Errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 21 giugno 2019, n. 4262.

La massima estrapolata:

L’errore di fatto è idoneo a fondare la domanda di revocazione solamente allorché derivi da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato senza coinvolgere l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento.

Sentenza 21 giugno 2019, n. 4262

Data udienza 29 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 890 del 2018, proposto da
E-D. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ca. To. e Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Ca. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Gr. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Co. in Roma, via (…);
I.C. Co. Af. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Fo. ed An. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. V n. 05071/2017, resa tra le parti, nella parte in cui avrebbe omesso di pronunciarsi sul secondo motivo dell’appello proposto da En..
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e dell’I. Co. Af. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 novembre 2018 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Ca. Ma., Co. An., Co. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- E-D. s.p.a. (già En. s.p.a.) ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria il regolamento del Comune di (omissis) per la “applicazione canoni concessori non ricognitori” approvato dal Consiglio comunale con delibera n. 48 in data 23 maggio 2014 e le relative tariffe, nonché le note con le quali la concessionaria per la riscossione I.C.A. s.r.l. le ha intimato di pagare il canone non ricognitorio per gli anni 2014 e 2015 in ragione della concessione di suolo pubblico finalizzata alla distribuzione di energia elettrica, deducendo la violazione degli artt. 25 e 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, del principio di irretroattività delle leggi, la violazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, nonché la violazione degli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990.
2. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sezione II, con la sentenza 17 dicembre 2015, n. 1032 ha in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso (in relazione all’impugnativa delle note della ICA s.r.l. in data 9 febbraio 2015 e 3 marzo 2015, concernenti la richiesta ad En. di provvedere al pagamento del canone) ed in parte lo ha dichiarato irricevibile (in relazione all’impugnativa della deliberazione consiliare n. 48 in data 23 maggio 2014).
3.- Avverso tale sentenza ha proposto appello En. s.p.a., censurando la sola statuizione di irricevibilità del ricorso avverso il regolamento comunale e riproponendo i tre motivi del ricorso introduttivo.
4. – Con la sentenza 2 novembre 2017, n. 5071 questa V Sezione ha dichiarato ricevibile il ricorso di primo grado, nell’assunto che l’interesse ad impugnare il regolamento sorge solamente al momento dell’adozione dell’atto applicativo (e quindi con l’intimazione di pagamento), ma ha respinto i motivi riproposti in appello.
5. – En. s.p.a. chiede in questa sede in via rescindente la revocazione della predetta sentenza, deducendo l’omessa pronuncia sul secondo motivo del ricorso introduttivo ed in particolare relativamente alla specifica questione della misura massima del prelievo applicabile in caso di cumulo di Cosap/Tosap, chiedendo in via rescissoria l’accoglimento del motivo di appello sub II.II, in tema di limite del prelievo massimo applicabile, con conseguente annullamento del regolamento comunale, prevedente, al punto 4.2, che dall’importo del canone concessorio (importo massimo) va detratto quanto pagato dal concessionario a titolo di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (e che qualora la differenza tra i due importi sia negativa, il concessionario è esonerato dal pagamento del canone concessorio).
6. – Si sono costituiti in resistenza I.C. Im. Co. Af. s.r.l. nonché il Comune di (omissis) eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito del ricorso.
7.- All’udienza pubblica del 29 novembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Il ricorso per revocazione è inammissibile.
Rileva il Collegio che, in termini generali, l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106 Cod. proc. amm. e 395 n. 4 Cod. proc. civ., è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto allo loro esistenza ed al significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione di errore di fatto revocatorio i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronuncia od abbia esteso la decisione a domande e ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo.
Il caso non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi, queste, che danno luogo, eventualmente, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante il rimedio della revocazione (in termini Cons. Stato, V, 29 ottobre 2014, n. 5347; V, 11 giugno 2013, n. 3210; Ad. Plen., 10 gennaio 2013, n. 1; Ad. Plen., 17 maggio 2010, n. 2; Ad. Plen., 11 giugno 2001, n. 3).
2. – Nella fattispecie in esame non si rinvengono gli elementi tipici dell’errore di fatto revocatorio.
In particolare, con il presente ricorso si prospetta come errore di fatto revocatorio la circostanza per cui la sentenza avrebbe pronunciato sul cumulo in astratto del canone non ricognitorio e della Cosap/Tosap, ma non sulla questione della misura massima del prelievo applicabile (e dunque della natura assorbente della Cosap/Tosap rispetto al canone) ai sensi di quanto disposto dall’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997.
La doglianza di parte ricorrente concerne infatti inequivocabilmente l’attività valutativa del giudice e può astrattamente riguardare un inesatto od errato apprezzamento delle risultanze processuali od un’anomalia del procedimento logico di interpretazione, e dunque eventualmente tradursi in un errore di giudizio.
L’errore di fatto deducibile per revocazione deve invece derivare da un’errata od emessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato (in termini Cons. Stato, V, 3 aprile 2018, n. 2037) e comunque attenere ad un punto controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato, requisiti, questi, mancanti nel caso di specie.
Detto in altri termini, l’errore di fatto è idoneo a fondare la domanda di revocazione solamente allorchè derivi da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato (Cons. Stato, V, 2 marzo 2018, n. 1297), mentre il ricorso in esame, lungi dal soffermarsi sull’attività preliminare del giudice, e dunque sulla lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, coinvolge l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento.
L’errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice è solo quello che non coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma tende ad eliminare l’ostacolo materiale frapposto tra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da un’omessa percezione e semprechè il fatto oggetto di errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato (Cons. Stato, V, 9 agosto 2017, n. 3964). Nel caso di specie si lamenta l’omessa pronuncia, da parte della sentenza, sulla questione, dedotta nel motivo II.II dell’atto di appello, della misura massima del prelievo applicabile, ma il vizio denunciato attiene proprio al principale punto controverso sul quale la decisione ha motivato, affermando, al paragrafo 20, mediante richiamo di precedenti, che “l’Amministrazione interessata può legittimamente esigere il canone in questione anche nel caso in cui per la medesima occupazione sia già corrisposta la TOSAP o la COSAP […], giacchè non esiste contraddizione nella eventuale coesistenza fra le due fattispecie, giacchè una di ordine tributario e l’altra caratterizzata da una lata corrispettività ” e poi, ancora più specificamente, stabilendo, con riferimento alla portata dell’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997, che “la disposizione nella sostanza stabilisce una soglia massima di prelievo con efficacia assorbente: se, dunque, il comune riscuota già altri canoni previsti dalla legge (come, appunto, quello di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992), gli stessi debbono essere portati in detrazione rispetto alla misura complessiva del COSAP (o della TOSAP)”.
La sentenza, come emerge dalla motivazione complessiva, non è dunque incorsa in un’omessa pronuncia sul motivo dedotto, avendo affrontato anche l’argomento del prelievo massimo applicabile, peraltro espressamente enucleato nella esposizione delle censure; non costituisce poi motivo di revocazione l’omesso esame della singola argomentazione posta a sostegno del motivo (Cons. Stato, Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21), traducentesi al più in un vizio della motivazione (od in una motivazione implicita).
3. – In conclusione, alla stregua di quanto esposto, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile, ciò precludendo il riesame del merito della controversia già precedentemente decisa.
Le spese di giudizio seguono, come per regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore delle parti resistenti, delle spese di giudizio, liquidate in euro tremila/oo (3.000,00) per ciascuna.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero – Presidente FF
Alessandro Maggio – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore

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