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1. Si lamenta in primo luogo la non corretta interpretazione dei motivi di ricorso nella parte in cui era stata dedotta l’incompatibilita’ funzionale del giudicante a tenere l’udienza preliminare, avendo svolto funzioni di G.i.p.: incompatibilita’ prevista dall’articolo 34 c.p.p., comma 2 bis, che nei commi successivi enuncia alcune ipotesi di deroga, che devono essere interpretate tassativamente: deve quindi escludersi la possibilita’ di inserire, tra le situazioni con implicanti incompatibilita’ a tenere l’udienza preliminare, l’adozione di provvedimenti autorizzativi o di proroga delle intercettazioni telefoniche o ambientali.
2.2. Si censura inoltre la motivazione dell’ordinanza nella parte in cui aveva escluso che il G.i.p., nei provvedimenti di proroga, avesse valutato il compendio indiziario offerto a sostegno delle richieste. Nel ribadire l’illegittimita’ di un’interpretazione volta ad inserire la situazione in discorso tra quelle derogatorie dell’incompatibilita’ funzionale, i ricorrenti evidenziano l’illogicita’ della tesi per cui il G.i.p., nel verificare la permanenza degli indizi di reato legittimanti l’attivita’ captativa e il rispetto dei presupposti normativi necessari per una legittima compressione di diritti di rilievo costituzionale, non abbia espresso considerazioni di merito. Nella specie, al contrario, nei provvedimenti di proroga era stata integralmente condivisa la prospettazione di fatti che, ovviamente, devono essere valutati in sede di udienza preliminare e di giudizio abbreviato.
3. Con requisitoria del 18/10/2018, il Procuratore Generale ha sollecitato l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, condividendo l’impostazione del ricorso quanto alla natura tassativa delle eccezioni previste, nell’articolo 34 c.p.p., commi 2 ter e 2 quater, alla incompatibilita’ funzionale contemplata nel comma 2 bis, del medesimo articolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso proposto in ciascuna delle odierne impugnazioni (che possono quindi essere qui trattate congiuntamente) e’ fondato.
2. Le censure dei ricorrenti, di tenore sostanzialmente sovrapponibile, hanno ad oggetto il percorso motivazionale compiuto dalla Corte d’Appello di Palermo nel rigettare le reiezione delle istanze di ricusazione del G.u.p. dr. (OMISSIS), formulate deducendo la sussistenza di una delle situazioni di incompatibilita’ previste dall’articolo 34 c.p.p., comma 2 bis, ai sensi del quale il giudice che, nel medesimo procedimento, ha esercitato funzione di giudice per le indagini preliminare non puo’ – tra l’altro – tenere l’udienza preliminare. In particolare, l’incompatibilita’ del dr. (OMISSIS) a tenere l’udienza preliminare trae origine – nella prospettiva dei ricorrenti – dal fatto che il predetto magistrato ha, nel corso delle indagini preliminari, emesso alcuni decreti di proroga delle intercettazioni telefoniche, motivati aderendo alle note della Squadra Mobile di (OMISSIS) (poste a base delle richieste di proroga del P.M.) che, tra l’altro, facevano espresso riferimento alla posizione dei ricorrenti.
Nella piu’ recente giurisprudenza di legittimita’, la portata applicativa di tale disposizione, con riguardo ai provvedimenti emessi dal G.i.p., nel medesimo procedimento, in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, e’ stata oggetto di soluzioni interpretative divergenti (nella diversa ipotesi di decreti emessi in altro procedimento, a carico di soggetti diversi dall’imputato ricusante, l’incompatibilita’ e’ stata esclusa da una recente decisione: cfr. Sez. 5, Sentenza n. 11982 del 07/12/2017, dep. 2018, Di Marco, Rv. 272662).
