Reato di falso ideologico per il notaio

Corte di Cassazione, sezione penale, Sentenza 7 gennaio 2020, n. 209

Massima estrapolata:

Rischia il reato di falso ideologico il notaio che avalla la dichiarazione, resa falsamente da un donante nel contesto di un contratto di donazione, di essere titolare per usucapione di un terreno in realtà demaniale.

Sentenza 7 gennaio 2020, n. 209

Data udienza 21 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere

Dott. BORSELLINO Maria D. – rel. Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. DE PISA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 6 luglio 2019 dal Tribunale di Catania.
udita la relazione svolta dal Consigliere BORSELLINO MARIA DANIELA;
sentite le conclusioni del Procuratore generale Molino Pietro che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Catania sezione del riesame ha rigettato la richiesta ex articolo 309 c.p.p., presentata nell’interesse di (OMISSIS) e per l’effetto ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltagirone, con la quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’indagato, in quanto attinto da gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato punito dall’articolo 479 c.p..
Si addebita all’indagato di avere partecipato il 13 luglio 2016, nella veste di donatario, all’atto pubblico di donazione redatto dal notaio (OMISSIS), con cui veniva trasferita da (OMISSIS) ai figli la proprieta’ di oltre 500 ha di terreno agricolo del valore stimato di Euro 800.000, sul falso presupposto di esserne il titolare giusta usucapione, non rivestendo tale titolarita’ in quanto si trattava di terreni facenti parte del demanio agricolo della Regione Siciliana e pertanto non acquistabili per usucapione.
2. Avverso il detto provvedimento ricorre il Di Dio tramite il suo difensore deducendo: 2.1 Inosservanza ed erronea applicazione di legge penale in relazione all’articolo 479 c.p. e articolo 192 c.p.p., nonche’ mancanza contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione.
Il ricorrente lamenta in particolare che il tribunale nel ritenere sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di falso ideologico del pubblico ufficiale presuppone la compartecipazione nel reato del notaio rogante, ma non ha considerato l’intervenuta revoca della misura cautelare gia’ applicata nei confronti del notaio, disposta dal GIP del Tribunale di Caltagirone, e pur dando atto che anche i militari della Guardia di Finanza hanno verificato che le particelle di terreno oggetto della donazione risultavano prive di intestatario, mentre i terreni del demanio risultano indicati come tali nelle visure catastali, non ne ha tratto le dovute conseguenze.
Anche la particolarita’ dell’inserimento nell’atto del rogito della clausola risolutiva e’ frutto di una congettura del giudicante, ove si consideri che si tratta al contrario di una clausola normalmente inserita nei contratti in cui una parte si dichiara possessore uti dominus da oltre un ventennio.
Il tribunale non avrebbe inoltre risposto alle osservazioni della difesa, che ha sottolineato l’inverosimiglianza della prospettazione accusatoria in merito alla consapevolezza da parte del notaio della titolarita’ demaniale dei beni oggetto dell’atto, che, una volta accertata, avrebbe esposto le parti e anche l’ufficiale rogante a conseguenze pregiudizievoli. Non va poi trascurato che nel motivare la revoca della misura interdittiva gia’ applicata al notaio, il GIP ha evidenziato che questi aveva proceduto ad una serie di controlli propedeutici, che il tribunale del riesame non ha ritenuto idonei a scalfire il quadro indiziario a carico degli indagati.
2.2 Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari che nel caso di specie sono state motivate per relationem rispetto ad altra misura cautelare applicata per fatti del tutto inconferenti con quelli contestati nel presente procedimento, mentre avrebbero dovuto essere valutate in relazione alla vicenda in esame.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
In punto di diritto va rilevato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’articolo 192 c.p.p.) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Pertanto ai fini dell’adozione di una misura cautelare e’ sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilita’ sulla responsabilita’ dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’articolo 192 c.p.p., comma 2, come si desume dell’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, che richiama l’articolo 192 citato, commi 3 e 4, ma non il comma 2 dello stesso articolo, che richiede una particolare qualificazione degli indizi.
