E’ legittimo il voto numerico espresso dalle commissioni esaminatrici

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 5 settembre 2019, n. 6103.

La massima estrapolata:

E’ legittimo il voto numerico espresso dalle commissioni esaminatrici di concorsi pubblici sulle prove scritte o orali dei candidati in quanto sintesi del giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, che non necessita di ulteriori spiegazioni.

Sentenza 5 settembre 2019, n. 6103

Data udienza 16 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 171 del 2010, proposto da
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Pi. e Do. Po., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fa. Pi. in Roma, (…);
contro
An. Bi., rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Sa., An. Po. e Ma. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ri. Ma. in Roma, via di (…);
nei confronti
Gi. Ru., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sezione Seconda, n. 01484/2009, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di An. Bi., che ha spiegato anche appello incidentale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per l’appellata l’avvocato Ri. Ma., in dichiarata delega di Ma. Sa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Comune di (omissis) indiceva una selezione pubblica per il conferimento di un incarico di collaborazione professionale (co.co.pro.) nell’ambito dell’istituzione di uno sportello linguistico regionale a norma della legge 15 dicembre 1992, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche).
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna An. Bi., partecipante alla procedura selettiva, impugnava il bando sulla base di tre motivi con i quali, in sostanza, lamentava il contrasto dei requisiti di partecipazione alla procedura selettiva (in particolare il possesso della laurea triennale, quadriennale o quinquennale in discipline umanistiche, giuridiche o equipollenti) e dei criteri di valutazione dei titoli previsti dal bando con le prescrizioni contenute nella l. n. 482 del 1992.
2.1. Con i primi motivi aggiunti impugnava poi le delibere di nomina della commissione esaminatrice, i verbali della commissione stessa e il provvedimento di approvazione della graduatoria finale del 2 luglio 2008, n. 229, lamentando: a) difetto di motivazione degli atti della commissione esaminatrice nell’attribuzione dei punteggi ai titoli, nonché alla prova scritta, orale e pratica di informatica; b) difetto di motivazione in relazione alla mancata attribuzione di tre punti per il suo curriculum professionale; c) erronea valutazione dei suoi titoli di studio e di servizio; d) mancata indicazione nei verbali della commissione dei criteri seguiti per l’attribuzione del punteggio relativo al colloquio ed alla prova pratica di informatica; e) difetto di motivazione in relazione alla nomina dei componenti della commissione esaminatrice.
2.2. Con i secondi motivi aggiunti impugnava per gli stessi motivi la determinazione comunale di stipulazione del contratto con Gi. Ru., primo collocato in graduatoria e vincitore della selezione.
2.3. Si costituiva in giudizio il Comune di (omissis); Gi. Ru., pur ritualmente evocato in giudizio, restava contumace.
Il giudizio era definito dalla sentenza segnata in epigrafe di accoglimento del secondo motivo di censura sollevato con i primi motivi aggiunti, respinti tutti gli altri, e conseguente annullamento della graduatoria finale e delle determinazione di stipulazione del contratto con Gi. Ru..
3. Ha proposto appello il Comune di (omissis); si è costituita con memoria An. Bi. che ha proposto anche appello incidentale; è rimasto contumace Gi. Ru., pur ritualmente citato.
Le parti hanno presentato memorie ex art. 73 Cod. proc. amm., cui è seguita replica di An. Bi.. All’udienza pubblica del 16 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. L’appello principale è fondato, mentre quello incidentale deve essere respinto, alla stregua delle considerazioni che seguono.
4.1. La sentenza impugnata ha accolto il secondo motivo di censura spiegato con i primi motivi aggiunti con cui An. Bi. aveva lamentato la mancata attribuzione dei tre punti previsti dal bando di concorso per “master e corsi di perfezionamento post laurea realizzati da Università o Enti pubblici… relativi alla lingua e cultura sarda”, pur avendo dichiarato, nella autocertificazione a corredo della domanda di partecipazione, di aver conseguito il 14 luglio 2004 il Master di secondo livello di durata annuale in Lingua e letteratura della Sardegna presso la Facoltà di lettere e filosofia di Cagliari.
