E’ in linea di principio preclusa l’esecuzione di interventi modificativi della consistenza materiale del manufatto oggetto di condono

Consiglio di Stato, Sentenza|19 aprile 2021| n. 3171.

E’ in linea di principio preclusa l’esecuzione di interventi modificativi della consistenza materiale del manufatto oggetto di condono, in quanto la normativa sul condono edilizio postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, nuove opere ad eccezione di quelle dirette a garantirne l’integrità e la conservazione.

Sentenza|19 aprile 2021| n. 3171

Data udienza 2 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Sanzioni – Ordine di demolizione ed acquisizione dell’area di sedime – Impugnazione – Istanza di condono su corpo di fabbrica principale – Irrilevanza – Non consentito intervento modificativo sul manufatto accessorio – Fattispecie – Non giustificata estensione dell’area da acquisire

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9209 del 2011, proposto da
Lu. Em., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Sa. Co., presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via (…)
contro
Roma Capitale – Municipio Roma XIX, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Sergio Siracusa, elettivamente domiciliata presso la sede dell’Avvocatura Capitolina, in Roma, alla Via (…)
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, n. 29725 del 3 agosto 2010.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. Roberto Politi;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso N.R.G. 240 del 2006, proposto innanzi al T.A.R. del Lazio, l’odierna appellante ha chiesto l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 1800 del 3 ottobre 2005, recante ordine di demolizione di opere abusive ed acquisizione dell’area di sedime.
Espone la parte, in punto di fatto, di aver acquistato un terreno, sito in Comune di Roma, località (omissis), alla Via (omissis), della superficie di are 12,48 circa (distinto in catasto terreni al foglio (omissis), part. lla (omissis)) e di aver realizzato sopra di esso un immobile di mq. 100, con manufatto accessorio adibito a magazzino.
Successivamente, a fronte del deterioramento del predetto magazzino, interveniva la demolizione di esso e la realizzazione di altro manufatto, avente superficie di mq. 96 x h. 3,00 e poggiante su un plateatico di cemento.
In proposito, l’interessata ha evidenziato di essere stata costretta, a causa della instabilità delle mura del manufatto accessorio adibito a magazzino, a procedere immediatamente, previa parziale demolizione, al consolidamento e riedificazione di detto edificio, al fine di evitare un imminente pericolo di crollo con grave rischio per l’incolumità (per tale motivo, sostenendo di non aver effettuato alcuna comunicazione al Comune).
2. Costituitasi l’Amministrazione comunale intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso.
3. Avverso la pronuncia in precedenza indicata, la signora Lu. ha interposto appello, notificato il 28 ottobre 2011 e depositato il successivo 23 novembre, lamentando, in primo luogo, l’illogicità della gravata sentenza.
Il secondo manufatto, realizzato dall’appellante in adiacenza al primo, seppure abusivamente realizzato, rientrerebbe nell’istanza di condono edilizio presentata in data 27 febbraio 2004, ancora non definita.
Non sarebbe, poi, condivisibile quanto dal giudice di prime cure affermato, circa la non sussumibilità nel novero degli interventi provvisionali di assoluta urgenza (indispensabili per evitare l’imminente pericolo di crollo ed i conseguenti rischi per l’incolumità delle persone) delle opere di demolizione e ricostruzione del precedente manufatto nella fattispecie eseguite (riconducibili nel genus degli interventi di risanamento conservativo).
L’avversata pronunzia di primo grado recherebbe, inoltre, contraddittoria motivazione, con riferimento alla (pure) disposta acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’intero lotto di mq. 1920, sul quale insiste altro manufatto di mq. 76, provvisto di tutti i requisiti per ottenere la concessione edilizia in sanatoria.
Conclude la parte per l’accoglimento dell’appello; e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
4. In data 1° dicembre 2011, l’Amministrazione comunale appellata si è costituita in giudizio; ed ha depositato in atti (alla data del 29 gennaio 2021) conclusiva memoria, con la quale sono state analiticamente confutate le argomentazioni esposte nell’atto introduttivo.
5. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 2 marzo 2021.

