Erogazioni dei soci in conto futuro aumento di capitale

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 3 dicembre 2018, n. 31186.

La massima estrapolata:

Le erogazioni dei soci in conto futuro aumento di capitale – come anche quelle semplicemente in conto aumento di capitale – pur se normalmente tradotte in sostegno finanziario alla società, si caratterizzano per il fatto di non presupporre necessariamente un definitivo incremento del patrimonio sociale come invece accade nel caso dei versamenti o dei contributi in conto capitale. La pratica commerciale certamente conosce situazioni in cui tali erogazioni delineano la funzione di conferimenti anticipati – per esempio i versamenti eseguiti in occasione di un aumento di capitale “scindibile” (cioè destinato a essere mantenuto fermo qualunque risulti esserne l’ammontare definitivamente sottoscritto, anche se inferiore al limite massimo fino al quale era stato deliberato). Ma quella stessa pratica conosce pure situazioni opposte, in cui le erogazioni affluiscono al patrimonio netto della società solo dopo aver ricevuto una irreversibile imputazione al capitale sociale: per esempio, i versamenti eseguiti in funzione di un aumento non ancora deliberato, e quindi giustappunto futuro, oppure eseguiti in funzione di aumento “inscindibile”. In questi casi, se l’aumento di capitale non venisse più deliberato, quanto meno entro un termine ragionevolmente prossimo, oppure non potesse essere attuato a causa della sua mancata integrale sottoscrizione, il soggetto erogante ha il diritto di richiedere alla società stessa la restituzione di quanto erogato. In sostanza, come correttamente in dottrina è stato osservato, siffatte tipologie di erogazioni possono affluire al patrimonio netto della società percipiente solo una volta che abbiano ricevuto, a ogni effetto, una irreversibile imputazione al capitale sociale, a meno che il soggetto erogante non abbia inteso devolverle, con manifestazione inequivoca di volontà, al patrimonio sociale convertendole in contributi in conto capitale (o a fondo perduto, o a copertura perdite). Pertanto, se l’erogazione è fatta in conto di un futuro aumento di capitale, si è dinanzi a una copertura anticipata di un aumento di capitale programmato ma non ancora deliberato, ovvero – come pure si è detto – a un conferimento potenziale, che non diventa effettivo se non nel momento in cui vada a incardinarsi nel capitale sociale. Assumendo la sottesa destinazione di scopo, la devoluzione alla società osta unicamente alla facoltà di chiederne la restituzione ad nutum. Non osta invece al diritto di ottenere la restituzione ove non si verifichi la specifica condizione di perfezionamento individuata all’atto dell’erogazione.

Sentenza 3 dicembre 2018, n. 31186

Data udienza 12 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 17425/2015 proposto da:
Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona dei curatori avv. (OMISSIS), prof. (OMISSIS), prof. avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3526/2015 del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il 08/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/09/2018 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento del motivo 1, in subordine 6 e 7;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

Il comune di Palermo, unico azionista di (OMISSIS) s.p.a., societa’ di gestione del servizio di igiene ambientale in liquidazione e, poi, a far data dal 12-4-2010, in amministrazione straordinaria, delibero’ di trasferire alla detta societa’ il 49% del pacchetto azionario detenuto in (OMISSIS) s.p.a. e di conferirle due importanti immobili siti in (OMISSIS) e il (OMISSIS), oltre a un importo di oltre 59 milioni di Euro destinato a ricapitalizzazione.
Nelle distinte delibere consiliari, l’operazione venne motivata con la sussistenza del preminente interesse pubblico al risanamento di (OMISSIS) e fu realizzata, per gli immobili, con atti notarili rispettivamente rogati il 15-102010 e il 3-12-2010 e, per le azioni, con girata del direttore generale del comune, previa delega sindacale, in data 24-9-2010.
Il tribunale di Palermo, con decreto del 22-4-2012, dispose la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, donde il comune presento’ domanda di insinuazione chiedendo la restituzione sia del titolo nominativo azionario sia degli immobili, sostenendo che il trasferimento e il conferimento fossero stati effettuati subordinatamente alla condizione risolutiva del mancato buon esito della prima procedura, e quindi all’effettivo risanamento della societa’ a opera dei commissari straordinari. In via subordinata dedusse che in ogni caso le operazioni di trasferimento erano nulle per violazione del divieto di cui al Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 6, comma 19, conv. con modificazioni in L. n. 122 del 2010.
