Corte di Cassazione, penale, Sentenza|18 gennaio 2021| n. 1943.
E’ configurabile il tentativo del delitto di atti persecutori, trattandosi di reato abituale di evento in cui alla condotta unitaria, costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, può non seguire la realizzazione di uno degli eventi tipici di danno o di pericolo previsti dall’art. 612-bis cod. pen.
Sentenza|18 gennaio 2021| n. 1943
Data udienza 6 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Atti persecutori – Stalking – Configurabilità – Solo in presenze di reiterazione di atti persecutori
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere
Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere
Dott. FRANCOLINI Giovanni – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/01/2019 del TRIBUNALE DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIOVANNI FRANCOLINI;
uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dr. DI LEO GIOVANNI, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 gennaio 2019 (dep. il 15 aprile 2019), il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto – per quel che in questa sede rileva – ha dichiarato la responsabilita’ di (OMISSIS) per il delitto tentato di atti persecutori (articoli 56 e 612-bis c.p.), cosi’ riqualificata l’originaria imputazione elevata per l’ipotesi consumata, e concesse le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla contestata aggravante, lo ha condannato alla pena di giustizia, con il beneficio della sospensione condizionale e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento del danno nei confronti della parte civile (OMISSIS) e alla rifusione delle spese processuali in favore della stessa.
2. Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha proposto ricorso immediato per cassazione (articolo 569 c.p.p.), per i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo si e’ denunciata l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 612-bis c.p., in relazione alla ritenuta configurabilita’ del tentativo, incompatibile con la struttura dell’incriminazione
2.2. Con il secondo motivo si e’ denunciata l’inosservanza e l’erronea applicazione degli articoli 56 e 612-bis c.p., poiche’ nella specie non si e’ ravvisata un’ipotesi di reato impossibile nonostante le condotte in imputazione non abbiano prodotto conseguenze nei confronti del soggetto passivo che non ne avrebbe percepito la lesivita’.
2.3. Con il terzo motivo si e’ denunciata l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 2059 c.c., in quanto sarebbe stato riconosciuto alla parte civile il risarcimento del danno non patrimoniale non perche’ le condotte persecutorie le abbiano cagionato un pregiudizio ma perche’ poste in essere in luogo pubblico, alla presenza di altri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presenta profili di inammissibilita’ e, nel resto, e’ infondato ragion per cui non puo’ trovare accoglimento.
1. Con il primo motivo e’ stata allegata la violazione dell’articolo 612-bis c.p., poiche’ il Tribunale avrebbe qualificato la condotta dell’imputato come ipotesi tentata del delitto di atti persecutori, nonostante tale forma di manifestazione del reato sia incompatibile con la struttura dell’incriminazione.
Il ricorrente ha premesso che il Giudice di merito ha escluso che la persona offesa, a cagione “di un mero accidente o per il carattere evidentemente forte” della stessa, abbia patito un perdurante stato di ansia e paura, ossia uno degli eventi tipici del delitto in imputazione e abbia mutato le proprie abitudini di vita (evento non contestato nella specie). Ed ha rassegnato che:
– il delitto di atti persecutori, in quanto reato di evento, potrebbe astrattamente manifestarsi nella forma tentata;
– purtuttavia, sarebbe la struttura dell’illecito – da qualificarsi come reato abituale improprio, la cui condotta si sostanzia in una serie reiterata di comportamenti molesti o minacciosi – a richiedere “per la sua giuridica esistenza” la necessaria verificazione di almeno uno degli eventi tipici alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, eventi in mancanza dei quali la condotta dell’agente potrebbe al piu’ integrare altri titoli di reato.