DIRITTO

1. Giova procedere, preliminarmente alla disamina delle doglianze introdotte con il presente appello, alla verifica dei contenuti motivazionali della gravata sentenza del T.A.R. del Lazio.
Preliminarmente rilevato, “in punto di fatto… che la determinazione a demolire impugnata colpisce il secondo manufatto realizzato dalla ricorrente in adiacenza al primo, pure esso abusivamente realizzato, rientrante però nell’istanza di condono edilizio presentata dalla stessa in data 27 febbraio 2004 ed acquisita al protocollo dell’USCE al n. 504044”, il giudice di prime cure ha precisato che, in detta richiesta, l’interessata descriveva sinteticamente l’illecito edilizio come “fabbricato realizzato in muratura ad abitazione per mq. 76,00 per mc. 295 con piccolo manufatto distaccato adibito a magazzino per mq. 21,90, per mc. 69,00, attualmente ultimato in tutte le sue parti”.
Prosegue l’appellata sentenza osservando che:
– veniva accertato dalla Polizia Municipale, in data 22 aprile 2005, che “nel lotto distinto in catasto al foglio (omissis) particella (omissis) ove già esiste manufatto ad uso abitativo già perseguito in data 30.12.1997 di mq. 100 circa… è in corso d’opera, previa demolizione di un manufatto accessorio di m. 6,50 x 3,70 x H 2,40 in legno e calce coperto in pvc… perseguito in data 7 dicembre 2000…, la realizzazione di un manufatto in blocchetti di tufo di mq. 96 x H3,00… Tale manufatto risulta provvisto di copertura a terrazzo e di n. 8 aperture il tutto allo stato grezzo”;
– e che lo stesso organo, il successivo 23 maggio 2005, constatava “che si stavano proseguendo i lavori edilizi abusivi del detto manufatto indicato nel precedente verbale… consistenti nella gettata del solaio del primo piano… e nella realizzazione della copertura a due falde spioventi, allo stato priva di tegole”, e nella realizzazione “nella zona antistante l’ingresso al manufatto di due colonne in c.a. per presumibile portico oltre alla predisposizione di carpenteria per ulteriori due colonne, nonostante il sequestro giudiziario in data 22 aprile 2005”.
Come sopra individuato lo stato fattuale della consistenza del realizzato intervento, il T.A.R. ha osservato che:
– “rispetto a quanto dichiarato nella istanza di condono edilizio, “il piccolo manufatto distaccato adibito a magazzino per mq. 21,90″ risulta demolito e modificato in una costruzione adiacente alla precedente e munita di porticato in corso di realizzazione sia al momento del sequestro, sia al momento della determinazione a demolire”;
– “la documentazione fotografica offerta dall’Amministrazione comunale e relativa, la più risalente, al giugno-luglio 2003 mostra… che l’intero immobile non era presente sul fondo a quella data, quanto meno nella consistenza rilevata nel 2005/2006, quando invece i lavori si presentavano ad uno stadio di gran lunga più avanzato e completati con la copertura sia della parte più estesa sia della parte realizzata in dichiarata demolizione del fatiscente piccolo magazzino, che la ricorrente avrebbe abbattuto per motivi di sicurezza e di agibilità “;
per l’effetto, assumendo che le sopra riportate circostanze precludano l’accoglimento delle censure inerenti:
– la presentazione della domanda di condono, cui si fa riferimento come presentata in data 27 febbraio 2004 (in quanto “al giugno – luglio 2003, dalla aerofotografia prodotta dall’Amministrazione comunale… emerge che la costruzione principale non esisteva ancora”)
– il carattere “urgente” integrato, secondo la tesi di parte ricorrente, dall’abbattimento del magazzino, con successiva ricostruzione, in quanto “formulata in maniera del tutto generica senza alcun riferimento specifico alla norma statutaria che prevedrebbe la detta disposizione e comunque la demolizione e ricostruzione per grave pericolo alla incolumità pubblica ha come suo presupposto essenziale un’ordinanza sindacale di sgombero e di demolizione, che nel caso in esame non è stata adottata, sicché l’opera realizzata non può trovare la sua giustificazione nella tutela dell’incolumità pubblica”.
Il Tribunale ha, inoltre, disatteso la doglianza secondo cui il Comune avrebbe emesso il provvedimento impugnato senza idonea motivazione sui presupposti che impongono la demolizione, con conseguente acquisizione dell’intero lotto di mq. 1920, in ragione del carattere abusivo dell’intera opera e della continuazione dei lavori, “malgrado le opere siano state sottoposte a sequestro giudiziario già una prima volta in data 22 aprile 2005 e malgrado la costruzione principale sia stata già oggetto di una prima ingiunzione di demolizione nel 1997 e il sedicente manufatto accessorio sia stato anch’esso colpito da un’altra demolizione in data 7 dicembre 2000”.
2. Quanto sopra premesso, viene, in primo luogo, in considerazione la censura con la quale parte appellante ha criticato la gravata sentenza, nella parte in cui ha escluso che le opere di demolizione e ricostruzione del precedente manufatto, dalla stessa poste in essere, rientrino tra quelle provvisionali di assoluta urgenza, indispensabili per evitare l’imminente percolo di crollo e i conseguenti rischi per l’incolumità delle persone.
