L’effetto conformativo discendente dal giudicato

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 11 marzo 2020, n. 1738.

La massima estrapolata:

L’effetto conformativo discendente dal giudicato impedisce l’adozione di atti amministrativi che con esso confliggono, anche indipendentemente dalla azionabilità in ottemperanza delle statuizioni della sentenza passata in cosa giudicata e della declaratoria di nullità degli atti adottati.

Sentenza 11 marzo 2020, n. 1738

Data udienza 13 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8899 del 2019, proposto da
Ba. Po. de. Ca. – Società Cooperativa per Azioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. De An., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio La. Ta. in Roma, (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Di So., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
nei confronti
Ma. Pa. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Ro. Ge., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza 26 aprile 2019, n. 344 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, Sezione Prima.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Al. De An., Ma. Di So., e Ro. Ge..

FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di (omissis), con concessione edilizia 4 luglio 1989, n. 47, ha autorizzato la Pi. s.r.l. a realizzare, su un fondo di sua proprietà, “un capannone industriale da adibire a laboratorio tessiture e confezioni con alloggio del custode”.
2.- Successivamente, la vicenda amministrativa si è così sviluppata:
– con provvedimento 19 gennaio 1990, n. 798 e 6 febbraio 1990, n. 1557 il Comune ha ordinato la demolizione delle opere per avere la società modificato l’ubicazione dell’edificio nel corso della sua realizzazione;
– con provvedimento 14 gennaio 1991, n. 4 è stata autorizzata la variante ubicativa;
– con sentenza 4 gennaio 1993, n. 26 la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto il ricorso di alcuni proprietari di aree vicine, rilevando che la concessione edilizia n. 47 del 1989 fosse priva dell’impegno della società a realizzare le opere di urbanizzazione primaria;
– con provvedimento 29 settembre 1993, n. 11191 il Comune ha rimosso i vizi procedurali dell’originaria concessione, prendendo atto dell’impegno della società a realizzare le suddette opere di urbanizzazione;
– con sentenza 18 ottobre 1996, n. 1255 la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, da un lato, ha ritenuto, riformando la sentenza impugnata, legittima la decisione dell’amministrazione di consentire la regolarizzazione, dall’altro lato, ha ritenuto che il provvedimento impugnato fosse privo di adeguata motivazione e istruttoria in ordine all’idoneità delle opere di urbanizzazione che il privato aveva promesso di costruire;
– con la suddetta sentenza si è aggiunto che “ciò comporterà la necessità per l’amministrazione di pronunciarsi ancora una volta sulla domanda di concessione edilizia avanzata nel 1988 (…) all’uopo fornendo specifiche indicazioni circa le caratteristiche delle opere di urbanizzazione assentibili”;
– la società, in data 31 dicembre 1994, ha proposto per “fini meramente cautelativi”, istanza di condono;
– a seguito del fallimento della società il Tribunale di Cassino, con decreti del 22 maggio 2002 e 16 maggio 2003, ha trasferito la proprietà del capannone alla Ba. Po. de. Ca.;
– con provvedimento 11 gennaio 2006, n. 1 il Comune ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria;
– con sentenza 21 marzo 2014, n. 243 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Latina, ha annullato tale permesso;
– il Comune, con provvedimento 19 novembre 2015, n. 11167, preso atto di tale annullamento, ha disposto la demolizione del capannone;
– lo stesso Tribunale, adito nuovamente dalla ricorrente, odierna appellante, con sentenza 26 aprile 2019, n. 344, ha respinto il ricorso, rilevando che il capannone deve ritenersi abusivo e che l’obbligo di riesame dell’istanza di concessione del 1988 non può assumere rilevanza in quanto il diritto all’esecuzione è prescritto per decorso dei dieci anni previsti per agire con l’azione di ottemperanza.
3.- La ricorrente in primo grado ha proposto appello.
3.1.- Si sono costituite in giudizio le parti, pubbliche e private, intimate, chiedendo che l’appello venga rigettata.
4.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 13 febbraio 2020.
5.- L’appello è fondato.
6.- Con un primo motivo l’appellante ha rilevato l’erroneità della suddetta sentenza nella parte in cui ha ritenuto prescritto il diritto di esecuzione, in quanto “la prescrizione dell’azione di ottemperanza non ha nulla a che vedere con la validità temporale illimitata dell’effetto conformativo della sentenza”.
Il motivo è fondato.