2.1. Secondo un primo indirizzo – espresso dalla Sesta Sezione di questa Suprema Corte e fatto proprio anche dal provvedimento della Corte d’Appello impugnato dai ricorrenti – l’incompatibilita’ in questione deve essere esclusa nelle ipotesi in cui il G.i.p. si sia limitato ad emettere decreti di proroga di intercettazioni telefoniche gia’ autorizzate, o a convalidare l’attivita’ captativa disposta in via d’urgenza dal P.M.: dovendo la predetta incompatibilita’ essere ravvisata “solo con riferimento ad attivita’ e provvedimenti di natura giurisdizionale di carattere decisorio”, ed esclusa, invece, “in relazione a provvedimenti che non incidono sul merito delle questioni oggetto del giudizio e cio’ in ragione della finalita’ della causa di incompatibilita’ tra G.i.p. e G.u.p. che e’ quella della configurazione del G.u.p. come giudice terzo e quindi privo della conoscenza di atti in precedenza compiuti” (Sez. 6, n. 41776 del 05/07/2017, Di Giovanni). Tale decisione ha richiamato – a sostegno dell’insussistenza dell’incompatibilita’ per l’asserita mancanza, nei provvedimenti di proroga, di qualsiasi valutazione nel merito – altro precedente arresto (Sez. 1, n. 27838 del 08/04/2013, Iozzi, Rv. 256074), peraltro relativo ad una fattispecie diversa da quella che qui interessa, come avvertito dalla stessa sentenza Di Giovanni (era stata dedotta, in quel procedimento, la nullita’ del provvedimento emesso dal Tribunale del Riesame composto anche dal giudice che, in quel procedimento, aveva in precedenza autorizzato la proroga delle intercettazioni telefoniche).
2.2. In una diversa prospettiva, sostenuta dalla medesima Sezione in composizione parzialmente diversa e fatta propria dal P.G. nella propria requisitoria, si e’ invece sostenuto che l’incompatibilita’ a tenere l’udienza preliminare, prevista dall’articolo 34 per chi ha svolto funzione di G.i.p., trova eccezione unicamente nelle ipotesi previste nei commi successivi del medesimo articolo 34: “si tratta di norme rigide, frutto di successivi interventi legislativi e caratterizzate dalla specificita’ e chiarezza dei riferimenti, alle quali l’interprete non puo’ aggiungere in via analogica elementi ulteriori” (Sez. 6, n. 44687 del 09/07/2015, Lamberti, che, muovendo da tali presupposti ermeneutici, ha ritenuto incompatibile a tenere l’udienza preliminare il magistrato che, nel medesimo procedimento, aveva proceduto agli adempimenti di cui all’articolo 268 c.p.p., comma 6, ovvero all’acquisizione delle conversazioni indicate dalle parti indicate dalle parti e ritenute non manifestamente irrilevanti).
3. Ritiene il Collegio che debba darsi seguito al secondo indirizzo interpretativo, per la sua maggiore aderenza all’assetto normativo delineato dai plurimi interventi del legislatore succedutisi, a partire dal 1998, sull’articolo 34 c.p.p..
3.1. Com’e’ noto, la portata applicativa della incompatibilita’ delineata dall’articolo 34, comma 2, (che precludeva, in origine, solo la partecipazione al giudizio del giudice che aveva emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, il decreto di giudizio immediato, il decreto penale di condanna, ovvero che aveva deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere) e’ stata oggetto di numerosi interventi additivi della Corte costituzionale, soprattutto nei primi anni dall’entrata in vigore del codice Vassalli.
Nell’ovvia impossibilita’ di ripercorrere in questa sede le tappe di tale evoluzione, ci si limita qui a ricordare che le decisioni della Consulta hanno individuato una serie di ulteriori ipotesi di incompatibilita’, in buona parte riconducibili a provvedimenti adottati dal giudice per le indagini preliminari, ritenuti “pregiudicanti” – non solo in relazione al giudizio dibattimentale, ma anche alla definizione del procedimento con i riti alternativi – perche’ connotati da una significativa “pregnanza contenutistica”, e non meramente formale, della valutazione operata (basti qui richiamare le sentenze concernenti il rigetto dell’istanza di patteggiamento, l’ordine di formulazione dell’imputazione coatta, il rigetto della domanda di oblazione per la diversita’ del fatto, l’applicazione di misure personali).
3.2. Altrettanto noto e’ il fatto che, dinanzi ai ripetuti interventi additivi della Corte costituzionale, il legislatore ha fissato – in sede di istituzione del giudice unico di primo grado – il principio della “alterita’ soggettiva” tra giudice per le indagini preliminari e giudice dell’udienza preliminare, operando in una duplice direzione.
Da un lato, su un piano strettamente ordinamentale, il Decreto Legislativo n. 51 del 1998, ha modificato l’articolo 7 ter ord. giud., introducendo – nel quadro dei criteri obiettivi e predeterminati per l’assegnazione degli affari al G.i.p. – l’obbligo della “designazione di un giudice diverso per lo svolgimento delle funzioni di giudice dell’udienza preliminare”.
D’altro lato, il principio dell’alterita’ tra G.i.p. e G.u.p. e’ stato stabilito dal legislatore del 1998 anche all’interno del processo, attraverso appunto l’introduzione, all’articolo 34 c.p.p., comma 2 bis, dell’incompatibilita’ a tenere l’udienza preliminare (oltre che ad emettere il decreto penale di condanna e a partecipare al giudizio, anche fuori dei casi di cui al comma 2) del giudice che, nel medesimo procedimento, ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari.
