Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 novembre 2024| n. 28675.
Estensione proprietà comune richiede mandato speciale condomini
Massima: In tema di condominio negli edifici, la proposizione di una domanda diretta alla estensione della proprietà comune mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un’area adiacente al fabbricato condominiale, siccome acquistata per usucapione, implicando non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati, esorbita dai poteri deliberativi dell’assemblea e dai poteri di rappresentanza dell’amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino.
Ordinanza|7 novembre 2024| n. 28675. Estensione proprietà comune richiede mandato speciale condomini
Data udienza 23 ottobre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Azioni giudiziarie – Rappresentanza giudiziale del condominio – Legittimazione dell’amministratore – Domanda di usucapione nell’interesse del condominio – Legittimazione attiva dell’amministratore – Sussistenza – Condizioni – Mandato speciale di ciascun condomino – Necessità – Fondamento
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARRATO Aldo – Presidente
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Relatore
Dott. PIRARI Valeria – Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22945/2020 R.G. proposto da:
CONDOMINIO DI VIA (Omissis), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FU.N., presso lo studio dell’avvocato FE.AN. rappresentato e difeso dagli avvocati UG.SC. e VI.AN.;
– ricorrente –
contro
De.Ro., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI.CA., presso lo studio dell’avvocato SI.RU., rappresentato e difeso dall’avvocato RA.CH.;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2123/2020, pubblicata il 12/06/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere LUCA VARRONE.
Estensione proprietà comune richiede mandato speciale condomini
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda proposta – nei confronti del Condominio di via (Omissis), in N – ai sensi dell’art. 1079 c.c. nelle forme previste dagli artt. 702-bis e seguenti c.p.c., da De.Ro., titolare del fondo, sito in N, alla via vicinale (Omissis), in catasto terreni al foglio (Omissis), particella (Omissis), volta all’ottenimento dell’eliminazione dei paletti che ostruivano il transito carrabile sulla strada interpoderale posta tra le proprietà.
Il citato Tribunale riteneva provata l’esistenza del diritto di passaggio a vantaggio del fondo dell’attrice, in tal modo impedito, inferendolo, in primo luogo, dall’atto di donazione per notar Ca.Pa. del 18 ottobre 2011, rep. 54754/17918 attestante la proprietà attorea sul terreno in N – C alla via vicinale (Omissis), al N.C.T. foglio (Omissis) particella (Omissis). Accertava, quindi, il diritto della De.Ro. ad accedere al proprio terreno usufruendo del libero ed incondizionato passaggio sulla strada interpoderale oggetto di lite, per la larghezza costante di 4,00 metri. Infatti, dalla nota di trascrizione dell’anno 1983 dell’atto per notar Ro.Gi. risultava che i germani De.Co., De.Ma., De.Ca., De.Gi. e De.Sa., originari proprietari dell’intero fondo indiviso sul quale era stato successivamente edificato il complesso condominiale di via (Omissis), avevano costituito una specifica servitù di passaggio, per sé, loro successori ed aventi causa a qualsiasi titolo, destinando una specifica porzione dei propri appezzamenti di terreno per la formazione della detta via. Inoltre, il giudice di prime cure aveva ritenuto provato l’asservimento del suolo all’utilitas del lotto contiguo, traendone convinzione dal contratto di divisione, richiamato nel suo contenuto dispositivo essenziale dalla nota di trascrizione prodotta agli atti, nel quale era stabilito di adibire ad accesso all’appezzamento attoreo una stradina interpoderale da realizzarsi su una striscia di suolo della larghezza costante di m. 4,00.
A tal proposito il Tribunale aveva apprezzato anche la consulenza tecnica di parte e i rilievi fotografici depositati da cui risultava che la strada interpoderale di accesso al terreno della De.Ro. era stata illecitamente delimitata mediante l’installazione abusiva da parte del Condomino di via (Omissis), di molteplici paletti “dissuasori” di ferro, circostanza quest’ultima neppure negata o contestata dal resistente, con conseguente possibilità di ricorrere all’art. 115 c.p.c.
Viceversa, il primo giudice, rilevata d’ufficio l’inammissibilità della deduzione con cui il Condominio aveva svolto domanda riconvenzionale di acquisto per usucapione della proprietà della fascia di sede stradale in proprietà aliena sia in quanto tardiva, essendosi parte resistente costituita in ritardo, aveva, altresì, ravvisato il difetto di legittimazione dell’amministratore a promuoverla e a protestare l’estinzione del diritto altrui per non uso ventennale.
