Effetto sostanziale di costituzione in mora

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 luglio 2021| n. 21799.

Effetto sostanziale di costituzione in mora.

La richiesta del convenuto di mero rigetto della altrui domanda di accertamento negativo di un debito può costituire domanda idonea a svolgere efficacia interruttiva della prescrizione del diritto vantato nei confronti del debitore, ex art. 2943, comma 2, c.c., se è volta, in concreto, a ribadire le ragioni del proprio credito e a chiederne giudizialmente l’accertamento, con i consequenziali effetti permanenti di cui all’art. 2945 comma 2 c.c., ben potendo un’azione di accertamento negativo dell’altrui negazione del credito contenere implicitamente un’azione di accertamento della titolarità della situazione giuridica dedotta in giudizio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva negato efficacia interruttiva alla memoria di costituzione, con cui l’INPS chiedeva solo il rigetto dell’azione di accertamento negativo di un obbligo contributivo, senza accertare se tale richiesta trovasse fondamento in un’affermazione positiva delle sue ragioni creditorie).

Sentenza|29 luglio 2021| n. 21799. Effetto sostanziale di costituzione in mora

Data udienza 26 gennaio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti di lavoro a progetto – Contributi – Prescrizione – Interruzione – Memoria di costituzione giudizio di primo grado – Valore interruttivo – Effetto sostanziale di costituzione in mora

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 31489/2018 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. – (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS) S.R.L., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 143/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 23/04/2018 R.G.N. 189/2016+1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/01/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE visto il Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

Effetto sostanziale di costituzione in mora

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 23.4.2018, la Corte d’appello di Torino, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato prescritti i crediti di cui al verbale di accertamento con cui l’INPS aveva diffidato (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l. alla regolarizzazione contributiva del personale occupato con contratto di lavoro a progetto, in relazione al mancato assoggettamento a contribuzione di talune indennita’ ad esso corrisposte.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che, non potendosi riconoscere valore interruttivo della prescrizione alla memoria di costituzione dell’INPS in primo grado, siccome contenente soltanto la richiesta di rigettare l’azione di accertamento negativo dell’obbligo contributivo proposta dalle due imprese con il ricorso introduttivo del giudizio, la pretesa contributiva, in mancanza di ulteriori atti interruttivi, doveva reputarsi non dovuta per sopravvenuta prescrizione. Avverso tali statuizioni ha ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un motivo di censura. (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l. hanno resistito con controricorso. La causa e’ stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza n. 21154 del 2020 della Sesta sezione civile di questa Corte.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Effetto sostanziale di costituzione in mora

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2935, 2943 e 2945 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che le sue memorie di costituzione in primo grado non potessero avere valore interruttivo della prescrizione, dal momento che contenevano soltanto la richiesta di rigettare gli avversi ricorsi volti all’accertamento negativo del debito per contributi e non anche una pretesa o intimazione scritta di adempimento idonea a manifestare l’inequivocabile volonta’ di far valere il proprio diritto nei confronti delle odierne controricorrenti, con l’effetto sostanziale di costituirle in mora.
Il motivo e’ fondato nei termini che seguono.
Ricordato preliminarmente che, a norma dell’articolo 2943 c.c., comma 2, la prescrizione “e’ pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio” e che, secondo quanto previsto dal successivo articolo 2945 c.c., comma 2, ove l’interruzione sia avvenuta “mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’articolo 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”, giova premettere che la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ e’ ferma nel ritenere che un atto, per avere efficacia interruttiva della prescrizione, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, le quali, benche’ non richiedano l’uso di formule solenni, debbono essere idonee a manifestare l’inequivocabile volonta’ del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti dell’obbligato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (cosi’, tra le piu’ recenti, Cass. nn. 24656 del 2010, 17123 del 2015, 15174 del 2018, 18146 del 2020).

 