Il giudice delegato dichiaro’ inammissibile, perche’ ultratardiva, la domanda di restituzione delle azioni e rigetto’ quella di restituzione degli immobili.
Entrambe le domande sono state invece accolte dal tribunale di Palermo a seguito di opposizione allo stato passivo.
In particolare il tribunale ha ritenuto ammissibile anche la domanda avente a oggetto le azioni, poiche’ legittimata dal Decreto Legislativo n. 270 del 1999, articolo 71 e in ogni caso giustificata, nell’ottica della L. Fall., articolo 101, u.c., dall’interesse alla proposizione, cronologicamente correlato alla chiusura dell’amministrazione straordinaria e alla conversione della stessa in fallimento, e rilevante ai fini della verifica della non imputabilita’ del ritardo. Da tanto ha dedotto che nessuna ragione poteva giustificare una diversa decisione in ordine all’ammissibilita’ della domanda in questione rispetto a quella relativa agli immobili, gia’ ritenuta ammissibile dal giudice delegato.
Nel merito il tribunale ha ravvisato la fondatezza della pretesa sotto entrambi i profili:
(a) perche’ sia il trasferimento immobiliare che quello azionario, in base alle risultanze in atti (ivi comprese quelle desunte da annotazioni nelle scritture contabili di (OMISSIS)), dovevano essere inquadrati come versamenti in conto futuro aumento di capitale, essendosi trattato di apporti funzionalmente collegati e risolutivamente condizionati al mancato aumento di capitale programmato nell’ottica del risanamento della societa’; aumento di capitale che avrebbe dovuto essere attuato entro un anno dalla chiusura dell’amministrazione straordinaria, e che, di contro, non vi era stato per il sopravvenuto fallimento;
(b) perche’ in ogni caso i trasferimenti predetti erano da intendersi affetti da nullita’, per contrasto col divieto di cui al Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 6, comma 19, attesa l’insussistenza delle specifiche circostanze di deroga contemplate dalla norma.
Per la cassazione del decreto del tribunale di Palermo la curatela fallimentare ha proposto ricorso articolato in dieci motivi, illustrati da memoria.
Il comune ha replicato con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Coi primi due motivi la curatela censura la statuizione con la quale il tribunale ha ritenuto ammissibili le domande restitutorie nonostante fossero ultratardive. Al riguardo denunzia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., articolo 101, sotto due profili, tra loro subordinati.
1.1. – Il primo e’ legato alla circostanza che, ove anche condivisa sulla linea dell’interesse, da ricondurre alla conversione della procedura in fallimento, la tesi del tribunale sarebbe fallace per il fatto di non aver considerato che la conversione era stata disposta il 22-4-2013 e il termine L. Fall., ex articolo 101, comma 1, era scaduto il 30-6-2013, decorsi diciotto mesi dal deposito del decreto di esecutivita’ dello stato passivo (309-2011), mentre il ricorso del comune L. Fall., ex articolo 93, era stato presentato dopo quasi un anno dalla scadenza di tale ultimo termine (il 133-2014).
1.2. – Il secondo e’ da associare al fatto che il comune, tenendo conto del Decreto Legislativo n. 270 del 1999, articolo 53, circa la prosecuzione dell’accertamento del passivo, nell’amministrazione straordinaria, secondo il procedimento previsto dalla L. Fall., articoli 93 e segg., avrebbe potuto e dovuto semmai presentare una domanda di restituzione condizionata, ai sensi della L. Fall., articolo 96; sicche’ non avendolo fatto nei termini di cui alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, esso si sarebbe dovuto considerare decaduto dalla possibilita’ di proporla.
2. – Il primo motivo e’ inammissibile, poiche’ non coerente con la specifica ratio decidendi del decreto impugnato.
Il tribunale ha tenuto ferma la possibilita’ di proposizione di una domanda ultratardiva alle condizioni indicati giustappunto nella L. Fall., articolo 101, u.c. e da questo punto di vista non e’ esatto affermare che non abbia considerato gli elementi specificati in ricorso.
Semplicemente va detto che insistere su quegli elementi non e’ produttivo in questa sede, poiche’ quel che rileva e’ che il tribunale ha dedotto dall’interesse del comune, ricostruito come coincidente con la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, la non imputabilita’ del ritardo nella proposizione della domanda restitutoria. Donde la ratto decidendi si rinviene in cio’: che la domanda era in effetti ultratardiva, ma che, non essendosi esaurite le ripartizioni dell’attivo fallimentare, essa era comunque ammissibile, essendo il ritardo dipeso da causa (la sopravvenuta conversione) non imputabile al comune.