Il giudicato di annullamento di atti amministrativi produce, normalmente, effetti, oltre che di accertamento, di eliminazione, di ripristinazione e conformativi. In particolare, il vincolo conformativo assume una valenza differente a seconda che oggetto di sindacato sia un’attività amministrativa vincolata o discrezionale: i) nel primo caso esso è pieno nel senso che viene delineata in modo completo la modalità successiva di svolgimento dell’azione amministrativa; ii) nel secondo caso esso ha valenza meno pregnante, in quanto non può estendersi, per assicurare il rispetto del principio costituzionale di separazione dei poteri, a valutazioni riservate alla pubblica amministrazione. Per quanto il giudizio amministrativo verta sul rapporto giuridico al fine di accertare la spettanza delle utilità finali oggetto dell’interesse legittimo, quando l’attività amministrativa è discrezionale, il vincolo giudiziale non può incidere su spazi di decisione, afferenti all’opportunità, attribuiti alla pubblica amministrazione.
Nella fase successiva al giudicato, occorre distinguere un momento relativo alla “medesima vicenda amministrativa “e un momento relativo ad una “diversa, ancorché collegata, vicenda amministrativa”.
Nel primo caso relativo alla “medesima vicenda amministrativa”, l’azione amministrativa successiva al giudicato, quando l’accertamento non è stato pieno in ragione dell’esistenza di poteri discrezionali, è retta da “regole giudiziali” e da “regole legali”. Ne consegue che: i) una parte di tale azione deve rispettare i vincoli che derivano dal giudicato e, in particolare, il vincolo conformativo; ii) un’altra parte della medesima azione, non oggetto di specifico accertamento giudiziale, deve rispettare i vincoli posti dal principio di legalità .
Se l’amministrazione viola la prima tipologia di vincoli di tipo giudiziale, non eseguendo il giudicato o ponendo in essere un’attività di violazione o elusione del giudicato stesso, la tutela si svolge sul piano dell’esecuzione ed è costituita dall’azione di ottemperanza, con la quale si può contestare l’omissione ovvero la nullità degli atti adottati (artt. 112 ss. cod. proc. amm). Il codice del processo amministrativo ha previsto che tale azione debba essere proposta entro il termine di prescrizione di dieci anni decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza, in quanto ha configurato l’esistenza di un “diritto soggettivo all’esecuzione” sottoposto all’efficacia estintiva propria della prescrizione. Anche l’azione di nullità per violazione o elusione del giudicato, che per la sua specialità, non soggiace al termine di centottanta giorni previsto per le altre cause di nullità (art. 30 cod. proc. amm.), deve essere proposta nel rispetto del suddetto termine prescrizionale (art. 31, comma 4, cod. proc. amm.).
Se l’amministrazione viola la seconda tipologia di vincoli di tipo legale, la tutela si svolge sul piano della cognizione ed è costituita, in presenza di atti amministrativi, dall’azione di annullamento (art. 29 cod. proc. amm.), che deve essere proposta nel termine di decadenza di sessanta giorni (art. 41, comma 2, cod. proc. amm) ovvero dall’azione di nullità (art. 31, comma 4, cod. proc. amm.), che deve essere proposta nel termine di centottanta giorni.
Nel secondo caso relativa alla “diversa vicenda amministrativa”, l’azione amministrativa è retta dalle regole legali e, dunque, deve rispettare il solo principio di legalità, in quanto si tratta di un rapporto differente da quello che è stato oggetto di accertamento giudiziale.
Deve, però, ritenersi che, in alcuni casi, quando le due vicende presentano profili di collegamento sostanziale si produce quello che può essere definito “effetto conformativo” di coerenza o razionalità della complessiva azione amministrativa discendente dal giudicato.
In particolare, tale effetto, imponendo un obbligo non sottoposto a termine, produce una svolgimento interno delle situazioni giuridiche coinvolte di tipo preclusivo nel senso che l’amministrazione non può regolare la “vicenda diversa” in contrasto con il complessivo accertamento giudiziale già svolto in ossequio al suddetto canone di coerenza nell’esercizio del potere.
La peculiarietà della vicenda amministrativa risiede nel fatto che la forma di tutela si svolge esclusivamente sul piano della cognizione mediante la proposizione di un’azione di annullamento per violazione di legge o eccesso di potere che deve essere proposta nei riportati termini di decadenza. Ne consegue che il suddetto effetto conformativo incide anche, nei sensi indicati, sulla nuova attività amministrativa senza alcun limite temporale se non quello derivante dalla decorrenza del termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto amministrativo che con tale effetto si pone in contrasto.