Sul punto, le affermazioni di parte, volte ad asseverare lo stato di potenziale pregiudizio per l’incolumità delle persone, conseguente alla precarietà strutturale del precedente manufatto (dalla sig.ra Lu. demolito, per far luogo alla successiva riedificazione di altro corpo di fabbrica, interessato dall’ordine ripristinatorio per cui è controversia) non trovano, negli atti di causa, documentale conferma.
Evoca parte appellante, a sostegno della affermata realizzabilità dell’intervento posto in essere, la disposizione dettata dall’art. 31, comma 1, lett. c), della legge 5 agosto 1978, n. 457 (riprodotta, poi, dall’art. 3, comma 1, lett. c), del D.P.R.6 giugno 2001, n. 380), in base alla quale sono qualificabili come “interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio”.
L’anzidetta disposizione non può, peraltro, trovare applicazione, quanto alla vicenda che ha dato luogo alla presente controversia, atteso che il manufatto ex novo realizzato (in sostituzione del preesistente, oggetto di demolizione) è affatto diverso, integrando esso un corpo di fabbrica avente dimensione superficiaria e volumetrica largamente superiori rispetto al magazzino, del quale parte appellante ha sostenuto la precarietà statica a fondamento dell’avvenuta demolizione.
Viene, infatti, in considerazione, per come verbalizzato dalla Polizia Municipale in esito a sopralluogo, la presenza:
– di un manufatto in blocchetti di tufo, avente superficie di mq. 96, per un’altezza pari a mt. 3,00, circa poggiante su di un plateatico in cemento,
-a fronte di un preesistente manufatto accessorio, di mt. 6,50 x 3,70, con altezza pari a mt. 2,40, in legno e calce e coperto in pvc.
La palese, quanto consistente, alterità dimensionale del nuovo corpo di fabbrica, rispetto al volume e ed alla superficie del precedente, esclude la sussumibilità dell’intervento posto in essere dall’odierna appellante nel novero delle opere di restauro e di risanamento conservativo, con riveniente abusività dello stesso, in difetto di rilascio di previo titolo ad aedificandum, integrato da permesso di costruire.
3. Né, altrimenti, la pendenza di procedimento attivato a fronte della presentazione, da parte della sig.ra Lu., di istanza di condono per il corpo di fabbrica “principale”, avrebbe in alcun modo potuto consentire la realizzazione di intervento modificativo (peraltro, in misura dimensionalmente così incisiva) sul manufatto “accessorio”.
Costituisce consolidato principio giurisprudenziale (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4743; Sez. II, 18 marzo 2020, n. 1929), quello per cui è, in linea di principio, preclusa l’esecuzione di interventi modificativi della consistenza materiale del manufatto oggetto di condono, in quanto la normativa sul condono edilizio postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, nuove opere ad eccezione di quelle dirette a garantirne l’integrità e la conservazione.
In presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, dunque, gli interventi ulteriori (anche ove riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), comunque ripetono le caratteristiche di illegittimità (rectius: abusività ) dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.
Quindi, nel caso in cui gli interventi edilizi di cui il Comune ha disposto la demolizione si rivelino ulteriori rispetto a quelli per i quali sia stata presentata istanza di condono, il provvedimento ripristinatorio dimostra piena legittimità, integrando per la procedente Amministrazione un atto dovuto.
Soltanto in presenza della dimostrazione (nel caso di specie non offerta dalla parte appellante; ed anzi, documentalmente smentita dai rilievi, anche fotografici, e dagli accertamenti condotti dalla procedente Amministrazione comunale di Roma) della ricomprensione di dette opere nel novero di quelle già all’esame dell’Amministrazione nell’ambito delle domande di condono a suo tempo avanzate e non ancora definite, potrebbe evocarsi (in ragione della carente istruttoria sul punto condotta; ovvero, della non corretta percezione della realtà fattuale, a fronte della descrizione degli interventi già oggetto di domanda di sanatoria) una illegittimità dell’agere pubblico: il quale, quanto alla vicenda che ne occupa, non incontra elementi in fatto che confermino siffatta, non corretta, valutazione delle emersioni in fatto relative alla realizzazione del contestato intervento.
4. Si presta, invece, a condivisione la censura con la quale parte appellante ha sostenuto l’illegittimità della determinazione n. 1800 del 3 ottobre 2005 (in prime cure avversata), in quanto carente di idonea motivazione con riferimento all’acquisizione dell’intero lotto, per una complessiva superficie di mq. 1920.