Pertanto, avendo rilevato l’effettiva restrizione della superficie transitabile asservita all’utilitas del fondo dominante tramite l’apposizione di una serie di paletti infissi al suolo che ne limitavano la percorribilità con veicoli, preso atto della percorribilità del viale per una larghezza inferiore a quella pattiziamente prescritta, il Tribunale accoglieva la domanda della De.Ro., accertando il suo diritto ad accedere al suo predio attraverso il tracciato carrabile che lambiva lo stabile condominiale, condannando il Condominio resistente a rimuovere i paletti installati lungo il percorso, inibendogli ogni attività atta a restringerne l’ampiezza e fissando, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., la somma diaria di Euro 20,00 per ogni giorno di ritardo nell’eseguire l’ordine così impartito.
2. Il Condominio di via (Omissis) proponeva appello avverso la suddetta pronuncia.
3. Si costituiva nel giudizio di secondo grado la De.Ro. per resistere al gravame ed eccepirne l’inammissibilità e l’infondatezza nel merito.
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4. La Corte d’Appello di N rigettava l’appello con sentenza n. 2123/2020.
Per quel che ancora rileva, rigettate alcune eccezioni preliminari, la Corte riteneva infondato il motivo con il quale l’appellante lamentava che il primo giudice non aveva valutato, oltre alla domanda ovvero eccezione di usucapione, neppure l’eccezione di non opponibilità ai condomini e per esso al Condominio di tale servitù, così in base ai documenti depositati dalla difesa resistente e contenenti la prova dell’infondatezza della domanda attorea, ovvero in base ai titoli di proprietà di alcuni condomini costituiti dai decreti di trasferimento giudiziario dell’immobile libero da pesi ed oneri non appositamente indicati e/o trascritti e/o richiamati.
4.1 Riteneva la Corte territoriale che l’eccezione sollevata dal Condominio riguardava al più le ipoteche ed altri pignoramenti iscritti e trascritti sull’immobile oggetto di vendita espropriativa giudiziaria successivamente alla trascrizione del pignoramento, ai sensi dell’art. 586 c.p.c., e non anche i diritti reali di terzi e meno che mai le servitù di passaggio già trascritte precedentemente alla trascrizione del pignoramento.
Si osservava, peraltro, che la natura dell’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo esso indipendente dalla volontà del precedente proprietario, ma collegato ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, era comunque a titolo derivativo e non originario, traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato, con tutto ciò che ne consegue quanto all’immanenza dei pesi e degli oneri opponibili al dante causa (in argomento, da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 13.03.2017, n. 6386; analogamente, Cassazione civile, sez. II, 22.09.2010, n. 20037; Cassazione civile, sez. II, 05.01.2000, n. 27).
I riferimenti contenuti nella nota di trascrizione davano certezza sia quanto alla costituzione della servitù, sia quanto al fatto che a beneficiarne fosse il fondo ora in titolarità dell’appellata, costituita su porzioni di terreno originariamente costituenti un unicum. Conclusivamente, dunque, non era condivisibile sul punto l’affermazione dell’appellante secondo cui gli immobili venduti all’asta erano liberi da ogni peso, gravame e obbligo.
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4.2. La nota di trascrizione dell’atto per notar Ro.Gi. del 16 dicembre 1983 costitutiva della servitù di passaggio in favore della proprietà De. risultava depositata nel fascicolo di primo grado della ricorrente. Si trattava dell’atto con cui i germani De.Co., De.Ma., De.Ca., De.Gi. e De.Sa. (originari proprietari dell’intero fondo indiviso sul quale è stato poi edificato anche il complesso condominiale di via (Omissis)) si erano obbligati, per sé e per i loro successori ed aventi causa a qualsiasi titolo, a destinare una porzione dei propri appezzamenti di terreno per la formazione di una strada interpoderale di accesso, specificando (v. pag. 8 della sentenza qui impugnata) testualmente: “su tale striscia di terreno avranno libero e gratuito transito a piedi e con mezzi a trazione animale o meccanica tutti i condividenti (e quindi, anche il sig. De.Sa. per raggiungere l’appezzamento a lui attribuito: fol. (Omissis) p.lla (Omissis), avendo a tal fine le parti costituito servitù reale di passaggio a favore e a carico delle loro rispettive proprietà”.