Effetto sostanziale di costituzione in mora

Del pari consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, e’ il principio secondo cui la valutazione dell’idoneita’ di un atto ad interrompere la prescrizione costituisce apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito, come tale insindacabile in sede di legittimita’ se non nei limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (in tal senso, tra le numerose, Cass. nn. 9016 del 2002, 23821 del 2010, 4605 del 2015, 29609 del 2018).
Sulla scorta di tali premesse, questa Corte ha, nel tempo, elaborato significativamente la nozione di “domanda proposta nel corso del giudizio”, di cui all’articolo 2943 c.c., comma 2: benche’ letteralmente il testo normativo rimandi all’articolo 2907 c.c., e articolo 99 c.p.c., e dunque all’iniziativa processuale assunta dalla parte che e’ titolare dal lato attivo della situazione soggettiva dedotta in giudizio, e’ stata infatti progressivamente attribuita analoga efficacia interruttiva permanente a fattispecie connotate piuttosto dall’attivita’ processuale di resistenza che il creditore abbia compiuto nel giudizio intentatogli dal debitore: cosi’ nel giudizio di opposizione a precetto (Cass. n. 7737 del 2007 e 19738 del 2014), nel giudizio di revocazione (Cass. n. 13438 del 2013), nel giudizio di opposizione a ordinanza ingiunzione (Cass. nn. 5369 del 2019, 1550 del 2018), con riguardo ai quali e’ stato espressamente affermato che l’effetto interruttivo permanente di cui al combinato disposto degli articoli 2943 e 2945 c.c., e’ da riportare anche alla circostanza che il convenuto creditore si sia costituito chiedendo il rigetto dell’azione promossa nei suoi confronti dal debitore. Naturalmente, si tratta di un principio che va combinato con l’altro, dianzi parimenti ricordato, secondo cui l’attribuzione di valenza interruttiva della prescrizione ad un determinato atto, anche processuale, e’ attivita’ specificamente demandata al giudice di merito (cosi’, in specie, Cass. n. 29609 del 2018, cit.): solo l’esame del contenuto dell’atto puo’ infatti rivelare se in esso siano davvero contenuti quella
chiara indicazione del soggetto obbligato e
quell’esplicitazione della pretesa che possono testimoniare dell’inequivocabile volonta’ del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti dell’obbligato (cio’ che, ad es., non potrebbe dirsi allorche’ la richiesta di rigetto dell’altrui azione avesse a fondamento fatti estranei all’obbligazione di cui e’ stato promosso l’accertamento giudiziale, come la domanda di accertamento di un altro credito oppure di un fatto di natura esclusivamente processuale volto a paralizzare l’azione altrui). Ma una volta che quell’esame abbia avuto esito positivo, vale il principio generale di cui le fattispecie dianzi esaminate costituiscono particolare applicazione, ossia che anche la mera richiesta di rigetto proposta in giudizio dal creditore rispetto ad un’azione di accertamento negativo introdotta dal presunto debitore ha effetto interruttivo della prescrizione ex articolo 2943 c.c., comma 2, con gli effetti permanenti di cui al successivo articolo 2945 c.c., comma 2, (cosi’ Cass. n. 5369 del 2019, cit., in motivazione).
E’ alla stregua di tali premesse che vanno riconsiderate le affermazioni di Cass. n. 12058 del 2014 (e della successiva Cass. n. 9589 del 2018), sulla scorta delle quali la sentenza impugnata e’ pervenuta a dichiarare la prescrizione dei crediti per cui e’ causa. Se, infatti, non puo’ che convenirsi con la premessa secondo cui “l’articolo 2943 nel prevedere l’efficacia interruttiva della prescrizione in relazione al compimento di atti giudiziali si riferisce soltanto ad atti tipici e specificamente enumerati” (cosi’ Cass. n. 12058 del 2014, cit., in motivazione), non puo’ a priori concordarsi con l’ulteriore affermazione secondo cui “la richiesta di rigetto della domanda attrice (diretta all’accertamento negativo di un proprio debito), essendo volta funzionalmente ad esplicare un’attivita’ difensiva di mera confutazione della domanda avversaria, non puo’ svolgere efficacia interruttiva della prescrizione del diritto di credito vantato nei confronti del debitore (…), non costituendo una chiara esplicitazione di una pretesa, vale a dire, un’inequivoca manifestazione della volonta’, non solo di veder riconoscere ma anche di far valere il proprio diritto, e cioe’ un’intimazione o un’espressa richiesta formale di adempimento idonea, in quanto tale, a mettere in mora la parte debitrice” (ibid.): e cio’ perche’, cosi’ come chi agisce in mero accertamento negativo dell’altrui diritto intende contestare il vanto altrui circa l’esistenza di quel diritto, chi resiste ad un’azione siffatta, chiedendone la reiezione, esercita (rectius, puo’ in concreto esercitare) un’azione di accertamento negativo dell’altrui negazione del proprio vanto, che e’ precisamente un’azione di accertamento (mero) affermativo della propria titolarita’ della situazione giuridica dedotta in giudizio, implicitamente contenuta nella richiesta di rigetto dell’altrui domanda.
