Corte di Cassazione, penale, Sentenza|3 agosto 2021| n. 30232.
Falsità ideologica in certificati.
In caso di dichiarazione di fine lavori a firma del committente e del progettista che attesti la conformità dei lavori eseguiti al progetto approvato, non è configurabile il reato di falsità ideologica in certificati, non potendosi tale dichiarazione qualificare come certificato, in mancanza di una specifica norma giuridica che attribuisca a tale atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato.
Sentenza|3 agosto 2021| n. 30232. Falsità ideologica in certificati
Data udienza 7 luglio 2021
Integrale
Tag – parola: Reati edilizi – Configurabilità – Interventi edilizi eseguiti in assenza o totale difformità dalla V.I.A.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente
Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere
Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere
Dott. CENCI Daniele – Consigliere
Dott. DAWAN Daniela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/04/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TASSONE KATE, che ha concluso per il rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS) e per l’accoglimento del ricorso proposto da (OMISSIS) in relazione ai motivi 8 e 11 e per il rigetto nel resto;
udito il difensore Avv. (OMISSIS), del foro di MILANO e (OMISSIS), del foro di MILANO in difesa di (OMISSIS), che illustrando i motivi del ricorso hanno concluso per l’accoglimento;
udito il difensore Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), che illustrando i motivi del ricorso ha concluso per l’accoglimento;
udito l’Avv. (OMISSIS), del foro di MONZA in difesa della parte civile (OMISSIS), che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilita’ dei ricorsi, e la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 29/09/2017, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 9/02/2016 nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per la contravvenzione urbanistica di cui al capo c), perche’ estinta per prescrizione; aveva, poi, confermato la condanna per i delitti ex articoli 481 e 489 c.p. di cui ai capi b) e d), rideterminando la pena inflitta agli imputati in un anno di reclusione.
2. La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 15777 del 21/02/2018, aveva annullato con rinvio la predetta sentenza di appello, tra l’altro con la seguente motivazione: “Fra i motivi di appello che assumono particolare rilevanza, vi sono quelli delle difese di (OMISSIS) e (OMISSIS) nei quali si rappresenta che la d.i.a. del 17 settembre 2007 fu presentata per l’esecuzione di opere che nella stessa d.i.a. (cfr. la relazione tecnica sottoscritta dal (OMISSIS)) sono definite di ristrutturazione: la valutazione di tale circostanza di fatto, che emerge dagli atti allegati dalla difesa (OMISSIS), e’ stata totalmente omessa dalla Corte di appello di Milano. Occorrera’ valutare, nel giudizio di rinvio, i lavori in concreto svolti e quelli descritti nelle d.i.a., tenuto conto che la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) consente in astratto i lavori di ristrutturazione edilizia, compresi quelli di demolizione totale e ricostruzione, nonche’ quelli di ripristino di parte di edifici demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche’ sia possibile accertarne la preesistente consistenza; sicche’ il reato sussiste se gli interventi edilizi siano stati eseguiti in assenza o in totale difformita’ dalla d.i.a. Va inoltre rilevato che nella parte riferita al reato di falso ex articolo 481 c.p. la Corte di appello fa riferimento all’aumento leggero di volumetria riferito dal teste (OMISSIS); lo stesso teste pero’, cfr. all. 1 del ricorso (OMISSIS), ha anche riferito che la demolizione e la ricostruzione parziale dell’edificio non ne ha modificato la sagoma. Si tratta questo di un passaggio rilevante la cui valutazione e’ stata del tutto omessa dalla Corte di appello di Milano e che incide per altro anche sulla motivazione del falso. Quanto al capo b) relativo alla falsita’ ideologica delle d.i.a., sono fondati il terzo e quarto motivo del ricorso (OMISSIS), rimanendo assorbiti i motivi quinto e sesto da tale accoglimento, ed il primo ed il secondo motivo del ricorso (OMISSIS), in ordine alle deduzioni sulle testimonianze (OMISSIS) e (OMISSIS), rimanendo assorbito il terzo motivo nell’accoglimento dei primi due. Per la Corte di appello di Milano l’oggetto del falso, per come descritto in sentenza, e’ il non aver evidenziato l’avvenuta demolizione e la ricostruzione nelle d.i.a. Deve pero’ rilevarsi che ne’ nella sentenza di primo grado ne’ nella sentenza di appello si indica quando la demolizione e la ricostruzione sarebbero avvenute, se cioe’ siano avvenute prima o dopo la presentazione delle d.i.a. succedutesi nel tempo: sicche’ effettivamente e’ del tutto incerto se e quale d.i.a. avrebbe dovuto descrivere anche tali circostanze di fatto. Va poi rilevato che la rilevanza del falso e’ collegata all’esecuzione di opere di ristrutturazione edilizia senza considerare, come prima indicato, il rapporto la presentazione della d.i.a. per ristrutturazione e la sussistenza di un titolo astrattamente idoneo alla realizzazione delle opere. Come correttamente osservato dalle difese (ricorso (OMISSIS) e appello (OMISSIS)), la sussistenza del divieto da parte della legge regionale della Lombardia di procedere al recupero a fini abitativi dei sottotetti anche mediante ripristino di parte di edifici demoliti non puo’ essere assunto mediante il contenuto dell’esame del teste (OMISSIS), riportato in sentenza, ma mediante l’analisi della Legge Regionale Lombardia n. 12 del 2005, articoli 63 e ss.. Tali artt., oltre a qualificare il recupero a fini abitativi dei sottotetti quale ristrutturazione edilizia, non prevedono infatti tale divieto. Dunque, lo specifico motivo dell’appello (OMISSIS) sul punto non e’ stato esaminato, con sussistenza anche del vizio della motivazione dedotto con il ricorso (OMISSIS)”.
