Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 13 febbraio 2020, n. 1134.
La massima estrapolata:
In materia di esercizio del potere disciplinare sugli appartenenti alle Forze armate o corpi armati dello Stato l’amministrazione, nello scegliere la sanzione da applicare deve motivare sulla proporzione che deve esistere fra questa e il fatto commesso, in particolare è da escludere che un comportamento illecito isolato, anche costituente reato e anche se commesso da un militare che abbia prestato giuramento di fedeltà, giustifichi di per sé e sempre misure disciplinari estintive del rapporto di lavoro, o sostanzialmente tali.
Sentenza 13 febbraio 2020, n. 1134
Data udienza 6 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7327 del 2015, proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, e dal Comando generale della Guardia di finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
il signor Ma. De. Pi., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Di Li., con domicilio eletto presso lo studio della dott. Santina Murano in Roma, via (…);
per la riforma
previa sospensione
della sentenza del TAR Campania, sezione staccata di Salerno, sezione I, 26 maggio 2015 n. 1148, che ha accolto il ricorso n. 108/2004 R.G. proposto per l’annullamento:
a) della determina 3 novembre 2003, notificata il giorno 25 novembre 2003, con la quale il Comandante generale della Guardia di Finanza ha disposto a carico del maresciallo capo Ma. De. Pi. la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione;
di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, in particolare:
b) del verbale 7 agosto 2003, con il quale la Commissione di disciplina ha dichiarato il predetto non meritevole di conservare il grado;
c) dell’atto 11 aprile 2003 prot. n. 2561 P, con il quale l’Ufficiale inquirente del Comando compagnia della Guardia di Finanza di Nocera superiore ha contestato gli addebiti;
d) della nota 3 aprile 2003 prot. n. 20554 P del Comando regionale della Guardia di Finanza;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ma. De. Pi.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l’avvocato An. Di Li. e l’avvocato dello Stato Da. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente appellato, all’epoca dei fatti maresciallo della Guardia di Finanza, è stato a suo tempo sottoposto a procedimento penale per fatti avvenuti fra il marzo ed il maggio 1992 a Pombia, un paese vicino ad Arona, ove aveva sede il reparto di appartenenza, fatti consistiti in sintesi nell’avere indebitamente ricevuto due milioni di vecchie lire da un imprenditore sottoposto ad una verifica fiscale a lui affidata.
Per tali fatti, contestati inizialmente come concussione ai sensi dell’art. 317 c.p. veniva prosciolto per intervenuta prescrizione con la sentenza Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Novara 16 ottobre 2001 n. 223, che riqualificava il fatto come corruzione ai sensi dell’art. 318 c.p., sentenza passata in giudicato a seguito dell’ordinanza Cass. pen. Sez. VII 15 novembre 2002 n. 15490, che dichiarava inammissibile il relativo ricorso (all. ti 4 e 5 all’appello dell’amministrazione, sentenza e ordinanza citate).
Conclusosi il procedimento penale, il ricorrente appellato, con atto 11 aprile 2003 prot. n. 2561/P notificato lo stesso giorno, riceveva una contestazione disciplinare per tali fatti, ovvero, secondo la descrizione contenuta nell’atto stesso, perché “all’epoca dei fatti in servizio presso il Comando tenenza di Arona, quale componente di una pattuglia del corpo incaricata di svolgere una verifica d’istituto finalizzata al controllo dell’applicazione della normativa tributaria” presso un’impresa “riceveva, da parte dell’amministratore unico” della società ispezionata “la somma di lire 2 milioni quale dazione non dovuta per l’attività di verifica suddetta”, nel luogo e nelle date suindicate (all. 7 all’appello dell’amministrazione, contestazione).
Previo giudizio di non meritevolezza a conservare il grado espresso dalla competente Commissione di disciplina il giorno 7 agosto 2003, l’interessato, con l’atto 3 novembre 2003 di cui in epigrafe, riceveva quindi la sanzione disciplinare della perdita del grado stesso, con messa a disposizione del Distretto militare di appartenenza come soldato semplice.
In motivazione, il provvedimento riteneva provati i fatti contestati, argomentando in proposito dal contenuto della sentenza di non luogo a procedere, e riteneva che essi fossero di tale gravità da non consentire la permanenza dell’interessato nel Corpo (all. 1 all’appello dell’amministrazione, provvedimento impugnato).
Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso proposto dall’interessato contro tale provvedimento; in motivazione, ha ritenuto in sintesi estrema che i fatti fossero stati accertati, che il procedimento disciplinare si fosse svolto correttamente, ma che la sanzione applicata fosse illegittima perché sproporzionata rispetto ai fatti stessi, trattandosi di un episodio isolato commesso da un soggetto che aveva prestato servizio per lungo tempo nel Corpo senza mai dare adito a rimarchi.
Il Ministero ha proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che contiene un unico motivo, di critica alla sentenza impugnata per violazione dell’art. 60 della l. 31 luglio 1954 n. 599 allora vigente e per invasione della sfera riservata alla discrezionalità amministrativa, sotto tre distinti profili.
Sotto un primo profilo (p. 3 dell’atto), sostiene che la valutazione della gravità dei fatti commessi sarebbe discrezionale, sindacabile in sede di legittimità solo in caso di esiti abnormi o manifestamente illogici, e che non sarebbe questo il caso, come emergerebbe all’evidenza dalla ricostruzione dell’accaduto.