Ora e’ del tutto pacifico che, in caso di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi della L. Fall., articolo 101, u.c., la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, che giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito (v. per tutte Cass. n. 19017-17, Cass. n. 20696-13). E l’accertamento di fatto notoriamente sfugge al sindacato di legittimita’, salvo che ne sia denunziata l’illogicita’ del profilo motivazionale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 e nei limiti in cui tale vizio e’ ancora deducibile in cassazione.
Giusta o sbagliata che sia, la valutazione in fatto del giudice a quo in ordine alla non imputabilita’ del ritardo del comune non e’ stata censurata sul versante della congruita’ della motivazione. E dunque resta in questa sede intangibile.
3. – Il secondo motivo e’ infondato.
La tesi sostenuta dalla ricorrente muove dalla premessa che, eliminata in tema di accertamento del passivo ogni distinzione tra le domande di insinuazione dei crediti e le domande di rivendica o di restituzione di beni, il comune avrebbe dovuto presentare una domanda di restituzione condizionata nei termini di cui alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, e non avendolo fatto si sarebbe dovuto considerare decaduto dalla possibilita’ di proporla in via tardiva.
L’assunto non puo’ essere condiviso.
E’ risolutivo che, in sede di verificazione dello stato passivo, la domanda di rivendica non puo’ essere oggetto di ammissione con riserva, tanto che quest’ultima, in quanto atipica ed estranea alle ipotesi tassativamente indicate dalla L. Fall., articolo 95, anche qualora sia disposta dal giudice, andrebbe considerata come non apposta (v. per gli immobili, ma con principio estensibile a ogni categoria di bene, Cass. n. 20191-17).
4. – Coi motivi dal terzo all’ottavo la curatela, in progressiva subordinazione, censura la decisione nella parte afferente il merito della pretesa, specificamente correlato alla qualificazione degli apporti del comune come versamenti in conto futuro aumento di capitale, sottoposti alla condizione risolutiva loro connaturata.
5. – In particolare col terzo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere il tribunale oltrepassato i limiti della domanda, che era stata associata all’ipotizzato mero insuccesso della procedura di amministrazione straordinaria e non anche alla qualificazione degli apporti nel senso suddetto.
Il motivo e’ manifestamente infondato.
5.1. – Quella concernente la qualificazione dell’apporto era (ed e’) una questione giuridica, per quanto correlata ai fatti enunciati dal comune a fondamento della pretesa restitutoria. Era dunque suscettibile di essere esaminata d’ufficio dal giudice del merito, non implicando alcuno stravolgimento di quei fatti.
5.2. – La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex articolo 112 c.p.c., non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati nella causa petendi, una qualificazione giuridica finanche diversa da quella prospettata dalle parti.
Il principio cioe’ non osta a che il giudice renda la pronuncia in base a una ricostruzione autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti stesse, purche’ limitata alla qualificazione giuridica dei fatti o, in genere, all’applicazione di norme di diritto, anche non specificamente invocate (cfr. Cass. n. 11289-18, Cass. n. 6757-11, Cass. n. 8479-02).
6. – Col quarto mezzo e’ dedotta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1353 c.c., per avere il tribunale desunto dall’inquadramento giuridico sopra detto una condizione risolutiva implicita di fatto inesistente.
Posto il rilievo che l’ordinamento societario riconosce la legittimita’ di versamenti societatis causa non imputati a capitale che confluiscono nel patrimonio come componenti del netto, e che partecipano al rischio d’impresa, la curatela sostiene che il tribunale, affermando il diritto del comune alla restituzione degli apporti effettuati in favore di (OMISSIS) s.p.a., abbia frainteso la disciplina dei versamenti in conto futuro aumento di capitale, ritenendo a essi connaturata una condizione risolutiva. Tale condizione, invece, non si accompagnava (ne’ in generale si accompagna) alla tipologia richiamata, tenuto conto dell’essere stata la finalizzazione degli apporti indicata (in modo tra l’altro impreciso, senza menzione di condizioni risolutive) in due soli atti pubblici aventi a oggetto il trasferimento immobiliare, e non anche nell’atto di trasferimento del titolo azionario, ne’ nelle delibere del consiglio comunale relative all’approvazione del piano di risanamento di (OMISSIS). Nel contempo l’avveramento della condizione risolutiva sarebbe stato legato in concreto alla mancata realizzazione di una altrettanto inesistente condizione sospensiva di efficacia del preteso aumento di capitale, incentrata sulla compiuta realizzazione del risanamento della societa’. In verita’, denunzia la ricorrente, gli apporti del comune erano di fatto stabilmente destinati al servizio dell’attivita’ d’impresa e non soggetti al minimo rischio di restituzione, atteso che finanche dai bilanci di (OMISSIS) i corrispondenti valori erano stati iscritti in un apposito fondo di patrimonio netto, e non fra i debiti o in un fondo rischi.