3. La Corte di Appello di Milano, quale giudice del rinvio, con la sentenza in epigrafe, con specifico riguardo agli imputati qui ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado assolvendo gli imputati dalla contravvenzione di cui al capo c) perche’ il fatto non sussiste, dal reato di cui al capo b) in relazione alla d.i.a. del 20 settembre 2010 e del 13 ottobre 2010 perche’ il fatto non sussiste, ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo b) in riferimento al fatto del 17 novembre 2010 perche’ estinto per prescrizione, ed ha quindi rideterminato la pena confermando le statuizioni civili.
4. Ricorre per cassazione (OMISSIS) deducendo, con il primo motivo, motivazione apparente e in parte contraddittoria nonche’ violazione dell’articolo 627 c.p.p. in relazione alle indicazioni fornite dalla sentenza di annullamento. La Corte di Appello ha ritenuto sussistente il reato per la d.i.a. del 17 novembre 2010 e per la dichiarazione di fine lavori del (OMISSIS). Con riferimento alla d.i.a., la Corte la prende in considerazione come ultimo momento utile per l’indicazione dell’opera edilizia che gli imputati avevano intenzione di realizzare ma, non ottemperando a quanto richiesto dalla Corte di Cassazione, i giudici hanno omesso di accertare quando l’opera di demolizione sia stata effettivamente eseguita; la sentenza di annullamento aveva richiesto che fosse individuato il momento in cui la demolizione e ricostruzione erano avvenute, al fine di indicare quale certificato avrebbe dovuto contenerle e a quale ipotesi di falso ideologico ci si intendesse riferire.
4.1. Con un secondo motivo, deduce illogicita’ della motivazione e comunque violazione ed erronea interpretazione dell’articolo 481 c.p., posto che l’elemento oggettivo del reato di falso ideologico non puo’ consistere nel rappresentare un’opera diversa da quella che e’ nelle intenzioni e che sara’ realizzata con modalita’ operative in parte diverse da quelle indicate; non rileva, infatti, che l’intenzione sia quella di realizzare opere differenti da quelle indicate nel certificato.
4.2. Con un terzo motivo, deduce omessa motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’articolo 481 c.p. con riferimento alla dichiarazione di fine lavori del (OMISSIS). Nella sentenza impugnata si fa riferimento alla rilevanza penale “sotto diverso profilo” della dichiarazione di avvenuta esecuzione dei lavori in conformita’ a quanto precedentemente denunziato nelle cinque d.i.a. Secondo il ricorrente, tale affermazione e’ indice di carenza di motivazione in quanto la Corte non ha spiegato sotto quale profilo tale documento integri il reato contestato.
4.3. Con un quarto motivo; deduce illogicita’ della motivazione e comunque violazione ed erronea interpretazione dell’articolo 481 c.p. con riguardo alla dichiarazione di fine lavori del (OMISSIS). La sentenza nulla dice su quale sia la difformita’ rispetto al progetto approvato e neppure a quale specifico progetto fra le diverse d.i.a. che si sono succedute nel tempo intenda riferirsi. Se si dovesse fare riferimento all’omessa indicazione della demolizione e ricostruzione, tale profilo non costituisce oggetto della dichiarazione di fine lavori, che attiene alla conformita’ dell’intervento realizzato rispetto al progetto sotto il profilo urbanistico e non piuttosto con riguardo alle specifiche modalita’ operative con le quali tale risultato e’ stato raggiunto. La sentenza rescindente aveva attribuito al giudice del rinvio il compito di ricercare e configurare il falso nelle conseguenze che l’omessa indicazione dei lavori demolitivi e ricostruttivi avrebbe comportato sulla corretta qualificazione giuridica dell’intervento e sulla sua congruita’ alla normativa urbanistica, posto che con riguardo alla dichiarazione di fine lavori il concetto di conformita’ o difformita’ deve essere letto in correlazione con quanto indicato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44. Posto che quanto accertato dai giudici di merito atteneva ad una diversa modalita’ tecnica con cui si e’ ottenuto il risultato finale, senza alcuna divergenza di altezza, sagoma, ampiezza degli ambienti, caratteristiche tipologiche o planivolumetriche, di uso o di ubicazione, i giudici avrebbero dovuto approfondire e spiegare in che cosa consistesse il falso nella dichiarazione di fine lavori.
