È configurabile il reato di maltrattamenti per il professore

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|27 gennaio 2021| n. 3459.

È configurabile il reato di maltrattamenti, e non il più lieve abuso di mezzi di correzione, per il professore che davanti alla classe qualifichi ripetutamente come “deficiente” un proprio alunno.

Sentenza|27 gennaio 2021| n. 3459

Data udienza 19 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Maltrattamenti in danno degli alunni – Differenza tra il reato di maltrattamenti con il reato d’abuso dei mezzi di correzione – Principi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 03/03/2020 dalla Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Rosati Martino;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Lori Perla, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS), per il tramite dei propri difensori, impugna la sentenza della Corte di appello di Palermo del 3 marzo 2020, nella parte in cui ha confermato la condanna inflittagli dal Tribunale di Termini Imerese il 29 gennaio 2019, per il delitto di maltrattamenti in danno del proprio alunno (OMISSIS), con le conseguenti statuizioni civili in favore dei genitori di quest’ultimo, costituitisi nel processo quali parti civili.
Gli si addebita di aver umiliato ed offeso il minore, all’epoca appena dodicenne, abitualmente apostrofandolo con epiteti e frasi oggettivamente scurrili in presenza di tutta la classe.
2. Il ricorso propone due doglianze.
2.1. La prima deduce vizi cumulativi di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei fatti contestati.
Passando in rassegna gli elementi di prova valorizzati in sentenza in chiave accusatoria, si sostiene, in sintesi, che gli stessi siano stati, in misura maggiore o minore, travisati da quei giudici, la cui ricostruzione non sarebbe percio’ aderente al reale contenuto di essi.
Tanto dicasi, in particolare, per la testimonianza e la certificazione rese dal medico di famiglia delle parti civili, Dott. (OMISSIS), come pure per le testimonianze dei dirigenti scolastici (OMISSIS) e (OMISSIS), che dimostrerebbero soltanto l’esistenza – indiscussa – di una situazione piscologica problematica del ragazzo e di un suo rapporto genericamente conflittuale con l’insegnante, ma non anche le sistematiche vessazioni di cui quest’ultimo e’ accusato. Queste, anzi, sarebbero state negate dai compagni di scuola (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), le cui deposizioni sarebbero state immotivamente ritenute inaffidabili, o comunque irrilevanti, dalla Corte distrettuale, al pari di quelle, di segno conforme, di un altro sanitario, Dott. (OMISSIS) (sulle condizioni psicologiche del ragazzo), e di un altro insegnante, prof. (OMISSIS), che ha escluso qualsiasi lamentela dell’alunno (OMISSIS) verso il ricorrente.
Di contro, i giudici di merito avrebbero illogicamente conferito valenza dimostrativa alle accuse del predetto compagno di classe (OMISSIS), rese nel corso di un colloquio intrattenuto con la madre del (OMISSIS) e da questa registrato a sua insaputa ma con la collaborazione della madre di lui, sua amica. Evidenzia il ricorrente come soltanto tale ragazzino, tra tutti i compagni di classe interpellati con le medesime modalita’ subdole dalla madre del (OMISSIS), avrebbe reso dichiarazioni accusatorie, la cui genuinita’, tuttavia, e’ tutt’altro che certa: la registrazione del colloquio, infatti, non e’ mai stata prodotta; la relativa trascrizione e’ stata eseguita da un incaricato della famiglia e non – come erroneamente ritenuto in sentenza – da un perito del Tribunale; non sono state accertate le modalita’ di acquisizione, dovendo verosimilmente ipotizzarsi un condizionamento del minore (che in giudizio, infatti, si e’ espresso in termini differenti), se non altro per il desiderio di compiacere la propria madre e la sua amica.
Ne consegue che, in definitiva, trattandosi di fatti non percepiti direttamente nemmeno dai genitori del (OMISSIS), l’accusa poggerebbe esclusivamente sulle dichiarazioni di quest’ultimo, tuttavia interessate e provenienti da un soggetto giovanissimo ed in condizioni di disagio legate al suo rendimento scolastico.
2.2. Il secondo motivo d’impugnazione, invece, riguarda la qualificazione giuridica del fatto, che, laddove accertato, comunque non dovrebbe essere sussunto nella fattispecie dei maltrattamenti, bensi’ in quella dell’abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, prevista dall’articolo 571, c.p., e che ricorre anche quando la funzione correttiva si estrinsechi attraverso contegni afflittivi ed umilianti per il destinatario.