3.3. La drastica scelta legislativa di non ricorrere a criteri “casistici” nell’individuazione dell’incompatibilita’, ma di optare seccamente per la necessaria “alterita’ soggettiva” tra G.i.p. e G.u.p. (con conseguente rinuncia alla verifica, in concreto, dell’effettivo carattere “pregiudicante” dell’attivita’ anteriormente svolta in funzione di G.i.p.), era stata apprezzata in dottrina perche’ “soprattutto faceva chiarezza, semplificando, almeno in parte, il quadro frastagliato e pur sempre inevitabilmente “aperto” risultante dalla giurisprudenza costituzionale”.
Peraltro, l’assolutezza di quella scelta ha ben presto indotto il legislatore ad intervenire ulteriormente, temperandone il rigore attraverso l’individuazione di alcune ipotesi di deroga all’incompatibilita’ “funzionale” delineata dall’articolo 34, comma 2 bis.
In particolare, ai sensi del comma 2 ter, del predetto articolo (introdotto dalla L. n. 479 del 1999, e modificato dalla L. n. 95 del 2004), le incompatibilita’ previste dal comma 2 bis, non si applicano al giudice che, nel medesimo procedimento, ha emesso i provvedimenti previsti da specifiche disposizioni in tema di ordinamento penitenziario (autorizzazioni sanitarie, permessi di colloquio, corrispondenza telefonica, controllo sulla corrispondenza, permessi), ovvero provvedimenti di restituzione nel termine ex articolo 175 c.p.p., o di dichiarazione della latitanza ex articolo 296 dello stesso codice.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 34, comma 2 quater, (introdotto dal Decreto Legge n. 82 del 2000, conv. con mod. dalla L. n. 144 del 2000), le disposizioni del comma 2 bis, non si applicano al giudice che, nel medesimo procedimento, ha adottato uno dei provvedimenti previsti dalle disposizioni in tema di incidente probatorio.
Si e’ osservato, in dottrina, che le fattispecie di deroga all’operativita’ del comma 2-bis appaiono accomunate “dall’assenza, nelle corrispondenti decisioni; di qualsivoglia coefficiente di valutazione contenutistica dell’ipotesi accusatoria”. Tale connotazione, di intuitiva evidenza quanto alle ipotesi individuate dal comma 2-ter dell’articolo 34, puo’ dirsi riscontrabile anche nella deroga all’incompatibilita’ correlata all’adozione di provvedimenti in sede di incidente probatorio: nel valutare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della relativa richiesta (articolo 398 c.p.p.), nell’adottare i provvedimenti necessari all’espletamento dell’incidente (articoli 399 e 400) e nella stessa assunzione della prova in contraddittorio (articolo 401), l’attivita’ del giudice risulta priva di momenti valutativi in ordine all’intrinseca configurabilita’ e consistenza dell’ipotesi accusatoria, essendo funzionale unicamente all’assicurazione della prova in vista della fase dibattimentale.
Il quadro fin qui delineato trova riscontro in una decisione della Corte costituzionale (sent. n. 153 del 21 giugno 2012), secondo cui l’articolo 23, comma 2 bis, “sancisce, in termini generali, l’incompatibilita’ alla funzione di giudizio (oltre che alla funzione di giudice dell’udienza preliminare o all’emissione del decreto penale di condanna) del magistrato che, nel medesimo procedimento, abbia esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari, fatta eccezione per le ipotesi in cui si sia limitato ad assumere uno dei provvedimenti (di marginale rilievo o anticipatori dell’istruzione dibattimentale) specificamente elencati nei successivi commi 2 ter e 2 quater. Con tale disposizione – come emerge dalla relazione al Decreto Legislativo n. 51 del 1998 – il legislatore ha inteso recepire le numerose dichiarazioni di illegittimita’ costituzionale pronunciate in precedenza da questa Corte in tema di incompatibilita’ del giudice per le indagini preliminari (…) accorpandole in una previsione unitaria di piu’ immediata leggibilita’, che peraltro ne supera l’ambito con la configurazione di una incompatibilita’ di tipo “funzionale”, nella precipua prospettiva di prevenire ulteriori pronunce del medesimo segno” (cfr. § 4 del “Considerato in diritto”).