4.4. Con un quinto motivo, deduce motivazione in parte gravemente carente e in parte contraddittoria ed illogica per quanto concerne la sussistenza dell’elemento soggettivo in relazione alla dichiarazione di fine lavori del (OMISSIS). Il giudice del rinvio ha individuato il forte movente di (OMISSIS) nel conseguente risparmio fiscale degli oneri concessori, in contrasto con l’assoluzione del ricorrente sia dal reato di truffa contestato al capo a) sia dal reato di abuso edilizio contestato al capo c). Avendo i giudici accertato che la d.i.a. costituiva in astratto, all’epoca dei fatti, titolo abilitante per l’intervento inclusivo di profili demolitivi e ricostruttivi, se ne sarebbe dovuto desumere che dall’omessa indicazione dei lavori concernenti la facciata non sarebbe derivato alcun risparmio fiscale.
4.5. Con il sesto motivo, deduce vizio di motivazione con riferimento al contributo causale del committente in ordine al reato di cui al capo d), nonche’ violazione dell’articolo 627 c.p.p. La Corte di Cassazione aveva rilevato la mancanza di motivazione sia in ordine all’individuazione dell’autore della condotta tipica, ossia l’autore dell’uso dell’atto falso, sia con riferimento al contributo causale di eventuali correi. Ciononostante, il giudice del rinvio ha desunto il contributo causale del ricorrente dal fatto che fosse consapevole della falsita’ del documento ed ha poi, contraddittoriamente, affermato che il committente fosse gravato da posizione di garanzia anche in relazione all’uso dell’atto falso nella certificazione di collaudo delle opere, senza chiarire quale sia stato il contributo causale del committente in relazione all’uso dell’atto falso.
4.6. Con il settimo motivo, deduce vizio di motivazione e violazione dell’articolo 627 c.p.p. in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui al capo d) considerato che non e’ stata fornita, come richiesto, motivazione rigorosa circa la prova del concorso consapevole e volontario del committente nell’uso dell’atto falso.
4.7. Con l’ottavo motivo deduce omessa motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo in relazione al capo d) per il mancato esame di specifici motivi d’appello. In particolare, nell’atto di appello si era sostenuto che il committente fosse stato rassicurato dalla volonta’ manifestata da (OMISSIS) e dall’ing. (OMISSIS) di impiegare la tecnica delle prove sclerometriche, presentategli come sostitutive delle prove per compressione, ma la Corte non ha esaminato tale deduzione difensiva, sebbene non potesse pretendersi da un soggetto che si e’ rivolto a tecnici esperti la capacita’ di valutare e comprendere che le prove sclerometriche non possono oggettivamente consentire il collaudo dei lavori.
4.8. Con il nono motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione al capo d), posto che nella sentenza si e’ affermato che dalle dichiarazioni del (OMISSIS) era emerso che il committente fosse pienamente a conoscenza della falsita’ della certificazione, laddove invece il teste ha riferito che il signor (OMISSIS) non voleva farlo parlare con il committente; (OMISSIS) ha, inoltre, confermato di aver detto al committente che il collaudo poteva essere fatto con le prove sclerometriche e lo stesso ricorrente aveva aggiunto di essersi sentito rassicurato da quanto riferitogli dal tecnico, ne’ il committente era a conoscenza del fatto che la certificazione sarebbe stata adoperata, tanto e’ vero che dai documenti del collaudo si evince facilmente che, quando fu fatta la verifica dei documenti presentati,il committente non era presente.
4.9. Con il decimo motivo, deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
4.10. Con l’undicesimo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’applicazione della pena, essendo stato indicato tanto per la determinazione della pena base quanto per l’aumento per la continuazione il medesimo reato sub d).
5. Ricorre per cassazione (OMISSIS) deducendo, con un primo motivo, violazione degli articoli 627 c.p.p., comma 3, e articolo 606 c.p.p., lettera e) con riferimento all’affermazione di responsabilita’ per il reato di cui al capo b) dell’imputazione. Il giudice del rinvio ha ritenuto falsa la dichiarazione di fine lavori solo in apparenza ottemperando all’indicazione della Corte di Cassazione con cui si richiedeva di individuare il momento in cui si sarebbe verificato l’intervento realizzato in violazione dell’articolo 481 c.p. La stessa Corte di Appello ha riconosciuto pero’ essersi verificata una mera difformita’ parziale rispetto al titolo abilitante, per cui la dichiarazione di fine lavori diverrebbe penalmente rilevante perche’ tale atto e’ l’unico cronologicamente utile per confermare che sia stato compiuto un falso e sventare la prescrizione. L’atto di dichiarazione di fine lavori e’ a firma unica del committente e, per ascrivere al ricorrente la condotta contestata, si e’ affermata la falsita’ dell’ultima d.i.a. per omessa indicazione della parziale demolizione di uno dei muri di facciata. Tuttavia, tale demolizione non era prevista ab initio ma si e’ resa necessaria in corso d’opera per cui, da un lato il giudice del rinvio ha ritenuto essersi verificata una mera difformita’ rispetto all’ultima d.i.a., poi trovandosi di fronte all’evidenza che il fatto contestato si riferiva all’intero corpo di fabbrica e rimandava alla demolizione di un separato edificio di (OMISSIS); avendo i giudici di merito rilevato che si trattava solo di una parte di muro di una delle facciate dell’edificio, hanno ritenuto che tale difformita’ si tramutasse in un falso, sebbene nelle varie d.i.a. fossero state denunciate anche opere di ristrutturazione e quindi il titolo abilitante fosse valido anche in caso di demolizione di una porzione di muro di facciata. Per integrare il falso e’ necessario che la immutatio veri ricada sull’esistenza di un presupposto in assenza del quale il provvedimento non avrebbe potuto essere adottato; al piu’, secondo il ricorrente, si tratterebbe di un falso innocuo perche’ inidoneo a ledere l’interesse tutelato dalla genuinita’ del documento.