Il giudice di primo grado, riscontrato che il Comune resistente non aveva contestato il possesso del predetto titolo, ha ritenuto il contenuto dell’autocertificazione corrispondente a verità e di conseguenza fondato il motivo di censura sollevato: il riconoscimento di ulteriori tre punti consentiva alla ricorrente, cui era stato assegnato il punteggio di 18,375, di ottenere complessivamente punti 21,375 e di scavalcare nella graduatoria finale il controinteressato Ru., collocatosi al primo posto con 21 punti.
4.2. Il Comune di (omissis) con l’unico motivo di appello proposto (assente di rubrica, ma non per questo inammissibile, stante la chiara esplicazione delle ragioni di censura, cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2018, n. 6461) ha sostenuto che alla (omissis) erano stati già attribuiti dalla commissione esaminatrice i tre punti per il Master di secondo livello in Lingua e letteratura della Sardegna conseguito presso la Facoltà di lettere e filosofia di Cagliari.
A tal fine ha esposto di aver depositato in primo grado – con la memoria difensiva del 4 novembre 2011 – copia delle autodichiarazioni presentate dai candidati annotate, mediante “notule” manoscritte dei commissari a fianco dell’indicazione dei singoli titoli posseduti, con il punteggio che la commissione avrebbe loro attribuito.
Nel caso della (omissis) le annotazioni erano presenti a margine dell’indicazione del titolo di studio (con la formula “1+2”), nonché proprio in relazione al master di secondo livello, con l’indicazione manoscritta di “3 punti”; nessun altro punteggio era annotato a margine di altro corso di formazione o attività di perfezionamento indicato dalla candidata; inoltre nella tabella redatta dalla commissione al termine della valutazione dei titoli, oltre ai punti assegnati per il titolo di studio, erano indicati ulteriori tre punti, in perfetta corrispondenza con le citate notule manoscritte.
Il fatto poi che i tre punti effettivamente assegnati per il master fossero stati inseriti nella casella (denominata) “curriculum”, anziché, come dovuto, nella casella “varie”, costituiva un mero errore materiale di compilazione della tabella che non era idoneo ad escludere la correttezza dell’operato della commissione che, diversamente da quanto rivendicato dalla ricorrente ed erroneamente ritenuto dal primo giudice, aveva già riconosciuto il punteggio (3 punti) per il master.
A tale prospettazione ha replicato l’appellata rilevando, per un verso, che la casella “varie”, introdotta nella griglia dalla commissione esaminatrice, e destinata, nella prospettazione dell’appellante a ricomprendere i punteggi per i master e gli altri corsi di perfezionamento, non sarebbe stata prevista dal bando di gara, e, per altro verso, che il Master in “Limba e cultura sarda, traduzione e comunicazione”, conseguito da Gi. Ru. presso l’Università autonoma di Barcellona, non avrebbe potuto essere qualificato come titolo di master di I o II livello secondo la disciplina normativa vigente (la legge n. 509 del 1999 e il decreto del Ministero dell’istruzione, università e ricerca n. 270 del 2004) in quanto non avrebbe ottenuto il riconoscimento dell’equipollenza con titolo di studio rilasciato da Università italiana e, comunque, non avrebbe avuto alcun carattere ufficiale, così che in definitiva tale titolo di studio post universitario del controinteressato non sarebbe stato equiparabile al suo.
4.3. Così sintetizzate le tesi delle parti, si osserva che l’esame della documentazione versata in atti conferma la prospettazione difensiva del Comune di (omissis).
4.3.1. Innanzitutto sulla copia della autodichiarazione della (omissis) sono effettivamente presenti delle annotazioni manoscritte del punteggio per ciascun “titolo” dichiarato in esatta corrispondenza al titolo di studio (Laurea in lettere moderne, per la quale è annotata la formula “1+2”) e al Master di secondo livello, ove l’indicazione è “3 punti”.
4.3.2. Anche a voler prescindere dal di per sé decisivo rilievo che nessuna contestazione è stata svolta sulla autenticità di tali annotazione e sulla loro riferibilità ai componenti della commissione, sussistono altri elementi di fatto, precisi e concordanti, che corroborano la ricostruzione dell’appellante.