6.1. – Il quarto motivo e’ inammissibile.
Il tribunale di Palermo, previo riferimento alle fonti documentali di prova all’uopo ritenute essenziali, ha affermato che entrambi i trasferimenti, immobiliare e del titolo azionario, erano stati eseguiti in conto del (e destinati al) futuro aumento di capitale di (OMISSIS); aumento di capitale da attuarsi entro un anno dalla data di formale chiusura, per risanamento aziendale, della procedura di amministrazione straordinaria della societa’.
In tal senso il tribunale ha ricostruito la volonta’ delle parti anche tenendo conto delle risultanze delle scritture contabili di (OMISSIS), nella quali era stata attestata dagli stessi commissari una conforme finalizzazione dei trasferimenti al percorso di risanamento aziendale perseguito mediante l’amministrazione straordinaria.
Ora e’ questione di interpretazione della volonta’ delle parti stabilire a quale titolo e con quali condizioni un trasferimento o un versamento sia stato effettuato, se cioe’, o meno, a titolo di definitivo apporto del socio al patrimonio di rischio dell’impresa collettiva; ed egualmente e’ questione di interpretazione della volonta’ stabilire se il trasferimento (o anche in genere il versamento) sia stato in qualche modo condizionato a un evento futuro e incerto, come puo’ essere quello della mancata successiva deliberazione di aumento del capitale nominale della societa’ entro un termine stabilito – nella prospettata situazione di risanamento aziendale e della conservazione del patrimonio produttivo attraverso la prosecuzione, riattivazione o riconversione dell’attivita’ imprenditoriale (Decreto Legislativo n. 270 del 1999, articolo 1).
Ove l’accertamento della volonta’ porti ad affermare che il trasferimento o il conferimento sia stato destinato e condizionato nel senso suddetto e’ innegabile l’esistenza del diritto alla restituzione, anche durante la vita della societa’ (cfr. in particolare Cass. n. 9209-01, Cass. n. 2314-96). Si tratta in questi casi di apporti destinati alla copertura anticipata di un determinato aumento di capitale non ancora deliberato, cosi’ da sostanziarsi in un’anticipazione della sottoscrizione del capitale destinata a perfezionarsi solo con la deliberazione societaria successiva. Il che giustappunto vuoi significare che il socio ha diritto alla restituzione dell’apporto, qualunque ne sia la forma, ove l’aumento programmato non sia poi deliberato.
L’apprezzamento in ordine alla volonta’ di eseguire un simile tipologia di apporto non e’ censurabile in cassazione, se non per violazione delle norme giuridiche che disciplinano l’interpretazione della volonta’ negoziale o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell’accertamento sorregge.
7. – Col quinto motivo la curatela da questo punto di vista deduce, in subordine, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c., sostenendo che i suddetti apprezzamenti del giudice del merito sarebbero frutto di “una singolare interpretazione degli accordi sottoscritti inter partes”. Imputa invero al tribunale di aver valorizzato il solo (e peraltro a dire della ricorrente equivoco) tenore letterale degli atti pubblici relativi al trasferimento dei beni immobili e omesso, invece, di considerare il comportamento complessivo delle parti medesime, precedente e successivo alla stipula degli atti.
Segnatamente la curatela richiama, quale condotta precedente, la circostanza che le anteriori Delib. Consiglio Comunale n. 769 del 2009 e Delib. Consiglio Comunale n. 345 del 2010, relative all’approvazione del piano di risanamento di (OMISSIS), non avevano fatto cenno a futuri aumenti di capitale, ne’ a possibili cause di restituzione degli apporti programmati. Richiama invece, quale condotta posteriore, la circostanza che i bilanci di (OMISSIS) successivi al perfezionamento dei trasferimenti, sebbene qualificando gli apporti come versamenti in conto futuro aumento di capitale, avevano recato l’iscrizione dei trasferimenti medesimi in un’apposita voce del patrimonio netto, e non fra i debiti o in un fondo rischi, come invece sarebbe stato doveroso se le medesime attribuzioni fossero state realmente soggette a un obbligo (o a un rischio) di restituzione.