Con un secondo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento al capo d) in quanto nella sentenza impugnata vi e’ un travisamento, consistente nel fatto che quanto accertato dal Comune di Milano sarebbe all’origine della denuncia da cui sarebbe poi scaturito il procedimento, mentre il procedimento ha avuto origine proprio dalla querela per uso di atto falso presentata da (OMISSIS) s.r.l. di cui all’imputazione; cio’ significa che i rilievi mossi dal Comune di Milano sono intervenuti quando il cantiere era da tempo ultimato. Nella sentenza si attribuisce al teste (OMISSIS) la dichiarazione di aver ricevuto il certificato rilasciato dalla (OMISSIS) s.r.l. dall’architetto (OMISSIS), laddove tale teste ha dichiarato di non ricordare ne’ il momento ne’ chi gli forni’ il certificato, affermando che le due relazioni relative alle strutture ultimate e le due dichiarazioni circa i cementi armati a firma dell’arch. (OMISSIS) non avevano quale allegato la falsa certificazione (OMISSIS), come anche confermato dalla dirigente comunale (OMISSIS) all’udienza del 13 ottobre 2015. Secondo il ricorrente, e’ certo che l’arch. (OMISSIS) non fece uso direttamente di tale certificato; sebbene il costruttore (OMISSIS) sia stato assolto da ogni imputazione, era stato proprio tale soggetto, sollecitato dall’arch. (OMISSIS) ad inviare i certificati inerenti ai cubetti di calcestruzzo, che invio’ il certificato della (OMISSIS) falsificato. La motivazione della Corte territoriale e’ incoerente, contraddittoria ed illogica in quanto l’arch. (OMISSIS), conscio della falsita’ di quel documento, aveva tergiversato con (OMISSIS) e aveva continuamente sollecitato (OMISSIS), entrato nel frattempo in contenzioso con il committente, che aveva nominato un altro direttore dei lavori. La Corte di appello ha ignorato l’esatta cronologia delle vicende e ha dato credito a (OMISSIS) in contrasto con ogni evidenza probatoria in atti, che dimostrava che l’arch. (OMISSIS) aveva fornito i cubetti di calcestruzzo e quant’altro occorreva piu’ di un anno prima al costruttore, contrariamente a quanto affermato dalla Corte milanese, e si era attivato per tempo al fine di ottenere la certificazione, ottenendo invece da (OMISSIS) un certificato falso che non aveva usato. Al contrario, il ricorrente si era accorto che il certificato era falso, fece emergere l’inganno e non si comprende quale beneficio avrebbe tratto dall’uso di tale atto secondo la Corte territoriale. Nel ricorso si contesta la logica della motivazione.
6. Il difensore della parte civile (OMISSIS) ( (OMISSIS) s.r.l.) ha depositato memoria deducendo l’infondatezza dei ricorsi in relazione al reato di cui al capo d).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva preliminarmente il Collegio che i reati per i quali e’ stata confermata la pronuncia di condanna sono prescritti. Si tratta di fatti commessi in data (OMISSIS). Posto che la pronuncia della sentenza di primo grado ha interrotto il decorso della prescrizione, in base al combinato disposto degli articoli 157 e 160 c.p., come vigenti a seguito della modifica intervenuta con L. n. 251 del 2005, alla data odierna (inclusi i periodi di sospensione del termine) si e’ compiuto il termine massimo previsto dalle norme citate. Al riguardo, rilevato che i ricorsi non risultano affetti da profili di inammissibilita’, occorre sottolineare, in conformita’ all’insegnamento ripetutamente impartito dalla Corte di Cassazione, che, in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice e’ legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu’ al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento.
1.1. Coerente con questa impostazione e’ la uniforme giurisprudenza di legittimita’ che, fondandosi anche sull’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilita’, esclude che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre all’annullamento con rinvio, possa essere rilevato dal giudice di legittimita’ che, in questi casi, deve invece dichiarare l’estinzione del reato (Sez. 4, n. 14450 del 19/03/2009, Stafissi, Rv. 244001).
1.2. Nei casi in cui sia stata proposta azione civile nel processo penale, tale principio e’, tuttavia, applicabile, con riferimento alla responsabilita’ penale dell’imputato, solo nel giudizio di primo grado, all’esito del quale il giudice non puo’ dichiarare estinto il reato e pronunciarsi sull’azione civile (Sez. 4, n. 10471 del 1/10/1993, Conversi, Rv. 195462). Nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l’azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell’articolo 578 c.p.p., e’ invece tenuto, quando accerti l’estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell’azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell’impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o, come nel caso in esame, confermata dal giudice di appello.