In essa si faceva espresso riferimento al fatto che il peso riguardava tutti gli aventi causa e successori dei proprietari che andavano a costituire la servitù. Essendo l’atto costitutivo stato trascritto era irrilevante il fatto che la stessa servitù non fosse indicata negli atti di vendita dei singoli appartamenti del Condominio.
4.3 Nella comparsa conclusionale – oltre, dunque, ogni possibilità di contraddittorio con la controparte – il Condominio appellante aveva dubitato della sufficienza della nota di trascrizione sopra ricordata e dell’atto di divisione per affermare l’esistenza della servitù di passaggio, atti – a suo dire – entrambi insufficienti in quanto carenti dell’indicazione degli elementi costitutivi necessari per l’esistenza dello ius in re aliena.
L’obiezione, ancorché tardiva e nuova (con ciò che ne consegue in termini di inammissibilità ai sensi dell’art. 345 c.p.c.), era comunque infondata.
Infatti, per la valida costituzione di una servitù, non era necessario che il titolo contenesse la specifica descrizione del fondo dominante e del fondo servente, essendo sufficiente che questi ultimi fossero comunque desumibili dal contenuto dell’atto. Inoltre, il fatto che i lotti costituissero originariamente un unico fondo, poi frazionato in porzioni distinte in sede di divisione, aveva creato la situazione di assoggettamento di fatto dell’una porzione rispetto all’altra ed aveva determinato, a tacere d’altro, la costituzione della servitù prediale per destinazione del padre di famiglia (Cassazione civile, sez. II, 10.05.2022, n. 14714; Cassazione civile, sez. II, 17.05.2018, n. 12113). La genesi del diritto non consentiva di dubitare del carattere reale, oltretutto esplicitato nel testo della nota di trascrizione che lo aveva esternato a fini di certa sua opponibilità, quale riportato fedelmente, di talché era assolutamente fuor di luogo il riferimento ad un obbligo di natura personale laddove il fatto che erano enumerati sia i condividenti, sia i successori e gli aventi causa, rendeva esplicito il richiamo alla funzione di utilità fondiaria (in argomento, Cassazione civile, sez. II, 11.02.2014, n. 3091).
4.4 La Corte dichiarava il Condominio non legittimato alla domanda di usucapione del bene libero da pesi. In primo luogo, rilevava che l’amministratore del Condominio non era legittimato all’azione di usucapione in quanto domanda diretta non alla difesa della proprietà comune, ma alla sua estensione mediante declaratoria di appartenenza all’ente che rappresenta di un diritto ulteriore rispetto a quelli già nel patrimonio dei rappresentati, implicando non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati. Inoltre, la delibera assembleare richiamata a giustificazione della legittimazione del condominio oltre a non essere totalitaria non conferiva il suddetto potere all’amministratore.
Il motivo era anche infondato per la non ipotizzabilità della c.d. usucapio libertatis, ossia la perdita della servitù in capo a terzi per l’uso continuativo, libero e pieno, dal titolare del fondo servente. Invero, la materia dell’estinzione per non uso delle servitù prediali ha la sua disciplina nell’art. 1073 c.c. che collega tale effetto esclusivamente all’inerzia del titolare che si sia protratta per venti anni sicché non basta che il proprietario del fondo servente, avendolo acquistato in buona fede come esente dal peso, lo abbia altresì posseduto in maniera incontrastata e senza gravame apparente (in argomento, Cassazione civile, sez. II, 27.03.2001, n. 4412).
Inammissibile era l’ultimo motivo relativo all’estinzione per confusione della servitù in quanto formulato per la prima volta in appello.
Quanto alla procedura svolta con il rito sommario la Corte riteneva condivisibile la valutazione del Tribunale in ordine alla sufficienza della documentazione prodotta e alla sostanziale superfluità di altre prove. Non era necessaria alcuna istruzione non sommaria.
5. Il Condomino (Omissis) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di otto motivi di ricorso.
6. De.Ro. ha resistito con controricorso.
7. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1131 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. – sulla domanda riconvenzionale di usucapione.
A seguito dell’aedo confessoria servitutis, il Condominio di via (Omissis) si costituiva a mezzo del suo amm.re p.t. eccependo, tra l’altro, l’estinzione della servitù per non uso ventennale e l’usucapione, nelle forme sia della domanda che dell’eccezione riconvenzionale.