1.1. Il motivo e’ infondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha gia’ chiarito che il delitto di atti persecutori e’ un reato abituale di danno, “integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice, nonche’ al loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, il quale deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso (…), sicche’ cio’ che rileva non e’ la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilita’ quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento” (Sez. 5, n. 15651 del 10/02/2020, T., Rv. 279154 – 01; conf. Sez. 5, n. 7889 del 14/01/2019, P., Rv. 275381 – 01). Invero: – e’ “la reiterazione degli atti considerati tipici” a costituire “elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere ad essi un’autonoma unitaria offensivita’, in quanto e’ proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, infine, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte nella disposizione di riferimento” (Sez. 5, n. 3042 del 09/10/2019 Cc. (dep. 24/01/2020), M., Rv. 278149 – 01; Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016, G., Rv. 269081 – 01);
– come si e’ affermato in relazione alla rituale contestazione del delitto, “e’ la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tale senso l’essenza dell’incriminazione si coglie non gia’ nello spettro degli atti considerati tipici, bensi’ nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo”; e’ “l’atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensivita’ ed e’ per l’appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicita’, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato” (Sez. 5, n. 15651/2020, cit.).
Considerazioni consimili sono state svolte anche al fine di determinare la competenza per territorio, allorche’ si e’ ribadito che il delitto di atti persecutori – come esposto, reato abituale di danno – e’ caratterizzato dal fatto che le singole molestie e minacce poste in essere dall’agente sono unificate per l’evento che producono, tanto che esso si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (tanto che la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall’articolo 612-bis c.p.; Sez. 5, n. 16977 del 12/02/2020, S., Rv. 279178 – 01).
Se, quindi, i singoli atti dell’agente, proprio in ragione della loro reiterazione (che, come detto, “li cementa”), sono unificati sub specie iuris – e dunque rilevano come un unico reato – come un’unica condotta persecutoria, causalmente volta nel suo complesso alla determinazione di uno degli eventi tipici, siano essi di danno (quale l’alterazione delle proprie abitudini di vita o il perdurante e grave stato di ansia o di paura) o di pericolo (vale a dire, il fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; cfr. per tutte Sez. 5, n. 16977/2020, cit.); se, in altri termini, i singoli atti sono gia’ unificati sul piano della condotta – oltre che, sul piano soggettivo, dalla “consapevolezza della loro idoneita’ a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualita’” di essi (cfr. Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230 – 01) -, ossia (logicamente e cronologicamente) prima ancora che ne segua uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice; ne discende che, secondo la regola generale propria dei reati di evento, e’ (logicamente e giuridicamente) possibile che alla commissione della condotta medesima, in particolare di atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare uno degli eventi de quibus (ex articolo 56 c.p.), non segua l’effettiva causazione di alcuno di essi. E, in tali casi, il fatto sara’ punibile quale delitto tentato.
Quanto appena esposto non puo’ mutare alla luce del fatto che il delitto di atti persecutori sia un reato abituale improprio (Sez. 5, n. 31996 del 05/03/2019, S., Rv. 273640 – 01; Sez. 5, n. 41431 del 11/07/2016, R., Rv. 267868 – 01), ossia un reato per la cui sussistenza e’ richiesta, come elemento costitutivo, la reiterazione di fatti, ciascuno dei quali, isolatamente considerato, costituisce un reato diverso da quello risultante dalla sua reiterazione (cosi’ gia’, per la nozione di reato abituale improprio, distinto dal reato abituale proprio che ricorre allorche’ invece ciascuno dei singoli fatti che lo compongono, isolatamente considerato, non costituisce reato, Sez. 3, n. 435 del 14/03/1968, Scarangella, Rv. 107837 – 01).
Difatti, le singole azioni che ex se integrerebbero distinte ipotesi di reato, una volta reiterate nei termini anzidetti, sono gia’ state unificate e tali rimangono, come detto, a monte dell’eventuale verificarsi di un evento di cui sarebbero antecedente causale, non incidendo punto la mancata determinazione di esso – per dir cosi’, a ritroso – sulla gia’ avvenuta unificazione di esse che non possono essere piu’ considerate in modo isolato.