1.3. Va, inoltre, ricordato l’ulteriore principio secondo il quale, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito prevale sulla sopravvenuta causa estintiva del reato quando il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275 in motivazione).
2. Tanto premesso, il Collegio ritiene che le censure mosse da entrambi i ricorrenti siano fondatamente proposte con riguardo all’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui all’articolo 481 c.p. (falsita’ ideologica in certificati da parte di persone esercenti un servizio di pubblica necessita’), ritenuto sussistente dal giudice del rinvio in relazione alla d.i.a. P.G. 897482 del 17 novembre 2010 ed alla dichiarazione di fine lavori P.G. 893871 del (OMISSIS) e contestato al capo b) dell’imputazione. Secondo il capo d’imputazione, i ricorrenti avrebbero falsamente dichiarato nella d.i.a. che “trattasi di corretta rappresentazione dello stato originario con riposizionamento rispetto allo stato di fatto e nuova imposta dei solai come da progetto allegato” poiche’ si era trattato invece di una ricostruzione differente da quanto originariamente indicato; nella dichiarazione di fine lavori avrebbero falsamente dichiarato che l’intervento era stato realizzato conformemente al progetto approvato.
3. In diritto, l’articolo 481 c.p., sotto la rubrica “Falsita’ ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessita’”, punisce “Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessita’, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto e’ destinato a provare la verita’”.
3.1. La norma sanzionatoria, dunque, si riferisce ad un “certificato”. Sul punto, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, riferendosi al delitto di falsita’ ideologica commessa da privato in atto pubblico (articolo 483 c.p.), lo ha ritenuto configurabile solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, cosi’ collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero (Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, Gabrielli, Rv. 21541301; conf. Sez. U. n. 29 del 15/12/1999, dep. 2000, Fanciulli e Sez. U. n. 30 del 15/12/1999, dep.2000, Bertin, non massimate). La giurisprudenza successiva ha escluso che integri il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (articolo 483 c.p.) la condotta del privato (nella specie proprietario e costruttore di un edificio) che attesti falsamente, con dichiarazione diretta al Sindaco, l’ultimazione dei lavori di un fabbricato, considerato che tale dichiarazione non e’ destinata a confluire in un atto pubblico e, quindi, a provare la verita’ dei fatti in essa attestati, mentre la fattispecie criminosa di cui all’articolo 483 c.p. e’ configurabile solo nel caso in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale (Sez. 5, n. 19361 del 13/02/2006, Caccuri, Rv. 234538); in applicazione di questo principio, la Corte ha censurato la decisione del giudice di merito – che aveva ritenuto integrato il delitto di cui all’articolo 483 c.p., considerando la dichiarazione del ricorrente destinata ad essere trasfusa in un iter amministrativo finalizzato ad ottenere il rilascio del certificato di abitabilita’ rilevando che la dichiarazione del privato costituisce un mero presupposto del certificato di abitabilita’, sulla base del quale la competente autorita’ puo’ e deve attivare i controlli del caso. La dichiarazione di fine lavori, integrata dall’attestazione del privato circa la loro “conformita’”, non puo’, analogamente, essere qualificata come certificato rientrante nella sfera applicativa dell’articolo 481 c.p. In tema di falsita’ documentale deve, infatti, escludersi che una scrittura privata o un altro documento ab origine non costituente atto pubblico possa essere considerato tale esclusivamente in virtu’ del suo collegamento funzionale ad un atto amministrativo, per effetto dell’inserimento di esso nella relativa pratica dell’iter occorrente per il provvedimento finale (a meno che il documento, ricevendo un contenuto aggiuntivo in virtu’ di successive integrazioni di fonte pubblicistica, per tale successiva parte che abbia autonomia funzionale, non divenga atto pubblico, restando cosi’ assoggettato alla disciplina di cui all’articolo 476 c.p., Sez. 3, n. 20393 del 25/02/2015, Sponga, n. m.; Sez. 6, n. 5403 del 15/11/1994, dep. 1995, Roncaglia, Rv. 20181401). Le comunicazioni di inizio e fine lavori hanno lo scopo evidente di agevolare l’accertamento, da parte dell’amministrazione comunale, dell’inizio e del completamento dell’intervento edilizio nei termini e di consentire una tempestiva verifica sull’attivita’ posta in essere; esse non rappresentano, quindi, una semplice formalita’ amministrativa, bensi’ un adempimento strettamente connesso ai contenuti ed alle finalita’ del titolo abilitativo ed agli obblighi di vigilanza imposti dall’articolo 27 e segg. Testo Unico dell’edilizia (Sez. 3, n. 19110 del 2013, Vani, n. m.). E’, tuttavia, evidente che la comunicazione e’ comunque un atto del privato senza alcuna valenza probatoria privilegiata, che il documento non acquisisce per il mero dato di fatto che contenga un elemento dichiarativo estraneo al fine specifico della comunicazione medesima (la c.d. conformita’ al progetto, nel caso in esame), atteso che tale aggiunta non vale ad attribuire, per cio’ solo, valenza fidefaciente ad un documento che e’ e rimane privato e, dunque, inidoneo a trasformarsi in un certificato ai sensi dell’articolo 481 c.p..