4.3.2.1. Nel verbale del 6 giugno 2008, n. 2, al paragrafo 1. “Valutazione dei titoli”, la commissione precisava le modalità di attribuzione dei punti, specificando, in consonanza con le indicazioni del bando di concorso, che i dieci punti per “i titoli di studio e culturali” sarebbero stati ripartiti in cinque punti da attribuire sulla base della votazione conseguita nel titolo di studio e altri cinque punti distribuiti in un punto per la laurea vecchio ordinamento o la laurea nuovo ordinamento quinquennale, tre punti per i dottorati di ricerca, master e corsi di perfezionamento presso Università o enti pubblici e/o privati relativi alla lingua e alla cultura sarda ed, infine, un punto per l’insegnamento della lingua sarda nelle scuole pubbliche.
Il master posseduto dai candidati, ove riconosciuto valutabile dalla commissione, avrebbe comportato pertanto l’assegnazione di tre punti da inserire nella casella “titoli di studio”.
Quanto, invece, al curriculum formativo e professionale la Commissione prevedeva l’attribuzione di un punteggio massimo di due punti.
4.3.2.2. La tabella contenuta nel medesimo verbale però non corrisponde a tale chiara indicazione metodologica poiché ad An. Bi., nella casella “Studio”, relativa ai titoli di studio, sono assegnati solamente due punti – verosimilmente per la laurea – e nella casella “curriculum” tre punti, cioè un punteggio maggiore del punteggio massimo che per tale voce sarebbe stato possibile assegnare.
La stessa situazione risulta verificatasi per il vincitore Gi. Ru.: la commissione ha operato secondo le medesime modalità descritte, apponendo sulla domanda di partecipazione del Ru. annotazioni manoscritte a margine dei titoli di studio, e precisamente, “3” per la laurea in “Beni storico – artistici e archeologici” e “3” per il Master in “Limba e cultura sarda, traduzione e formazione sulla cultura sarda” conseguito presso l’Università autonoma di Barcellona (null’altro punteggio annotando a margine delle esperienze curriculari elencate) e, poi, riportando in tabella tre punti alla casella “Studio” e tre punti alla casella “curriculum”.
4.3.2.3. I delineati elementi indiziari (le annotazioni manoscritte del punteggio presenti sulla autodichiarazione della (omissis); la circostanza che le stesse siano presenti solo a margine dell’indicazione del titolo di studio ed al master e non degli altri dati curriculari; l’indicazione in tabella nella casella “curriculum” di un punteggio maggiore di quello massimo conseguibile e, di riflesso, nella casella “studio” di un punteggio inferiore a quello dovuto alla luce delle predette annotazioni; la ripetizione di tale condotta per ciascun candidato) conducono a ritenere che la commissione esaminatrice abbia effettivamente assegnato alla (omissis) i tre punti per il Master di secondo livello in lingua e letteratura della Sardegna, salvo, poi, nel riportare il punteggio nella tabella riepilogativa, errare nell’inserimento dello stesso nell’esatta casella, inserendoli in quella denominata “Curriculum” anziché in quella “Studio” (errore, peraltro, rilevato dalla stessa (omissis) nel primo ricorso per motivi aggiunti).
4.4. Esigenza sistematiche e di completezza espositiva impongono di esaminare immediatamente la doglianza sollevata da An. Bi. nel quarto paragrafo dell’unico motivo di appello incidentale, con cui è stata censurata la sentenza di primo grado per aver disatteso il motivo di ricorso con il quale era stata lamentata la mancata attribuzione di quattro punti (e, dunque, non solamente dei tre che emergerebbero dalle annotazioni a margine dei documenti) per il diploma di laurea, giusto il voto riportato nella votazione finale (che, invero, non viene indicato).
Il giudice di primo grado ha così deciso rilevando che nell’autodichiarazione dei titoli la candidata aveva omesso l’indicazione della votazione conseguita all’esame finale di laurea (e per questa ragione la commissione esaminatrice non aveva potuto assegnarle il punteggio), né aveva precisato che il certificato di laurea era presente presso gli uffici comunali per essere stato presentato in occasione di precedente contratto di lavoro intercorso con il Comune di (omissis).