7.1. – Anche il quinto motivo e’ inammissibile, poiche’ in generale tende al riesame del merito della valutazione operata dal tribunale.
In ogni caso il motivo e’ infondato.
La finalizzazione dei trasferimenti alla realizzazione del programma di risanamento della societa’ in amministrazione straordinaria, e la qualificazione degli stessi come eseguiti in conto di un futuro aumento di capitale, e’ stata desunta dal tenore degli atti afferenti, appositamente evocati. Non e’ vero, invece, che il tribunale non abbia altrettanto considerato, in guisa della ricerca dell’intenzione delle parti, anche le Delib. consiliari allegate dalla ricorrente. Esattamente al contrario emerge, dalle pag. 3 e 4 della motivazione, che le dianzi citate delibere sono state esaminate previa sottolineatura che anche in queste era stato precisato che l’operazione sarebbe stata attuata per la sussistenza del preminente interesse pubblico di procedere al risanamento di (OMISSIS) nella prospettiva alternativa al fallimento (“nella prospettiva della revoca della procedura prefallimentare allora pendente”, quanto alla Delib. n. 769 del 2009; in quella “dell’ammissione di (OMISSIS) s.p.a. all’amministrazione straordinaria”, quanto alla Delib. n. 345 del 2010).
Consegue che quanto sostenuto prioritariamente dalla ricorrente non e’ esatto, e l’assunto alla base del motivo postula una critica al risultato dell’interpretazione in se’, piu’ che una censura sul versante del criterio ermeneutico utilizzato.
7.2. – E’ poi da osservare che nell’ottica dell’articolo 1362 c.c., non e’ decisiva l’appostazione nel bilancio di (OMISSIS) successiva al trasferimento.
I trasferimenti o in ogni caso i versamenti e gli apporti in conto capitale o in conto aumento di capitale, effettuati dai soci in favore della societa’, palesano una natura che dipende dalla ricostruzione della “comune intenzione” delle parti, e la relativa prova va desunta in via principale dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalita’ pratiche cui si mostra diretto e dagli interessi a esso sottesi. Solo in subordine rileva la modalita’ di appostazione ricevuta in bilancio (v. di recente, per i versamenti in conto capitale ma con principio estensibile anche al caso di specie, Cass. n. 15035-18), poiche’, in tema d’interpretazione del contratto, il comportamento tenuto dalle parti dopo la sua conclusione, cui attribuisce rilievo l’articolo 1362 c.c., comma 2, e’ solo quello di cui siano stati partecipi entrambi i contraenti. Non puo’ la comune intenzione degli stessi emergere dall’iniziativa unilaterale di uno di essi, eventualmente corrispondente a distinti personali disegni (cfr. Cass. n. 13535-12, Cass. n. 2901-07).
8. – Col sesto mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., articolo 72, comma 6, essendo inefficaci tutte le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione di un contratto dal fallimento.
Il motivo e’ infondato.
Come chiaramente risulta dal provvedimento impugnato, e come d’altronde ha premesso la stessa curatela ricorrente, sia il trasferimento immobiliare che il trasferimento azionario erano stati nel concreto posti in essere dopo che (OMISSIS) s.p.a. era stata (il 12-4-2010) dichiarata insolvente, e dopo che era stata avviata la procedura di amministrazione straordinaria.
Proprio in cio’ e’ da rinvenire la ragione escludente l’applicazione del principio dettato dalla L. Fall., articolo 72, comma 6.
Ove anche tale norma si reputi astrattamente estensibile all’amministrazione straordinaria (per la quale ben vero la disciplina dei contratti ancora ineseguiti o non interamente eseguiti da entrambe le parti alla data di apertura e’ contenuta nella specifica previsione del Decreto Legislativo n. 270 del 1999, articolo 50), vi e’ che essa non puo’ applicarsi che ai rapporti sorti prima della dichiarazione dello stato di insolvenza.
Ove si tratti di rapporti sorti, come nella specie, dopo la suddetta declaratoria e dopo l’apertura della procedura concorsuale non viene (piu’) in questione la disciplina dei rapporti pendenti tra le parti (in bonis), ai quali l’articolo 72, comma 6, necessariamente allude, sebbene il profilo della funzionalizzazione del contratto (o in generale dell’operazione) al buon esito della procedura stessa, in relazione alla possibile consecuzione tra le procedure concorsuali (Decreto Legislativo n. 279 del 1999, articoli 69 e 70).
