Errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 26 febbraio 2019, n. 1340.

La massima estrapolata:

L’errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione è solo quello che non coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma tende, invece, ad eliminare un ostacolo materiale frappostosi tra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio.

Sentenza 26 febbraio 2019, n. 1340

Data udienza 10 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3234 del 2015, proposto dalla Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Bo. e Ma. D’E. dell’Avvocatura regionale, con domicilio eletto in Roma, via (…);
contro
Signori Ma. De. Ma. e altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Be. Al., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Li. Di Ri. in Roma, via (…);
Ma. Ve. e altri non costituiti in giudizio;
nei confronti
Comune di (omissis) e altri non costituiti in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 01497 del 19 marzo 2015, che ha respinto l’appello proposto dalla Regione Campania avverso l’ordinanza del T.a.r. per la Campania n. 4730/2014 avente ad oggetto la decisione del reclamo della Regione sull’ordinanza n. 1/2013 del Commissario ad acta.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ma. De. Ma. e altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2019 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati Al. Bo. e Be. Al.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La Regione Campania, con ricorso ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c. e 106 c.p.a., tempestivamente e ritualmente notificato, ha chiesto la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 01497 del 19 marzo 2015, che ha respinto l’appello proposto dalla Regione Campania avverso l’ordinanza del T.a.r. per la Campania n. 4730/2014 avente ad oggetto la decisione del reclamo proposto dalla Regione avverso l’ordinanza n. 1/2013 del Commissario ad acta.
Assume la erroneità della statuizione di irricevibilità dell’appello per tardività in quanto fondata sulla errata qualificazione del provvedimento del T.a.r. quale ordinanza anziché quale sentenza, come tale impugnabile nel termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione ex art. 92, comma 3 c.p.a. – ridotto a tre mesi in ragione della specialità del rito ex art. 87, comma 3, c.p.a. – anziché in quello di sessanta giorni, assunto a paramento della statuizione di irricevibilità, valevole in caso di reclamo ex art. 114, comma 6, c.p.a. e di appello cautelare ex art. 62, comma 1, c.p.a. (in caso di omessa notifica dell’ordinanza).
Si sono costituiti in giudizio i signori Ma. De. Ma. e altri per resistere al gravame contestandone l’ammissibilità e comunque argomentando nel senso della sua infondatezza nel merito.
In particolare hanno evidenziato che l’errore di cui si duole la Regione sarebbe un errore di diritto che investe l’attività interpretativa e valutativa del giudice e, come tale, insuscettibile di configurare un errore di fatto revocatorio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c.
All’udienza pubblica del 10 gennaio 2019, udita la discussione dei difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.
La domanda di revocazione è inammissibile.
Con la sentenza oggetto del presente giudizio di revocazione la IV sezione del Consiglio di Stato ha dichiarato l’appello irricevibile sulla scorta della seguente motivazione: “Dalla parte appellata viene preliminarmente eccepita l’inammissibilità del ricorso in esame perché notificato il 15.11.2014, quindi oltre il termine decadenziale (decorrente per la sospensione feriale dal 16.9.2014) di giorni sessanta dalla comunicazione alle parti dell’ordinanza impugnata (avvenuta a mezzo di PEC in data 5.9.2014).
L’eccezione, peraltro rilevabile d’ufficio, è fondata. Il ricorso, notificato con presentazione all’ufficio postale in data 15.11.2014, quindi il sessantunesimo giorno dalla scadenza della sospensione feriale, risulta irricevibile per tardività, in quanto proposto oltre il termine di sessanta giorni previsto dalla legge. Nella specie invero torna applicabile il principio ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza circa il computo nel termine del giorno (6 settembre) (v. Cass. SS.UU. n. 3668/95 e, da ultimo, 19874/12)”.
La Regione Campania lamenta, in particolare, che il collegio sarebbe incorso in un errore circa il termine di impugnazione applicabile al giudizio di appello avverso la pronuncia del T.a.r. che decide il reclamo sulle ordinanze del commissario ad acta, pervenendo alla erronea declaratoria di irricevibilità del gravame per tardività .
Ciò a motivo dell’erronea qualificazione del provvedimento del T.a.r. quale ordinanza in una fattispecie in cui, avendo lo stesso contenuto decisorio e quindi natura sostanziale di sentenza, lo stesso sarebbe impugnabile nel termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione ex art. 92, comma 3, c.p.a. (dimezzato, in ragione della specialità del rito ex art. 87, comma 3, c.p.a.), in luogo di quello di sessanta giorni valevole in caso di reclamo ex art 114, comma 6, c.p.a. o di appello cautelare ex art. 62, comma 1, c.p.a., assunto a parametro della statuizione di irricevibilità .
Deduce che così facendo il collegio sarebbe incorso in “un errore di fatto consistente nella falsa rappresentazione della realtà in merito alla tipologia di provvedimento impugnato”.
Senonchè non pare revocabile in dubbio che una tale doglianza prospetti un errore di diritto e non di fatto e miri a sindacare la qualificazione giuridica della natura del provvedimento del T.a.r. – quale ordinanza anziché quale provvedimento decisorio assimilabile alla sentenza – operata dal collegio giudicante, peraltro su di un punto controverso nel giudizio, atteso che la parte appellata aveva espressamente eccepito la tardività del gravame, introducendo una questione preliminare poi decisa dal collegio in senso ostativo rispetto alla disamina del merito.
A tal riguardo, secondo il consolidato orientamento, riaffermato, peraltro, anche dalla sentenza n. 1 del 10 gennaio 2013 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, l’errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione è solo quello che non coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma tende, invece, ad eliminare un ostacolo materiale frappostosi tra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2014, n. 3555; id., sez. III, 13 maggio 2015, n. 2394).
Nel caso di specie non si verte dunque in un’ipotesi di errore di fatto revocatorio, nella rigorosa interpretazione dell’istituto accolta da un risalente e consolidato insegnamento giurisprudenziale.
Sebbene la tesi prospettata dalla difesa regionale – secondo cui il provvedimento del T.a.r. avrebbe natura sostanziale di sentenza impugnabile nel termine lungo di sei mesi, ridotto a tre mesi in ragione della specialità del rito ex art. 87, comma 3, c.p.a. – non appaia implausibile, tale doglianza non può trovare ingresso in questa sede, stante il carattere tassativo dei casi in cui è ammessa la revocazione che non contemplano eventuali errori di diritto sulla applicazione dei termini processuali o di qualificazione giuridica della fattispecie.
Giova al riguardo rammentare che la giurisprudenza ha affermato l’eccezionalità dei casi di revocazione delle sentenze che, tassativamente previsti dagli artt. 395 e 396 c.p.c., sono di stretta interpretazione ai sensi dell’art. 14 delle preleggi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 maggio 2013, n. 2840).
Non sussistono dunque i presupposti dell’errore di fatto revocatorio che possano rendere ammissibile il presente gravame.
Ciò non di meno, proprio il carattere non implausibile dell’errore di diritto denunciato con il presente mezzo di gravame, induce il collegio – ferma l’inammissibilità della doglianza – a ritenere sussistenti eccezionali motivi per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 01497 del 19 marzo 2015, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile e compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Luca Monteferrante – Consigliere, Estensore

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