An. Bi. ha sul punto dedotto di aver operato in conformità alle indicazioni del bando che, al punto 9 richiedeva di riportare nella domanda “Il titolo di studio richiesto per l’accesso alla selezione, data e luogo di conseguimento nonché dell’autorità scolastica che lo ha rilasciato”, senza specificazione della votazione conseguita; del resto, secondo la tesi dell’interessata, l’art. 43 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 vieta alle amministrazioni pubbliche di richiedere atti o certificati già in suo possesso (circostanza quest’ultima pacifica avendo ella lavorato alle dipendenze dell’ente nel periodo 2004/2005).
4.4.1. Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.
Posto che, come correttamente dedotto dalle difese del Comune, in mancanza di indicazione del voto conseguito all’esame finale di laurea la commissione ha non irragionevolmente ritenuto di attribuire il punteggio minimo previsto per il voto di laurea (di un punto da aggiungersi all’ulteriore punto per essere una laurea vecchio ordinamento per due punti complessivi), la doglianza è inammissibile, dal momento che neppure in sede di appello l’interessata ha precisato quale sia il voto conseguito all’esame finale di laurea, il che non consente neppure di stabilire a quale punteggio aspirava per il titolo di studio posseduto, elemento indispensabile per la valutazione dell’interesse alla proposizione del motivo (dipendendo da tale dato l’utilità del suo accoglimento).
4.4.2. D’altronde, la sentenza di primo grado merita conferma poiché la candidata non ha allegato di aver presentato in altra occasione al Comune di (omissis) documento attestante il voto di laurea, ma solo di avervi lavorato presso il medesimo sportello linguistico nel periodo 2004/2005: anche a voler seguire il ragionamento svolto con il motivo di appello – secondo cui le amministrazioni sono tenute a recuperare dai documenti in loro possesso i dati mancanti – nel caso di specie, a supporto delle argomentazioni difensive, non è specificato se il documento contenente il dato di cui si discute sia mai stato prodotto all’amministrazione (elemento ancor più decisivo ove si tenga conto che, salvo per il caso di laurea con lode, il diploma di laurea, di norma, non riporta la votazione conseguita).
4.5. Infine occorre rilevare che An. Bi. nella memoria di costituzione ha indugiato sulla inutilizzabilità del Master in “Limba e cultura sarda, traduzione e formazione sulla cultura sarda” conseguito presso l’Università autonoma di Barcellona dal vincitore: tuttavia tale questione non risulta ritualmente proposta come autonomo motivo di ricorso nel primo grado di giudizio e la stessa pertanto non può essere esaminata.
4.6. L’accoglimento del motivo dell’appello principale determina la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui dispone l’annullamento degli atti della commissione esaminatrice, come pure della graduatoria provvisoria per la mancata attribuzione alla (omissis) di ulteriori tre punti; il punteggio della (omissis) per la valutazione dei titoli resta, dunque, quello indicato dalla Commissione esaminatrice, stante il rigetto, pure sopra indicato degli esaminati profili dell’appello incidentale.
4.7. Devono essere esaminati gli altri profili dell’appello incidentale.
4.7.1. Come evidenziato in precedente l’appello incidentale è affidato ad un unico motivo, articolato in deversi paragrafi, con cui An. Bi. ha censurato la sentenza di primo grado per aver respinto i primi tre motivi di ricorso di contestazione del bando di concorso sotto vari profili.
4.7.1.1. In particolare il bando era stato innanzitutto censurato per aver previsto, quale requisito di partecipazione alla procedura selettiva, il possesso di un diploma di laurea, anche triennale ed anche in materie non specialistiche, in contrasto con le disposizioni, statali e regionali, di tutela delle minoranze linguistiche che avrebbero imposto,per le attività professionali indicate in contratto “competenze linguistiche” e “alta specializzazione”; la laurea triennale in materie generiche, come, ad esempio, le materie giuridiche, non sarebbe stata idonea a comprovare e certificare le competenze linguistiche e di docenza.
Altre contestazioni avevano riguardato l’art. 5 del bando ove era stato previsto un diverso punteggio in dipendenza del voto riportato dal candidato all’esame finale di laurea: la (omissis) aveva sostenuto che l’amministrazione avrebbe dovuto distinguere tra le varie tipologie di laurea che consentivano la partecipazione alla selezione, assegnando punteggi diversi a seconda della votazione conseguita all’esito di un diploma universitario di durata triennale ovvero di un corso di laurea quadriennale (vecchio ordinamento) o, ancora, quinquennale (nuovo ordinamento).