Sotto un secondo profilo (p. 7 dell’atto), sostiene in sintesi che il comportamento di un ispettore della Guardia di Finanza che accetta denaro da un contribuente sottoposto a verifica sarebbe in particolare incompatibile con il giuramento prestato, e quindi legittimerebbe la rimozione.
Sotto un terzo profilo (p. 11 dell’atto), sostiene infine che i positivi precedenti di carriera dell’interessato sarebbero irrilevanti, potendo essere valutati solo per commisurare sanzioni intermedie.
L’appellato ha resistito, con memoria 4 settembre 2015, in cui chiede che l’appello sia dichiarato inammissibile, perché nell’epigrafe manca l’indicazione del nominativo del difensore, e comunque respinto nel merito.
Con ordinanza 9 settembre 2015 n. 4092, la Sezione ha respinto la domanda cautelare e all’udienza del 6 febbraio 2020 ha infine trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
2. L’eccezione preliminare di inammissibilità, fondata sulla mancata indicazione, nell’epigrafe dell’atto, del nome dell’avvocato dello Stato che lo ha redatto è infondata. Così come previsto dall’art. 1 del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, infatti “La rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato,… spettano alla Avvocatura dello Stato. Gli avvocati dello Stato, esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità “. Ciò posto, l’appello presentato dall’amministrazione è sottoscritto dall’avvocato dello Stato che lo ha redatto, e risulta effettivamente presentato in tale qualità : a fronte di ciò, il fatto che il nominativo dell’avvocato in questione sia o non sia riportato anche nell’epigrafe è all’evidenza irrilevante.
3. L’appello è però infondato nel merito.
3.1 Sotto il primo dei profili valorizzati nell’unico motivo proposto, è senz’altro vero che l’esercizio del potere disciplinare sugli appartenenti alle Forze armate ovvero, come in questo caso, ai corpi armati dello Stato è espressione di discrezionalità amministrativa, in linea di principio non sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità ; è però altrettanto vero che a tale regola si fa eccezione nel caso di esiti abnormi o evidentemente illogici, in particolare contrari al principio di proporzionalità, che impone di differenziare la sanzione in presenza di fatti obiettivamente diversi fra loro: in tal senso, per tutte, C.d.S. sez. IV 19 ottobre 2019 n. 7335 e sez. VI 7 giugno 2011 n. 3414. Nel caso presente, il Collegio concorda con la valutazione espressa dal Giudice di I grado, secondo la quale l’amministrazione, nello scegliere la sanzione da applicare deve motivare sulla proporzione che deve esistere fra questa e il fatto commesso, in particolare esclude che un comportamento illecito isolato, anche costituente reato e anche se commesso da un militare che abbia prestato giuramento di fedeltà, giustifichi di per sé e sempre misure disciplinari estintive del rapporto di lavoro, o sostanzialmente tali; ritiene invece necessaria una motivazione che spieghi, tenendo conto anche dell’eventuale recidiva, ovvero dei precedenti della persona, per qual motivo i fatti commessi si qualifichino come tanto gravi da manifestare l’assenza delle doti morali necessarie per proseguire l’attività lavorativa: espressamente in questi termini, in un caso ana, C.d.S. sez. VI 8 agosto 2014 n. 4232. Nel caso presente, tale valutazione è mancata, perché il provvedimento impugnato motiva la scelta della sanzione come derivante sostanzialmente “dalla riprovazione e dall’allarme sociale che comportamenti come quelli in esame” suscitano e non concede attenuante alcuna per dati come “i precedenti di carriera” data la “piena e palese violazione del giuramento”, con espressioni certamente esatte, ma adattabili in sostanza ad ogni e qualsiasi violazione. È il caso di notare, per completezza, che quanto commesso dal ricorrente appellato ha rappresentato effettivamente una condotta isolata, dato che anche dopo il fatto (cfr. documentazione in merito, prodotta senza opposizione il giorno 29 gennaio 2020) egli ha tenuto un comportamento ineccepibile, segnalandosi anzi per particolare impegno nel servizio.
3.2 Quanto al secondo profilo valorizzato nel motivo di appello, ovvero quanto al dato specifico della violazione del giuramento, si possono ripetere considerazioni analoghe, dato che secondo la giurisprudenza il dato in questione non è sufficiente, isolatamente considerato, per giustificare sanzioni di livello massimo, essendo necessario, ancora una volta, operare un giudizio di proporzionalità rispetto al fatto: così per tutte C.d.S. sez. VI 4232/2014 citata, nonché sez. IV 20 settembre 2012 n. 5037.
3.3 Quanto sopra porta a ritenere infondato anche il terzo profilo valorizzato nel motivo di appello, secondo il quale dei precedenti favorevoli della persona si potrebbe tener conto solo per scegliere la sanzione da applicare fra quelle meno gravi della rimozione. Si tratta di un’affermazione che nella sua assolutezza è non condivisibile, perché porterebbe a concludere, secondo logica, che il principio di proporzionalità non vale nei casi in cui la sua violazione può essere maggiormente pregiudizievole.
4. In conclusione, l’appello va respinto.
5. Sussistono giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 7327/2015), lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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