9. – Per analoga ragione e’ infondato anche il settimo motivo, col quale la curatela censura la decisione per violazione o falsa applicazione della L. Fall., articolo 45.
La norma esprime il noto principio di indisponibilita’ dei beni acquisiti al fallimento, che deriva alla destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento paritario di tutti i creditori (cd. cristallizzazione). E tuttavia richiamare tale norma a niente serve nel caso di specie, poiche’ qui non si discute di atti le cui formalita’ – necessarie a renderli opponibili – siano state compiute dopo il fallimento, sebbene – come sinteticamente (ma giustamente) osservato dal tribunale – di operazioni nel complesso realizzate in vista del buon esito della gia’ avviata procedura concorsuale, con la prevista finalita’ conservative del patrimonio produttivo mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attivita’ d’impresa.
10. – Con l’ottavo motivo la curatela denunzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2467 c.c., ponendo, per la prima volta in questa sede, la questione della ipotetica natura postergata del diritto vantato dal comune, ove anche ritenuto esistente.
Il comune di Palermo ha eccepito l’inammissibilita’ di questa censura perche’ nuova. Ma l’eccezione non possiede fondamento, in quanto si tratta, come la stessa difesa del comune peraltro riconosce, di una “nuova questione di diritto”, la quale, giustappunto perche’ di diritto, puo’ essere per la prima volta prospettata dinanzi a questa Corte (e finanche rilevata d’ufficio nell’ottica del principio iura novit curia).
Il motivo e’ tuttavia infondato.
10.1. – La ricorrente compendia la sua tesi nella seguente alternativa: o si sostiene che il comune, con gli atti di trasferimento in esame, abbia definitivamente incrementato il patrimonio netto di (OMISSIS) s.p.a., e allora avrebbe errato il tribunale a disporre la restituzione dei beni, poiche’ questi erano entrati nella piena ed esclusiva disponibilita’ della societa’ (poi fallita) al pari di tutti gli altri “mezzi propri”; oppure si sostiene che coi detti trasferimenti il comune abbia solo provvisoriamente aumentato le disponibilita’ patrimoniali della societa’, in vista del futuro aumento di capitale, e allora si dovrebbe affermare il necessario assoggettamento del socio alla disciplina della postergazione di cui all’articolo 2467 c.c., mentre il tribunale ha disposto la restituzione immediata dei beni anzidetti al comune di Palermo.
Il ragionamento della ricorrente non puo’ essere condiviso.
Il tribunale ha stabilito, con enunciazione presupponente un accertamento di fatto intangibile per le ragioni gia’ esposte, che i trasferimenti di cui si tratta erano stati effettuati in conto di un programmato futuro aumento di capitale, da eseguirsi nell’ottica del risanamento di (OMISSIS) (gia’ in amministrazione straordinaria), entro un anno dalla chiusura dell’amministrazione stessa. Ha specificamente ricostruito in tal senso la volonta’ delle parti, affermando che “si trattava di un conferimento risolutivamente condizionato al futuro aumento di capitale (..)” soggetto a quel termine.
Ne consegue che nessuna delle prefigurate alternative e’ rispondente ai fatti accertati, poiche’ il giudice del merito ha messo in luce che l’incremento non era stato effettuato in termini di finanziamento alla societa’ ma come sottoscrizione anticipata dell’aumento di capitale.
10.2. – E’ opportuno considerare che qualunque trasferimento di beni o di denaro (ovvero qualunque versamento o dazione) e’ in se’ indice soltanto dell’esistenza di un rapporto finanziario, ma non della ragione pratica (la causa) che ne e’ alla base. Se e’ vero che in astratto tali versamenti o dazioni possono a seconda dei casi assumere la natura di conferimenti a titolo di dotazione patrimoniale oppure di finanziamenti (a titolo di credito), la concreta natura dei medesimi postula – come in qualche modo s’e’ anticipato – un’indagine di fatto, ed e’ rimessa al giudice del merito.
Quel che in questa sede e’ possibile sottolineare e’ questo: che le erogazioni dei soci in conto futuro aumento di capitale (come anche quelle semplicemente in conto aumento di capitale), pur se normalmente tradotte in sostegno finanziario alla societa’, si caratterizzano per il fatto di non presupporre necessariamente un definitivo incremento del patrimonio sociale (come invece accade nel caso dei versamenti o dei contributi in conto capitale).