2. Con il secondo motivo e’ stata addotta la violazione della legge penale (indicata negli articoli 56 e 612-bis c.p.), in quanto il fatto del (OMISSIS) non e’ stato qualificato come reato impossibile.
Il ricorrente ha esposto che il Giudice di primo grado:
– ha affermato che gli eventi tipici non si sono realizzati per un mero accidente o per il carattere evidentemente forte di (OMISSIS);
– ed ha ritenuto che la stessa persona offesa non abbia percepito talune telefonate notturne dell’imputato (che, se udite avrebbero potuto ingenerare in lei sentimenti di precarieta’ e paura) e che le condotte in imputazione poste in essere dal (OMISSIS) nei locali da ballo o nel corso di feste non hanno prodotto conseguenze poiche’ la donna, per via del proprio carattere forte, non ne ha percepito la lesivita’;
– pertanto, nella specie ricorrerebbe un caso di inidoneita’ del soggetto passivo rispetto al reato e, dunque, un reato impossibile.
2.1. La prospettazione difensiva e’ manifestamente infondata.
Ricorre un reato impossibile, e dunque la punibilita’ e’ esclusa, quando e’ impossibile l’evento dannoso o pericoloso, “per la inidoneita’ dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa” (articolo 49 c.p., comma 2).
Quanto alla prima ipotesi, la giurisprudenza ha chiarito che “l’inidoneita’ dell’azione – da valutarsi con riferimento al tempo del commesso reato in base al criterio di accertamento della prognosi postuma – deve essere assoluta, nel senso che la condotta dell’agente deve essere priva di astratta determinabilita’ causale nella produzione dell’evento, per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato, si’ da non consentire neppure in via eccezionale l’attuazione del proposito criminoso, indipendentemente da cause estranee o estrinseche, ancorche’ riferibili all’agente (Sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, dep. 2020, Mazzarella, Rv. 278085 – 01; Sez. 5, n. 9254 del 15/10/2014, dep. 2015,1Semeraro, Rv. 263058 – 01).
Perche’ si verifichi la seconda ipotesi prevista dall’articolo 49 c.p., comma 2, la giurisprudenza e’ costante, per vero da tempo risalente, nel ritenere necessario che la inesistenza dell’oggetto del reato sia assoluta, sicche’ manchi qualsiasi possibilita’ di offesa del bene giuridico tutelato (cfr. gia’ Sez. 2, n. 2639 del 16/12/1968, dep. 1969, Gravino, Rv. 111174 – 01; e Sez. 1, n. 3568 del 09/11/1982, dep. 1983, Sale, Rv. 158606 – 01: “Si verifica il reato impossibile – per inesistenza dell’oggetto dell’azione criminosa intrapresa – allorquando sussiste l’assoluta assenza del bene aggredito, nel senso che quest’ultimo deve essere inesistente sin da prima che l’agente intraprenda la sua opera delittuosa). Invero, “l’inesistenza dell’oggetto del reato da’ luogo a reato impossibile solo qualora l’oggetto sia inesistente in rerum natura o si tratti di inesistenza originaria ed assoluta, non anche quando l’oggetto sia mancante in via temporanea o per cause accidentali” (Sez. 1, n. 12407 del 30/09/2019, dep. 2020, Tagliamento Rv. 278902 – 01; Sez. 1, n. 3405 del 26/11/1991, dep. 1992, Vignone, Rv. 191123 – 01).
In sostanza, “puo’ parlarsi di reato impossibile solo quando l’evento risulta impossibile in ragione della inidoneita’ dell’azione o della inesistenza dell’oggetto mentre in ogni altro caso in cui barriere o ostacoli di tipo materiale o giuridico impediscono l’evento, non potra’ parlarsi di una sua “impossibilita’” in senso tecnico e di conseguenza invocare la impunita’” (Sez. 5, n. 11890 del 22/10/1997, Guidozzi Rv. 209645 – 01, che ha ritenuto del tutto irrilevante che le violenze o le minacce esercitate per indurre un soggetto a ritirare la querela non potessero, per la procedibilita’ d’ufficio del reato originario, sortire alcun effetto processuale favorevole per l’autore o il mandante della violenza).