3.2. Correttamente, dunque, il giudice di merito ha analizzato la dichiarazione di fine lavori a firma del committente (OMISSIS) e del progettista (OMISSIS) in relazione al titolo abilitativo al quale la comunicazione si riferiva, avente la finalita’ di consentire alla pubblica amministrazione la verifica circa eventuali oneri concessori, ovvero il contributo di costruzione, dovuti in correlazione all’intervento programmato.
3.3. Tuttavia, nell’atto di appello la difesa aveva segnalato come la Legge Regionale Lombardia n. 12 del 2005, articolo 64, comma 2, equiparasse il recupero per fini abitativi di sottotetto alla ristrutturazione edilizia, nonche’ la possibilita’ di ritenere che l’intervento realizzato non fosse attivita’ eseguita in assenza di titolo abilitante o in totale difformita’ da esso, essendo la demolizione e ricostruzione di una facciata difformita’ soltanto parziale dell’opera rispetto al progetto presentato. La Corte di Appello ha accolto tale prospettazione difensiva, ritenendo che la d.i.a. fosse sussistente, dunque vi fosse titolo abilitativo, a prescindere dalla qualificazione dell’intervento di recupero del sottotetto quale risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia e persino nell’eventualita’ di un iter operativo comportante demolizioni e ricostruzioni. La Corte territoriale ha, dunque, ritenuto che il recupero per fini abitativi di sottotetto non fosse incompatibile con una ristrutturazione edilizia, peraltro rimarcando che lo stesso dichiarante aveva adoperato il lemma “ristrutturazione”; i giudici di merito in fase di rinvio hanno, inoltre, ritenuto che la d.i.a. fosse titolo abilitante anche per un intervento a carattere maggiormente invasivo, con profili demolitivi e ricostruttivi; lo stesso scostamento dell’opera realizzata da quella descritta nella d.i.a. (essendo pacifico che la demolizione pressoche’ integrale della facciata prospiciente (OMISSIS) non fosse indicata nella denuncia ne’ fosse stata evidenziata nella relazione asseverata ad essa allegata e sottoscritta dal progettista e direttore dei lavori (OMISSIS)) non costituiva, secondo la Corte territoriale, totale difformita’ rispetto al titolo abilitante, non incidendo per conformazione e strutturazione, destinazione, ubicazione, sui lavori indicati ma incidendo su elementi particolari e non essenziali della costruzione o comunque concretizzatisi in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle 2 strutture essenziali dell’opera.
3.4. Per altro verso, secondo quanto si desume dalla stessa sentenza rescindente, il difensore di (OMISSIS) aveva censurato la sentenza poi annullata con riguardo al reato di cui all’articolo 481 c.p. in quanto non era individuata la certificazione nella quale si sarebbe dovuta indicare l’attivita’ di demolizione e ricostruzione della facciata dello stabile su (OMISSIS).
Il difensore di (OMISSIS), invece, aveva contestato la natura certificativa della relazione asseverata che viene allegata alla d.i.a., specificando in ogni caso che l’intervento era rimasto nell’ambito del risanamento conservativo perche’ il rifacimento della facciata non era previsto, ma si era reso necessario per l’apertura di alcune crepe.
3.5. La Sezione Terza Penale della Corte di Cassazione aveva accolto i motivi di ricorso evidenziando, in primo luogo, la necessita’ di approfondire se la demolizione e la ricostruzione parziale dell’edificio ne avessero modificato la sagoma; in secondo luogo, aveva indicato la necessita’ di accertare il tempo dell’avvenuta demolizione e ricostruzione specificando, sul punto, che per il reato di falso sarebbe stato penalmente rilevante il collegamento con l’esecuzione di opere di ristrutturazione edilizia da mettere in relazione con la presentazione di una d.i.a. per ristrutturazione e con la sussistenza di un titolo astrattamente idoneo alla realizzazione delle opere. Il giudice del rinvio avrebbe dovuto, quindi, esaminare il motivo di appello della difesa del committente in relazione alla Legge Regionale Lombardia n. 12 del 2005, che qualifica il recupero a fini abitativi dei sottotetti quale ristrutturazione edilizia escludendo che vi sia divieto da parte della legge regionale di procedere anche mediante ripristino di parti di edifici demoliti. Il giudice del rinvio, invece, pur avendo escluso l’assenza di titolo abilitativo e pur avendo ritenuto che nella d.i.a. fosse stato correttamente indicato l’intervento di ristrutturazione ai fini del giudizio di responsabilita’ penale per il reato di cui al capo c), non ha affrontato il tema del collegamento tra il titolo abilitante e l’omissione dell’indicazione delle opere di demolizione e ricostruzione ai fini della sussistenza del falso ideologico, limitandosi a ottemperare all’indicazione della Corte di Cassazione in merito alla necessita’ di verificare in quale certificato si sarebbe dovuto indicare il predetto intervento. Il tema era tanto piu’ centrale in quanto l’atto in relazione al quale e’ stata accertata dal giudice del rinvio la falsita’ ideologica e’ la dichiarazione di fine lavori del (OMISSIS), indicata come l’atto in cui e’ contenuta l’attestazione dell’avvenuta esecuzione dei lavori in conformita’ a quanto denunziato in precedenza; la Corte ha collegato tale documento all’ultima denuncia, datata 17 novembre 2010, individuata come l’ultimo momento utile per l’indicazione dell’opera edilizia “che gli imputati avevano intenzione di realizzare”.