Secondo il Condominio sussisteva la legittimazione tanto nell’uno quanto nell’altro caso.
In particolare, con riferimento alla domanda riconvenzionale evidenziava che esso Condominio era parte convenuta. La domanda riconvenzionale di usucapione non aveva l’obiettivo della declaratoria di appartenenza del diritto di proprietà del fondo in capo ai comproprietari atteso che il Condominio era già proprietario del suolo (e del cortile), e tanto non era mai stato in discussione, essendo controversa la sola servitù di passaggio. Ne conseguirebbe che la domanda di accertamento dell’usucapione altro non era che la proiezione di un’attività difensiva volta a resistere all’avversa iniziativa giudiziaria avente ad oggetto il diritto di passaggio sul cortile condominiale, sicché competono all’amm.re di Condominio tutte le azioni volte alla difesa della proprietà comune ex art. 1131, secondo comma, c.c.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 35, 36, 112, 113 e 416 c.p.c., e art. 2697 c.c. Eccezione riconvenzionale di usucapione.
Si sostiene che, oltre alla domanda riconvenzionale, l’eccezione riconvenzionale non solo sarebbe legittima, ma anche doverosa in quanto inerente specifici obblighi imposti dalla legge all’amministratore di condominio, la cui violazione lo esporrebbe addirittura a conseguenze di natura risarcitoria.
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La Corte di appello non si sarebbe pronunciata, limitandosi ad argomentare esclusivamente sulla domanda riconvenzionale, nei termini descritti in precedenza.
Secondo il Condominio ricorrente l’eventuale inammissibilità della domanda riconvenzionale non impedisce al giudice di considerare i fatti (o i rapporti giuridici) dedotti a suo fondamento nella più limitata ottica dell’eccezione, al limitato effetto di impedire l’accoglimento della domanda avversaria. L’inammissibilità della domanda riconvenzionale non travolge l’eccezione riconvenzionale, essendo quest’ultima necessariamente e logicamente insita nella linea difensiva del convenuto, ben potendo coesistere una domanda ed una eccezione, basate sulla stessa situazione che si pongono l’una come progressione difensiva dell’altra (in senso sostanzialmente analogo, tra le altre: Sez. 3, Sentenza n. 16314 del 24/07/2007, Rv. 599444; Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010, Rv. 610865; Sez. 3, Sentenza n. 4233 del 16/03/2012, Rv. 621661; Sez. 3, Sentenza n. 14852 del 13/06/2013, Rv. 627017);
In tale eventualità, l’usucapione non sarebbe dichiarata ma accertata incidenter tantum al solo fine di respingere la domanda attorea.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – in relazione all’art. 112 c.p.c. – omesso esame dell’eccezione riconvenzionale di usucapione.
La censura è ripetitiva della precedente sotto il profilo dell’omessa pronuncia. Si deduce che la Corte di appello, pur consapevole della proposta eccezione riconvenzionale, non l’ha esaminata pronunciandosi esclusivamente sulla domanda.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 1073 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – omesso esame dell’eccezione di prescrizione della servitù.
Diversamente da quanto sostenuto dal giudice d’appello, il Condominio non aveva chiesto accertarsi la c.d. usucapio Ubertatis, ma l’estinzione della servitù per prescrizione (cfr. pag. 10 repliche con i richiami ivi riportati), per la quale è sufficiente ai fini dell’effetto estintivo del diritto reale limitato, il semplice non uso protratto da parte del suo titolare per il tempo richiesto dalla legge (non interessa quale sia la causa scatenante l’impossibilità di utilizzo, ma conta unicamente il trascorrere del ventennio senza utilizzo, v. sentenza Cass. 13263 del 09/06/2009).
La motivazione sarebbe palesemente inconferente, non attagliandosi al caso di specie, atteso che, la Corte territoriale si sarebbe espressa in maniera “obiettivamente incomprensibile”, sicché la sentenza risulterebbe affetta da vizio motivazionale per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (la prescrizione della servitù), il quale sussiste ogniqualvolta sia ravvisabile un’anomalia nel percorso motivazionale afferente la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”(cfr. Cassazione SS. UU. n. 8053/2014).
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4.1. I primi quattro motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte infondati e in parte inammissibili.