La pratica commerciale certamente conosce situazioni in cui tali erogazioni delineano la funzione di conferimenti anticipati – per esempio i versamenti eseguiti in occasione di un aumento di capitale “scindibile” (cioe’ destinato a essere mantenuto fermo qualunque risulti esserne l’ammontare definitivamente sottoscritto, anche se inferiore al limite massimo fino al quale era stato deliberato). Ma quella stessa pratica conosce pure situazioni opposte, in cui le erogazioni affluiscono al patrimonio netto della societa’ solo dopo aver ricevuto una irreversibile imputazione al capitale sociale: per esempio, i versamenti eseguiti in funzione di un aumento non ancora deliberato, e quindi giustappunto futuro, oppure eseguiti in funzione di aumento “inscindibile”.
In questi casi, se l’aumento di capitale non venisse piu’ deliberato, quanto meno entro un termine ragionevolmente prossimo, oppure non potesse essere attuato a causa della sua mancata integrale sottoscrizione, il soggetto erogante ha il diritto di richiedere alla societa’ stessa la restituzione di quanto erogato.
In sostanza, come correttamente in dottrina e’ stato osservato, siffatte tipologie di erogazioni possono affluire al patrimonio netto della societa’ percipiente solo una volta che abbiano ricevuto, a ogni effetto, una irreversibile imputazione al capitale sociale, a meno che il soggetto erogante non abbia inteso devolverle, con manifestazione inequivoca di volonta’, al patrimonio sociale convertendole in contributi in conto capitale (o a fondo perduto, o a copertura perdite).
10.3. – Ora il punto e’ che, se l’erogazione e’ fatta in conto di un futuro aumento di capitale, si e’ dinanzi a un copertura anticipata di un aumento di capitale programmato ma non ancora deliberato, ovvero – come pure si e’ detto – a un conferimento potenziale, che non diventa effettivo se non nel momento in cui vada a incardinarsi nel capitale sociale.
Assumendo la sottesa destinazione di scopo, la devoluzione alla societa’ osta unicamente alla facolta’ di chiederne la restituzione ad nutum. Non osta invece al diritto di ottenere la restituzione ove non si verifichi la specifica condizione di perfezionamento individuata all’atto dell’erogazione.
Il diritto alla restituzione in questi casi e’ ben ravvisabile come conseguenza del meccanismo risolutivo, secondo uno schema condizionale non dissimile a quello – nel distinto caso ovviamente ispirato a condizione sospensiva – che si ha ove il socio si sia obbligato nei confronti della societa’ a sottoscrivere un determinato aumento di capitale prima che lo stesso sia formalmente deliberato dall’assemblea. Questa Corte ha invero ritenuto validamente assunta una simile obbligazione, considerandola subordinata alla condizione sospensiva che la deliberazione di aumento del capitale intervenga nel termine stabilito o in quello desumibile dalle circostanze (v. Cass. n. 8876-06).
L’elemento differenziale e’ dunque nella concreta fattispecie correlato alla circostanza che non di obbligazione si discorre ma di dazione, eseguita a titolo di copertura anticipata dell’aumento di capitale programmato ma non ancora deliberato; cosa che spiega il riferimento del giudice a quo alla condizione risolutiva.
E allora, se – come il tribunale ha accertato in fatto – le erogazioni in conto futuro aumento di capitale erano state risolutivamente condizionate alla deliberazione di aumento da assumere entro un certo termine, e se invece, poi, quell’aumento di capitale non era stato deliberato dall’assemblea, e’ corretto inferire l’insorgenza dell’obbligazione restitutoria in capo alla societa’ percipiente.
Ne’ incorre in errori di diritto il giudice del merito che valorizzi in tal senso elementi dichiarativi resi in occasione dell’erogazione o del trasferimento, onde stabilire che il socio si sia riservato il diritto alla restituzione per l’eventualita’ in cui la delibera di aumento del capitale sociale non risulti assunta entro la data prestabilita.
10.4. – L’assunto della curatela non puo’ esser condiviso neppure sul versante alternativo della postergazione.
La disciplina dell’articolo 2467 c.c., e’ certamente estensibile (a certe condizioni) anche alla societa’ per azioni (cfr. Cass. n. 16291-18, Cass. n. 14056-15), ma occorre pur sempre che si sia dinanzi a una dazione a titolo di credito, alla quale associare l’obbligo di rimborso, per quanto effettuata “in qualsiasi forma”.
L’espressione “in qualsiasi forma”, che compare nell’articolo 2467, non esclude cioe’ che si debba essere sempre al cospetto di un finanziamento, seppure anomalo perche’ effettuato dal socio in situazione tale da imporre, invece, un conferimento. La ratio della norma pacificamente consiste nel contrastare giustappunto in tal modo i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale delle societa’ (“chiuse”).