In definitiva, l’effetto conformativo discendente dal giudicato impedisce l’adozione di atti amministrativi che con esso confliggono, anche indipendentemente dalla azionabilità in ottemperanza delle statuizioni della sentenza passata in cosa giudicata e della declaratoria di nullità degli atti adottati. Vengono così a scindersi l’eseguibilità del giudicato (impedita dalla prescrizione dell’actio iudicati) e la persistenza dell’effetto conformativo del medesimo, che comporta, comunque, il dovere dell’amministrazione di non adottare atti che contrastino con l’accertamento giudiziale e il conseguenziale effetto conformativo. Il diritto all’esecuzione del giudicato non è azionabile ma il dovere di tener conto del giudicato nelle ulteriori attività dell’amministrazione permane, con la conseguente possibilità di ritenere annullabile l’atto che non lo consideri.
Quanto esposto vale anche in presenza di attività amministrativa di repressione di abusi edilizi.
L’attività in esame è, normalmente, vincolata con la conseguenza che il giudice amministrativo accerta il rapporto con la produzione di un vincolo conformativo pieno sulla successiva attività amministrativa.
Può accadere, però, in presenza soprattutto di annullamento giudiziale di titoli edilizi già rilasciati ovvero per la complessità della vicenda amministrativa, che la pubblica amministrazione sia titolare di poteri discrezionali, con le conseguenze in ordine al regime dell’attività successiva sopra riportate.
La fattispecie in esame rientra in questo ambito.
Questo Consiglio, con la citata sentenza, passata in giudicato, n. 1255 del 1996, ha ritenuto regolarizzabile l’immobile ma necessaria una valutazione sulle opere di urbanizzazione assentibili, sicché, in conseguenza di questo, l’annullamento giurisdizionale della sanatoria poi ottenuta non ha comportato affatto l’automatica demolizione del realizzato ma un dovere di ricostruzione del complesso dei procedimenti sviluppatisi nel tempo, senza che alcuni peraltro si concludessero, da cui deriva la necessità di pronuncia espressa sulle istanze pendenti. La stessa sentenza ha previsto, infatti, che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto “pronunciarsi ancora una volta” sulla concessione edilizia. Si tratta di una sentenza che non aveva accertato in modo definitivo il rapporto giuridico controverso ma si era limitata ad affermare l’esistenza di un difetto di istruttoria.
Dopo il suddetto giudicato si è inserita una “vicenda amministrativa diversa” ma collegata, in quanto il privato ha presentato una domanda di sanatoria, ai soli fini cautelativi, senza rinunciare agli effetti della sentenza di annullamento.
Il Comune ha rigettato tale domanda con provvedimento espresso che è stato oggetto di impugnazione, rigettata con sentenza n. 243 del 2014 del Tribunale amministrativo, sopra citata, passata in giudicato.
Successivamente il Comune ha adottato, d’ufficio, l’ordinanza di demolizione del capannone, oggetto del presente giudizio. Sullo svolgimento di tale diversa azione amministrativa ha prodotto, però, effetti conformativi di tipo preclusivo il giudicato amministrativo di cui alla sentenza n. 1255 del 1996 di questo Consiglio che, come sottolineato, imponeva all’amministrazione prima di disporre la demolizione di concludere il precedente procedimento amministrativo al fine di valutare l’effettiva consistenza delle opere di urbanizzazione. Il mancato rispetto di tale vincolo conformativo ha determinato la complessiva incoerenza e irrazionalità dell’azione amministrativa che risulta, pertanto, come correttamente posto in rilievo all’appellante, illegittima per eccesso di potere. In definitiva, il Comune, prima di procedere alla demolizione, avrebbe dovuto dare esecuzione alla sentenza sopra riportata. L’effetto conformativo che da essa discende “impedisce” di procedere alla demolizione delle opere prima di aver esaminato la questione degli oneri di urbanizzazione e della vecchia istanza di concessione ancora pendente.
Né varrebbe rilevare, come sostenuto dalla parte resistente e condiviso dal primo giudice, che l’azione di ottemperanza sarebbe prescritta per avvenuto decorso dei dieci anni.
In questo caso, infatti, non è stata proposta un’azione di ottemperanza ma un’azione di annullamento dell’ordine di demolizione, contrastante con tale effetto conformativo e con i predetti doveri dell’amministrazione.
7.- L’accoglimento del motivo sopra riportato esime il Collegio dall’esaminare gli altri motivi proposti.
8.- La natura della controversia, davvero peculiarissima, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) accoglie l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza 26 aprile 2019, n. 344 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Latina, accoglie il ricorso di primo grado;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore
Davide Ponte – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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