La Corte d’Appello ha ritenuto il Condominio non legittimato alla domanda riconvenzionale di usucapione trattandosi di una domanda diretta non alla difesa della proprietà comune, ma alla sua estensione mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un diritto ulteriore rispetto a quelli già nel patrimonio dei condomini, implicando non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati.
La sentenza di appello è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che, a più riprese, ha affermato il principio secondo cui: “in tema di condominio negli edifici, la proposizione di una domanda diretta alla estensione della proprietà comune mediante declaratoria di appartenenza al condominio di un’area adiacente al fabbricato condominiale, siccome acquistata per usucapione, implicando non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati, esorbita dai poteri deliberativi dell’assemblea e dai poteri di rappresentanza dell’amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino (Sez. 2, Ord. n. 25014 del 2020,; conf. Sez. 2, Sent. n. 21826 del 2013).
Inoltre, i motivi non si confrontano neanche con l’ulteriore ratio decidendi, in base alla quale neanche la deliberazione assembleare aveva conferito mandato all’amministratore. La Corte d’Appello ha evidenziato che dalla lettura del deliberato assembleare del 27 febbraio 2015 emerge non solo che non vi era stata alcuna delibera unanime ma anche che il potere conferito all’amministratore era limitato a proporre una domanda riconvenzionale per inibire il passaggio alla De.Ro. sull’assunto che ella non disponesse del titolo.
Dunque, nessuna censura merita la sentenza nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale di usucapione del Condominio perché l’amministratore non aveva un mandato rilasciato dai singoli condomini. Egli, peraltro, così come non era legittimato a far valere la domanda di usucapione, non era legittimato neanche a proporre l’eccezione. Il fatto estintivo poteva sussistere solo ove accertato sulla base di una domanda o eccezione fatta valere da coloro che erano legittimati.
Infine, la Corte d’Appello ha anche evidenziato – attraverso una ulteriore ratio oltre a quella di carenza di legittimazione attiva – che il Condominio non poteva proporre domanda di usucapione su un bene proprio per contrastare la domanda volta all’eliminazione degli ostacoli per l’esercizio della servitù di passaggio. Infatti, lo stesso ricorrente afferma che la domanda riconvenzionale di usucapione non aveva l’obiettivo della declaratoria di appartenenza del diritto di proprietà del fondo in capo ai comproprietari atteso che il Condominio era già proprietario del suolo (e del cortile), e tanto, non è mai stato in discussione, essendo controversa la sola servitù di passaggio.
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Nella specie, dunque, l’eccezione che il Condominio doveva proporre avrebbe dovuto avere ad oggetto non l’usucapione ma l’estinzione del diritto di servitù per non uso ventennale.
Infatti, sul punto la Corte d’Appello ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui non è ammessa la c.d. usucapio libertatis. Invero, non è configurabile nel nostro ordinamento giuridico la possibilità di usucapire la libertà di un immobile da pesi che lo gravino, essendo, invece, soltanto configurabile la prescrizione estintiva per non uso dei diritti reali parziari gravanti su un immobile.
In proposito deve darsi continuità al principio di diritto più volte enunciato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “la materia dell’estinzione per non uso delle servitù prediali ha la sua disciplina nell’art. 1073 cod. civ. che collega tale effetto esclusivamente all’inerzia del titolare che si sia protratta per venti anni sicché non basta che il proprietario del fondo servente, avendolo acquistato in buona fede come esente dal peso, lo abbia altresì posseduto per dieci anni dopo la trascrizione del titolo, non essendo prevista nel nostro ordinamento l’usucapio libertatis”. (Sez. 2, Sentenza n. 4412 del 27/03/2001, cit.)
Ciò premesso, deve esaminarsi il quarto motivo di ricorso in virtù del quale parte ricorrente afferma che l’eccezione in commento era stata espressamente sollevata dal Condominio a pag. 16 della conclusionale in appello ed a pag. 10 della memoria di replica in appello, ma era implicitamente contenuta nell’eccezione/domanda riconvenzionale di usucapione.