Se ne desume che i versamenti o i trasferimenti eseguiti in conto di un futuro aumento di capitale non possono rimanere attratti dal principio in nome della mera circostanza della provvisorieta’ dell’apporto. La provvisorieta’ in questi casi consegue al mancato perfezionamento della fattispecie in funzione della quale l’erogazione e’ fatta, non alla causa del credito. E questa Corte ha gia’ affermato che i versamenti fatti in conto di un futuro aumento di capitale hanno una causa che, di norma, e’ appunto diversa da quella del finanziamento (o del mutuo) ed e’ assimilabile invece a quella di capitale di rischio – anche se cio’ non esclude, ovviamente, che tra la societa’ ed i soci possa essere convenuta l’erogazione di un capitale di credito e che, quindi, i soci possano effettuare versamenti in favore della societa’ pure a titolo di finanziamento.
Quel che rileva e’ che (ancora una volta) lo stabilire in concreto la natura di un versamento o di una dazione e’ questione di interpretazione, da svolgersi in base agli elementi di fatto (v. Cass. n. 21563-08). Come tale, essa e’ istituzionalmente riservata al giudice del merito ed e’ sindacabile in cassazione solo sul versante (qui non denunciato) del vizio di motivazione.
10.5. – Merita di essere puntualizzato che non si intende negare ovviamente che, nella pratica, possano verificarsi commistioni tra le fattispecie, e in queste eventualita’ certamente la provvisorieta’ della dazione potrebbe rilevare ai fini di cui all’articolo 2467 c.c..
Questa (astratta) possibilita’ tuttavia non e’ declinabile come un fatto dirimente di per se’.
La provvisorieta’ potrebbe essere valorizzata, ai fini della postergazione, solo in nome del positivo riscontro di una funzione oggettiva della dazione diversa da quella apparente, alla quale funzione oggettiva correlare il diritto alla restituzione. E tanto supporrebbe allegata – e poi dimostrata – una sorta di simulazione, vale a dire che la ragion pratica della dazione sia stata in effetti e giustappunto quella del finanziamento: per esempio, per evidenze probatorie attestanti l’implausibilita’ originaria dell’ipotesi di prospettato aumento di capitale.
Salvo cio’, una funzione oggettiva di credito e’ da escludere dinanzi a versamenti (o a trasferimenti) in conto di un futuro aumento di capitale, visto che essi, ove l’aumento intervenga, vanno a confluire automaticamente in esso, mentre ove non intervenga vanno si’ restituiti, ma non perche’ eseguiti a titolo di finanziamento, sebbene semplicemente perche’ la fattispecie in effetti programmata – l’aumento di capitale – non si e’ perfezionata.
Nel caso di specie e’ risolutivo osservare che dinanzi al giudice del merito una divaricazione del tipo di quella dianzi detta non risulta che sia stata neppure ipotizzata dalla curatela del fallimento, ne’ risulta che sia mai stata in qualche modo allegata – come all’inizio si diceva – la conseguente soggezione a postergazione del diritto azionato dal comune di Palermo.
11. – Le considerazioni esposte comportano il rigetto del ricorso.
Restano invero assorbiti il nono e il decimo motivo, rispettivamente tesi a denunziare la violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 6, comma 19, conv. con modificazioni in L. n. 122 del 2010 e la violazione e falsa applicazione degli articoli 1418 c.c. e segg..
L’assorbimento deriva dal fatto che tali ulteriori mezzi servono a contrastare la seconda ratio decidendi in base alla quale il tribunale ha accolto l’opposizione del comunque di Palermo: ratio incentrata sul rilievo che i trasferimenti in questione, immobiliari e mobiliari, erano da considerare in ogni caso nulli poiche’ posti in essere in violazione del divieto dettato dalla norma speciale, attesa la non ravvisabilita’ (a dire del giudice a quo) di eccezioni all’afferente principio.
E’ evidente che allo scrutinio di tali motivi la ricorrente non ha interesse poiche’ le censure non potrebbero comunque condurre alla cassazione della decisione, stante il consolidamento della prima ratio rivelatasi esatta (cfr. ex multis Cass. n. 2108-12, Cass. Sez. U n. 7931-13).
12. – L’intrinseca difficolta’ della questione di diritto agitata in causa e l’inesistenza di specifici precedenti di questa Corte con riguardo al tema implicato dall’ottavo motivo inducono a compensare le spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Avv. Renato D’Isa

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