Esimente della legittima difesa

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 29 aprile 2019, n. 17787.

La massima estrapolata:

Non può applicarsi l’esimente della legittima difesa nel caso in cui il soggetto aggredito abbia reagito non a scopo di difesa della propria persona ma con evidente proposito di vendetta nei confronti del soggetto agente, configurandosi una difesa non proporzionata all’offesa. Nel caso in esame, l’aggressore era stato condannato dai giudici di merito per il reato di percosse mentre la parte aggredita, con una reazione particolarmente violenta, colpendo più volte, aveva provocato gravi lesioni personali ed era stato dunque condannato per il reato di cui all’art. 582 c.p.

Sentenza 29 aprile 2019, n. 17787

Data udienza 21 febbraio 20198

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – rel. Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/12/2017 del Giudice di pace di Arezzo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Michele Romano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Epidendio Tomaso, che ha concluso chiedendo che sia dichiarato inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice di pace di Arezzo ha condannato (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 582 c.p., comma 2, alla pena di Euro 1000,00 di multa e (OMISSIS) alla pena di Euro 500,00 di multa per il reato di percosse.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento per un unico motivo con il quale si duole della mancata applicazione della scriminante della legittima difesa, pur essendo emerso dalle prove assunte che inizialmente il (OMISSIS) era stato aggredito da (OMISSIS), il quale aveva dato inizio alla colluttazione spintonando il (OMISSIS) e facendolo cadere a terra; il (OMISSIS) si era limitato a reagire all’aggressione dell’altro con una difesa proporzionata all’offesa.
3. Il ricorso e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
Nella sentenza del Giudice di pace si afferma che la zuffa e’ stata iniziata da (OMISSIS), ma si evidenzia pure che il (OMISSIS) dopo essere stato aggredito ed essere caduto a terra, allo scopo di vendicarsi ha a sua volta attaccato ripetutamente e con grande aggressivita’ (OMISSIS) riuscendo a colpirlo e cagionandogli lesioni personali.
La configurabilita’ dell’esimente della legittima difesa deve escludersi nell’ipotesi in cui lo scontro tra due soggetti possa essere inserito in un quadro complessivo di sfida giacche’, in tal caso, ciascuno dei partecipanti risulta animato da volonta’ aggressiva nei confronti dell’altro e quindi, indipendentemente dal fatto che le intenzioni siano dichiarate o siano implicite al comportamento tenuto dai contendenti, nessuno di loro puo’ invocare la necessita’ di difesa in una situazione di pericolo che ha contribuito a determinare e che non puo’ avere il carattere della inevitabilita’ (Sez. 1, n. 365 del 24/09/1999 – dep. 2000, Polichetti, Rv. 21513701).
Secondo la ricostruzione del fatto operata dal Giudice di pace, il (OMISSIS) ha colpito (OMISSIS) non perche’ costretto dalla necessita’ di difendersi, ma perche’ animato dal proposito di vendetta; egli, quindi, non ha colpito (OMISSIS) per evitare di essere da questo picchiato, ma allo scopo di aggredirlo a sua volta e in tal modo punirlo per l’aggressione ricevuta.
In tale situazione, in applicazione del principio sopra esposto, deve escludersi che sussistessero i presupposti di cui all’articolo 52 c.p. e conseguentemente non opera la scriminante invocata dal ricorrente.
4. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

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