Inoltre va sottolineato che il ricorso per cassazione il quale deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e assenza delle esigenze cautelari e’ ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando, come nel caso di specie, propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, vero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.
Nel caso in oggetto nessuno di questi vizi – violazione di legge o vizio di motivazione rilevante ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e – risulta essersi verificato, a fronte di una motivazione diffusamente prospettata in modo logico, senza irragionevolezza, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
I giudici del riesame hanno ricostruito la condotta delittuosa del ricorrente attraverso un compendio indiziario, connotato della necessaria gravita’, evidenziando che dagli accertamenti espletati dai militari della Guardia di Finanza sui vecchi registri catastali e immobiliari si e’ appurato che i fondi oggetto della donazione erano del demanio della Regione siciliana e tale titolarita’ sarebbe stata non difficilmente accertabile da parte dell’ufficiale rogante e comunque era ben nota al donante, che non poteva ignorare di non essere titolare del diritto di proprieta’ sui fondi oggetto dell’atto di donazione. Il tribunale ha valorizzato alcune circostanze a sostegno della piena consapevolezza da parte del donante e dell’indagato, figlio e donatario, della falsita’ dell’atto e tra queste la particolare estensione dei fondi stessi; la loro natura boschiva e impervia; la loro collocazione al confine con l’ente Parco; l’inserimento di una peculiare clausola risolutiva nell’ambito dell’atto di rogito; la circostanza che le verifiche prodotte dalla difesa risultano tutte effettuate in epoca successiva all’atto e non in epoca anteriore; la mancata indicazione nella nota di trascrizione della dichiarata usucapione da parte del soggetto donante.
Ma soprattutto il ricorrente trascura di considerare il tenore inequivoco delle intercettazioni e in particolare la conversazione registrata il 6 dicembre 2017, da cui si evince la particolare gratitudine dell’indagato e del fratello nei confronti del notaio per avere acconsentito a stipulare questo particolare di tipo di atto, e le altre conversazioni registrate nell’estate del 2017 da cui si evince che altri due notai interpellati per porre in essere atti analoghi avevano respinto la richiesta.
Il tribunale ha poi valorizzato la circostanza che le dette particelle risultavano prive di intestatario, il che avrebbe dovuto indurre il pubblico ufficiale a ritenere la natura demaniale dei beni, poiche’ nel nostro ordinamento non esistono beni immobili di nessuno ma o appartengono a un privato o vengono di diritto acquisiti al patrimonio dello Stato. In conclusione il tribunale ha reso motivazione ampia ed esaustiva che non si presta alle censure avanzate dalla difesa.
2. Anche il secondo motivo di ricorso relativo alle esigenze cautelari e’ generico poiche’ non si confronta con l’articolata motivazione resa dal tribunale, che ha valorizzato l’inserimento del reato oggetto di contestazione nell’ambito di una complessa attivita’ posta in essere dalla famiglia (OMISSIS) che, attraverso la fittizia intestazione di terreni e mediante fittizi contratti di locazione a favore di aziende riconducibile agli stessi indagati, ha consentito al sodalizio di stampo mafioso operante nel territorio di usufruire di contributi comunitari ottenuti illecitamente dalla AGEA, facendo apparire la titolarita’ di numerose particelle di terreno su cui si svolgevano attivita’ agricole. Ed invero il giudizio sulla pericolosita’ sociale non puo’ essere scisso dalla valutazione complessiva del modus operandi del ricorrente, che e’ stato sottoposto dal GIP di Caltanissetta alla misura della custodia cautelare in carcere, in quanto attinto da indizi in ordine al delitto di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso ed ancora per due truffe aggravate.
Il tribunale ha anche sottolineato il concreto rischio di recidiva in relazione allo specifico reato contestato, rilevando che dalle intercettazioni risulta che negli anni successivi al rogito l’indagato si e’ adoperato per la stipula di atti del medesimo tenore e in una conversazione del 20 dicembre 2017 i due fratelli (OMISSIS) si ripromettevano di stipulare atti del genere per milioni di ettari.
Il ricorrente non si confronta con questa parte della motivazione, limitandosi a censurare in modo estremamente generico soltanto alcuni degli elementi su cui si fonda il giudizio di pericolosita’.
Si impone pertanto la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso in esame, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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