Era stata censurata come manifestamente ingiusta e illogica l’assegnazione di tre punti indifferentemente per “dottorati di ricerca”, “masters” e “corsi di perfezionamento post lauream”, giacchè, secondo la prospettazione della ricorrente, la frequenza di un dottorato di ricerca come di un master di II livello non avrebbe potuto logicamente condurre all’assegnazione del medesimo punteggio previsto per i corsi di formazione post lauream, questi ultimi essendo accessibili anche a coloro che sono privi di laurea specialistica ed avere, spesso, durata infra-annuale, prevedendo la frequenza di un numero limitato di ore ed il rilascio di attestati di partecipazione non riconosciuti.
Da ultimo era stato contestato il punteggio previsto dal bando per il curriculum formativo, in particolare per non aver riconosciuto la rilevanza di attività di formazione, collaborazione, ricerca e pubblicazione diverse dai “corsi di formazione e aggiornamento espletati in settore strettamente inerente al servizio di pertinenza, di durata almeno biennale” (che avrebbero portato all’assegnazione di 1 punto), in contrasto con lo spirito della legge e con le finalità del progetto promosso.
4.7.1.2. La sentenza impugnata ha giudicato in parte inammissibili ed in parte infondate le predette censure rilevando che:
a) la ricorrente non aveva indicato in maniera specifica i titoli richiesti dalla legge e non previsti dal bando;
b) il bando, comunque, doveva ritenersi conforme alle prescrizioni normative avendo richiesto ai concorrenti “di essere di madrelingua sarda e di conoscere la variante locale (bittese) scritto e parlato” e avendo previsto lo svolgimento di un colloquio in lingua sarda;
c) la previsione di titoli più specifici, quale requisito di partecipazione, avrebbe comportato un restringimento del numero dei partecipanti alla selezione con evidente noncumento per l’interesse pubblico alla scelta del candidato con maggiore capacità professionale, resa possibile dal sistema, scelto dall’amministrazione, di svolgere specifiche prove concorsuali;
d) v’era carenza di interesse a ricorrere avverso le prescrizioni del bando relative alla valutazione dei titoli da parte della commissione, poiché si tratta di censure che avrebbero potuto essere proposte solo all’esito della formazione della graduatoria finale, laddove, al momento di pubblicazione del bando non v’è attualità alla loro contestazione.
4.7.2. Il motivo di gravame è da respingere.
4.7.2.1. Per consolidato orientamento giurisprudenziale le clausole dei bandi di concorso sono immediatamente impugnabili solamente se impeditive della partecipazione alla procedura selettiva (c.d. clausole escludenti); tutte le altre clausole, ivi comprese quelle aventi ad oggetto i criteri di valutazione dei titoli, vanno impugnate solamente con gli atti applicativi, vale a dire i verbali della commissione esaminatrice e i provvedimenti di approvazione della graduatoria (cfr. Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2019, n. 2366; IV, 25 febbraio 2019, n. 1266; VI, 7 marzo 2018, n. 1469; IV, 11 ottobre 2016, n. 4180; III, 7 marzo 2016, n. 921)
Tanto costituisce puntuale applicazione e logica conseguenza del requisito dell’attualità dell’interesse a ricorrere; quest’ultimo nei confronti delle clausole del bando di concorso aventi ad oggetto requisiti di partecipazione (non impedienti la partecipazione al ricorrente ma ritenuti permissivi della partecipazione ad un numero eccessivo di candidati), come pure i criteri di valutazione dei titoli, non è attuale al momento della pubblicazione del bando perché il ricorrente non può trarre alcuna utilità immediata e diretta dall’eventuale accoglimento del ricorso: l’espunzione delle clausole del bando non gli consentirebbe, infatti, di conseguire il bene della vita sperato vale a dire l’utile collocazione nella graduatoria finale per il conseguimento del posto a concorso.
E’ pur vero che mediante un ricorso, come quello proposto dall’odierna appellata incidentale avverso i requisiti di partecipazione previsti dal bando per la loro eccessiva ampiezza, il candidato, in caso di esito positivo dell’impugnativa, potrebbe ottenere l’effetto di restringere il numero dei partecipanti alla procedura selettiva, ma tale interesse ha natura meramente strumentale e non finale poiché non porta all’interessato il definitivo vantaggio sperato, e, come tale, salvo espressa previsione di legge (come nel caso dell’ora abrogato art. 120, comma 2 -bis, Cod. proc. amm., per le procedure di gara, ora abrogato), non è tutelabile in giudizio poiché non corrispondente ad una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo.