Pertanto, non rientra in alcun modo nelle dette ipotesi la circostanza che, nel caso in esame, (OMISSIS) non abbia avuto contezza di talune telefonate che l’imputato aveva fatto all’utenza di lei in orario notturno; ma, soprattutto, non ha alcuna rilevanza nella prospettiva del reato impossibile che il carattere della giovane abbia impedito il verificarsi di uno degli eventi in imputazione e tipico ex articolo 612-bis c.p., che e’ stato correttamente valutato dal Giudice di merito al fine di escludere la consumazione del delitto (e di ravvisare la ricorrenza dell’ipotesi tentata), non contemplando in alcun modo l’articolo 49, comma 2, cit. il caso della “inidoneita’ del soggetto passivo rispetto al reato”.
3. Con il terzo motivo e’ stata addotta la violazione dell’articolo 2059 c.c..
Il ricorrente ha censurato la statuizione del Tribunale:
– poiche’ avrebbe riconosciuto a (OMISSIS) il risarcimento del danno non patrimoniale (determinato in Euro ottocento) non in quanto l’agire del (OMISSIS) le avrebbe cagionato un pregiudizio, ma perche’ le condotte di quest’ultimo sono state poste in essere in luogo pubblico, davanti ad amici;
– tuttavia, il riconoscimento del ristoro del danno derivante da reato non dipende dal luogo dell’offesa bensi’ dal concreto accertamento del pregiudizio derivante dall’illecito che, invece, il Giudicante avrebbe escluso.
3.1. Il motivo in esame e’ inammissibile.
Il Tribunale – che nella specie ha escluso soltanto che si sia verificato un danno patrimoniale – ha ritenuto che il danno non patrimoniale ricorresse non soltanto perche’ la condotta delittuosa dell’imputato ha avuto luogo alla presenza di altri; piuttosto ha indicato anche la pubblicita’ del luogo in cui essa e’ stata commessa e la presenza di amici dell’offesa quale elemento da considerare a tal fine (cfr. sentenza impugnata, p. 10).
Invero, la liquidazione del danno morale, attesa la sua natura, e’ affidata ad apprezzamenti discrezionali e non puo’ che avvenire in via equitativa; pertanto, costituisce una valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimita’ se sorretta da congrua motivazione, dovendosi ritenere assolto l’obbligo motivazionale mediante l’indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli e’ stato determinato l’ammontare del risarcimento (Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229 – 01; Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli, Rv. 263450 – 01; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258170 – 01).
Il ricorrente ha in definitiva contestato la motivazione resa dal Tribunale, cosi’ deliberatamente investendo questa Corte – unitamente agli altri motivi consentiti – di una doglianza che non puo’ essere ritualmente proposta nel caso di ricorso per saltum (articolo 569 c.p.p., comma 3) – ragion per cui non e’ convertibile in appello (cfr. Sez. 1, n. 51610 del 23/04/2018, Canella, Rv. 275664 – 01) – e che, peraltro, ha ad oggetto un apprezzamento di merito comunque non consentito in questa sede.
4. Al rigetto del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, comma 2, si dispone che sia apposta a cura della medesima cancelleria, sull’originale della sentenza, l’annotazione prevista dall’articolo 52, comma 3, cit., volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalita’ e di altri dati identificativi degli interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
Il presente provvedimento, redatto dal Consigliere Dr. Giovanni Francolini, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del Decreto Legge 18 dicembre 2020, n. 172, articolo 1, comma 1 e D.P.C.M. 3 dicembre 2020, articolo 3, comma 4, lettera a), (articolo 546 c.p.p., comma 2).
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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