3.6. Le censure mosse dal ricorrente (OMISSIS) con riguardo a tale ultima espressione risultano irrilevanti, ove si ponga mente al fatto che argomento centrale e preliminare che il giudice di rinvio avrebbe dovuto affrontare era, secondo quanto indicato dalla Corte di Cassazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo del reato di cui all’articolo 481 c.p. in relazione al titolo abilitativo per la sussistenza di un leggero aumento di volumetria dell’edificio ricollegabile alla ricostruzione parziale. Tale argomento era preliminare anche con specifico riguardo all’oggetto della d.i.a. posto che, secondo la previsione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 23, comma 2, all’epoca vigente la comunicazione della data di ultimazione dei lavori e’ compito dell'”interessato”, mentre l’attestazione di conformita’ dell’opera al progetto presentato con la d.i.a. e’ compito del progettista tenuto a rilasciare il certificato di collaudo finale ai sensi dell’articolo 23, comma 7 medesimo testo normativo.
4. Risulta, comunque, a giudizio del Collegio, dirimente la constatazione della natura della dichiarazione di fine lavori che, non potendosi per quanto gia’ detto configurare alla stregua di un certificato, comporta l’insussistenza del fatto ed il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza, con integrale assorbimento delle doglianze contenute nel secondo, terzo, quarto e quinto motivo del ricorso di (OMISSIS) e con revoca delle statuizioni civili in favore del Comune di Milano.
5. Passando all’esame degli altri motivi di ricorso, ossia il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) ed i motivi sesto, settimo, ottavo e nono del ricorso di (OMISSIS), il Collegio ritiene trattarsi di motivi infondati.
5.1. Nella sentenza rescindente la Corte di Cassazione aveva indicato quanto segue: “Va in primo luogo osservato che dal capo di imputazione emerge che il fatto ascritto agli imputati nelle loro qualita’ – (OMISSIS) quale proprietario e committente, (OMISSIS) quale progettista e direttore dei lavori, (OMISSIS) responsabile della (OMISSIS) s.r.l. ditta esecutrice dei lavori – e’ quello di aver utilizzato la certificazione n. 0326/10 apparentemente rilasciata dalla (OMISSIS) s.r.l. alla (OMISSIS) s.r.l. il 29 ottobre 2010, con la quale era attestata l’avvenuta prova a compressione di provini in calcestruzzo. Il capo di imputazione cosi’ recita: “La fotocopia alterata di tale certificato veniva presentata come corrispondente all’originale all’Ing. (OMISSIS), professionista incaricato di collaudare lo stabile”. L’uso dell’atto falso sarebbe dunque consistito nella consegna della fotocopia alterata del certificato all’ing. (OMISSIS). Dalla sentenza impugnata risulta che il certificato e’ l’alterazione di altro documento effettivamente rilasciato nel 2008 dalla (OMISSIS) s.r.l. alla ditta (OMISSIS) s.r.l.; il certificato alterato fu spedito all’arch. (OMISSIS), come indicato a pag. 15 della sentenza, da (OMISSIS), cioe’ dal legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. che era l’unico in possesso dell’originale del 2008 poi alterato. In sostanza, la sentenza della Corte di appello di Milano individua in (OMISSIS) l’autore dell’atto falso, per altro il soggetto che avrebbe dovuto effettuare il campionamento e sottoporlo al controllo della (OMISSIS) s.r.l. o altra azienda certificatrice: l’unico con un interesse concreto alla falsificazione, per coprire un’omissione. Contraddittoriamente, pero’, ed in violazione dello stesso articolo 489 c.p., (OMISSIS) viene considerato concorrente nel delitto di uso dell’atto falso. Soprattutto, nella sentenza della Corte di appello di Milano non si individua chi abbia compiuto la condotta tipica: se dal capo di imputazione emerge che l’uso e’ avvenuto con la consegna e la presentazione della fotocopia alterata del certificato come corrispondente all’originale all’Ing. (OMISSIS), professionista incaricato di collaudare lo stabile, non si individua chi abbia effettuato tale consegna. Dalla sentenza emerge che l’ing. (OMISSIS) si e’ avvalso della facolta’ di non rispondere; pero’ la mancanza della motivazione sul punto rende fondati i motivi dei ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS) perche’ effettivamente manca nella sentenza l’indicazione sul chi sia stato l’autore della condotta tipica, cioe’ l’autore dell’uso dell’atto falso mediante la consegna all’Ing. (OMISSIS), o quale contributo istigatore, determinatore o agevolatore abbia posto in essere ciascun ricorrente rispetto alla condotta tipica, quale sia stato l’apporto causale, in particolare del (OMISSIS), rispetto all’uso dell’atto falso, in che modo abbia concorso, consapevolmente e volontariamente, all’uso dell’atto falso. Va, poi, aggiunto che la sentenza ha una motivazione apodittica laddove ritiene che sia irrilevante, quanto alla posizione del (OMISSIS), che abbia effettuato le verifiche sulla falsita’ del documento; in sostanza dalla stessa sentenza emerge che grazie alla condotta del (OMISSIS) e’ emerso che il certificato da lui ricevuto dallo (OMISSIS) era falso. Ma tale comportamento, invece, poiche’ consiste in un’attivita’ di controllo, coerente con la qualita’ del ricorrente nell’esecuzione dei lavori, puo’ incidere sulla sussistenza del dolo, anche ove si consideri, come affermato anche nella sentenza di primo grado, che il collaudo si fonda anche sulle prove sclerometriche effettuate dall’ing. (OMISSIS)”.