Va rilevato, in proposito, che dalla lettura degli atti del primo grado di giudizio è risultato, invece, che la domanda riconvenzionale di usucapione non conteneva neanche implicitamente alcuna domanda o eccezione ex art. 1073 c.c., che peraltro ha petitum e causa petendi diversi, e il Condominio ricorrente si limita a dire di averla proposta con la comparsa conclusionale in appello e afferma che la stessa deve intendersi implicitamente proposta sin dal primo grado senza tuttavia fornire alcun elemento a supporto di tale tesi e non indicando neanche alcuna richiesta istruttoria formulata in tal senso. L’onere della prova in caso di effettiva proposizione della suddetta eccezione ex art. 1073 c.c. spettava al Condominio che non risulta in alcun modo aver dedotto e allegato alcunché in proposito.
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 115, 202 e 702-ter c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. violazione dell’art. 24 e 111 Cost. in relazione all’art 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
Si deduce che il Condominio (Omissis) richiedeva, già nel primo atto processuale, l’ammissione dei mezzi istruttori necessari a provare le proprie eccezioni e deduzioni e, segnatamente, l’eccezione di usucapione e quella di prescrizione della servitù.
Nonostante le citate e reiterate espresse richieste, a cui facevano seguito, per connesse ragioni processuali, quelle di conversione del rito da sommario ad ordinario, il Tribunale di Napoli prima, e la Corte d’Appello poi, rigettavano le istanze, sul duplice presupposto della loro inammissibilità (per difetto di legittimazione dell’amministratore, come detto ut supra), e superfluità (di prove costituende), avendo ritenuto sufficiente, ai fini della decisione, la documentazione già versata in atti.
5.1. Il quinto motivo è inammissibile in quanto il ricorrente non indica quali siano state le richieste istruttorie dichiarate inammissibili in primo grado ed eventualmente riproposte in appello. Pertanto, la doglianza difetta della necessaria specificità.
In particolare, il ricorrente non indica quali fossero le istanze istruttorie che avrebbero potuto indurre il giudice ad esercitare in udienza l’eventuale potere di conversione del rito e di fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c.
Questa Corte ha già evidenziato in proposito che la scansione, collegata alla ponderazione dell’eventuale non sommarietà dell’istruzione, ai fini dell’art. 702-ter, comma 3, c.p.c. porta ad individuare (in maniera da non accedere alla tesi estrema, secondo cui attore e convenuto sono liberi di svolgere nuove attività, istanze e produzioni per l’intero corso del procedimento e sino a che la causa non passi in decisione) proprio nella pronuncia della relativa ordinanza la barriera processuale che impedisce alle parti la formulazione di nuove richieste istruttorie (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25547 del 18/12/2015, non massimata, pagg. 10 e 11).
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In proposito deve confermarsi il seguente principio di diritto: “poiché l’art. 702-bis c.p.c., commi 1 e 4, non prevede alcuna specifica sanzione processuale, né in relazione al mancato rispetto del requisito di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente e il resistente intendano, rispettivamente, avvalersi, né in relazione alla mancata allegazione di detti documenti al ricorso o alla comparsa di risposta, è ammissibile la produzione documentale eseguita, nell’ambito del procedimento sommario disciplinato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c., successivamente al deposito del primo atto difensivo e fino alla pronuncia dell’ordinanza di cui all’art. 702-ter c.p.c.”.
Conclusivamente sul punto, il ricorrente riferisce genericamente di istanze istruttorie senza fornire alcuna indicazione ulteriore sicché le censure svolte con il presente motivo sono inammissibili.
6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 1031 c.c. e dell’art. 1058 c.c., in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c. per avere la Corte d’Appello ritenuta opponibile al Condominio la nota di trascrizione della servitù.
Non sarebbe condivisibile l’assunto della Corte d’Appello di Napoli secondo cui “per la valida costituzione di una servitù, non è necessario che il titolo contenga la specifica descrizione del fondo dominante e del fondo servente” (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Si sostiene che è del tutto evidente, di contro, che la nota di trascrizione richiamata ex adverso sia ictu oculi carente degli anzidetti elementi necessari per la valida costituzione del diritto, e precisamente della esatta indicazione del fondo dominante e del fondo servente, e che essa faccia espresso rinvio al titolo – contratto di divisione – per la loro individuazione.
6.1. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
La Corte d’Appello ha correttamente evidenziato l’opponibilità della servitù anche agli acquirenti che avevano acquistato la proprietà in virtù di decreti di trasferimento giudiziario dell’immobile. Infatti, in caso di vendita dell’immobile all’asta, l’aggiudicatario è tenuto a rispettare la servitù di passaggio costituita sul bene se essa risulta trascritta in epoca anteriore al pignoramento, com’è avvenuto nel caso di specie con l’atto di divisione tra i germani De. per notar Ro.Gi.