4.7.2.2. Per le ragioni esposte i motivi di censura avverso le clausole del bando di gara aventi ad oggetto i requisiti di partecipazione, reputati eccessivamente ampi, e i criteri di valutazione dei titoli sono inammissibili per carenza di interesse, tanto più che essi sono stati proposti con il ricorso introduttivo del giudizio di primo gravo rivolto proprio nei confronti del bando di gara.
4.8. Nel medesimo motivo di appello, in altro paragrafo, l’appellante dichiara di far pieno ed integrale riferimento agli atti del primo grado in relazione alle censure rimaste assorbite, ed in particolare quanto alla “errata attribuzione di punteggio in merito ai titoli di servizio fatti valere dalla dottoressa (omissis)”.
4.8.1. Il motivo così articolato è inammissibile: l’appellante, non riportando i motivi assorbiti, non spiega quali titoli di servizio, inseriti nella autodichiarazione, non sono stati considerati dalla commissione esaminatrice, ma si limita a rinviare agli atti e ai documenti di primo grado.
In questo modo, però, è articolato un motivo inammissibile poiché non consente al giudice d’appello di comprendere esattamente il contenute delle censure rivolte agli atti impugnati non esaminate dal giudice di primo grado. La giurisprudenza amministrativa, già prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (e dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.) prevedeva l’onere di riproposizione per la parte diversa dall’appellante dei motivi non esaminati dal giudice di primo grado, mediante specifico richiamo (cfr. Adunanza plenaria 19 gennaio 1999, n. 1), per la sicura applicazione anche al giudizio amministrativo dell’art. 346 Cod. proc. civ., da assolvere riportando, anche solo in sintesi, le argomentazioni a sostegno delle censure articolate nel primo grado del giudizio.
Non può essere richiesto al giudice d’appello, infatti, lo spoglio degli atti del primo grado del giudizio – ammesso pure che siano tutti immediatamente reperibili – alla ricerca dei motivi di ricorso che la parte ha inteso riproporre nel grado d’appello.
Il presente giudizio è regolato da tali principi per essere stato incardinato prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo.
L’appellante incidentale, limitandosi ad enunciare le censure e rinviando, per il resto, ai motivi come esposti negli atti del primo grado del giudizio, non ha assolto all’onere di riproposizione imposto a suo carico dalle predette disposizioni. Ne segue che le censure non possono essere esaminate.
5. Nel terzo paragrafo dell’unico motivo di appello An. Bi. censura la sentenza per aver respinto il motivo (aggiunto) di ricorso di contestazione degli atti della procedura selettiva e, segnatamente, dei verbali della commissione esaminatrice, per difetto di motivazione in ordine all’attribuzione del punteggio numerico; la ricorrente sosteneva che la commissione esaminatrice avrebbe dovuto accompagnare il punteggio numerico assegnato alla prova scritta, alla prova orale e di informatica, con un giudizio esplicativo del punteggio stesso.
5.1. La sentenza di primo grado, in effetti, ha respinto il motivo di ricorso con l’orientamento giurisprudenziale per il quale il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame esprime e sintetizza il giudizio tecnico – discrezionale della commissione e non necessita di ulteriori spiegazioni o chiarimenti (è richiamata a sostegno la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4300).
5.2. L’appellante sostiene che un più recente orientamento avrebbe ristretto la regola della sufficienza del punteggio numerico ai soli casi in cui i criteri dettati dal bando siano stati specificati dalla Commissione esaminatrice, così da rendere perfettamente comprensibile la valutazione numerica attribuita, quale ultimo passo di un processo valutativo chiaramente delimitato da criteri pre – determinati e conosciuti; nel caso di specie, sarebbe insufficiente il punteggio numerico per la valutazione delle prove scritte ed orali non avendo la Commissione esaminatrice fissato criteri di massima idonei ad offrire comprensione del giudizio espresso dai punti attribuiti. Aggiunge l’appellante che la censura era rivolta anche all’assegnazione del punteggio numerico ai titoli valutati dalla commissione preventivamente all’espletamento delle prove.