5.2. Premesso che il tema inerente alla sussumibilita’ del fatto nella disposizione abrogativa contenuta nel Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 e’ coperto dal giudicato interno, il Collegio ritiene che i giudici del rinvio si siano attenuti puntualmente allo schema di motivazione indicato dalla Corte di legittimita’, indicando alle pagg.17 ss., con motivazione completa e congrua, il tenore della prova testimoniale (deposizione dell’ing. (OMISSIS) inizialmente incaricato del collaudo), dalla quale si e’ ritenuto di identificare in (OMISSIS) l’autore della condotta materiale del reato; ne’ si desume dagli atti allegati al ricorso alcun travisamento della prova, il cui esame e’ corredato da ineccepibili argomenti logici, non ultimo il rilievo per cui l’uso dell’atto falso in questa sede rilevante concerne la consegna al collaudatore nominato in sostituzione del (OMISSIS), dunque ad un tecnico consapevolmente nominato dal committente a seguito delle dimissioni del (OMISSIS) dopo la scoperta della falsificazione.
5.3. Con riferimento al concorso di persone nel reato, la Corte di legittimita’ ha piu’ volte ribadito che e’ necessario ma sufficiente che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilita’ della produzione del reato (Sez.5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 27699001). La condotta agevolatrice idonea a concretare il concorso del committente (OMISSIS) nel reato e’ stata, quindi, individuata nel non aver impedito che il documento falso venisse consegnato allâEuroËœing. (OMISSIS), nominato dallo stesso committente in sostituzione dell’ing. (OMISSIS) proprio a causa della scoperta dell’avvenuta falsificazione del documento. Ne’ ha influenza sull’elemento psicologico la prospettazione da parte di (OMISSIS) della possibile erronea interpretazione da parte sua dei termini tecnici presenti nei documenti allegati al certificato di collaudo finale sul generico assunto della ignoranza di nozioni tecniche e delle rassicurazioni ricevute dagli esperti circa la sufficienza delle prove sclerometriche, avendo i giudici di merito attribuito rilievo, con logica ineccepibile, al fatto che il certificato in esame figurava tra i documenti allegati alla relazione di collaudo, rendendo cosi’ agevolmente verificabile la correttezza dell’operato del progettista, tanto piu’ nel contesto fattuale in cui tale collaudo avveniva, da parte del committente.
5.4. Va, poi, ricordato che il vizio di travisamento della prova puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito ne(contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 28015501).
5.5. A fronte di una motivazione pienamente rispettosa dello schema prefigurato dal giudice di legittimita’ nella pronuncia di annullamento, le censure mosse dai ricorrenti non possono ritenersi fondate, sia perche’ inidonee a scardinare sul punto il costrutto logico della sentenza impugnata, sia perche’ insufficienti a dimostrare che vi sia stato alcun travisamento della prova, sia perche’ tendenti a fornire una nuova lettura delle emergenze istruttorie, piu’ favorevole agli imputati, non consentita in questa sede.
6. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in relazione al reato contestato al capo b) per insussistenza del fatto, con revoca delle statuizioni civili in favore del Comune di Milano; deve essere annullata senza rinvio ai soli effetti penali in relazione al capo d) per intervenuto decorso del termine di prescrizione, mentre i ricorsi inerenti al reato di cui al capo d) devono essere rigettati agli effetti civili, con condanna dei ricorrenti (OMISSIS) e a (OMISSIS) in solido al pagamento delle spese in favore della parte civile (OMISSIS) s.r.l., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione (OMISSIS), liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al capo b) perche’ il fatto non sussiste. Revoca le statuizioni civili in favore del Comune di Milano.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali in relazione al capo d) perche’ il reato e’ estinto per prescrizione.
Rigetta i ricorsi agli effetti civili in relazione al capo d) e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese in favore della costituita parte civile (OMISSIS) s.r.l. liquidate in complessivi Euro 1.500,00 oltre accessori come per legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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