Ciò era inconfutabilmente emerso sia dalla nota di trascrizione del ridetto atto che aveva costituito la servitù di passaggio (allegato sub 3 nella produzione di parte ricorrente in primo grado), sia dalle visure ipocatastali eseguite dal notaio Ca.Pa., riportate nell’atto di donazione del 18 ottobre 2011, trascritto presso l’Agenzia del Territorio di N 1 il 25 ottobre 2011, reg. gen. n. 28680, rep. part. n. 20090 che faceva riferimento alla trascrizione dell’atto di divisione per notar Ro.Gi. del 16 dicembre 1983, trascritta a N in data 12 gennaio 1984 ai numeri 1511/1259 (allegato sub 4 nella produzione di parte ricorrente in primo grado).
La trascrizione dell’atto costitutivo della servitù era – per di più – precedente la sentenza di fallimento (n. 393/1989 del Tribunale di Napoli del 16 maggio 1989, trascritta il 4 settembre 1989).
La Corte d’Appello ha aggiunto che, per stabilire se e in quali limiti un determinato atto trascritto sia opponibile ai terzi, deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare, senza possibilità di equivoci e di incertezze, gli estremi essenziali del negozio ed i beni ai quali esso si riferisce, senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo, che insieme con la nota viene depositato presso la Conservatoria dei registri immobiliari (Cassazione civile, 26.04.2024, n. 11213; Cassazione civile, 19.02.2019, n. 4842; Cassazione civile, 31.08.2009, n. 18892; Cassazione civile, 10.08.1977, n. 3692).
I riferimenti contenuti nella nota di trascrizione davano certezza sia quanto alla costituzione della servitù, sia quanto al fatto che a beneficiarne fosse il fondo ora in titolarità dell’appellata, costituita su porzioni di terreno originariamente costituenti un unicum.
Il ricorrente, pertanto, pur prospettando apparentemente un vizio di violazione di legge, ha inteso, invece, richiedere una diversa valutazione delle risultanze istruttorie e di interpretazione della nota di trascrizione. Sotto questo profilo si è già avuto modo di affermare che costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato e immune da vizi logici o errori di diritto (come effettivamente avvenuto nel caso di specie), il giudizio espresso dal giudice del merito circa l’esistenza, nella nota di trascrizione, degli elementi necessari per individuare il bene e il diritto che forma oggetto del negozio trascritto.
Estensione proprietà comune richiede mandato speciale condomini
7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 1062 cc. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -Costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia.
Si deduce che l’assunto, rilevato oltretutto ex officio per la prima volta in appello della costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia, si rivela errato in diritto atteso che non tiene conto dei requisiti necessari affinché possa dirsi costituita una servitù di passaggio ai sensi dell’art. 1062 c.c.
8. L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 112 cpc e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co 1 n. 04 cpc – costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia – ultrapetizione – carenza di prova.
Si censura per ultrapetizione la sentenza della Corte d’Appello di Napoli per avere la stessa statuito “d’ufficio” in ordine “alla costituzione della servitù prediale per destinazione del padre di famiglia” in assenza di domanda e di qualunque supporto probatorio di parte.
8.1. Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Le censure si appuntano verso un mero obiter dictum della sentenza impugnata che non costituisce una effettiva ragione della decisione. In altri termini la Corte d’Appello non ha mai accolto (ancorché non proposta) una domanda di accertamento della esistenza di una servitù per destinazione del padre di famiglia, quanto piuttosto ha accertato l’esistenza di una servitù per volontà negoziale come risultante dalla nota di trascrizione e dall’atto del 18 ottobre 2011 intercorso tra i germani De.Co., De.Ma., De.Ca., De.Gi. e De.Sa., originari proprietari dell’intero fondo indiviso sul quale era stato successivamente edificato il complesso condominiale di via (Omissis). Con tale atto i condividenti avevano costituito una specifica servitù di passaggio, per sé, i loro successori ed aventi causa a qualsiasi titolo.
9. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente rigettato.
10. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore della controricorrente.
11. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Estensione proprietà comune richiede mandato speciale condomini
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 5.000,00 per onorari, e in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore del difensore della stessa controricorrente, Avv. RA.CH., dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2° Sezione civile in data 23 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2024.
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