Parafrasando quanto sul punto ebbe a osservare antica e autorevole dottrina, si potrebbe dire che quest’azione di accertamento del convenuto puo’ ben passare inosservata fintanto che l’attore insista nella sua domanda, ma basta pensare all’ipotesi che questi intenda abbandonare il giudizio o rinunciare agli atti perche’ subito essa si manifesti come diritto autonomo, come azione vera e propria, dal momento che all’estinzione del giudizio non puo’ che pervenirsi sulla scorta dell’accettazione di chi, in quel giudizio, e’ stato chiamato a contraddire e si e’ costituito (articolo 306 c.p.c., comma 1). E, pur essendo vero che tali rilievi vanno pur sempre coordinati con il principio della domanda (articolo 99 c.p.c.), di talche’ il rigetto della domanda di accertamento negativo ben potra’ implicare accertamento positivo del credito, ma – in assenza di apposita domanda riconvenzionale – giammai condanna dell’attore al pagamento del dovuto, non e’ meno vero che sono precisamente tali rilievi ad aver indotto la costante giurisprudenza di questa Corte ad escludere che, nei giudizi di opposizione all’esecuzione esattoriale, la ritenuta illegittimita’ del procedimento d’iscrizione a ruolo non esime il giudice dall’accertamento, nel merito, della fondatezza dell’obbligo di pagamento dei contributi e/o premi richiesti dagli enti previdenziali (cosi’, tra le piu’ recenti, Cass. nn. 12025 del 2019, 1558 del 2020): l’opposizione all’esecuzione, infatti, altro non e’ che un tipo di azione di accertamento negativo del credito (cosi’, fra le tante, Cass. n. 12239 del 2007) e la sua idoneita’ a dar luogo ad un giudizio ordinario di cognizione sui diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale obbligatorio in tanto puo’ prescindere dalla proposizione di una specifica domanda da parte dell’ente previdenziale (cosi’ come ritenuto da ult. da Cass. n. 1558 del 2020, cit.) in quanto si ammetta che tale “domanda” e’ implicitamente contenuta nella richiesta di rigetto dell’altrui azione di accertamento negativo: l’analogia con il processo per opposizione a decreto ingiuntivo, che pure spesso e’ richiamata a supporto dell’anzidetta conclusione, e’ piu’ apparente che reale, dal momento che in quel caso c’e’ pur sempre la domanda monitoria a giustificare il principio secondo cui giudice dell’opposizione non puo’ limitarsi ad accertare e dichiarare la nullita’ del decreto ingiuntivo emesso in assenza delle condizioni di legge, ma deve pur sempre pronunciarsi sul fondamento della pretesa creditoria azionata (cosi’ Cass. n. 579 del 1967 e innumerevoli successive conformi), mentre nel caso dell’opposizione a cartella esattoriale, cosi’ come in quello dell’opposizione a ordinanza ingiunzione o, piu’ in generale, a precetto, non vi e’ di norma alcun atto processuale che possa assurgere al rango di “domanda” (di accertamento) che non sia costituito dalla richiesta del convenuto creditore di rigettare l’opposizione proposta dal debitore.
Del resto, che il resistere all’altrui azione di accertamento negativo possa implicare una domanda di accertamento positivo del proprio diritto e’ quanto aveva gia’ ammesso Cass. n. 4660 del 1976 per negare che l’esplicitazione di quest’ultima in grado d’appello costituisse domanda nuova, trattandosi viceversa di un’istanza diretta ad ottenere semplicemente un accertamento di contenuto contrario a quello gia’ invocato dall’attore e dunque gia’ virtualmente compreso nel thema decidendi; e pare al Collegio che, diversamente da quanto ritenuto da Cass. nn. 12058 del 2014 e 9589 del 2018, tale principio sia l’unico a poter conferire un concreto significato all’attivita’ processuale di resistenza all’altrui azione di accertamento negativo del proprio diritto (e, prima ancora, alla stessa ammissibilita’ di un’azione di accertamento negativo dell’altrui diritto), che altrimenti si rivelerebbe affatto priva di utilita’ pratica.
Dovendo dunque affermarsi che la richiesta del convenuto di mero rigetto dell’altrui domanda di accertamento negativo di un debito puo’ costituire domanda idonea a svolgere efficacia interruttiva della prescrizione del diritto vantato nei confronti del debitore, ex articolo 2943 c.c., comma 2, in quanto, in concreto, sia volta a ribadire le ragioni del proprio credito e a chiederne giudizialmente l’accertamento, con i consequenziali effetti permanenti di cui all’articolo 2945 c.c., comma 2, giova rilevare, nel caso di specie, che la Corte di merito, lungi dall’esaminare il complessivo contenuto delle memorie depositate dall’INPS in data 14.8.2012, al fine di comprendere se la richiesta di reiezione dei ricorsi delle odierne controricorrenti trovasse fondamento in un’affermazione positiva delle sue ragioni creditorie o in fatti e circostanze ad esse estranee, ha erroneamente attribuito rilievo decisivo al fatto che l’INPS non avesse esplicitato alcuna “pretesa o richiesta di adempimento” e si fosse limitato “a formulare conclusioni dirette alla reiezione dei ricorsi e all’assoluzione d(a)lle pretese delle societa’” (cosi’ la sentenza impugnata, pag. 11). E risultandone violati, per le anzidette ragioni, l’articolo 2943 c.c., comma 2, e articolo 2945 c.c., comma 2, la sentenza va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

 

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