Va in proposito rilevato come l’anzidetto provvedimento preveda che, decorso il termine di giorni novanta fissato all’appellante per la demolizione del manufatto, come sopra abusivamente realizzato, “le opere predette sono acquisite di diritto al patrimonio pubblico unitamente all’area di sedime, nonché a quella che sarebbe necessaria per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, determinata in mq. 1920 (INTERO LOTTO) del terreno sito nel Comune di Roma in Via (omissis)”.
È ben vero che l’acquisizione dell’opera abusiva e del sedime al patrimonio pubblico è diretta conseguenza della accertata inottemperanza dell’ordine a demolire; di talché, una volta verificato che l’intervento realizzativo sia sprovvisto (come, appunto, nella fattispecie all’esame) del necessario titolo abilitativo, l’Amministrazione doverosamente ne dispone la demolizione, con conseguente acquisizione, in caso di inottemperanza dell’ordine ripristinatorio, dell’area di sedime.
Ciò, secondo quanto previsto dall’art. 31, comma 3, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a mente del quale “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.
La disgiunta previsione della acquisibilità dell’area ulteriore rispetto a quella di sedime (nei limiti di un multiplo, in ragione di dieci, della superficie interessata dalla realizzazione abusiva), ha condotto la giurisprudenza di questo Consiglio alla maturazione di un orientamento, per cui “il nesso funzionale tra i due acquisti implica che l’Amministrazione sia tenuta a specificare, volta per volta, in motivazione le ragioni che rendono necessario disporre l’ulteriore acquisto” (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 9 dicembre 2020, n. 7849 e 31 agosto 2020, n. 5308; Sez. VI, 11 giugno 2019, n. 3916 e 25 giugno 2019, n. 4336).
In presenza di un puntuale obbligo motivazionale che deve assistere l’individuazione della commisurazione superficiaria dell’ulteriore area soggetta ad acquisizione, rileva il Collegio che:
– ferma l’assenza, nella determinazione anzidetta, di alcuna giustificazione a sostegno della come sopra indicata estensione dell’area da acquisire (dimostrandosi, al riguardo, inconferente l’integrazione motivazionale, contenuta nella memoria dal Comune depositata in data 29 gennaio 2021, a proposito di una non meglio esplicitata “unità non frazionabile”);
– la stessa Amministrazione comunale (nota in data 23 dicembre 2020, in atti depositata dalla appellata il 19 gennaio 2021) ha rappresentato che “risulta (ancora) pendente l’istanza di condono prot. n. 0/504044” riguardante “un immobile di cui si chiede la sanatoria, sito in Roma, Via (omissis), composto da un appartamento sito al piano terra con annesso magazzino distaccato”.
Ora, se non può che confermarsi la preclusa realizzabilità, in corso di esame della domanda di sanatoria, di ulteriore realizzazione (parimenti non assistita da titolo ad aedificandum), va peraltro escluso che l’acquisizione dell’area (ulteriore rispetto al sedime), possa estendersi anche a quella occupata dal manufatto, per il quale sia stata presentata richiesta di condono (come nel caso di specie, con risalente istanza, per la quale lo stesso Comune, nella nota anzidetta, ha evidenziato di aver informato l’Avvocatura capitolina, con lettera dell’11 marzo 2010, di non aver reperito in atti la relata di notifica del preavviso di rigetto).
Deve quindi ritenersi che, ferma l’omessa ostensione di apparato motivazionale a fondamento della individuata commisurazione superficiaria dell’area (ulteriore, rispetto a quella di sedime) passibile di acquisizione, nondimeno tale determinazione, in quanto suscettibile di riguardare (anche) la superficie sulla quale insiste l’immobile per il quale l’Amministrazione non si sia ancora determinata in ordine alla presentata istanza di condono, non potesse essere legittimamente emanata, se non previa definizione della richiesta di che trattasi.
In accoglimento del motivo di censura all’esame, ed in parziale riforma dell’appellata sentenza di prime cure, la determinazione comunale n. 1800 del 3 ottobre 2005 va dunque annullata, nella parte in cui viene disposta l’acquisizione dell’area ulteriore rispetto al sedime del manufatto abusivamente realizzato dall’appellante, fino a concorrenza dell’intera superficie del lotto (mq. 1.920); rimanendo, ovviamente, riservate all’Amministrazione le ulteriori determinazioni in ordine alla motivata individuazione dell’estensione dell’area (ulteriore rispetto a quella di sedime), da assoggettare ad acquisizione.
5. La parziale soccombenza, unitamente alla particolarità della sottoposta vicenda contenziosa, integrano giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei soli limiti di cui al punto 4. della motivazione; e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, in tali limiti accoglie il ricorso di prime cure, con conseguente annullamento, in parte qua, della determinazione del Comune di Roma, n. 1800 del 3 ottobre 2005. Respinge per il resto l’appello in epigrafe.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 2 marzo 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Claudio Contessa – Presidente
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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