3. I difensori ricorrenti hanno altresi’ depositato motivi nuovi, ribadendo la rilevanza, in senso favorevole all’imputato, delle deposizioni testimoniali degli alunni (OMISSIS) e (OMISSIS), invece apoditticamente svalutate in sentenza come irrilevanti, perche’ imprecise e frutto di un clima di omerta’, tuttavia indimostrato; nonche’ rinnovando le censure sulla valutazione del complessivo contributo informativo dell’alunno (OMISSIS).
4. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i motivi di ricorso non sono ammissibili.
2. Il primo devolve alla Corte di cassazione un giudizio di fatto, che esula dal sindacato consentitole. Questo, infatti, e’ limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali: non rientra nei poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa – e per il ricorrente piu’ adeguata – valutazione delle risultanze processuali (per tutte, Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Tanto ribadito, e’ sufficiente osservare che, attraverso la doglianza in rassegna, la difesa ricorrente contesta la complessiva valutazione del materiale istruttorio operata dalla Corte di merito e, per alcuni degli elementi di prova valorizzati in sentenza, il significato probatorio loro attribuito da quei giudici. Peraltro, nel compiere tale operazione, l’impugnazione trascura diverse risultanze istruttorie, che, invece, nella trama argomentativa della sentenza, assumono un’incidenza, se non decisiva, comunque di primario rilievo: le testimonianze del compagno di classe della vittima, (OMISSIS), e della madre dell’altro alunno (OMISSIS), ma anche le parziali ammissioni dell’imputato, riferite dal teste (OMISSIS), per un periodo reggente dell’istituto.
3. Il secondo motivo, invece, e’ manifestamente destituito di giuridico fondamento.
3.1. Nell’individuazione dei confini tra le fattispecie di cui agli articoli 571 e 572 c.p., particolarmente nell’ambito scolastico, questa stessa sezione della Corte di cassazione ha avuto modo di enunciare i seguenti principi di diritto, che si attagliano perfettamente al caso in rassegna e che, pertanto, il Collegio intende ribadire.
1) L’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, previsto e punito dall’articolo 571 c.p., consiste nell’uso non appropriato di metodi, strumenti e, comunque, comportamenti correttivi od educativi, in via ordinaria consentiti dalla disciplina generale e di settore nonche’ dalla scienza pedagogica, quali, a mero titolo esemplificativo, l’esclusione temporanea dalle attivita’ ludiche o didattiche, l’obbligo di condotte riparatorie, forme di rimprovero non riservate.
2) L’uso di essi deve ritenersi appropriato, quando ricorrano entrambi i seguenti presupposti: a) la necessita’ dell’intervento correttivo, in conseguenza dell’inosservanza, da parte dell’alunno, dei doveri di comportamento su di lui gravanti; b) la proporzione tra tale violazione e l’intervento correttivo adottato, sotto il profilo del bene-interesse del destinatario su cui esso incide e della compressione che ne determina.
3) Qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica che psicologica, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo; e, qualora di essa si faccia uso sistematico, quale ordinario trattamento del minore affidato, la condotta non rientra nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, bensi’, in presenza degli altri presupposti di legge, in quella di maltrattamenti, ai sensi dell’articolo 572, c.p. (Sez. 6, n. 11777 del 21/01/2020, P., Rv. 278744).
3.2. Nello specifico, dunque, risulta accertato in fatto che l’imputato apostrofasse sistematicamente la vittima, allora appena dodicenne, durante le lezioni e comunque dinanzi ai compagni di classe, con epiteti dall’indiscutibile valenza ingiuriosa (“fetente”, “deficiente”, “coglione”, “fituso”, che sta per sporco, e “vucca aperta”, nel senso di stolto), ma anche umiliante, considerando la differenza di ruolo, oltre che di eta’, tra costoro.
Di contro, non soltanto non risulta che un siffatto contegno si rendesse necessario a scopi correttivi, ma anzi e’ indiscutibile che, in ogni caso, e cioe’ quand’anche il suo autore avesse agito con quegli intenti, tale suo comportamento non fosse affatto adeguato a questi ultimi, percio’ mancando anche del necessario requisito della proporzione.
Deve, percio’, ritenersi corretta la qualificazione del fatto come delitto di “maltrattamenti”, ai sensi dell’articolo 572 c.p..
4. L’inammissibilita’ del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilita’ (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila Euro.
5. Trattandosi di imputato lavoratore dipendente di un istituto d’istruzione pubblico, il dispositivo della presente sentenza dev’essere comunicato all’amministrazione competente, a norma dell’articolo 154-ter disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 154-ter disp. att. c.p.p..

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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