4. Tale assetto normativo induce a ritenere non condivisibile l’orientamento interpretativo accolto nell’ordinanza impugnata, che attribuisce un pregiudiziale quanto dirimente rilievo, per l’affermazione dell’incompatibilita’ del giudice a tenere l’udienza preliminare ai sensi dell’articolo 34, comma 2 bis, alla verifica del carattere decisorio, con incidenza nel merito, del provvedimento adottato da quel magistrato in funzione di giudice per le indagini preliminari (cfr. Sez. 6, n. 41776 del 2017, cit.).
Se e’ vero infatti che tale criterio ha concorso a guidare il percorso compiuto dalla Consulta, con le richiamate sentenze dichiarative della illegittimita’ costituzionale dell’articolo 34 (cfr. supra, § 3.1.), altrettanto vero e’ che la scelta legislativa seguita a quel percorso – con la quale l’indirizzo qui avversato non sembra confrontarsi compiutamente – e’ stata quella di recepire quelle decisioni, ma al contempo di superare la prospettiva “casistica” conseguente ai plurimi interventi della Corte costituzionale: si e’ infatti optato per la configurazione, al comma 2-bis dell’articolo 34, di una incompatibilita’ direttamente correlata alla funzione esercitata dal giudice (non a caso definita “incompatibilita’ di tipo funzionale” dalla sentenza n. 153 del 2012), peraltro successivamente mitigata dalle ipotesi derogatorie specificamente indicate nell’articolo 34, commi 2 ter e 2 quater.
Sembra del resto opportuno porre in evidenza che, se davvero si dovesse espungere per via interpretativa, dal tenore apparentemente onnicomprensivo dell’incompatibilita’ delineata dall’articolo 34, comma 2 bis, tutti i provvedimenti del G.i.p. non implicanti una valutazione nel merito dell’ipotesi accusatoria, risulterebbe alquanto arduo comprendere il senso delle disposizioni derogatorie di cui ai commi 2 ter e 2 quater, essendo queste ultime accomunate – come gia’ osservato – proprio dall’assoluta assenza di aspetti valutativi della fondatezza dell’accusa. Si tratterebbe anzi di disposizioni totalmente superflue, in quanto l’insussistenza dell’incompatibilita’ sarebbe stata agevolmente ricavabile, pur in assenza dei commi 2 ter e 2 quater, facendo appunto leva sulla mancanza di contenuto valutativo (nel senso indicato) che caratterizza i provvedimenti di rimessione in termini, di dichiarazione di latitanza, di ammissione dell’incidente probatorio, di autorizzazione ai sensi degli articoli 11, 18, 18 ter e 30 ord. pen..
Al contrario, il senso e la finalita’ dell’introduzione dei predetti commi si coglie e si apprezza compiutamente laddove si consideri che il legislatore, con il loro inserimento, ha inteso temperare gli effetti della riforma, limitando la portata applicativa di una incompatibilita’ “funzionale” che il Decreto Legislativo n. 51 del 1998, aveva inteso delineate (come espressamente chiarito nella Relazione ministeriale) con caratteri di assolutezza.
5. Alla luce di quanto fin qui esposto, deve ritenersi, da un lato, che l’attivita’ di proroga delle intercettazioni svolta dal dr. (OMISSIS) nel procedimento a carico dei ricorrenti rientri appieno nell’esercizio della funzione di giudice per le indagini preliminari, presa in considerazione dall’articolo 34, comma 2 bis, quale situazione di incompatibilita’ a tenere l’udienza preliminare; d’altro lato, risulta del tutto evidente che la predetta attivita’ non sia riconducibile ad alcuna delle ipotesi derogatorie contemplate dai commi 2 ter e 2 quater, dello stesso articolo.
E’ necessario chiedersi se tali previsioni siano suscettibili di interpretazione analogica, o se sia comunque possibile individuare – pur nel silenzio del legislatore – ulteriori ipotesi in cui all’adozione di provvedimenti in funzione di G.i.p. non consegua l’incompatibilita’ di quel magistrato a tenere l’udienza preliminare, ad emettere il decreto penale di condanna, a partecipare al giudizio.
A tale quesito, i ricorrenti e lo stesso Procuratore Generale hanno risposto in senso negativo, argomentando anzitutto dal divieto previsto dall’articolo 14 preleggi; anche la sentenza Lamberti ha escluso la possibilita’ di estensioni per via interpretativa, sottolineando il carattere rigido delle disposizioni e la specificita’ e chiarezza dei riferimenti operati dalle norme derogatorie.
