L’errore di fatto revocatorio

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 7 ottobre 2019, n. 6756.

La massima estrapolata:

L’errore di fatto revocatorio può essere configurato solo con riferimento all’attività, compiuta dal giudice, di lettura e di esame degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, ma non può riguardare la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto di tali atti e non ricorre, quindi, nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai a un ipotetico errore di giudizio che non è censurabile mediante la revocazione che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore terzo grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento.

Sentenza 7 ottobre 2019, n. 6756

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 748 del 2018, proposto da
EC. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);
contro
COMUNE DI (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Do. Em. Pe., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);
CITTÀ METROPOLITANA DI BARI, non costituita in giudizio;
per la riforma:
della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4402 del 2017;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Sa. Pr., Br. Ta., su delega dell’avvocato Do. Em. Pe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- La società EC. s.r.l. – esercente un centro di raccolta, trasporto e stoccaggio provvisorio di veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso – chiede la revocazione della sentenza n. 4402 del 2017, con la quale il Consiglio di Stato confermava la sentenza del T.a.r. Puglia, sede di Bari, n. 1227 del 2016, che aveva a sua volta respinto l’impugnazione dell’ordinanza n. 53 del 22 giugno 2016 del Comune di (omissis).
Con tale atto, l’Amministrazione comunale – dopo avere disposto, con provvedimento prot. n. 24331 in data 8 settembre 2014, il diniego alla prosecuzione dell’attività indicata nella denuncia di inizio attività del 1 agosto 2014, opponendosi all’installazione di un nuovo impianto fisso di frantumazione e vagliatura di inerti, con costruzione di n. 2 cabine elettriche (diniego oggetto di separato ricorso pure respinto dal T.a.r. con sentenza n. 299 del 2016, confermata dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 667 del 2018) – aveva ingiunto all’istante la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi.
La sentenza revocanda, nel respingere l’appello, rilevava quanto segue:
“5.1 Va preliminarmente dato atto che questa Sezione con autonoma pronuncia ha dichiarato infondato l’appello avverso la sentenza del T.A.R. n. 299/2016 di reiezione del ricorso proposto contro il provvedimento interdittivo l’attività adottato dal Comune sul rilievo che “l’area individuata in catasto al fg. (omissis) p.lla (omissis), sia tipizzata dal PRG di (omissis) come zona (omissis)”, e non come zona industriale.
5.2 Conseguentemente, allo stato, l’intervento ricade in zona agricola; i titoli edilizi rilasciati alla ricorrente temporaneamente per il periodo di tempo coincidente con l’efficacia dell’autorizzazione sono venuti meno poiché detta autorizzazione provinciale all’esercizio dell’attività è divenuta inefficace; le opere realizzate – come da atto d’obbligo sottoscritto dalla ricorrente appellante – erano ab origine destinate ad essere rimosse a cura e spese della parte privata alla cessazione dell’autorizzazione.
5.3 Sicché, in assenza di rinnovo del nulla osta relativo alla realizzazione dell’opificio e dell’autorizzazione di agibilità, una volta adottato il diniego di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti di cui alla D.I.A., gli interventi edilizi realizzati a carattere temporaneo sono abusivi e l’ordinanza di demolizione è atto dovuto.
5.4 L’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è infatti sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere, non essendo necessario, in tal caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale (cfr. Cons Stato, sez. IV, del 30 agosto 2016, n. 3271)”.
1.1.- La società EC. s.r.l. sostiene che l’anzidetta sentenza del Consiglio di Stato sarebbe affetta dai seguenti errori revocatori:
i) l’affermazione secondi cui “i titoli edilizi rilasciati alla ricorrente temporaneamente per il periodo di tempo coincidente con l’efficacia dell’autorizzazione sono venuti meno poiché detta autorizzazione provinciale all’esercizio dell’attività è divenuta inefficace”, sarebbe frutto di una svista: l’efficacia dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto costituirebbe infatti un fatto la cui verità sarebbe positivamente stabilita (l’ultima proroga dell’autorizzazione all’esercizio, fino al 7 giugno 2019, sarebbe stata rilasciata dalla Provincia di Bari con provvedimento prot. n. 121/2009), senza avere costituito un punto controverso in giudizio;
ii) un’ulteriore circostanza la cui verità dovrebbe ritenersi incontrastabilmente esclusa è che la stessa Sezione avesse già respinto l’appello avverso la sentenza del T.a.r. Bari n. 299 del 2016, dal momento che tale pronuncia, al momento della pubblicazione della sentenza revocanda, non era stata ancora pubblicata;
iii) la sentenza avrebbe poi totalmente omesso di esaminare i motivi di gravame con i quali la società aveva sostenuto che il giudice di prime cure aveva confuso le opere oggetto di inibitoria della d.i.a. con quelle oggetto di ordinanza di demolizione.
2.- Resiste nel presente giudizio il Comune di (omissis), chiedendo che la revocazione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