6. Il motivo è infondato; la sentenza di primo grado merita conferma con alcune precisazioni.
6.1. La questione della legittimità del voto espresso in forma numerica nell’ambito dei concorsi pubblici è stata oggetto di un ampio dibattito nella giurisprudenza amministrativa per il dubbio che tale espressione della valutazione del candidato potesse essere non idonea ad adempiere all’obbligo di motivazione degli atti amministrativi e, per questo motivo, conforme alla prescrizione posta dall’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241.
L’orientamento assolutamente maggioritario, cui si intende dare continuità, è nel senso della piena legittimità del voto numerico espresso dalle commissioni esaminatrici di concorsi pubblici sulle prove scritte o orali dei candidati in quanto sintesi del giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, che non necessita di ulteriori spiegazioni (ex multis, solo per limitarsi alle più recenti, cfr. II, 13 maggio 2019, n. 3053; III, 29 aprile 2019, n. 2775; V, 23 aprile 2019, n. 2573)
Si precisa, peraltro, che solo se mancano criteri di massima prestabiliti, ovvero qualora vi sia una evidente contraddittorietà tra questi e il voto assegnato alla singola prova, la valutazione in forma numerica è illegittima, perché i criteri di massima costituiscono il quadro all’interno del quale si inserisce l’assegnazione del voto e danno evidenza della gradazione del voto assegnato.
Da ultimo, tale orientamento ha ottenuto l’avallo dell’Adunanza plenaria che, nella sentenza 20 settembre 2017, n. 7, pur esaminando la specifica questione della legittimità del voto numerico per la valutazione delle prove scritte dei candidati all’esame di abilitazione alla professione forense, ne ha richiamato le argomentazioni a sostegno della tesi accolta della legittimità del voto numerico.
6.2. Occorre verificarne ora se il Comune di (omissis) si sia conformato ai principi esposti.
Preliminarmente, va precisato che, come esposto dall’appellante, la commissione esaminatrice non ha aggiunto, nelle sue diverse sedute, ai criteri di valutazione delle prove contenuti nel bando ulteriori e più dettagliati parametri di giudizio; tale scelta, tuttavia, a parere della Sezione, non comporta l’illegittimità del voto numerico assegnato ai candidati.
A fronte di prove di contenuto definito – si trattava di un colloquio avente ad oggetto la cultura, la storia e le tradizioni nella Sardegna, le norme regionali, nazionali e internazionali sulle minoranze linguistiche, nozioni di lingua sarda e conoscenza di elementi fondamentali della legislazione sugli enti locali e sulla legge 482/99 (art. 6 del bando) e di una prova informatica – i criteri dettati dal bando per la valutazione dei candidati erano sufficiente specifici.
Il bando, chiedeva, infatti, di accertare la conoscenza della lingua sarda e la capacità di utilizzo delle apparecchiature informatiche più diffuse, nella prova informatica, onde il voto numerico era espressivo del grado di conoscenza della lingua e di capacità nell’utilizzo delle apparecchiature informatiche, maggiore o minore a seconda della distanza dalla sufficienza. Nessun ulteriore distinzione avrebbe potuto aggiungere la commissione che non apparisse meramente ridondante, se non propriamente arbitraria e illogica.
6.3. Riconosciuta la legittimità del voto numerico per la valutazione delle prove dei candidati, occorre aggiungere che tale è anche il voto numerico assegnato alla valutazione dei titoli, sul quale, invero non è esprimibile alcun giudizio poiché ciascun punteggio è corrispondenza di una data situazione e/o condizione già definita dal bando. Come pure non è condivisibile la doglianza circa l’utilizzo di un solo voto per esprimere il giudizio sulla prova scritta e orale, considerato che tale era l’indicazione contenuta nel bando.
7. In conclusione, l’appello principale va accolto e la sentenza di primo grado riformata con la reiezione dei motivi aggiunti proposti dalla ricorrente principale e l’appello incidentale è integralmente respinto.
8. Le peculiarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di lite del doppio grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna n. 1484/2009, respinge integralmente i motivi aggiunti proposti nel primo grado del giudizio da An. Bi.; respinge l’appello incidentale.
Compensa tra le parti in causa le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere, Estensore
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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