Al riguardo, deve osservarsi che, anche a voler ritenere superabile l’ostacolo rappresentato dall’articolo 14 preleggi, e a voler concordare quindi con l’impostazione dottrinale e giurisprudenziale favorevole ad integrare il “catalogo” delle deroghe all’incompatibilita’, per esigenze di ragionevolezza correlate alla incompletezza del catalogo stesso, non potrebbe che aversi riguardo – per intuitive ragioni di carattere sistematico – alle sole ipotesi pienamente assimilabili a quelle individuate dal codice: ovvero, come sottolineato in dottrina, ai soli “casi che davvero non pongano in dubbio l’effettiva assenza di apprezzamenti contenutistici”.
In tale prospettiva e’ stata appunto esclusa, in giurisprudenza, l’incompatibilita’ a partecipare al giudizio dibattimentale del magistrato “che abbia esercitato, nel medesimo procedimento, le funzioni di G.i.p., conferendo un incarico peritale per la verifica, ai sensi dell’articolo 299 c.p.p., comma 4 ter, della compatibilita’ delle condizioni di salute di un coindagato con il regime custodiale carcerario” (Sez. 6, n. 18525 del 26/04/2012, De Stefano, Rv. 252717. Sulla possibilita’ di escludere l’incompatibilita’ ex articolo 34 comma 2 bis, estendendo ai provvedimenti effettivamente adottati dal giudice la medesima ratio sottesa alle ipotesi derogatorie previste dallo stesso articolo 34, commi 2 ter e 2 quater, cfr. anche Sez. 5, a n. 371 del 12/12/2007, dep. 2008, Ruffoni, Rv. 238336).
6. Appare peraltro superfluo, a questo Collegio, soffermarsi sull’impossibilita’ di ricondurre, in tale ambito di sostanziale omogeneita’ alle ipotesi codificate di deroga, i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche o ambientali, o di proroga dell’attivita’ captativa gia’ autorizzata, emessi dal G.i.p. nell’ambito del medesimo procedimento.
E’ noto infatti che, per legittimare la compressione di un diritto di rilievo anche costituzionale, quale quello alla segretezza delle comunicazioni, il G.i.p. e’ tenuto a verificare tra l’altro – alla luce degli elementi acquisiti e dedotti dal P.M. a sostegno della richiesta di intercettazione o di proroga – la sussistenza/persistenza di gravi indizi di reato (articolo 267 c.p.p.), ovvero, nelle ipotesi di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 13, di sufficienti indizi di reato. Trattasi, con ogni evidenza, di attivita’ non assimilabile in alcun modo alle ipotesi codificate di deroga all’incompatibilita’, proprio perche’ caratterizzata da una valutazione contenutistica dell’ipotesi accusatoria, operata nel medesimo procedimento (pur se al solo fine di autorizzare le captazioni, e pur se non necessariamente ancorata all’individuazione delle responsabilita’ di un determinato soggetto): ovvero proprio da quelle connotazioni che, invece, mancano totalmente nelle fattispecie elencate all’articolo 34, commi 2 ter e 2 quater.
In buona sostanza, il G.i.p. che autorizza l’intercettazione, o la proroga dell’attivita’ captativa, non si limita ad un intervento di natura formale o comunque estraneo all’oggetto dell’imputazione, ne’ si limita a “conoscere” il contenuto degli atti procedimentali acquisiti a sostegno di un’ipotesi accusatoria: egli e’ tenuto ad una delibazione delle risultanze allegate a sostegno della richiesta, in funzione squisitamente valutativa della configurabilita’, su quelle basi, di gravi (o sufficienti) indizi del reato ipotizzato dal P.M. richiedente. Ne’ puo’ dubitarsi dell’effettivo esercizio di tali attivita’ nella fattispecie in esame, avendo il dr. (OMISSIS) autorizzato la proroga delle intercettazioni con una motivazione per relationem al contenuto della richiesta del P.M. e delle note della Squadra Mobile di Palermo, nelle quali si fa – tra l’altro – espresso riferimento al (OMISSIS) (all. 1, 2, 3 al ricorso), alla (OMISSIS) (all. 1, 2) e al (OMISSIS) (all. 4, 5. Sulla legittimita’ di una motivazione per relationem del decreto di autorizzazione o di proroga, mediante il richiamo al provvedimento del pubblico ministero e alle note di polizia, con implicito giudizio di adesione ad essi, cfr. ad es. Sez. 1, n. 9764 del 10/02/2010, Femia, Rv. 246518).
7. Le considerazioni fin qui svolte rendono ultroneo l’esame delle ulteriori doglianze prospettate, imponendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, e la restituzione degli atti alla Corte d’Appello di Palermo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone la restituzione degli atti alla Corte d’Appello di Palermo.

Avv. Renato D’Isa

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