3.- All’udienza del 26 settembre 2019, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.- La revocazione è inammissibile.
In termini generali va rammentato che una sentenza pronunciata in grado d’appello può essere impugnata per revocazione se “è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa” (art. 395, n. 4, c.p.c.). La disposizione suindicata chiarisce che questo errore vi è quando la decisione è fondata “sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”. In ogni caso può esservi errore di fatto revocatorio solo “se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
A questo riguardo la giurisprudenza ha precisato che l’errore di fatto revocatorio può essere configurato solo con riferimento all’attività, compiuta dal giudice, di lettura e di esame degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, ma non può riguardare la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto di tali atti e non ricorre, quindi, nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai a un ipotetico errore di giudizio che non è censurabile mediante la revocazione che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore terzo grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 5 del 24 gennaio 2014; Sez. III, n. 5258 del 2015; Sez. VI, n. 2705 del 2016).
L’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione, deve, quindi:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;
b) attenere a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
L’errore di fatto che consente di mettere in discussione la decisione del giudice con il rimedio straordinario della revocazione ex art. 395 n. 4, c.p.c., non coinvolge, pertanto, l’attività valutativa dell’organo giudicante, ma tende a eliminare l’ostacolo materiale frapposto tra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo il quale promana da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio.
In altre parole, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà processuale, ossia in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile che abbia portato ad affermare o soltanto a supporre (purché tale supposizione non sia implicita, ma sia espressa e risulti dalla motivazione), l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato (Consiglio di Stato, n. 697 del 2014; più di recente, n. 2705 del 2016 e n. 2194 del 2017).
2.- Calando i princì pi su esposti nel caso di specie, il ricorso per revocazione in esame deve essere dichiarato inammissibile.
2.1.- La prima censura relativa alla sopravvenuta inefficacia dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto, esula dall’errore revocatorio nell’accezione sopra esposta: non viene prospettata alcuna errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, bensì un errore di giudizio relativo ad punto sul quale la decisione ha motivato, e rispetto al quale si chiede sostanzialmente al giudice della revocazione di fornire una diversa soluzione giuridica.
Il Consiglio di Stato ha infatti espressamente statuito che, avendo in pari data la stessa Sezione definitivamente respinto il ricorso promosso avverso il divieto di prosecuzione dell’attività oggetto dalla denuncia di inizio attività del 1 agosto 2014 – questo appare il senso giuridico del capo di sentenza contestato dalla ricorrente -, doveva ritenersi oramai appurata l’abusività degli interventi edilizi nel frattempo realizzati.
La domanda esorbita quindi dai parametri del rimedio revocatorio, per assumere piuttosto i profili di un nuovo ricorso di merito.
2.2.- Quanto invece all’inesistenza della sentenza di conferma in sede di appello della decisione del T.a.r. Bari n. 299 del 2016, un errore di fatto non è configurabile neppure sul piano logico, dal momento che:
– i due appelli (n. 5029 del 2016, e n. 595 del 2017) sono stati discussi e decisi nel corso della medesima camera di consiglio del 20 luglio 2017, sebbene le rispettive sentenze siano state pubblicate a distanza di diversi mesi l’una dall’altra;
– la sentenza revocanda, nella parte ci cui dà atto che la medesima Sezione in pari data ha deciso in senso reiettivo anche il ricorso correlato (fondando su tale circostanza la propria statuizione di rigetto), ha riportato un fatto che si è rivelato (retrospettivamente) del tutto veritiero.
2.3.- Posto che l’errore revocatorio è configurabile in ipotesi di omessa pronuncia su una censura sollevata dal ricorrente purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice abbia preso in esame la censura medesima (trattandosi in altri termini di una totale mancanza di o valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione), nel caso di specie deve rigettarsi anche l’ultimo motivo di revocazione.
Il Consiglio di Stato – sul presupposto che il consolidamento del divieto di prosecuzione dell’attività e rimozione degli effetti prodotti dalla denuncia di inizio attività del 1 agosto 2014 avesse reso oramai incontestabile anche l’ordinanza di demolizione e ripristino n. 53 del 2016 – ha (implicitamente) ritenuto di assorbire i restanti motivi, reputando l’ordinanza di demolizione sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere.
3.- Le spese di lite seguono la soccombenza, secondo la regola generale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione n. 748 del 2018, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controparte costituita, che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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